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Autore: __larry5sos__    30/09/2014    3 recensioni
Fetus Larry ad un campo d'allenamento.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Soccer Camp.


 

 

Avevo sempre odiato Louis Tomlinson.
Ci eravamo incontrati per la prima volta a una partita di calcio. Era la primissima volta che mi fecero giocare. Avevo solo cinque anni, e lui sette e mezzo. Ero davvero emozionato, ed essendo all'epoca abbastanza timido avevo il terrore di fare delle colossali figuracce che tutti avrebbero ricordato per sempre. O meglio, 'nei secoli dei secoli ', come mi piaceva tanto formulare.
Lui era nella squadra avversaria, composta in generale da bambini un po' più grandicelli di noi, e giocava in attacco. Io ero il difensore che doveva marcarlo ma, nonostante mia sorella mi incitasse incessantemente a gran voce, non riuscivo a stargli dietro. Era troppo veloce per me. E troppo alto. Come facevo a battere un paio di gambe lungo il doppio del mio?

Louis mi faceva le finte, lasciandomi correre come uno stupido dalla parte sbagliata mentre lui scartava i miei compagni rimasti e faceva gol. Nessuno veniva risparmiato.
Quel grandissimo stronzo.
Durante l'ultimo minuto, per cambiare direzione abbastanza in fretta da evitare l'ennesima rete a suo favore, inciampai nei miei stessi piedi, finendo con il viso sull'erba e lasciandogli libera la via. Mi sentivo umiliato. Dopo che ebbe segnato, l'arbitro fischiò la fine dell'incontro. Louis mi aiutò a rialzarmi, per poi scompigliare i capelli che tenevo sempre rigorosamente in ordine. Odiavo quando qualcuno toccava i miei capelli. Che, giusto per farvelo sapere, erano sacri. Nonostante ora comprenda che lo fece soltanto per rassicurarmi, animato dalle più innocenti intenzioni, in quel momento lo percepii come un gesto spavaldo per affossare ulteriormente il mio orgoglio, è quindi superfluo aggiungere che mi arrabbiai tantissimo. Quando, dopo la sconfitta, fummo costretti dalla nostra allenatrice ad andare a stringere la mano agli avversari come segno di sportività, i miei zigomi si tinsero di uno scarlatto acceso e brillante, come i papaveri nel campo vicino a scuola. Non credo di essere mai arrossito così tanto. Il ragazzo dagli occhi azzurri si beccò quindi l'imperdonabile insulto da me sussurrato che aprì la guerra tra noi.
Sei proprio uno sciocco!!”
Da quel giorno, ogni volta che tiravo in porta mi immaginavo la sua faccia ghignante incastrata nella rete, ed ero migliorato molto in fretta. Avevo cambiato ruolo, diventando centrocampista.

Amavo il calcio tanto quanto odiavo Louis. La mia ossessione era superarlo ad ogni costo, bloccarlo, batterlo, isolarlo, umiliarlo e dimostrare di essere superiore. O, semplicemente, 'sconfiggerlo', come i protagonisti dei cartoni animati che preferivo si ostinavano a esclamare a ogni occasione. Ero fermamente convinto che il mondo sarebbe stato migliore, senza di lui. Che tutti i miei problemi si sarebbero volatilizzati. Che sarebbero esistiti solo sentimenti belli. Come nel pianeta degli unicorni con Barbie e Pegaso, dove la cosa peggiore che possa capitare è non riuscire ad abbinare le scarpe con le mechès colorate nei capelli.

Ogni volta che ci incontravamo, a un torneo calcistico così come passeggiando in città ognuno per conto suo, ci soffiavamo addosso a vicenda come due gatti incazzati neri. Perdonate il francesismo, ma dire infuriati sarebbe riduttivo. Facevamo di tutto per metterci nei guai a vicenda, e se scoprivo che un mio conoscente era suo amico, quella persona con me aveva chiuso. Non le avrei più nemmeno parlato.

Avevo passato tutta l'ultima estate ad allenarmi a palleggiare, segnare e dribblare, nel grande campo da calcio di cui il proprietario mi aveva affidato una copia delle chiavi, sapendo che ero un bambino tranquillo e responsabile. Correvo il più possibile tutti i giorni, anche quando la pioggia battente confinava in casa il resto della mia famiglia, e non facevo in tempo ad annoiarmi, perché prima che succedesse ero già per terra ad ammazzarmi di flessioni. La mia famiglia mi lasciava fare, convinta che io fossi animato dalla semplice e pura passione per lo sport. Ma la parola che mi spingeva a fare l'impossibile anche quando le mie energie si erano ormai prosciugate, era ben diversa. La vedevo proprio, quella serie di lettere, stampata su un foglio bianco in caratteri squadrati di un colore viola scuro. Lampeggiava nel mio cervello, e mi dava la forza di andare avanti sempre e comunque.

'Vendetta' .



