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Autore: puffolapigmea    27/09/2014    0 recensioni
Il tempo è una brutta bestia, a volte confonde la memoria, a volte si limita a schivarla per lasciarla intatta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Draco Malfoy, Narcissa Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Questa storia partecipa al "Tormenti e ossessioni - Draco Malfoy Contest - di MaryScrivistorie



WHYSKY, OSSESSIONI E BUGIE

 

Draco Malfoy si trovava in quello che era stato lo studio di suo padre.
Non aveva mai amato quel luogo eppure era l'unico che, da un po' di tempo, lo facesse sentire al sicuro. Si rifugiava in quella stanza quando era preoccupato, triste o arrabbiato, ma quella sera non avrebbe saputo esprimere con certezza cosa provava.
Di sicuro era arrabbiato, molto arrabbiato.
Con sé, con il fato, con la donna che amava.
Non si sentiva propriamente triste, semmai il suo umore virava più sulla rassegnazione e questo non gli piaceva.
Per niente.
Anzi, lo faceva arrabbiare ancora di più.
Riguardo alla preoccupazione, beh... no, non lo era, perché non c'erano più decisioni da prendere.
Quello che aveva visto nel pomeriggio mutava decisamente le cose. Qualsiasi suo intervento non l'avrebbe riportata indietro, non gli avrebbe ridato la possibilità di tornare a stare con lei. Per la miseria, non solo non riusciva a pronunciare il suo nome, ma nemmeno a pensarlo. Non poteva permettersi di farlo perché solo l'idea di lei gli faceva perdere la testa, figurarsi nominarla. Era molto più semplice considerarla un'entità astratta e per questo un banale lei era più che sufficiente
In ogni caso, anche se non poteva fare niente per riaverla al suo fianco, era comunque in grado di impedire che si sposasse con qualcun altro. Mise una mano in tasca e ne estrasse un piccolo gioiello, una catenina che da quattro mesi portava sempre con sé. La guardò per un istante, poi la strinse con forza nella mano. Per un attimo gli sembrò di vederla, di rivedere la sorpresa nei suoi occhi mentre le spiegava la funzione del monile, la sua reazione nello scoprire che poteva distruggere il loro legame spezzando la collana. Sapeva che era stato meschino da parte sua rubargliela, così come sapeva di non aver avuto altra scelta.
Si diresse lentamente verso il mobile dove suo padre teneva i costosi e raffinati alcolici che era solito offrire agli amici. Gli ci voleva assolutamente qualcosa di forte per buttare giù il nodo che, da svariate ore, gli stringeva la gola.
Non era abituato a fare uso di alcolici e nelle poche occasioni in cui lo aveva fatto ne aveva abusato. Non riusciva a gestirli, come non riusciva più a gestire le emozioni; in entrambi i casi era incapace di comprendere quando arrivava il momento di fermarsi. Per questo evitava di bere, perché raramente poteva permettersi il lusso di perdere il controllo. E comunque era capitato non più di un paio di volte; situazioni particolarmente complicate e dolorose, momenti in cui gli era richiesta una freddezza sempre più difficile da mantenere.
Tutti, chi più chi meno, lo avevano sopravvalutato, chiedendogli più di quello che poteva dare.
Nel bene e nel male.
Perché se era impensabile che seguisse Voldemort ciecamente come aveva preteso suo padre, era altrettanto inconcepibile che immolasse la sua vita per la causa di Potter.
Si era barcamenato come un equilibrista tra i due schieramenti, riuscendo alla fine ad ottenere più di quanto avesse sperato.
Aveva mantenuto la sua libertà e quella di sua madre, aveva conservato i suoi beni e il suo nome, se non era proprio rispettato, perlomeno non era accostato ad accuse infamanti.
Ma aveva perso tante cose; molte delle sue certezze, alcuni cari amici, e la donna che aveva al suo fianco non era quella che voleva. E aveva davvero rischiato di lasciarci la pelle nella guerra.
Con rammarico dovette ammettere che le cose erano andate diversamente da come se le raccontava ogni giorno e, con il colpo che aveva ricevuto quel pomeriggio, la facciata di soddisfazione che si era costruito non poteva più reggere.
Così si era rifugiato lì, nello studio di suo padre, perché nessuno vedesse la sua vita andare in pezzi.
Dubitava che sarebbe accaduto, perché alle due persone che vivevano con lui sembrava non interessare. Aveva l'impressione che quello che pensava, che provava o che gli accadeva, le lasciasse completamente indifferenti.
