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Autore: MyPrinceJustino    29/09/2014    0 recensioni
Tante persone in quel posto avevano voglia di andare via, scappare dalla noiosa vita che scorreva giorno per giorno sotto le gocce di pioggia e ai lampi che illuminavano le vie nelle ore buie, scappare in un posto migliore, con il sole che rendeva la pelle dorata, dove lo schiamazzo dei ragazzi diretti verso scuola a prima mattina si faceva sentire a gran voce e con una notte luminosa dei mille colori di una città grande e piena di occasioni.
Louis, Louis William Tomlinson era uno di loro..bhè..almeno fino all’arrivo di Harry, un giovane ragazzo in conflitto con i demoni che si porta dentro e con un passato da dimenticare.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Steal My Broken Heart

 

Pioveva.

Pioveva il giorno in cui la sua vita cambiò totalmente, e non fu mai più la stessa.

 

 

La pioggia occupava la maggior parte dell’anno il cielo di Holmes Chapel.

Era sempre stata così, una piccola cittadina con il sole perennemente coperto dalle nuvole grigie impregnate di pioggia in attesa di cadere e infastidire nuovamente gli abitanti, ormai abituati.

Le strade erano scivolose e con pozzanghere ogni tre passi d’uomo, l’aria era fredda, umida e pungente e nessuno avrebbe voluto vivere in un posto del genere, non di spontanea volontà.

I palazzi erano bassi e malandati, la maggior parte di loro ricordavano antiche strutture con mattoni e piastrelle sbiadite e archi posizionati un po’ qua e un po’ la.

Proprio di fianco il paesino c’era  un piccolo boschetto dove le poche coppie giovani si andavano ad appartare per passare pomeriggi o serate romantiche senza occhi indiscreti di anziane signore sfaccendate che facevano correre voci false e non, su quello che facessero. Era uno di quei posti insignificanti di cui nessuno aveva cura o conosceva, un posto non adatto al novanta per cento della popolazione e per niente allegro.

Non era il posto adatto per chi avesse una salute cagionevole a causa del tempo, non era il posto adatto a dei ragazzi perché non c’era qualcosa di veramente adatto a loro, come luna park, discoteche o quant’altro, erano fortunati se a una cinquantina di chilometri di distanza dal paese trovavano qualche locale carino.

Tante persone in quel posto avevano voglia di andare via, scappare dalla noiosa vita che scorreva giorno per giorno sotto le gocce di pioggia e ai lampi che illuminavano le vie nelle ore buie, scappare in un posto migliore, con il sole che rendeva la pelle dorata, dove lo schiamazzo dei ragazzi diretti verso scuola a prima mattina si faceva sentire a gran voce e con una notte luminosa dei mille colori di una città grande e piena di occasioni.

 

Louis, Louis William Tomlinson era uno di loro..bhè..almeno fino all’arrivo di Harry.

 

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{ L  }

 

Un brivido mi percorse il corpo facendolo tremare come una foglia in autunno, scossa da un vento gelido e tempestoso. Come la foglia anche io venni svegliato dal vento forte di quella mattina di metà autunno, la cosa anormale è che io ero in casa, sotto le mie coperte mentre le foglie erano sugli alberi esposti all’aperto, teoricamente non dovrebbe esserci vento in casa.

Aprii di malavoglia un occhio attaccaticcio di quella sostanza giallastra che assomigliava tanto alla sabbia e che mi capitava tra gli occhi dopo una notte passata più in piedi che a letto. Un suono gutturale trapelò dalle mie labbra quando, con l’occhio aperto, scortai la finestra spalancata e i vetri sbattere contro il muro tinto di verde chiaro, ancora  fresco di una settimana prima e che già mi aveva stufato. Cercai di ignorare il rumore e il freddo causati dalla finestra, presenti in quella camera, affondando la testa nel cuscino e portandomi le coperte fin sopra il naso così da lasciare gli occhi lucidi dal gelo scoperti. L’udito mi si ovattò e potevo sentire i piedi quasi riscaldarsi dopo averli strusciati più volte contro le pesanti lenzuola che mia madre aveva cambiato il giorno prima in prevenzione del tempo ancora più piovoso di quel che fosse già nell’arco dell’anno. Era sempre così in quel posto, le belle giornate capitavano di raro e la colonna sonora di ogni cittadino era il suono della pioggia che batteva sull’asfalto, sinceramente avrei preferito una colonna sonora come nei film, di quelle che ti facevano sentire potente anche solo camminando, ma in quel paese di merda non potevi chiedere di meglio di gocce d’acqua cadute dal cielo.