* * *
 

Finalmente il gran giorno era arrivato. Mi svegliai presto. Avevo dodici anni, e stavo per partire per quella che, secondo le mie aspettative, sarebbe stata una settimana piuttosto speciale. Diversa dal solito. E non potevo neanche immaginare quanto. Mi trascinai fino al bagno, nonostante tutti dormissero ancora, e mi sciaquai la faccia con acqua tiepida. Passai poi in cucina, afferrando una grossa ciotola e versandoci dentro distrattamente del latte e i miei cereali preferiti. Uscii in giardino, e feci colazione sotto il grande albero di ciliegie che torreggiava sulle aiuole fiorite, senza fretta, godendomi la freschezza del primo mattino.
Ero un ragazzino molto strano. Almeno secondo i miei compagni. Ero infantile, per certe cose, ma molto maturo per altre.


Dopo aver controllato per l'ennesima volta la borsa strapiena che giaceva sul pavimento lucido dell'entrata, per essere sicuro di non aver dimenticato nulla, diedi un bacio veloce sulla guancia a mia madre e mi avviai verso lo spiazzo sterrato dove il ritrovo era stato stabilito. Quando scorsi il piccolo pullman bianco posteggiato sulla destra cominciai a correre sorridendo sempre di più, finché non arrivai al centro dello spazio e mi accorsi di essere solo. O quasi. Caroline, la mia allenatrice mi salutò e mi spiegò la situazione. Ero lì per prendere il pullman fino al campeggio dove una squadra di ragazzini sui sette anni avrebbe fatto un campo d'allenamento. Ero stato ingaggiato come aiuto, perché, si sa, a quell'età i bambini possono essere molto difficili da gestire. Un altro ragazzo, più o meno della mia età a a quanto pareva, sarebbe venuto con noi. Era il cugino di Caroline e giocava a calcio da anni. Io non lo conoscevo, ma lei era sicura che saremmo andati d'accordo.
Tutto mi sembrava perfetto, tanto che la mia immaginazione era già corsa a inventare tutte le cose che avrei potuto fare con il mio nuovo amico, quando ebbi la brillante idea di chiedere il nome. E, indovinate un po'! Con tutti i milioni di miliardi di possibilità di combinazione tra nomi e cognomi che si possono pronunciare, lei aveva detto proprio l'unica che non volevo sentire.
Louis Tomlinson.

I ragazzini cominciarono ad arrivare, e si piazzarono subito sui sedili davanti con fare spocchioso. Io mi sistemai in un angolo sul fondo del mezzo di trasporto e accesi il telefono, facendo partire una playlist a caso, dopo essermi piazzato le cuffiette con le quali avevo vissuto mille avventure nelle orecchie. Mentre gli Imagine Dragons attaccavano con Radioactive, rendendomi difficile non accompagnarli cantando a squarciagola, attivai il 3G e cominciai a scorrere la timeline di twitter, completamente assorto nei miei pensieri.

Ero troppo concentrato per accorgermi che si era seduto accanto a me fino a quando non parlò.
-Ma guarda un po' chi si rivede!-
Sobbalzai, e mi strappai le cuffiette auricolari dalle orecchie. Risposi con il tono più seccato che riuscii a trovare.
-Che cosa ci fai qui?
-Mi ha chiamato mia cugina.
-Intendo qui vicino a me.-
Sospirò, poi si aggiustò il ciuffo che gli era scivolato davanti agli occhi, e, senza fretta, continuò.
-Senti, tesoro, non ho intenzione di passare tre settimane e mezzo ad annoiarmi.
-Ti odio.
-Dio, sei ancora così infantile? Non ci vediamo da mesi e mesi. E la batteria del tuo telefono non dura tutto il giorno.-
A questo fatto non avevo pensato. Ragionai sulle sue parole. Dopo un po' mi stufai di cercare il significato nella mia testa perché, dopotutto, era ancora mattina, e far funzionare il mio cervello era un'impresa piuttosto ardua e anche sufficientemente inutile. Così lo domandai, cercando di apparire distaccato.
-Dove vuoi arrivare?
-Sei l'unica persona che può salvarmi dalla noia.
-Mi stai dicendo che vuoi passare del tempo con me?
-Ti sto dicendo che non voglio passare del tempo da solo. Appena torniamo ti lascerò in pace.
-Lo giuri?
-Non ti fidi?
-Perché dovrei?-
Sbuffò di nuovo. Questa volta sembrava un pochino più esasperato. Aveva un'espressione simile a quella che mi compariva sul viso quando, mentre facevo da babysitter a dei bambini scatenati, loro facevano come se io non ci fossi, mettendo tutto in disordine, incuranti delle mie proteste. Ammetto che un po' di vergogna la provai.
-Lo giuro.-
Stavo ancora valutando la situazione, e me l'ero presa comoda, visto che ci stavo impiegando un eternità, lasciando che il casino proveniente dall'altro capo del bus riempisse il silenzio che alleggiava tra noi da ormai un minuto e rotti, quando aggiunse:
-Ti prego, Harry.-
Non so come, quando pronunciò il mio nome in quel modo, quasi supplicando, riuscii a decidere senza ulteriori problemi.

-Allora va bene. Ma è solo perché mi conviene, sia ben chiaro.-
Feci spuntare trentadue denti dallo schiudersi delle sue labbra, con quella minuscola, insulsa frase, e, non so come mai, dovetti trattenermi con tutte le mie forze per non imitarlo.