Narcissa si era rinchiusa in biblioteca, come faceva ogni sera da quando Astoria era andata a vivere con loro. Sua madre disapprovava la sua scelta e non si preoccupava di nasconderlo.
Astoria, invece, era salita al piano superiore subito dopo cena, con una scusa che poteva sembrare plausibile - devo addormentare Scorpius - se non fosse stato che il bambino dormiva profondamente già da un'ora.
Adesso che ci pensava era arrabbiato anche con lei perché, a causa sua, aveva incontrato la ragione del suo malessere. Benché ci pensasse ormai da ore, non era ancora riuscito a capire perché Astoria avesse tanto insistito per andare quel pomeriggio a Diagon Alley, e in fattispecie perché avesse voluto ad ogni costo entrare nel negozio dei gemelli Weasley. Soprattutto non riusciva a ricordare per quale stupido, sciocco e... sentimentale, si forse era il termine giusto, motivo, lui l'aveva accontentata.
Ma chi voleva prendere in giro?
Lo sapeva fin troppo bene perché le sue blande proteste non avevano convinto Astoria a non fermarsi lì. Perché dare una sbirciatina era esattamente quello che voleva anche lui. Non c'erano molte possibilità che lei si trovasse nel negozio, ma come si suol dire tentare non nuoce.
Non gli sarebbe dispiaciuto incrociarla per caso, fermarsi a chiacchierare e magari trovare il tempo, e soprattutto il coraggio, per raccontarle come stavano davvero le cose. Quella verità che li allontanava ogni giorno di più, che rendeva sempre più difficile incontrarsi e parlare, che era in realtà una colossale bugia.
Erano entrati nel locale e Astoria si era diretta con decisione verso un reparto ben preciso, quasi a voler smentire l'idea che si era fatto che si trattasse di un capriccio momentaneo. Lui l'aveva seguita e osservata mentre sceglieva con cura alcuni articoli. Poi una voce, la sua voce, lo aveva costretto a voltarsi e...
Non aveva possibilità di scampo, l'aveva capito subito. I loro occhi si erano incrociati per un attimo, un brevissimo istante nel quale aveva compreso che non poteva più stare senza di lei, che da solo era perduto.
Poi il suo sguardo era sceso a osservare l'intera figura che gli stava davanti e improvvisamente gli fu chiaro che l'aveva perduta.
Non la vedeva da quattro mesi, dal giorno in cui le aveva sottratto la collana incantata e avevano fatto l'amore, e per tutto quel tempo aveva continuato a pensare che sarebbe appartenuta a lui per sempre.
Non aveva preso in considerazione il fatto che non era indispensabile che fosse libera da legami per poter andare a letto con qualcuno, per poter rimanere incinta e dare a un altro uomo quello che non aveva dato a lui: un figlio.
Una volta c'erano andati vicini, ma l'irruenza e l'incoscienza tipici del suo carattere avevano rovinato tutto. Salire su una scopa per uno stupido allenamento di Quiddich quando si è in attesa di un bimbo non è la cosa più saggia da fare.
Ma lei l'aveva fatto, ed era caduta.
Perdendo il loro bambino.
L'aveva odiata allora, profondamente. Non ricordava di aver mai odiato nessuno in quel modo, e sì che di persone di aveva odiate, ma mai come lei in quel frangente.
Si era trattato di una cosa viscerale, e per questo dilaniante.
Perché se si può pensare di fare del male a qualcuno che si odia, come si può concepire di fare del male alla persona che si ama? Come si può sopravvivere al dolore che ti infligge la parte migliore di te?
Ancora adesso, ripensare a quello che era accaduto gli faceva provare un dolore sordo allo stomaco, come un pugno tirato a tradimento che ti lascia senza fiato.
Sì, l'aveva decisamente odiata, un po' come la odiava in quel momento. E se allora era riuscito a perdonarla perché aveva trovato nei suoi occhi il suo stesso dolore, ora non poteva farlo.
Nell'incontrarlo non aveva manifestato alcuna emozione se non indifferenza, e nel suo sguardo non c'era traccia di rimorso o pentimento, e nemmeno di scusa. Aveva ben chiaro quello che gli stava facendo e non dava l'impressione di esserne turbata.
A dire il vero, forse, era sembrata un po' tesa, ma probabilmente era solo per la sorpresa di trovarlo lì. E non gli aveva detto neanche una parola, neppure un ciao, mentre aveva salutato calorosamente Astoria e Scorpius.
