La mia prima AU. Spero apprezzerete, è un'idea arrivata all'improvviso, che mi ha colta di sorpresa e, beh... mi piace molto, perchè ha in sè la mia idea malinconica e dolce dell'amore e della solitudine. Boh... vi voglio bene, minna.
Stay
with me
La
prima volta che lo
incontrasti, fu in una camera da letto con i muri scrostati e il letto
cigolante, un vago odore di sperma nell’aria. Fu
letteralmente gettato lì
dentro, dove ti trovavi anche tu, dai bastardi che come tuo padre e tuo
zio gestivano quel bordello.
Era giovane, sui 15 o forse 16 anni, e bello, con i capelli biondi e
gli occhi
azzurrissimi, anche se in quel momento la sua situazione igienica non
era delle
migliori. Indossava soltanto un lenzuolo sporco, che stringeva
convulsamente
attorno al corpo nudo.
-Goditelo-
avevano detto
quelle persone, prima di chiudersi la porta alle spalle. Ecco
cos’era quel
ragazzo. Un premio per te, perché finalmente eri entrato a
far parte del
‘gruppo’.
Lo
guardasti. Aveva un’aria
terrorizzata, e tremava leggermente fissandoti con gli occhi sgranati.
Sentisti
subito una fitta di disgusto. Cos’è che avresti
dovuto fargli? Cos’era che si
aspettavano che facessi? La commiserazione ti afferrò per la
gola.
Ti
avvicinasti lentamente,
tendendogli una mano. Lui si ritrasse verso la porta, guardandoti
spaventato.
-Non
voglio farti del male-
dicesti, avvicinandoti. Lui non disse niente. Evidentemente era
straniero e non
capiva cosa dicevi. Gli sorridesti leggermente. –Tranquillo.
Vieni…- dicesti,
sporgendoti verso di lui.
Il
ragazzo esitò, poi,
leggermente, ti tese la tua mano, e tu la prendesti e, lentamente, lo
conducesti verso il letto.
Quella
era una cosa che
dovevi fare. Se non avessi fatto ciò che si aspettavano da
te, se ne sarebbero
accorti, perché eri vergine. Ma non avevi intenzione di
fargli male, quella era
davvero l’ultima cosa che volevi.
Vedendo
dove lo stavi
portando, il ragazzo sussultò e tentò di
scapparti, ma tu gli stringesti la
mano e gli accarezzasti la testa, per tranquillizzarlo. Ti sedesti
lentamente
sul letto, portandolo a fare lo stesso. Lo guardasti per un attimo, poi
gli
accarezzasti una guancia, sorridendogli. Lui tremò a quel
contatto, abbassando
lo sguardo. Ma ormai doveva aver capito che non avevi intenzione di
fargli
male, perché non si ribellò troppo mentre lo
baciavi accarezzandogli il volto e
il collo, scendendo piano piano verso i fianchi, stringendolo di
più a te.
Quando
poi capì che avresti
fatto quello che dovevi fare, si spaventò talmente che si
divincolò a lungo tra
le tue braccia, mentre tu, col cuore spezzato, lo abbracciavi e gli
sussurravi
all’orecchio tentando di tranquillizzarlo.
Quella
sera lo prendesti, su
quel letto mezzo rotto, mentre lui piangeva e tu ti sentivi talmente
male da
non essere capace di fare altro che sentirti una merda. Tentasti di
essere il
più dolce possibile, riuscisti anche a farlo godere mentre
gli baciavi le
guance e lo abbracciavi, sorridendogli mentre veniva con un gemito
nella tua mano.
Si addormentò poco dopo sul letto, e tu lo lasciasti
dormire, aspettando che lo
venissero a portar via.
Ma
da quel giorno diventasti
un punto di riferimento per lui. Ogni volta che vi incrociavate ti
sorrideva
appena, alzando una mano quel tanto che bastava perché la
vedessi. E tu
sorridevi di rimando.
Lo
richiedevi in
continuazione, e quando eravate soli tu gli insegnavi a parlare
inglese, lo
facevi ridere, o riposare. Eri diventato un punto fermo per lui,
l’unica
persona su cui potesse contare. E anche tu cominciasti ad affezionarti
a lui,
non sapevi bene il perché, sapevi solo che quel ragazzo
aveva bisogno di
qualcuno che si curasse di lui, e l’unica persona che poteva
farlo eri tu.