Ricominciammo da zero. Lui era molto più bravo di me a fingere che tra noi non ci fosse mai stato un odio così profondo, ma non era un problema per nessuno dei due. Chiacchierammo abbastanza animatamente per tutto il viaggio, e dovetti ricredermi sul suo carattere. Non potevo evitare di ammettere che era cresciuto davvero bene, diventando proprio un bel ragazzo, e che le sue battute erano molto più divertenti delle mie che, in effetti, lasciavano un po' a desiderare, anche se lui rideva lo stesso. Dopotutto era forte.
Ma era un pallone gonfiato lo stesso, e sempre lo sarebbe stato. Dovevo tenerlo a mente.

Avrebbe dormito in camera con me, nell'albergo. Solo io e lui. Avevamo un'oretta buona per sistemarci, prima della cena, così rovesciammo velocemente il contenuto delle valigie negli armadi, rigirosamente a casaccio, e saltammo ognuno sul suo letto, con i rispettivi telefoni cellulari stretti in pugno. Parlare con lui mi faceva piacere, ma mi serviva un momento di tregua, poiché non mi sentivo alla sua altezza e per me dire sempre la cosa giusta era complicato e richiedeva una grande concentrazione. Perlomeno ero andato bene. Di solito non ero in imbarazzo con gli sconosciuti, ma con lui volevo mettere in mostra la parte migliore di me.
Un momento, perché desideravo così tanto piacergli? Me ne dovevo fregare; dopotutto, nonostante mi fossi sbagliato sul suo conto, era comunque un ragazzo qualunque. E soprattutto un ragazzo. Un maschio.

Ad un certo punto dal suo apparecchio partì “One More Night” dei Maroon 5, e lui rispose al mio sguardo interrogativo appoggiandosi l'indice dall'unghia tutta magiucchiata sulle labbra e accostando il telefono all'orecchio dopo aver premuto qualcosa su display.
-Pronto, che c'é? Ah, ok. Arriviamo. Harry, si mangia. Andiamo in un ristorante, stasera.
Chiuse la telefonata si alzò aggiustandosi i jeans in vita. Poi afferrò uno zaino e ci cacciò dentro un portafogli, un pacchetto di fazzoletti di carta, le due tessere per entrare in camera e l'Ipod.
-Non prendere niente, oggi offro io.
-Oh, ehm, grazie.-
Aprì la porta e mi fece passare per primo.
-Però mi fai mettere un dito nelle tue fossette.-
Mi accorsi solo in quel momento che stavo sorridendo, così arrossii.
-Se ci tieni...
Mi svegliai all'orribile suono acuto e penetrante della sveglia che Louis si era portato dietro, e riuscii ad alzarmi senza troppa fatica, dopo che lui l'ebbe disattivata mugugnando. La sera prima non avevamo fatto molto tardi, in vista dell'intenso allenamento che ci aspettava, ma anche perché il nostro rapporto era ancora un po' freddo.
-Che ore sono?
-Mmmmh.
-Louis, che ore sono?
-Oh, che palle. Sono le sette e mezza.
-CHE COSA? Non sai nemmeno impostare una sveglia a un orario decente?-
Avevamo quindici minuti per essere a colazione.
-Rilassati, amico.
-No, tu alzati e muoviti, piuttosto.-
Mi lanciai nella doccia e mi sciaquai via il più in fretta possibile tutto il sudore che nella calura notturna mi si era appiccicato addosso, poi uscii dal piccolo bagno con solo un asciugamano bianco intorno ai fianchi. Non c'era tempo per fare il ragazzetto pudico. Louis si era riaddormentato, così lo minacciai come si deve, fin quando non decise che la mia voce non gli era più sopportabile e si alzò, girovagando per la stanza in boxer alla ricerca di un paio di calzini appaiati. Intanto avevo indossato la tenuta d'allenamento ufficiale della squadra. Lui cominciò a borbottare stancamente:
-Dio, é vero. Che palle. La devo mettere anche io.
-Su, non ti lamentare troppo e infilati questa cazzo di divisa.
-E tu non mi sgridare, che sono più grande di te, fino a prova contraria.
-Ma col culo che non ti sgrido, dovevamo essere giù un minuto fa! Prendi questa cosa e indossala. Subito, Louis.-
Stava per obbedire controvoglia, quando, ad un tratto, si bloccò di colpo con le braccia a mezz'aria e un'espressione pensierosa in volto, come se gli fosse appena venuta in mente un'idea geniale. Mi guardò e fece un sorrisetto malizioso.
-E se non volessi?
-Ma come porca puttana fa tua madre a mandarti a scuola tutte le mattine? Io ci rinuncio, capito? Scendo.
-Nonono, scusa, ora mi muovo. Volevo vedere come reagivi, tutto qui.-
Pescò magicamente dalla tasca anteriore della sua valigia le calze che stava cercando e se le mise ai piedi più in fretta che poteva.
-Mi aspetti?
-Hai così paura di restare solo?
-No, non voglio litigare per una stupidaggine. È che mi piace quando ti esasperi, sei carino.-
Rimasi interdetto, e aggrottai le sopracciglia. Avevo sentito bene? Lui realizzò quello che aveva appena detto e arrossì di botto, smettendo di litigare con le stringhe degli scarpini da calcio per gesticolare.
-Non... non è come sembra. Mi sono appena svegliato, ok? Non so quello che faccio, a quest'ora. Capisci, no? Sono stanchissimo e...-
Era divertente avere finalmente in mano la situazione, e dovetti trattenermi dal ridere nel vederlo così impacciato e intento a spiegarsi. Non mi ero nemmeno asciugato i capelli, ma tanto l'aria era già tiepida, quindi non sarebbero rimasti così fradici a lungo.
L'occhio mi cadde sull'orologio digitale sul comodino di Louis, che segnava le otto meno tredici. Dovetti porre fine alle sue spiegazioni.
-Va bene, va bene, ti credo, ma siamo già in ritardo, e se non ti dai una mossa tua cugina ci appioppa un sorvegliante.
-Ok, ci metto pochissimo. Tu aspettami, però.
-Si.-
E un sorriso, alla fine, non riuscii a sopprimerlo completamente, dopo aver conosciuto la dolcezza che viveva in lui, ma per fortuna non se ne accorse.