Le mie dita fecero scivolare il tessuto che avevo tenuto stretto fino a quel momento e sentivo che lentamente i miei sensi si stavano spegnendo di nuovo, per lasciarmi ancora un po’ coccolare dalle coperte, ma proprio nel momento in cui sentivo di essere lì per addormentarmi, un tonfo mi fece sobbalzare e le coperte finirono in terra esponendo il mio corpo al freddo mattutino di Holmes Chapel.

Bestemmiai mentalmente e mi alzai di botto dal letto guardando la finestra quasi come se avessi intenzione di prenderla a botte, l’avrei fatto se solo fosse stato possibile. Un brivido mi percorse il corpo costringendomi a intrufolare immediatamente i miei piedi nelle pantofole e stringermi nelle spalle.

“Maledetto il giorno in cui il nonno si è trasferito in questa merda” i denti battevano e le gambe scricchiolavano ad ogni passo fatto verso la causa del mio spiacevole risveglio che mi aveva predetto un giorno passato sicuramente con il malumore. Combattei contro l’aria che tirava e che non mi lasciava chiudere la finestra, il vento mi soffiava in faccia togliendomi il respiro e aprii la bocca per cercare ossigeno a cui appigliarmi. Con una forza che non sapevo di avere sbattei i vetri contro i bordi della finestra per poi abbassare la maniglia e sospirare vittorioso per aver battuto ancora una volta l’atmosfera di questo posto. Erano ventidue lunghi anni che vivevo in quella città e ancora non mi ero abituato al freddo e al mal tempo perenne che regnava lì. Avevo perso il conto di quante volte avevo chiesto ai miei genitori di andare via e di trasferirci in una grande metropoli, o almeno in una città che accettasse il sole di tanto in tanto, ma se ne uscivano sempre con qualche motivazione stupida, che mi rendeva ancor più nervoso di quel che ero normalmente. “Abbiamo dei bambini piccoli caro, non possiamo trasferirci” “Costerebbe troppo il trasferimento, Louis..non fare il ragazzino e comportati da uomo” “Ci sono i nonni qui, non possiamo lasciarli da soli” Ripetevo le loro parole imitandoli con una faccia alquanto disgustata, se solo avessi avuto più soldi e meno sensi di colpa avrei lasciato questo posto anche lo stesso giorno dopo e non sarei mai tornato più.

Passai una mano nei capelli bagnati di umidità e chiusi gli occhi per qualche secondo, gettando la testa all’indietro sperando che non stesse per arrivare uno di quei soliti mal di testa che mi prendevano quando ero incazzato o frustrato. Dovevo solo calmarmi, fare un bel respiro profondo e riuscire a superare la giornata che mi aspettava come tutte le altre, con la solita routine e con la solita pioggia. Dovevo solo stare calmo.

Più lo ripetevo più diventavo nervoso e sentivo il sangue nelle vene pulsare selvaggiamente, avevo ormai capito che l’unica cosa che avrebbe potuto acquietarmi era una grande tazza di cappuccino fumante. Girai il collo in direzione della radiosveglia posta sul comodino di fianco al letto disfatto e senza coperte perché giacevano ancora in terra. Segnava le 6:24. Sospirai e piegai la testa prima da un lato e poi da un altro, cercando di prendere sensibilità con il mondo reale e lasciare quello intrappolato nella mia testa. Pensavo che ormai non era tanto grave il danno, dato che dopo una decina di minuti avrei dovuto comunque alzarmi e lasciare il calduccio che risedeva nel mio letto ma restava comunque un risveglio tutt’altro che piacevole che mi aveva donato un inizio giornata pessimo. La mia vita faceva schifo.

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{ H }

 

Faceva freddo. Molto freddo quella mattina. Quasi l’aria era in-respirabile per quanto fosse ghiacciata. Ad ogni parola, sospiro o sussurro si formava una nuvoletta a qualche centimetro dalle mie labbra, che poi si dissolveva in pochi secondi.

Era una di quelle mattine in cui avrei preferito non svegliarmi affatto, di cercare protezione sotto le coperte di un letto ormai vecchio, in una stanza ormai vecchia, con un armadio pieno di mostri.