Purtroppo
c’erano i momenti
in cui non tutto andava come speravi. Alle fastidiose domande sul
ragazzo, sul
perché lo richiedevi così spesso rispondevi
vagamente: ‘mi soddisfa’. Ma sapevi
che quella situazione era instabile, non sarebbe potuta durare a lungo.
C’era
un bivio davanti a te, e le strade da scegliere erano lui, o quella
vita
ingrata all’insegna dell’illegalità.
Cominciasti a riflettere a lungo su
questo, e quelli furono giorni terribili, di ansia e nervosismo, in cui
lo
vedesti molto poco, e questo rendeva infelici entrambi.
Poi
una sera, in cui entrò
in camera tua zoppicando e con una smorfia di dolore sul volto, capisti
quale
sarebbe stata la tua strada. Non riuscisti a fargli capire cosa avevi
in mente,
perciò quando arrivò la notte in cui avevi
progettato tutto andasti nel posto
dove in genere dormiva e mettendogli una mano sulla bocca lo svegliasti
e lo
trascinasti via. Lui si ribellò per un istante, ma quando
vide la tua mano tesa
e il tuo sguardo agitato capì. Scappaste insieme, quella
notte, con nulla se
non svariate migliaia di sterline che eri riuscito a rubare dalla cassa
della
tua famiglia.
Non
vedesti nessuno di loro
mai più.
Quel
periodo di latitanza fu
difficile per entrambi. Scappaste prima in Italia, dove vi sistemaste
per un
certo periodo, poi quando lui compì 18 anni vi trasferiste a
Los Angeles, negli
Stati Uniti. Il sogno americano era una speranza anche per voi.
Intanto
il vostro rapporto
si era intensificato, anche se nessuno dei due capiva davvero cosa
significasse. Di certo eravate buoni amici e parlavate di tutto,
specialmente
ora che lui era riuscito ad imparare l’inglese e lo parlava
con quel suo
accento buffo. Anche tu d’altra parte eri riuscito ad
imparare un po’ della sua
lingua. Quel pomeriggio in cui ti presentasti in casa vostra con un
dizionario
di lingua croata lui scoppiò a ridere fino alle lacrime. Ma
non ti derise.
Sapevi che quel gesto era qualcosa di importante per lui
così come lo era per
te. Piuttosto ti abbracciò e ti ringraziò. Quella
fu la prima volta in cui ad
un suo abbraccio sentisti come una scossa elettrica che ti percorreva
la
schiena e l’impulso di stringerlo forte. Tentasti di
calmarti, ma ormai il tuo
animo era stato sconvolto da quel semplice gesto. Perché in
fondo avevi capito.
Avevi
capito che ti stavi
innamorando di lui.
Nei
giorni successivi i
desiderio, sempre più forte, di farlo tuo, di sentirlo dire
quelle stesse
parole che il tuo cuore ti urlava, ti faceva quasi sragionare. Non
potevi più
guardarlo negli occhi senza che ti chiedesse cosa avevi, ma allo stesso
tempo
non potevi non guardarlo, perché quegli occhi, azzurri e
intensi, ti
comunicavano qualcosa, lo sentivi.
Finchè,
la notte più bella
della tua vita, non ce la facesti più. Lo guardasti negli
occhi e gli
confessasti che lo amavi, lo amavi da morire. Eri rosso in volto, e
pieno
d’ansia, perché avevi una paura terribile che lui
non ricambiasse, che per lui
tu fossi solo un buon amico. Ma non fu così. Alle tue parole
ti sorrise,
emozionato.
-Ti
amo anch’io- disse, con
il suo solito accento. Quelle parole ti risuonarono in testa per
qualche
secondo, poi ti slanciasti verso di lui e lo stringesti in un abbraccio
spaccacostole. Lui ti lasciò fare, sorridendo felice,
lasciò che tu lo
baciassi, lo accarezzassi e infine lo prendessi.
La
vostra prima volta,
quella vera, fu la cosa più magica che entrambi aveste mai
sperimentato. Eri
spaventato, all’inizio, temevi di fargli male, si sbagliare.