Il campo sportivo era a meno di un chilometro dall'albergo, quindi, dopo colazione, ci aspettava una passeggiata a passo sostenuto, per rispettare gli orari sulla tabella di marcia. Il succo d'arancia sembrò svegliare il mio coinquilino, che riprese il suo atteggiamento di prima seppellendo di nuovo la sua parte emotiva in fondo in fondo, in modo da non farla più trasparire. Un po' mi dispiaque, ma era bello conversare anche con quel lato del mio amico. Ma eravamo amici? Dopotutto erano passate solo ventiquattr'ore da quando avevamo smesso di odiarci. Un giorno é abbastanza per fare amicizia?
-Louis, ma siamo amici ora?
-Se ti va bene, si.
-Allora si.
-Non mi odi più, allora?
-Certo che no.
-Per fortuna.
-Perché?
-Niente. Lascia perdere.
-Cosa mi nascondi?
-Ma che palle!
-Scusa, scusa.-

L'allenamento non fu un granché interessante. A quanto capii dal discorso iniziale di Caroline, sarebbero stati tutti più o meno così. Faceva caldissimo, e quando dovemmo raggruppare i bambini per tornare nelle camere i miei ricci erano zuppi di sudore, proprio come i ciuffi disordinati di Louis. Non appena raggiunsimo la nostra stanza mi chiese se poteva fare la doccia per primo, e io acconsentii, tirando fuori dalla borsa la mia copia di Michele Strogoff e stravaccandomi sul mio giaciglio per immergermi nella lettura. Dopo nemmeno cinque minuti sobbalzai: il mio ormai coinquilino aveva cominciato a cantare a squarciagola un motivo a me sconosciuto direttamente dalla cabina della doccia, spaventandomi. Risi, poiché tanto non poteva sentirmi, con tutto il casino che faceva. Lasciai perdere le avventure del giovane corriere russo, abbandonando il volume sotto il cuscino, per sdraiarmi a pancia in su e riflettere. Sulla vita, sulla morte, sull'universo. Sull'amore.
Su Louis.
Non successe nulla di degno di nota, fino alla mattina dopo. Louis, come il giorno precedente, era tutto assonnato e l'idea di alzarsi dal letto non gli passava neanche per l'anticamera del cervello. Provai in tutti i modi a convincerlo, e quando fallii per la centesima volta mi disperai.
-Louis, per favore, spiegami cosa posso fare per farti alzare.
-Mi devi dare un bacio.-
Questa volta risi, ma non per schernirlo, ridevo con tenerezza.
-Ma com'è questa storia che appena ti svegli sei più frocio del solito?
-Io non sono gay. Smettila.
-Ho visto le tue mutandine di pizzo.
-Ma... COSA? HAI FRUGATO NELLA MIA ROBA!
-Veramente erano sul mio scaffale. Non sei molto ordinato, vedo.
-E tu sei uno stronzo.-
Dovetti abbassarmi per schivare il cuscino che mi aveva lanciato, mirando alla mia fronte.
-Siamo in ritardo di nuovo! Louis, muovi il culo.
-No.
-Dai, se ti sbrighi ti do un bacino sulla guancia.
-Non prendermi in giro!
-Io sono serio.-
Ci rimase di stucco, e sembro tranquillizzarsi.
-Oh. Ehmm.. Okay?-

Quando finalmente arrivammo di fronte a una stanchissima e sbadigliante Caroline, avevamo entrambi il fiato corto e le guance arrossate, sia per la corsa che avevamo fatto per arrivare in tempo (o meglio, non così terribilmente tardi), sia per il -seppur brevissimo- contatto che c'era stato tra le mie labbra e la sua guancia destra. Non ascoltai le parole del discorso della mia allenatrice, in quanto fossi troppo occupato a cercare di restare serio. Non riuscivo ad afferrare il motivo dell'enorme quantità di felicità che mi riempiva la testa, avvolgeva il mio torace e scorreva mista al mio sangue nelle vene, che la trasportava in giro per tutto il corpo facendomi venire una gran voglia di saltellare.
-Harry, non restare indietro!-
Mormorai delle scuse e con due passi di corsa raggiunsi il gruppo che già aveva cominciato a marciare verso la mensa. Come d'abitudine, presi posto accanto a Louis, e non feci neanche in tempo a finire di masticare il primo boccone di pane e marmellata che lui aveva già cominciato a parlare. Parlava sempre, o quasi. Il che non mi dava fastidio, anzi; la sua voce aveva un timbro tanto piacevole che se avessi potuto l'avrei registrata e me la sarei ascoltata pure tutta la notte, sicuro che in quel modo non avrei visto l'ombra degli incubi che spesso perseguitavano il mio sonno. Mi ero incantato ad ascoltarlo, quando una parola con un suono ancora più bello di quello delle altre mi riscosse. Sembrava perfetta per stare tra le sue labbra. Ne riascoltai l'eco nella mia testa e scoprii che la parola in questione era il mio nome.

