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Autore: SandFrost    28/09/2014    0 recensioni
Se ti sentissi solo. Se avessi bisogno di sfogarti. Se trovassi un elenco telefonico ingiallito dal tempo, sotto il tuo letto. Se ci fossero solo pochi nomi ancora leggibili, e solo uno di questi abbastanza lontano da te. Se avessi il bisogno di chiedere aiuto, ma di non farlo realmente. Se ti venisse voglia di prendere quell’indirizzo e scriverli una lettera...
Cosa gli scriveresti?
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questa mia mini long a delle persone speciali che c’erano e ci sono ancora ora.

Alla mia Jacobba
;
A Giulia, la mia ispiratrice;
A Lidia, la mia isola sicura;
A Fra, il mio uragano.

E a Letters to...nobody che mi mancherà tremendamente tanto.
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Se ti sentissi solo. Se avessi bisogno di sfogarti. Se trovassi un elenco telefonico ingiallito dal tempo, sotto il tuo letto. Se ci fossero solo pochi nomi ancora leggibili, e solo uno di questi abbastanza lontano da te. Se avessi il bisogno di chiedere aiuto, ma di non farlo realmente. Se ti venisse voglia di prendere quell’indirizzo e scriverli una lettera...
Cosa gli scriveresti?






Ciao Kurt,
 
Per uno che ha passato mesi a scrivere lettere, devo dire che non ho proprio appreso come se ne inizia una. Sarà che questa volta c’è un nome a inizio lettera e un destinatario sul retro o sarà che questa lettera non è solo una lettera, ma devo dire che non ho mai avuto cosi tante difficoltà a trovare le parole come in questo momento. E forse sarà per questo che la mano trema un po’ e le parole sembrano non voler aiutare.

Fa cosi dannatamente strano essere qui, in questa vecchia casa dove tutto ha avuto inizio e sapere che questa volta sto scrivendo a qualcuno. Non qualcuno nella mia testa o a un nome in un vecchio elenco telefonico, ma qualcuno di reale. Qualcuno con un volto - un bellissimo volto - e una voce angelica. Oh! E quella risata che mi fa mi fa sorridere. Anche in questo momento, mentre sento il cuore che mi potrebbe uscire dal petto. Mi sta facendo sorridere.

E forse questo non avrei dovuto scriverlo. Forse lo cancellerò prima di spedirla. Forse non farò niente di tutto questo, forse lascerò tutto com’è e forse sarò proprio io a leggere questa lettera, guardando i tuoi bellissimi occhi, cosi chiari, da vederci me stesso e l’infinito nello stesso momento.

Ed ero esattamente qui, due giorni fa. Seduto su questa sedia scomoda e cigolante, cercando di non starnutire per la troppa polvere sulla scrivania, a fissare l’immensità di una casa vuota. Esattamente qui, prima di andare via. Prima di ripetermi che era la cosa più giusta da fare e che era arrivato anche per me il momento di fare quel passo avanti, invece del solito indietro. Ed ero proprio qui, con le mie lettere nascoste in un sacchetto di carta marrone stretto al petto, mentre aspettavo di trovare il coraggio di iniziare nel modo migliore.

E mi viene da sorridere se penso a quella mattina e a come era iniziata. Non erano passate neanche 12 ore dalla conversazione con Cooper, che mi ero ritrovato sulla soglia della mia camera, con le valigie fatte ai miei piedi e un biglietto aereo tra le mani. Di sola andata - per dove, non aveva importanza - perché mi avrebbe portato via. Forse troppo lontano.

Ed era giusto, no? Era giusto per me, prendere quelle valigie e andare via. Lasciare tutto alle spalle e scappare, scappare come non avevo saputo fare in tutta la mia vita. Lontano dai miei problemi con il tempo e le mie insicurezze e il mio non sapere come aiutarmi. E forse era cosi sbagliato scappare, ma sarebbe stato comunque un passo in qualche direzione, invece di restare immobile e aspettare.