Era talmente
stupenda, quella creatura che tenevi tra le braccia, talmente fragile,
meravigliosa e celestiale, come un angelo, come una bambola di
porcellana, che
temevi che se l’avessi sporcata non sarebbe tornata mai
più quella di prima. Ma
lui ti sorrise dolcemente, ti accarezzò il volto, ti
sussurrò parole
rassicuranti proprio come avevi fatto tu quella volta, al vostro primo
incontro. E allora non ce la facesti più, lo baciasti ed
entrasti dentro di
lui, movendoti istintivamente, mentre il piacere si dilagava nel tuo
corpo come
uno tsunami, facendoti boccheggiare, gemere, e lui sotto di te che
provava le
stesse cose, e sorrideva e ti guardava negli occhi mentre tratteneva i
gemiti.
La
notte vi addormentasti
abbracciati e felici, le lacrime di gioia, asciutte, che rigavano le
sue
guance.
Quello
fu il periodo più
bello della tua vita. Sapere di amare e di essere amato, era qualcosa
di
meraviglioso. Com’era possibile, ti chiedevi, amare qualcuno
a tal punto? Ti
pareva un sogno, un sogno infinito.
Poi,
la notte in cui fu lui
a prendere te per la prima volta, fu una delle più belle
–nonché divertenti-
della tua vita. Era abile, notasti, ti riusciva a mettere a tuo agio, e
ti fece
godere per minuti infiniti, tanto che quando lui uscì da te
ti addormentasti
quasi subito.
Il
mattino dopo ti
svegliasti con lui addormentato sul tuo petto. Si svegliò e
ti sorrise
pigramente.
-Come
sono stato ieri?- ti
chiese.
Gli
sorridesti. –Sei stato
bravissimo- dicesti, accarezzandogli i capelli.
Lui
ti guardò,
un’espressione imbronciata in faccia. –Bravissimo
non mi basta-
Ridacchiasti
alle sue
parole, e velocemente catapovoltasti la situazione, trovandoti sopra di
lui.
–Sei stato… fottutamente eccitante, ok?- dicesti,
sussurrando. Lui ti
abbracciò. –Così va meglio-
Ma
si sa, i sogni non durano
molto. E anche il vostro era destinato a finire.
Durante
una giornata di
marzo, cadendo lui si ruppe un braccio, e finì in ospedale.
Non dimenticasti mai
quelle ore di terrore, per quanto sapevi che la rottura di un braccio
non fosse
nulla di grave. Ma avevi un’impressione. Una brutta
impressione.
E
per quanto sperasti che
fosse, appunto, solo un’impressione, non fu così.
Quelle frasi delle dal
dottore, quella notizia che ti fece gelare il sangue nelle vene, ti
fece
mancare il fiato…
Andasti
da lui, quella
mattina, in lacrime. Quando ti vide così si rizzò
a sedere immediatamente,
tentando di consolarti, chiedendoti continuamente cosa avessi. Lo
guardasti negli
occhi, mentre ti sentivi morire, e glielo dicesti.
Hai
l’AIDS.
A
quelle parole lui non
disse niente, sorrise e voltò il capo.
-Lo
sapevo. Me lo sentivo,
che qualcosa non andava-
Nessuna
delle cose che ti
disse riuscì mai a tirarti su il morale. Tuttavia tentasti
di rimanere con lui,
fino all’ultimo, nonostante tutto, mentre anche il tuo corpo
cominciava a
indebolirsi, sintomo della stessa malattia.
Morì
il 26 gennaio, in una
mattina in cui il gelo albergava sia fuori quell’ospedale,
che dentro il tuo petto.
Quando lo vedesti, pallido e immobile, capisti all’istante.
Piangesti a lungo
stringendo la sua mano, senza riuscire a togliergli lo sguardo di
dosso. Così,
bianco, sereno, illuminato dal sole,
pareva ancor più un angelo.
Il luogo dove vanno gli angeli
è il Paradiso. Ed è lì che ti
raggiungerò, Mihael.
Poche
settimane dopo,
venisti ricoverato anche tu. E nonostante tutti gli incoraggiamenti dei
dottori, che tentavano di farti andare avanti, era inutile. Si sa, una
malattia
si combatte, oltre che con le medicine, anche con la forza di
volontà. E che
senso aveva prolungare quell’inutile sofferenza quando poi
sapevi che saresti
morto comunque?
Ti
lasciasti andare, senza
più voglia di vivere, con solo il pensiero di
quell’angelo biondo che ti
aspettava dall’altra parte.
Ti
spegnesti poco meno di un
anno dopo, e
poco prima che
-Vieni con me-
I'll love you 'til end.