Durante l'allenamento decisimo di fare una partitina uno contro uno, così, solo per gioco. Per me, in verità, era molto di più. Era la resa dei conti, l'occasione per dimostrare che ero cresciuto e migliorato, per fargli vedere che non sarei più caduto. Così, mentre i bambini della squdra erano in un angolo del campo a fare condizione fisica, io posizionavo la palla al centro dell'area che avevamo deciso di utilizzare.
-Tre. Due. Uno. Via!-
Colpii la palla prima di lui ed essa finì qualche metro dietro la sua schiena, nonostante lui l'avesse sfiorata e quindi deviata un pochino. Corsimo entramibi in quella direzione, all'inizio, ma quando mi resi conto che lui era più molto vicino di me, e quindi sarebbe arrivato prima, mi bloccai. Aspettai che si girasse con la palla al piede, mi avvicinai e tentai di rubargliela. Non avevo calcolato che anche lui si era allenato, da quando ci eravamo incontrati la prima volta. Fece un giochetto di destrezza con il piede destro e mi scartò senza fatica, proprio come allora. Mi fece arrabbiare. Gli corsi dietro più veloce che potevo, e presi coscenza che, in effetti, un vantaggio ce l'avevo. Le mie gambe erano mutate, divenendo più lunghe e più veloci delle sue. Lo avevo quasi raggiunto, così saltai. E presi il volo. Fu come se il tempo si fosse fermato. Io, in aria subito dietro di lui, e quest'ultimo, che, ignaro di tutto, continuava a corricchiare trionfante verso la porta. Poi lo toccai. Gli ero letteralmente saltato addosso. Le mie gambe stavano cingendo la sua pancia, mentre le braccia erano già scivolate dolcemente attorno al collo, mentre facevo attenzione a non strozzarlo. E di conseguenza cadde. Louis Tomlinson ebbe, per fortuna il buon senso di mettere sia le mani che una gamba in avanti, per ammortizzare un po' la caduta. Dopo che toccò terra, si lasciò cadere completamente. Lungo disteso. Il pallone rotolò via.
-Si può sapere che cazzo stai facendo?-
Lo lasciai voltare. Ora lui era sdraiato sulla schiena, con me sopra, faccia a faccia.
-Ti ho atterrato.
-Sì, ma questo è calcio, non rugby, ricordi?
-Senti, avevo voglia di farlo, e nessun arbitro ha ancora fischiato un fallo, quindi resto qui quanto mi pare. E, per la cronaca, mi piace stare qui. Quindi rimarrò moolto tempo.-
Rise. Le mie braccia erano tese e tenevano separati i nostri visi e i nostri petti, così che potesse respirare liberamente. Lui appoggiò le mani dietro la mia schiena, facendo pressione, così mi abbassai stabilendo un contatto quasi completo con lui. Il mio naso quasi sfiorava il suo. Louis cominciò ad accarezzare i miei capelli. Odiavo quando qualcuno toccava i miei capelli. Erano sacri. No, da quel punto di vista non ero cresciuto nemmeno un po'. Ma, chissà perché, quando era Louis a massaggiare la mia testa, non riuscivo a provare nemmeno un briciolo di fastidio nemmero sforzandomi, anzi; lo trovai piacevolissimo. Mi fece addirittura sorridere. Le nostre labbra si stavano avvicinando sempre di più. Erano molto, molto vicine. Troppo. Fui preso dal panico. Era un sentimento orribile. Mi alzai e scappai via, borbottando qualcosa a proposio di un bagno.

Ero in piedi, davanti allo specchio logoro del bagno dei maschi,che era incorporato, se così si può dire, nello spogliatoio del campo da calcio dove avevo lasciato Louis da solo. E riflettevo, guardando la mia immagine che mi fissava a sua volta. Sapevo benissimo il motivo per cui avevo avuto paura. A me Louis Tomlinson piaceva. E tanto, anche. Ma era sbagliato, tutto sbagliato. Stava andando tutto così veloce. Erano passati solo due giorni, dopotutto. Ma perché mi ero tirato indietro? Sarebbe stato un primo bacio perfetto. Perfetto. Decisi che i miei sentimenti per Louis non potevano essere sbagliati, e che, anche se lo fossero stati, allora era meglio sbagliare fino in fondo, no? Doveva essere così.
Qualcuno bussò alla porta.
-Harry, mi dispiace. Sei lì?
-Arrivo.-
Mi sciaquai il viso in fretta e furia e poi uscii, trovandomi davanti il ragazzo (lo ammisi, finalmente) più bello dell'intero universo.
-Scusa, Harry. Ho sbagliato, e...
-Shhh. Va tutto bene.-
Lo presi per mano e tornammo dalla squadra. Non arrossii. Lui sì.