Ma se c’era una cosa che non potevo lasciare indietro - che non mi sarei mai permesso di lasciare indietro - erano le tue lettere.

Come potevo voltare pagina, quando il mio aiuto più grande, il mio urlo più forte era ancora nascosto dentro un cassetto sotto forma di lettere? Non potevo. Perché forse non avrebbero fatto parte di quel mio nuovo presente ma di sicuro non facevano parte di quel lontano e cosi doloroso passato.

Cosi ho detto a Cooper di aspettare, che dovevo fare un’ultima cosa prima di andare via e provarci ancora. Che c’era un’ultima promessa cui dovevo portare fede e non importava di quanto coraggio mi sarei dovuto armare, lo avrei fatto. Perché quel gesto, non sapendolo ancora, sarebbe stato il mio primo vero inizio ed è cosi che mi sono ritrovato in quella casa.

Dove riecheggiava ancora un urlo di aiuto e che sapeva di parole sussurrate. 

Ricordo di essermi sentito rotto e in aggiustabile, come un fiore che non viene più notato da nessuno e chi lo fa non se ne sorprende più. Qualcosa cui nessuno porge rimedio e che ha fine lì. E un brivido ha attraversato la mia pelle al pensiero di un angelo, che si sentiva nello stesso modo: irrimediabilmente rotto. Un fiore cui nessuno presta più attenzione.

Come un giocattolo rotto - che anche se aggiustato con la massima cura - resta un giocattolo rotto.

E dopo tutto ha perso importanza, come ogni volta con te. Le paure, le insicurezze, le domande sono solo uno sfondo troppo lontano e di poca importanza. Qualcosa da ignorare, da mettere in mostra senza paure, come vittoria personale. Forse questo non ha senso, ma quando tutto perde di importanza, poche cose hanno senso e tu sei l’unica che mi viene alla mente. Ed è cosi che avviene..
 
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Ero uscito di casa la mattina presto, dopo aver annunciato ai miei - durante la cena - che sarei stato via parte della mattinata e rilassando mia madre, dicendole che non avevo cambiato idea e che sarei partito lo stesso con Cooper nel weekend, come da programma. Non aggiungendo che, sebbene mi sembrasse una cosa troppo drastica,  era la mia unica via d’uscita e che scappare si era rivelata la mia unica soluzione. 

Cosi, una volta in strada, ho cercando di camminare il più in fretta possibile, non per arrivare al più presto ma solo per essere sicuro di non cambiare idea. Dopo aver passato più tempo del dovuto nella vecchia casa disabitata ed essermi sentito perso e con un bisogno di correre via, mi sono rimesso in marchia fermandomi solo di fronte alla casa piccola e accogliente, che vedevo per la prima volta ma che mi sembrava di conoscere da tutta una vita.

Ci avevo impiegato molto più del tempo previsto per arrivarci ma non mi pentì di non aver accettato uno strappo in auto da mio padre. Da una parte perché mi sentivo cosi vulnerabile e nudo, sotto il suo sguardo che sapeva troppo cose, cose che io non ero riuscito a vedere subito e dall’altra parte perché, anche se ci avevo impiegato quasi più di mezza mattinata, adesso ero lì e non potevo tornare indietro.

Tuttavia, non feci nessun passo avanti, come con la vecchia casa abbandonata. Rimasi immobile, perso nei miei pensieri. Cercando di immaginare uno scenario che potesse essere la realtà di quello che mi aspettava e allontanando ogni altra ipotesi: sia troppo positiva, sia troppo negativa. Con le lettere che bruciavano contro il tessuto della mia maglietta e facevano battere il mio cuore.

Cercai di convincere me stesso che ero immobile sul ciglio della strada solo perché ero stanco per la camminata e non perché avevo paura di quello che stava per succedere. Ricordando a me stesso che non sapevo come sarebbe andato tutto quanto e consapevole che lo avrei scoperto presto. Non mi mossi per quelli che sembravano una manciata di minuti, ma quando nella testa si ha uno stadio di pensieri urlanti è difficile scandire il tempo e potevano essere passate anche ore o molto di più. Fu quello a farmi muovere il primo passo verso il vialetto, per raggiungere la porta dell’abitazione.