Era stato dannatamente faticoso per lui riuscire a trattenersi dal metterle le mani intorno alla gola.
Strangolarla, quello era stato il primo istinto.
Era stanco di essere trattato così, di constatare ancora una volta che, nell'ipotetica scala di preferenze, lui non aveva salito un gradino... anzi, adesso veniva persino dopo Astoria e Scorpius.
Si fermò un attimo a riflettere.
Sapeva di averle fatto del male; la sua relazione con Astoria era stata per lei un brutto colpo e averla informata della sua gravidanza dopo che lo aveva già scoperto da sola, aveva soltanto peggiorato le cose.
Ma tecnicamente lui non l'aveva mai tradita, si era solo assunto la responsabilità di quella famiglia che gli era capitata tra capo e collo a causa di una promessa fatta tempo prima ad un amico.
Mentre lei, per quanto era possibile vedere, l'aveva tradito eccome!
Il ventre appena pronunciato ne era la prova.
Sì, strangolarla, solo questo avrebbe potuto placare la sua rabbia. Lei, e quel bastardo che l'aveva sedotta.
Appoggiò la catenina sul mobile, afferrò con decisione il collo della bottiglia del pregiato Whisky Incendiario e cercò un bicchiere.
Non doveva pensare a lei, non voleva più farlo.
Era già abbastanza doloroso dover sopportare quella ferita che non era necessario continuare a rigirare il coltello nella piaga, anche se qualcosa, in fondo al cuore, gli diceva che non si sarebbe mai rimarginata.
Nell'attimo stesso in cui versò il Whisky dalla bottiglia al bicchiere ne ebbe la conferma.
Quel gesto, così naturale e banale, gli riportò alla mente una scena simile che aveva già vissuto.
In quell'occasione era stata lei a versarsi del liquore e a buttarlo giù tutto d'un fiato.
Era accaduto più o meno due anni prima, quando lui le aveva mostrato la verità su Pansy e Potter.
Gli sembrava quasi di vederla, sconvolta per l'inganno dell'amico, che cercava di annegare nell'alcol il dolore che stava provando. E ricordava perfettamente quanto gli era costato trattenersi dall'infierire, canzonarla per la sua incapacità di vedere la realtà per quello che era, per il suo ostinarsi a cercare del buono anche dove non ce n'è.
Ma lo aveva fatto, si era trattenuto. Perché non si può fare del male alla parte migliore di te, non consapevolmente, non con intenzione. E lei lo era davvero la parte migliore di lui, quella che gli aveva dato la speranza di un futuro diverso, che l'aveva tenuto in vita.
Anche se adesso avrebbe solo voluto morire.
Diamine, se bastava uno stupido Whisky a ricordargliela non aveva alcuna possibilità di salvezza.
Buttò giù tutto d'un sorso il contenuto del bicchiere; il liquido gli bruciò la gola e poi lo stomaco.
Sapeva perfettamente che continuare su quella strada sarebbe servito solo a farlo stare peggio, ma non vedeva altra via d'uscita. Gli serviva un'ora, almeno una, di totale incoscienza. Solo il tempo per riprendere fiato, per riuscire a metabolizzare il fatto che per loro non c'era alcuna possibilità, che tutto era svanito per colpa sua. Per la sua incapacità di ammettere che aveva bisogno di lei, per la paura di dover riconoscere che era in grado di mantenere una promessa, per il timore di mostrarsi fragile e innamorato. E vulnerabile.
Non gli piaceva provare certe sensazioni, non gli era mai piaciuto. Detestava sentirsi alla mercé del prossimo, in balia di qualcuno che avrebbe sicuramente approfittato delle sue debolezze.
Riempì velocemente il bicchiere fino all'orlo e con la stessa rapidità lo svuotò. Lo stomaco bruciò ancora, ma non gli importava. Il dolore fisico poteva essere un buon anestetico per la sua mente perché doveva assolutamente smettere di pensare, di incartarsi ulteriormente in quel vortice di pensieri che contribuivano soltanto ad aumentare la sua rabbia. Perché lui non era debole, né indifeso, né innamorato.
E allora, come spiegare quella morsa che gli attanagliava lo stomaco e quel peso che gli schiacciava il petto impedendogli di respirare?