Verso le quattro e mezza del pomeriggio del terzo giorno eravamo sdraiati sui letti. Avevamo finito prima perché aveva cominciato a piovere a dirotto e continuare ad allenarsi si era rivelato impossibile. Io e Louis, quindi, ce ne stavamo lì, freschi di doccia e profumati. Col telefono in mano, tanto per cambiare. Si voltò verso di me e chiese, apparentemente senza motivo:
-Che musica ascolti?
-Un po' di tutto in generale...
-Li conosci i blink?
-I chi?-
Trattenne una risatina.
-Blink-182. Vieni qua.-
Mi porse una cuffietta, così mi alzai dal mio letto per sdraiarmi accanto a lui, a pancia in su. Mi infilai uno dei due auricolari nell'orecchio più vicino a lui e la canzone partì. Non potei fare
a meno di stimare ancora di più il mio compagno di stanza. Era il pezzo più fantastico che avessi mai sentito.

-È bellissima, Lou.-
Mi era venuto spontaneo usare quel diminutivo. Lui sorrise.
-Nessuno mi chiama mai così.
-Se non ti piace ti chiamo 'Louis'.
-Certo che mi piace.-
'A me piaci tu'.
Non lo dissi. Invece allungai la mano verso la sua e la presi, intercalando le nostre dita. Lui strinse per un attimo, e fu la cosa più bella di sempre. Come i suoi occhi, nei quali si stavano perdendo i miei.

Per cena c'era il pollo. Non mi piaceva il pollo. Non mangiai quasi niente. Passai il tempo a lamentarmi e a fare smorfie schifate. Quel bastardo di Louis rideva.
Quando tornammo in camera morivo di fame. Caroline ci aveva raccomandato, come al solito, di non uscire per nessun motivo.
Ma quella sera nessuno dei due aveva sonno. A mezzanotte, sgattaiolammo fuori dalla porta della stanza, per arrivare al pian terreno, dove si situava il distributore automatico. C'erano anche dei biscotti al cioccolato. Quanto amavo i biscotti al cioccolato? Erano i miei preferiti, in assoluto. Infilai un po' di monetine nell'apposita fessura, e in seguito premetti il numero corrispondente ai miei dolcetti prediletti. Quando le cinque scatole caddero una dopo l'altra dietro alla porticina di plastica trasparente Louis mise in discussione la mia scelta.
-Sinceramente, l'ultima volta che ho mangiato quel genere di biscotti avevo sei anni.-
Mi accorsi che erano a forma di dei fottuti animali della savana. Non ci avevo fatto caso. Mi abbassai per raccogliere il mio bottino e gli risposi:
-Tanto non li devi mica mangiare tu.
-Mi stai dicendo che non me ne darai nemmeno uno?
-Ti sto dicendo che se non li vuoi posso mangiarli tutti io.
-Dividili con me, ti prego, Harry, faccio tutto quello che vuoi.
-Tutto tutto?
-Okay, dipende.
-Cominciamo a tornare su, che se ci becca tua cugina non sopravviviamo alla notte.
-Va bene, ma mi darai un po' di biscotti, vero?
-Vedrò.-