Non pioveva ma le nuvole grigiastre coprivano il cielo e davano un aspetto cupo alla città in cui vivevo da vent’anni a questa parte, in cui da anni non riuscivo più ad abituarmi, a sentirmi a casa. Non era più la mia città, ne quella della mia famiglia, era solo un luogo in cui alloggiavo, nell’angolo più buio, rannicchiato tra le mie lunghe braccia.

Mi trovavo davanti allo specchio del bagno di casa mia, la finestrella posta dietro di me era serrata e la stufetta sopra il mobiletto in fondo era accesa, per non far congelare il mio lungo ma sottile corpo. Mi guardavo con gli occhi stanchi di chi ha passato troppe notti insonni e di chi ha vissuto più incubi che sogni. La felpa bianca che portavo in dosso era leggermente slabbrata e mi faceva sembrare più in carne, le maniche erano lunghe e mi coprivano le dita e pensai che in qualche modo era anche più comodo, dato che non avevo un paio di guanti e quelle mi avrebbero riscaldato.

Mi guardai intorno, scrutando ogni angolo di quel bagno che sotto le mattonelle aveva molto più che del cemento, a distanza di un’ ora avrei dovuto dire addio per sempre a questa casa. Al pensiero è come se si accese un piccolo fuoco all’interno del mio stomaco, non capivo se era una sensazione piacevole o non, sapevo solo che mi faceva sentire strano e la voglia di rimanere tra quelle quattro mura strette, contornate da mobili bianchi e di ceramica, era sempre di meno. Mi avvicinai alla stufetta, facendo scricchiolare le scarpe contro piastrelle leggermente bagnate e allungai il braccio sul tastino che segnava le scritte on e off. Pigiai il dito su quest’ultima per poi uscire da quella camera ormai diventata asfissiante e forse un po’ troppo calda per il mio abbigliamento.

La casa era silenziosa, non che solitamente fosse rumorosa ma qualche piccolo rumore come i piatti che strusciavano fra di loro mentre mamma li lavava o il leggero suono della radio accesa proveniente dalla stanza di mia sorella, erano quasi sempre presenti in casa. Oramai era solo una vecchia abitazione vuota di mobili e piena di ricordi, più spaventosi che altro.

Portai le mani alle braccia e scesi lentamente le scale, guardando di tanto in tanto dietro di me per assicurarmi, come mio solito, che non ci fosse nessuno. Lo facevo sempre, era un modo per sentirmi sicuro, perché la solitudine non porterà mai tanto dolore quanto lo potrebbe portare la compagnia di qualcuno indesiderato. E questo lo avevo imparato a mie spese. Mi venne la pelle d’oca solo al ricordo impresso ancora nella mia mente, era come se l’avessero attaccato con la colla più potente al mondo nella mia testa, per assicurarsi che non sarebbe mai andato via e, passati ormai sei anni, direi che aveva fatto davvero un grande effetto.

Girai un’ultima volta la testa, guardando le scale di legno che non avrei percorso mai più. Non sapevo se ero davvero pronto a trasferirmi in una nuova città, a ricominciare una nuova vita e cercare di sconfiggere i demoni che giacevano silenziosi dentro il mio corpo, che aspettavano la notte per uscire e sbranarmi come fossero lupi.

Questa casa è stata tutto per me, ogni muro, ogni crepa e ogni buco sapeva tutto quel che avevo passato in questi venti anni, tutto quello che avevo patito e tutto quello che avevo condiviso con la mia famiglia. Queste mattonelle, questi parati e questi parquet non erano testimoni solo del mio dolore ma anche quello di un’altra persona.

Sfregai la mano prima lentamente e poi più velocemente sulla lunghezza del braccio, scuotendo la testa per far cadere all’indietro i miei ricci che quella mattina non ne volevano sapere di rimanere al loro posto.

“Sei pronto?”