Bugiardo! Era solo un vigliacco che si nascondeva dietro a un bicchiere, che cercava nell'alcol risposte a domande che non aveva il coraggio di farsi. Un codardo, che per non affrontare il suo passato aveva distrutto il suo futuro. Un uomo senza speranza, ma con tanti rimpianti.
Si versò un'altra generosa dose di whisky senza accorgersi che sua madre lo stava osservando.
Bevve ancora tutto d'un fiato il liquido ambrato e prese un grosso respiro. Mise la bottiglia e il bicchiere sulla pregiata scrivania di noce, incurante del fatto che alcune gocce del liquore erano cadute sul legno, poi vi si appoggiò con entrambe le mani.
Narcissa, pochi passi dietro di lui, scosse lievemente la testa e decise che era il momento di intervenire prima che suo figlio si facesse più male di quanto non aveva già fatto.
- A tuo padre non piacerebbe.-
Draco abbozzò un mezzo sorriso. Sua madre era davvero eccezionale; non si scomponeva mai, anche davanti a un cumulo di macerie riusciva a fare del sarcasmo.
Decise che sarebbe stato al gioco, anche se gli ricordava tanto uno dei loro battibecchi.
- Ti riferisci alla bottiglia sulla sua pregiata scrivania o al suo unico erede ubriaco?-
- Alla costosa bottiglia sulla pregiata scrivania, è ovvio.-
- Certo,- disse amaro.- Da quanto tempo sta lì quel Whisky? Sa di stantio, e non ha ancora prodotto alcun effetto.-
- Credo fosse di tuo nonno,- rispose lei.- Forse l'alcol è evaporato... non pensi che parlarne ti farebbe stare meglio?-
- Non ho niente da dire.-
- Astoria non dovrebbe lasciarti da solo quando stai così.-
- Lasciala perdere, ti ho detto che non voglio parlarne.-
- Le cose fra voi non vanno bene?- azzardò Narcissa.
- Lo so che ti piacerebbe che la rispedissi a casa sua. Ma non lo farò, ho preso un impegno.-
- Certo,- ribatté lei - ma guarda cosa ti sta facendo il tuo impegno. Non sei tagliato per queste cose, lasciale a Potter e a quelli come lui. Tu sei diverso, non hai bisogno di salvare il mondo Draco, ma di salvare il tuo mondo. E sai perfettamente a cosa mi riferisco.-
- Tu non sai niente, né di quello che mi serve né di quello che voglio!-
- Sei uno sciocco, figliolo! Ci sono ancora molte cose che devi capire. Ti accorgerai con gli anni che un figlio è come uno specchio, ti rimanda indietro tante cose buone, ma anche le tue mancanze e i tuoi errori. E in certi momenti è trasparente come un vetro, come te adesso. Tu non ti vedi, non come faccio io.-
Narcissa rimase qualche secondo un in attesa di una risposta, di una qualunque reazione che le facesse capire che si sbagliava, che Draco non si era di nuovo lasciato andare. Non sopportava di vederlo in quel modo, odiava l'apatia e la rassegnazione che da mesi si riflettevano nello sguardo del suo ragazzo. Avrebbe tanto voluto prenderlo per le spalle e dargli una bella scrollata, ma tra loro non funzionava così. Nella famiglia Malfoy, com'era stato per i Black, il contatto fisico tra congiunti era ridotto al minimo indispensabile, soprattutto da adulti. Ma non si sarebbe arresa; era decisa a dare uno scossone a suo figlio, a trovare il modo di riaccendere la luce nei suoi occhi.
- Vedo che non sei felice,- proseguì.- Certo, mantenere la promessa che hai fatto a Theodore ti fa sentire meno in colpa, ti aiuta a sopravvivere. Ma certe volte sopravvivere non è abbastanza.-
Draco non rispose. Sapeva che sua madre aveva ragione, ma non lo avrebbe mai ammesso. Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di...
Scosse lievemente la testa. Sua madre non voleva alcuna soddisfazione, non desiderava avere ragione ma soltanto aiutarlo. Ma lui, voleva essere aiutato? O anelava a rimanere in quello stato fino alla fine dei suoi giorni? E cosa poteva fare Narcissa per lui?
Niente!
Questo era il punto, nessuno poteva più rimettere a posto le cose, nemmeno la verità sul suo rapporto con Astoria. Ormai era tutto perso, senza alcuna possibilità di rimedio. Lei era incinta; aspettava un figlio da un altro uomo, da qualcuno che non era lui.