Ci chiusimo a chiave nella stanza d'albergo e decisimo che non eravamo ancora stanchi. Avvicinammo perciò il mio letto al suo, per creare un grande letto matrimoniale, e ci sdraiammo su di esso, dopo averci lanciato sopra il cibo che IO mi ero procurato. Non ero in contatto con lui in nessun modo, ne sono tutt'ora certissimo. Nel punto dove eravamo più vicini (il mio piede con il suo ginocchio) c'erano almeno quindici centimetri di distanza. Aprii uno dei pacchetti colorati e ne trassi un leone di cioccolato. Gli staccai la testa con un morso e masticai con gusto. Louis aveva il labbro inferiore evidentemente esposto in fuori, e le sue sopracciglia erano inarcate. Mi stava supplicando.
-Cosa mi dai in cambio?
-Ti ho pagato la cena il primo giorno.
-Fai pesare le gentilezze? Non sei molto educato.
-Ma senti chi parla! Stai parlando con la bocca piena sputacchiando ovunque pezzi di foca e mi parli di educazione?
-Non devi farmi ridere! E comunque dove la vedi la foca? È un cazzo di leone, questo.
-C'é differenza?
-Certo! Io non mangio le foche.
-Oh mio Dio, ma che problemi hai? Dammi qualcosa da mangiare, se no ti mangio la gola per farti smettere di dire queste stronzate.
Gli lanciai controvoglia uno degli incarti e lui lo prese al volo, compiaciuto. Si sistemò meglio, e mi parve che si fosse anche un po' avvicinato. Mi venne voglia di chiacchierare. Non so se avete in mente quella sensazione di voler raccontare tutta la tua vita, soprattutto le parti più belle o imbarazzanti, a qualcuno. Immagino sia perché ti senti emotivamente vicino a questo qualcuno. In ogni caso, aprii bocca, e presi a narrare di quella volta che una ragazzina mi aveva improvvisato uno spogliarello nel bagno della scuola, con le chiavi tra i denti per non lasciarmi scappare. Si chiamava Carlotta ed era bionda. Aveva un anno in più di me ed era già quasi completamente sviluppata, ma stava nella mia classe, a causa di una bocciatura in prima elementare. Il tutto era successo un po' più di due mesi prima, nelle ultime settimane di quinta. A ricreazione.
-Stavo pisciando tranquillamente nel bagno, sì, in quello dei maschi, è ovvio, Louis, stai zitto e ascolta. Allora, fatto sta che esco dalla cabina e mi ritrovo questa, piena di rossetto rosso fluo e eyeliner. E già ho pensato 'Oh, cazzo'. Poi lei fa girare la chiave nella toppa e se la infila in bocca dicendo qualcosa del tipo 'Ora ci divertiamo, Harry' con un tono che credo dovesse essere sexy, ma in realtà io pensavo solo a come fare per andarmene da lì. Si è messa a ballare, o meglio, agitarmi orribilmente il culo in faccia e... Ma che minchia ridi? Io ero traumatizzato, pensavo che mi volesse stuprare!
-Tipo tutti gli altri ragazzi della scuola avrebbero dato un braccio per essere al tuo posto, e tu eri spaventato?
-Ti ho detto di chiudere il becco, ma ti rispondo lo stesso: lei non mi piaceva. E non avevo nessuna voglia di fare sesso, scusa, ero ancora alle elementari!
-Perché adesso sei molto più grande!
-Non ho detto questo, ma non so quanto bene farebbe a un ragazzino essere violentato da una sciaquetta arrapata. Ora fami continuare. Allora, ha cominciato a levarsi i vestiti, alternando le imitazioni di qualcosa che sembrava burlesque alle parole volgari, e io cercavo di fermarla, ma lei mi diceva di non essere timido perché mi avrebbe coccolato per bene (o qualcosa del genere) e io non sapevo cosa fare. Quando è rimasta in intimo ero completamente nel panico, e non avevo fatto in tempo a pensare a cosa fare che aveva già cominciato ad armeggiare con il gancetto del reggiseno in pizzo nero che, sia ringraziato il cielo, era incastrato. O forse era imbranata lei. Dopo la milionesima volta che le ho detto di smetterla e che non mi ha ascoltato, mi sono incazzato di brutto, perché mi incazzo di brutto quando non mi si da retta, e le ho detto che se non si rivestiva subito la denunciavo per stupro e sequestro di persona e...
-Addirittura?-
Stava ancora ridendo, quel pirla.
-E l'avrei fatto! Io quasi tutto quello che dico, poi lo faccio. Stavo dicendo...
-Davvero?
-Si, e se non la smetti ti lego al letto, o meglio, ai letti e ti stupro io con il tuo spazzolino elettrico.-
Lo feci sganasciare dalle risate, con quella frase.
-Mica non eri pronto per fare sesso?
-In questo caso, non sarei io a farlo, ma tu, e non ridere tanto, che lo faccio sul serio.
-Se se.
-Vuoi vedere?
-Non adesso, continua.-
Mi fece piacere, il fatto che fosse interessato a quella cavolata pazzesca che era la mia storia. Ne ignoravo però il motivo. Andai avanti, come mi aveva chiesto.
-E allora l'ho minacciata di denuncia e per essere sicuro che capisse che non stavo scherzando ho aggiunto che avrei preferito baciare un ragazzo piuttosto che lei, e lo pensavo davvero. Quella cogliona finalmante ha capito e ha sbraitato un sacco di cose sul fatto di essere uomini e sulla sua bellezza in confronto alle altre ragazze della scuola (e aveva ragione, dopotutto) e io le ho preso con due dita la chiave che aveva sputato sulla sua mano, perché mi schifavo della sua saliva, poi ho aperto e mi ha insultato perché era ancora mezza nuda, ma io me ne sono fregato e oramai era suonata la campanella e sono dovuto tornare in classe, ceh, quella puttanella tutta la pausa mi ha fatto perdere!-
Ci fu un attimo di silenzio, poi lui parlò.
-Ma lei era una bella ragazza, secondo te?
-Beh, si, anche molto, ma...
-Non ti giustificare e rispondi. Hai detto che avresti preferito baciare un ragazzo, piuttosto che lei.
-L'ho detto e lo penso, Lou.-
Il mio compagno di stanza non aggiunse nemmeno una parola, ma si limitò a guardarmi sorridendo. Io non feci caso a lui, stavo ragionando sul senso delle domande che mi aveva fatto. E scoprii di essermi tradito.
Gli chiesi con disinvoltura qualcosa su di lui, e quest'ultimo colse l'occasione di aprirsi con me. Parlammo per ore.