Avevo avuto problemi con il tempo per tutta la mia vita e stavo per salire su un aereo per cercare di risolverli - o meglio per scappare da essi, urlò una voce, sovrastando le altre. Se non potevo risolverli lì e in quel momento, sarebbe stata sul serio solo una fuga da tutto e non doveva andare cosi, non questa volta. Cosi continuai a camminare e una volta arrivato, bussai alla porta senza avere il tempo di metabolizzare il tutto, perché avevo già sprecato troppo tempo ed era ora di finirla.

Non dovetti aspettare molto, anzi per niente. Quando la mia mano destra, chiusa a pugno, si scontrò dolcemente contro il legno della porta, quest’ultima si spalancò con velocità, quasi stesse aspettando di farlo da tutto il giorno. O forse aspettando di aprirsi proprio per me, perché erano stati due occhi di un azzurro chiaro e un viso dalla pelle candida ad aprirmi e stava…sorridendo.

Il ragazzo più bello dell’intero universo, di ogni singolo pianeta conosciuto e non. Il ragazzo più magnifico nel mio mondo era a pochi passi da me e mi stava sorridendo, con ancora la mano posata sul pomello della porta. In un maglioncino candido che lo rendeva ancora più adorabile. Non notati altro del suo vestiario, perché una strana forza aveva paralizzato il mio corpo e l’unico modo per non precipitare era fissare quel sorriso - quel sorriso che si stava riversando anche nei suoi occhi e in ogni altra parte del suo viso. E magari era solo la pazzia a parlare, ma forse anche nel suo cuore, che sentivo batteva tanto quanto il mio.

Quel sorriso che sembrava aspettarmi da tutto il giorno, per tutta la durata di quelle settimane in cui stava uscendo dal suo stato di incoscienza e forse da tutta la vita - come io stava aspettando lui.

“Iniziavo a credere che avresti passato giorni bloccato ai margini della strada e che non saresti mai avanzato fino alla porta, fino ad arrivare a bussare e aspettare” aveva esclamato, con quel sorriso che stava facendo tremare ogni cosa di me. E nonostante le mie gambe fossero stanche per la lunga camminata, in quel momento stavano tremando anche loro e tenerle ferme e stabili stava diventato una lotta che forse avrei perso.

“Vuoi entrare?” chiese, non distogliendo i suoi occhi dai miei, così da non spezzare il contatto visivo, e non perdendo quel sorriso che mi stava facendo precipitare oltre ogni tempo e limite “Mio padre non è in casa, sai lui è un meccanico e in questo momento è a lavoro, ma sono sicuro che sarebbe felice sapendo che sei passato” e sorridendo ancora, si spostò di lato, non aspettando la mia risposta o leggendola da qualche parte in quel sorriso che mi era nato sul volto.

La casa era accogliente e profumava di buono. Alle parenti, foto di momenti felici, come su molti dei ripiani. I colori erano caldi e sorridendo notai quanto quella sensazione mi ricordasse lo studio di mio padre. Non c’èra la sua enorme scrivania e quella sensazione di tempo che si blocca, ma lasciava comunque quella piacevole sensazione di luogo sicuro. Di amore. Di casa.

Il mio angelo mi indicò un piccolo corridoio che portava alla cucina. Stava preparando il pranzo a giudicare dal ripiano pieno di cibo e da alcune pentole sui fornelli spenti. Sorridendo mi indicò il tavolo e alcune sedie, aspettò che mi sedessi per primo e cosi lo feci. Spostai la sedia più vicina a me e mi sedetti e lui fece lo stesso, pochi istanti dopo. Non riusciva a smettere di sorridere e ci provava, forse perché iniziava a provare dolore alle guancie, per quanto marcato e sincero fosse il suo sorriso.