- Non ti accorgi che sei esattamente al punto di partenza? Che sei apatico, e solo. Tu sei morto Draco, proprio come Theodore e Pansy, solo che non te ne rendi conto.-
Non ne poteva più; non voleva più stare a sentire sua madre, perché quello che gli stava dicendo era dolorosamente e tristemente vero. Doveva chiudere quella conversazione al più presto; voleva solo dimenticare e invece stava lì, a farsi torturare.
- Adesso basta! Vado di sopra...-
- E cosa pensi di fare, l'amore con Astoria e poi? Credi che ti sentirai meglio?-
- Io non ho mai...-
- Ecco, appunto... ti sembra normale tutto questo? Non vedi in che condizioni sta anche lei? Si sente in colpa per quello che ti costringe a fare. Possibile che non te ne accorgi?-
- Lei non mi ha costretto a fare niente...-
- D'accordo, quello che ti costringi a fare. Il risultato comunque non cambia, siete infelici e continuerete ad esserlo.-
- Non posso farci niente, non più.-
- Potresti chiarire la situazione, continuare ad occuparti di lei e Scorpius ma riprendere in mano la tua vita.-
- Non ho più una vita, lo capisci?- le disse alterato.
Per un istante Narcissa credette di avvertire nel suo tono un moto di ribellione, una possibilità che Draco volesse risollevarsi dal pantano in cui era caduto. Attese che lui proseguisse, che le dimostrasse che era ancora capace di reagire, che non si era arreso, che si era stufato della non vita che conduceva.
- Non ho più niente...- mormorò.
Invano... Decise che era arrivata l'ora di capire cos'era accaduto, perché quella sera Draco era così cupo e rassegnato.
- Ma che diamine è successo oggi per ridurti in questo stato?- gli chiese.
Poi Narcissa notò la catenina abbandonata sul mobile dei liquori. Si avvicinò e la prese, riconoscendo immediatamente il gioiello che Draco aveva regalato a sua moglie il Natale di quasi due anni prima.
- Fammi indovinare,- disse rigirandola tra le mani - l'hai vista? Hai incontrato...-
- Non pronunciare quel nome,- le intimò gelido Draco.- Non voglio più sentirlo.-
- Adesso capisco. La tua rabbia, il senso d'impotenza, la frustrazione. Non si sta bene quando qualcuno con le sue azioni decide anche per la tua vita, vero?-
Draco si voltò a guardare sua madre con la netta sensazione che lei sapesse.
- Tu lo sapevi,- le disse con rabbia.- Sapevi che era incinta e non mi hai detto niente?-
- Non ci provare, ragazzo!- lo ammonì.- Non cercare di scaricare la colpa dei tuoi guai su di me. Quando ti ho detto che volevo raccontarle la verità su Astoria, tu mi hai detto di starne fuori, di farmi i fatti miei. Per una volta che faccio quello che mi chiedi...-
- Dovevi dirmelo, tu non immagini com'è stato trovarsela davanti in quello stato...-
- Si nota già così tanto?- gli chiese.
- Non è questo il punto! È che io non ero preparato; non puoi immaginare quello che ho provato, quello che avrei voluto farle.-
- Ne sei ancora innamorato,- constatò.
- Perché, si può smettere d'amare?- chiese Draco.
- No, se si ama davvero non si può.-
- Sono un vigliacco,- disse sedendosi su una poltrona e prendendosi la desta tra le mani.
- Non è vero, e lo sai. Il tuo atteggiamento è solo un modo per difenderti, l'unico che conosci. Ma non ci si può proteggere dalle emozioni, per quanto uno ci provi sentirà sempre qualcosa. Ed è un bene, sono le emozioni che ci fanno sentire vivi.-
- Ma fa male, Madre. Sono certo che faccia più male vivere che morire.-
Narcissa sorrise, suo figlio non si era arreso. Era stanco, amareggiato, deluso anche, ma vivo. E questo la rendeva felice, nonostante la disperazione che leggeva nei occhi.