Sobbalzai all’udire una voce alle mie spalle che mi fece andare per un attimo il cuore a mille e, solo dopo aver capito che fosse solo la voce profonda di mio padre, riuscii a calmarmi. Quella mattina ero agitato, non riuscivo a trovare un equilibrio mentale che mi aiutasse a superare quella giornata che si prospettava faticosa sia moralmente che fisicamente. Annuii facendo ricadere ancora una volta i capelli davanti agli occhi, impedendomi una vista lucida di quel che avessi davanti, avrei dovuto tagliarli al più presto magari anche il giorno dopo. Infilai la mano all’interno della tasca stretta del mio pantalone nero lasciando che la maglietta si piegasse formando piccoli rotolini contro il mio polso, mentre con le dita esploravo il tessuto alla ricerca della mia fascia color notte. Quando i miei polpastrelli sentirono sotto di essi la presenza di un qualcosa di morbido e flessibile si affrettarono ad attorcigliarsi intorno ed esso e cacciare fuori l’oggetto che cercavo da una trentina di secondi. Finiva sempre per attaccarsi al fondo delle tasche e ad impedirmi un’immediata azione.

La grande mano di mio padre si poggiò sulla mia spalla, stringendomi delicatamente contro il lato del suo corpo.

Era di qualche centimetro più alto di me che quasi non si notava, iridi verdi incastonate nei bulbi e un corpo possente e muscoloso di chi ha fatto il militare per tanti e tanti anni. Se non lo conoscessi non avrei mai pensato che un uomo come lui potesse essere un soldato dell’esercito, insomma era così gentile, affettuoso e con un viso sempre incurvato in un espressione dolce e sorridente.. fin da piccolo è stato sempre il mio eroe, l’idolo a cui ispirarmi e il modello da imitare e pensare che ero il suo completo opposto mi donava una fitta al petto per niente piacevole.

Battei più volte le palpebre quando, senza accorgermene, mi trovavo già sull’uscio della porta di casa, che non avrei varcato più.

Era arrivato il momento di dirle per sempre addio.

---

Era circa mezz’ora che ero seduto, con la schiena poggiata al sedile comodo e morbido della macchina di mio padre ed ero già stufo di essere in uno spazio così ristretto e di non potermi muovere come e dove volevo.

Le gambe stese finivano sotto il sedile di mia madre che guardava il suo riflesso nello specchietto rotondo che si portava sempre dentro la borsa, mio padre guidava con una posizione retta e seriosa e non accennava nessun tipo di espressione in particolare, da quanto riuscivo a vedere dallo specchietto, e infine c’era mia sorella seduta accanto a me, con il cellulare stretto tra le piccole dita e le cuffiette nelle orecchie. Era immobile, sembrava quasi non respirasse mentre fissava con sguardo assente il paesaggio sfrecciare al suo lato. La sua bocca era aperta in una piccola ‘o’ involontaria e potevo benissimo immaginare a cosa i suoi pensieri erano rivolti, a cosa stesse succedendo dentro di lei, posta in un silenzioso portamento esterno e un rumoroso portamento interno.

Non ero fiero di me.

Ne come figlio, ne come persona, ne come ragazzo ne tantomeno come fratello.

Mi etichettavo tra i fratelli peggiori che possano esistere, non avevo la forza di combattere e non avevo la forza di aiutarla a combattere. Io che avrei dovuto proteggerla e aiutarla non lo facevo, mentre succedeva il contrario ogni giorno della mia inutile esistenza.

La saliva era diventata acida e pesante e non avevo il coraggio di provare a deglutire, sapendo che avrei potuto strozzarmi da solo finché non sentii qualcosa di piccolo e sottile incastrarsi tra le mie dita, nella mano che tenevo poggiata sul sedile. Abbassai lo sguardo per incrociare quello di mia sorella che mi sorrideva, ancora una volta mi aveva strappato via da quel barlume di oscurità in cui mi ritrovavo ogni volta che mi mettevo a pensare. Sorrisi a mia volta e le strinsi la mano, girando nuovamente la testa verso il finestrino con l’anima più leggera.

Attizzai le orecchie quando udii, per la prima volta da quando eravamo partiti, la voce da ragazzina che aveva ancora mia sorella.

“Com’è che si chiama questo posto in cui andiamo a sperderci?”

Mia madre la guardò attraverso lo specchietto con sguardo concentrato, quasi come si stesse sforzando di ricordare un nome a lei difficile da memorizzare.

“Uuhm..Ecco! Holmes Chapel”

 

|| Salve! Questa è la mia prima storia seria sui Larry perciò siate indulgenti hahaha grazie per aver letto e se mi lasciate una recensione mi fa più che piacere ||

   
 
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