Fuori da quella porta, mi ero immaginato ogni possibile inizio - come ogni possibile conclusione - ma l’immagine di lui che mi guardava indugiare, lontano dalla porta e poi chiedermi di entrare bhe, quello era stata una sorpresa, e ancora scosso non sapevo come iniziare a parlare. Improvvisamente non ricordavo neanche il sapore delle parole ma niente era sbagliato, non con lui che mi sorrideva ancora.

“Oh! Sono un vero maleducato, vuoi qualcosa da bere? Sarai stanco, voglio dire, cosa tua non è proprio dietro l’angolo e non credo che tu sia arrivato in auto, quindi presumo che tu sia assetato. Posso offrirti qualcosa allora, tipo acqua o non so..ci sono tante bibite nel frigo e-“ iniziò a parlare, come cercando un modo per tenere impegnate le sue labbra e impedirsi di sorridere ancora.

“Queste sono tue” dissi in fretta, porgendo il sacchetto di carta marrone, contenenti dentro le lettere. Non potendo più aspettare. Non riuscendo più a fermare il vorticare, fastidioso, del tempo attraverso il mio corpo.

Perché in quel momento lo avevo capito. Avevo passato mesi credendo di scrivere delle lettere a un nessuno occasionale, a un nome sbiadito di un elenco telefonico, a un portafortuna che avevo creato che giustificasse il mio primo incontro con il mio angelo, fino a quando il suo nome non ha macchiato la pagina. E lentamente le riempiva tutte.

E forse solo in quel momento realizzai che avevo passato mesi a parlare di un angelo che mi stava salvando e che lo stavo facendo proprio con lui stesso e che, proprio in quel momento, quelle lettere stavano tornando al suo proprietario. Che per quanto siano riempite di mie parole, sono sempre state riservate a lui. A lui che mi stava guardando e il suo sorriso si era fatto confuso, mentre spostava il suo sguardo dal mio viso alla busta di carta nelle mie mani, ancora tesa verso di lui.

“I-io non so come iniziare a parlare o cosa esattamente dire. In questo momento sento il mio cervello ribellarsi alle parole ma so anche che questa è la mia ultima occasione di farlo. Nel weekend partirò con mio fratello, nella speranza e con la convinzione, di andare incontro al mio passo avanti, al mio nuovo inizio. Parlare o trovare le parole adatte, soprattutto negli ultimi mesi, si è rivelato abbastanza complicato ma annaspando e tentennando ci sono sempre, più o meno, riuscito.

“E questa volta tu sei qui e sei sempre stato qui e queste sono sempre state tue. E sono stato sciocco a non capirlo subito. A capire quanto ogni cosa ha iniziato a girare intorno a te e adesso lo sento. Ed-- è cosi che avviene? Perché io non ne ho la più pallida idea ma ho questa sensazione, che nell’istante in cui queste saranno tra le tue mani, il mio tempo sarà finalmente in grado di andare avanti e--forse mi gira un po’ la testa adesso e io--mi dispiace”.

E quello stato di intorpidimento che ha da sempre avvolto il mio essere, non dava più peso alle mie gambe, che scattarono in piedi e poi lungo il piccolo corridoi e solo una volta fuori dall’abitazione e con la porta chiusa alle mie spalle, che potei tornare a respirare. Mosso dalla fretta, avevo lasciato cadere le lettere sul tavole e sentivo le mani tremare.

La strada era deserta ma l’idea di camminare ancora mi dava le vertigini, cosi semplicemente rimasi lì. In piedi non molto distante dalla porta, sperando che tu non mi raggiungessi o che non lo facessi subito. Avevo già respirato altre volte ma era la prima volta che sentivo l’aria entrare nei miei polmoni e questo mi fece mancare un battito mentre le parole da me pronunciate, in quell’attimo di follia, tornarono a bruciare.

Non doveva andare cosi. Non era cosi che lo avevo immaginato. Avrei dovuto lasciare le lettere, cercare di creare un discorso che avesse senso e andare via. Tornare verso casa, aspettare e poi partire e solo una volta via, avrei trovato un metodo per far funzionare le cose. E invece no. Il mio tempo aveva avuto l’umorismo di ripartire in quel momento e di trascinarmi via con sé.