- Non devi preoccuparti tesoro, c'è ancora tempo. E il tempo è un galantuomo Draco, rimette a posto tutte le cose.-
- Ti sbagli Madre. Il tempo è una brutta bestia, a volte confonde la memoria, a volte si limita a schivarla per lasciarla intatta. O almeno questo è quello che sta facendo con me.-
- Penso che sia un bene che la tua memoria sia ancora intatta, perché quelli che hai con lei sono bei ricordi. Tutto quello che avete passato, quello che hai fatto per averla.-
- Ecco, appunto, sono solo ricordi. E onestamente non so che farmene. Mi tormentano, mi fanno rimpiangere il passato, consumano il mio presente.-
- Per la barba bianca di Merlino, certe volte non ti riconosco. Sei diventato impulsivo e superficiale. Se ti vedesse tuo padre certamente non gli piacerebbe. Di tutto quello che ti ha insegnato non è rimasto niente. Da quando non sei più capace di prendere tempo e pensare? Davvero la conosci così poco, li conosci così poco? Sono dei Grifondoro, la loro lealtà come la loro stupidità è smisurata. E tu stai diventando come loro, leale e stupido.-
Draco la fissò. Per qualche istante gli sembrò che le parole di sua madre non avessero alcun senso, a meno che lei non fosse a conoscenza di fatti che lui ignorava.
- Che stai cercando di dirmi, Madre? Cosa sai...-
- Niente, non so un bel niente. Io e lei abbiamo mantenuto un buon rapporto, ma non credo verrebbe a confidarsi con me. Sto solo usando il cervello, cosa che tu ultimamente dimentichi di fare.-
- Dove vuoi arrivare?-
- Lei ti ama...-
L'espressione del viso di suo figlio costrinse Narcissa a fermarsi.
- Hai dei dubbi su questo?- gli chiese.
- Forse mi amava... con tutto quello che è accaduto negli ultimi mesi mi permetto di dubitare che lo faccia ancora.-
- Non essere sciocco, l'hai detto tu un istante fa che non si può smettere d'amare.-
- Evidentemente lei l'ha fatto. Per quanto mi faccia male vorrei ricordarti che aspetta un figlio... non da me.-
- Ecco, a proposito di questo... io dovrei farti una domanda.-
Con un cenno delle testa Draco la invitò a proseguire
- Esiste una possibilità, anche remota, anche minuscola, che il figlio che lei aspetta sia tuo?-
Draco la fissò sconvolto.
Non ci aveva pensato, in quelle tormentate ore non aveva mai preso in considerazione quella eventualità. Remota, come aveva detto sua madre, ma pur sempre esistente. Adesso capiva anche il suo discorso sulla lealtà dei Grifondoro, si rendeva conto che il dolore, la rabbia e la delusione, avevano offuscato la sua capacità di giudizio. Si aggrappò con forza a quella opportunità, sperando con tutte le sue forze di non rimanere deluso.
- In effetti una piccola probabilità ci sarebbe...-
Narcissa lo guardò, un timido sorriso andava formandosi sulle sue labbra. Per qualche istante aveva temuto la reazione di suo figlio, invece lui confermava candidamente i sui sospetti.
- Quattro mesi fa sono andato a casa sua.-
- È stato quando le hai preso questa?- chiese mostrandogli la catenina.
Anche in quel momento attese che suo figlio si scaldasse, o peggio la invitasse a farsi gli affari propri. Ma non accadde, Draco sembrava aver ritrovato lucidità e sangue freddo.
- Sì, ho pensato che era meglio non lasciarla nelle sua mani. Immagino l'abbia cercata ovunque, e suppongo si arrabbierebbe parecchio se scoprisse che ce l'ho io.-
- In effetti l'ha cercata a lungo, è venuta anche qui. É stato in quell'occasione che mi ha detto che era incinta. E sì, probabilmente si arrabbierebbe, ma io l'ho vista stanca e rassegnata, proprio come te stasera. Devi assolutamente parlarle, dirle come stanno realmente le cose.-
- Hai ragione, è arrivato il momento di affrontare la situazione e chiarirla una volta per tutte.-
Draco si alzò dalla poltrona e si avvicinò a sua madre per poi stringerla in un forte abbraccio.
- Ti voglio bene,- le sussurrò.
Poi tese la mano e attese finché sua madre non gli restituì la collana.
- Buonanotte,- le disse prima di uscire dallo studio.
Narcissa tirò un sospiro di sollievo e sorrise. Per la prima volta da mesi Draco pareva deciso a riprendere in mano le redini della sua vita, a non farsi più trasportare dagli eventi. Sperava davvero di non sbagliarsi, che lei fosse ancora la ragazza leale e coraggiosa che aveva conosciuto, la donna che aveva infiammato il cuore di suo figlio. Dopo tutte le sofferenze sopportate e le difficoltà affrontate meritavano un'altra possibilità.

 

  
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