E non aveva più molta importanza che io fossi pronto, perché era successo e non ci sarebbe stato modo di tornare indietro.

Cosi me ne restai lì. Imbambolato a cercare di godermi quei nuovi respiri, cercando di calmare la mia mente e trovando il coraggio di tornare a muovermi. E non sono ben sicuro di quanto tempo sia passato, ma questa volta solo perché non avevo un orologio con me. Perché ero più che sicuro che erano passate ore, ormai, e ne ebbi la certezza quando una macchina accosto nel vialetto e Burt ne usci fuori.

Doveva essere passata l’ora di pranzo e doveva essere primo pomeriggio. Starmene lì a parlare del tempo trascorso mi fece sorridere ma questo non fece sorridere Burt che mi si avvicinò chiedendomi cosa ci facessi lì e perché Kurt non mi aveva fatto entrare. Non cercai di spiegarli che l’aveva fatto e che ero stato io a scappare via, semplicemente sorrisi ancora, mentre lui mi chiedeva di entrare e io rifiutavo gentilmente.

Anche se adesso potevo percepire il tempo trascorrere, questo non significava che io fossi pronto ad affrontare ogni cosa. Ma per quel giorno, i miei piani erano destinati a morire sul nascere e quando mi voltai, in direzione della porta, il mio angelo era lì, con gli occhi lucidi e le mie - sue - lettere strette al petto. Nessuna busta di carta marrone a nasconderle. Erano lì, piegate con cura anche se con fretta, con la mia calligrafia a macchiare ogni cosa.

Lo capisco” aveva iniziato lui e mi sembrò cosi sbagliato, che ancora un volta qualcuno parlasse, mentre io tacevo perché con le parole non ho mai avuto un buon rapporto. Avevo sempre desiderato essere diverso, con la risposta sempre pronta e con un monologo da borbottare senza inciampare mai. Ma io non ero così e per una volta, la prima volta, non desiderai cambiare niente di me.

“No, aspetta” cosi aggiunsi, prima che potesse dire altro. Prima che mi potesse leggere e notare ogni venatura. I suoi occhi erano pronti a guardare e non sembrava incline ad aggiungere altro, come se stesse aspettando che fossi io a farlo. Come qualche istante prima, che aveva aspettando dietro la porta, anche se sapeva che avrebbe rischiato di non aprirla mai. E fu quel suo sorriso cosi sincero e puro che mi fece continuare e ancora quella sensazione di tempo che scorre, mi fece tremare ma questa volta mi sentì pronto. Pronto come il mio angelo lo era stato.

“Suppongo che tu le abbia lette, no?” chiesi e quando annuì continuai “Non so se essere più imbarazzato per quello che ho scritto o per come l’ho scritto” sorrisi imbarazzato, ma sarei stato pronto a urlarle tutte quelle cose. “Quando ti ho visto per la prima volta, avevi quel sorriso sulle labbra e ho iniziato a credere che avrei potuto tornare a vivere. Conoscendoti ho iniziato a farlo ma solo ora, dopo questi mesi, l’ho capito.

“Ho capito che il mio tempo non si è mai realmente fermato, ero solo io che ero rimasto indietro. E dopo ogni nostro incontro, che era casuale o desiderato, io facevo un passo avanti e quel passo avanti è in quelle lettere. E ho iniziato a credere che avessi trovato un porta fortuna ma stavo solo assaporando la sensazione di aria miei polmoni. La sensazione di leggerezza quando si percepisce che tutto andrà per il verso giusto ma ancora non riuscivo a vederlo o a dirmelo.

“Poi ti ho visto stare meglio e volevo correre da te e chiederti di aiutarmi. Aiutarmi a stare meglio a mia volta e forse alla fine ho corso. Ho corso per finire qui da te, ho corso nell’istante in cui ti ho consegnato le lettere e forse sto correndo anche adesso. Ma non sto più correndo per rimettermi in pari con il tempo, forse sto correndo per raggiungere te.” Come una nuova boccata d’aria, una lancetta che scocca e si lascia dietro un secondo, quelle ultime parole mi colpirono dritte al petto e come una nuova realtà si fece largo tra i battiti soffocati: Stavo andando via.

Un sorriso triste accompagnò quel pensiero, mentre il mio sguardo si spostava sulle mie mani unite, pronte a torturarsi, quando qualcosa di bianco mi bloccò la visuale. Era un foglio di carta piegato in quattro parti, ma ancora abbastanza grande. Quando sollevai il capo, Kurt mi stava sorridendo con il suo fare dolce e mi incoraggiava a prendere il foglio.

Quando le mie mani toccarlo la superficie liscia e bianca e si mossero come accarezzandolo, sorrisi alla famigliare sensazione - questa volta con un sorriso vero. Feci un respiro profondo prima di aprirlo, con movimenti lenti e insicuri, non sapevo cosa ci avrei trovato scritto dentro. Il foglio era quasi del tutto bianco, tranne per due paroline in cima. Tesi il foglio e lo avvicinai al mio viso, per poter leggere meglio. Le due parole presero forma e il mio cuore si bloccò.

Credo che ogni cosa si sia bloccata in quel momento. Il fruscio del vento tra le foglie degli alberi, i cinguetti degli uccellini, la sensazione della terra che gira sotto i nostri piedi. Gli ingranaggi del mio cervello e forse anche il mio tempo, che riprese a girare quando tornai a fissare il mio angelo. E come sempre, come in tutto quel tempo, lui stava sorridendo e prima che me ne rendessi conto lo sentì esclamare: “Facciamolo insieme. Se vai da solo sarà come scappare, ma se lo facciamo insieme, se mi permetterai di venire con te, sarà come viaggiare”.

E come bisogna comportarsi quando un angelo ti chiede di viaggiare con lui? Bhe io non so cosa avrebbe fatto un persona comune, ma so cosa ho fatto io: ho sorriso. Perché mi ero arreso con le parole e forse non sarei mai riuscito a dire niente di sensato nella mia vita, ma quando le mie mani avvertirono la sensazione della carta tra le mani, quelle due semplici e prepotenti parole tornarono a dare peso al tempo..

 
“Ciao Kurt”
 

Ed è da qui che riprende la mia vita. Perché è vero che un giocattolo rotto, anche se curato con amore resta rotto, ma è stato pur sempre amato. Ed io ho amato un fiore che aveva smesso di credere nella sua bellezza e mentre lo amavo mi sono lasciato amare da lui. Ho lasciato che il tempo sfuggisse dalla mia presa troppo salda per riprendere da dove si era interrotto. E ho corso, corso per arrivare alla mia nuova partenza e poi corso ancora per iniziare un viaggio molto più speciale.
 
 
Perché avevo incontrato un angelo, durante un banale giorno di pioggia, che a pensarci bene di banale non aveva proprio niente. Dopo aver scritto una lettera a qualcuno di irreale, chiedendo aiuto ma non facendolo realmente. E quell’angelo è diventato il mio fiore e in qualche modo ha sentito il mio urlo, forse perché stava urlando anche lui da troppo tempo. E i nostri urli si sono uniti, mescolati e poi dissolti, aspettando il momento in cui saremmo stati pronti.

E credo sarei stato pronto a vivere quel nuovo iniziò, che era iniziato dopo la seconda lettera, mai spedita e ora letta.

 E ora sono qui, seduto su questa sedia cigolante, un foglio bianco appoggiato su una scrivania che sapeva di polvere mentre aspetto il tuo arrivo e la convinzione che restare e iniziare a viaggiare con te, sia stato il miglior primo passo di sempre.

E sì, non rinuncerò mai a queste lettere e sì, non smetteranno mai di parlare di te perché: Hey Kurt….grazie.


 
Blaine.
  
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