La sveglia digitale sul mio comodino segnava le quattro del mattino, e tutte le barriere tra me e Louis, fisiche e mentali, erano state abbattute. Ero sdraiato su di lui, che mi abbracciava da dietro, stando seduto appoggiato al muro. Le sue gambe erano allacciate intorno al mio bacino, e la mia nuca arrivava all'altezza del suo petto. Le sue mani mi accarezzavano la testa, le spalle, il viso, mentre continuavamo a scambiarci nozioni private o conosciute, importanti o insulse. Ero felice, e sentivo il mio corpo galleggiare per aria due metri sopra la superficie del materasso. Volevo che quel momento non finisse mai.
Louis ricominciò a interrompermi ogni due parole, e io sapevo che era solo per farmi innervosire, perché sentivo il suo ventre tremolare contro la mia schiena a causa delle risatine trattenute. Mi girai verso di lui, con un cipiglio autoritario (almeno in principio) per guardarlo negli occhi. Poi mi sciolsi di fronte alla sua bellezza. Aveva un volto perfetto. Sorrisi, rovinando le mie intenzioni di incutergli timore, ma dissi comunque:
-Ti diverti a prendermi in giro, stronzo?
-Si.
-Bé, mi dispiace, perché la devi smettere.
-Ah si? Altrimenti?-
La sua espressione beffarda mi faceva impazzire. Mi voltai completamente verso di lui e gli immobilizzai le braccia, e lui non oppose resistenza, quando lo feci sdraiare. Mi posizionai sopra di lui, fino a quando non ci ritrovammo faccia a faccia.
-Altrimenti, peggio per te.
Tirai fuori dalla tasca dei pantaloncini il suo telefono e lo sbloccai. Non c'era il codice. Apparve subito la pagina dei messaggi, e ce n'era uno già composto. Glielo mostrai. Louis fece appena in tempo a leggere il destinatario e la prima parte del messaggio che cercò di strapparmi di mano il cellulare e di rimettersi seduto, senza risultati.
-Ma quando l'hai scritto?
-Tipo due ore fa, non mi ricordo.-
Era per una ragazza che conoscevamo entrambi, a cui piaceva lui. Lo sapevano tutti, io l'avevo sentito da qualche parte, e a quanto pareva anche il mio caro amichetto prepotente ne era al corrente. Nell'SMS c'era scritto qualcosa a proposito di andare a letto insieme.
-Hai deciso di tranquillizzarti?
-Non lo farai.-
Feci scorrere di suovo il dito sullo schermo e lo avvicinai al tasto 'invia'. Lo stavo per premere, ma il proprietario dell'iPhone mi fermò.
-Aspetta! Sei impazzito?
-No. Ora lo faccio.
-Nonono! Ma perché?
-Mi hai provocato.
-Oooh, povero cucciol... OKAY, OKAY, MI DISPIACE, NON FARLO! Guarda, mi prostro ai suoi piedi, sua altezza!
-Non è sufficiente, mi dispiace.
-Se non lo mandi io... Harry, non mandarlo e basta!
-Se non lo mando tu cosa?
-Niente, dammi quel telefono ora.
-Dimmelo.
-No che non te lo... E VA BENE. Ti dico il mio segreto.-
Spostai il dito dal pulsante sulla destra e eliminai l'intero messaggio. Gli resi ciò che gli spettava, e lui commentò:
-Sei un bambino monello.
-Hai promesso di dirmi il tuo segreto, e se non ti sbrighi la storia dello spazzolino elettrico è ancora valida.
È inutile dire che rise ancora.
-Non ho voglia di dirtelo.
-Hai giurato.
-Beh, mentivo.
-Allora sei tu il più gangstah! Dillo e basta.-
La sua sicurezza vaccillò un poco. Il suo sguardo, che non si scollava dal mio, si caricò di preoccupazione.
-Ehm.. Non mi giudicherai, vero?
-Ma no, Louis! Non farmi aspettare, sai?
-Io... Io... Tu mi piaci, Harry.-
E poi mi baciò.

Era stato il mio primo bacio, quello di quella notte. Non era durato molto, ed era stato lui a staccarsi, togliendo anche la mano dal lato destro della mia testa, per vedere come avevo reagito. Non glielo dissi, ma stavo aspettando solo quello. Allungai un braccio verso l'interruttore della luce, e la spensi. Fui io a baciarlo, quella volta, nel buio, e ci abracciammo, approfondendo il contatto. Indossavamo soltanto una maglietta e dei boxer, a causa del caldo. In quel momento, fu come se la giornata avesse aspettato solo quello per concludersi. Tutta la stanchezza che avevamo accumulato duante il giorno ci piombò addosso, e ci addormentammo più o meno nello stesso momento, sempre avvinghiati l'uno all'altro, sempre felici.

Un paio d'ore dopo la sveglia suonò e, naturalmente, Louis non si svegliò subito. Avevamo entrambi la voce roca e le occhiaie scure e marcate. Eravamo quasi in ritardo, nel momento in cui lo svegliai urlando. Era ancora abbastanza rincoglionito da non ricordarsi quanto accaduto la sera prima, immagino, perché quando non ricevetti risposta e provai a garantire un bacio in cambio della sua collaborazione, sul suo viso apparve un'espressione molto perplessa. Da una parte sembrava dire 'Finalmente!' e dall'altra poteva benissimo significare 'Ma che minchia vuole questo?'. Tempo un paio di secondi, e il suo cervello collegò il tutto facendolo sorridere. Ed era il sorriso più bello che avessi mai visto. Il sorriso di un ragazzo meraviglioso, appena sveglio, con ancora la faccia piena di sonno; un sorriso di quelli che ti scappano senza che tu li possa controllare, perché sei felice davvero, quelli che preannunciano una buona giornata; un sorriso larghissimo, con labbra e occhi e guance, che, appunto, stravolgeva tutti i lineamenti del volto. Il sorriso stampato sulla bocca che conteneva probabilmente ancora tracce del mio sapore.
-È successo davvero, allora.
-Pensavi di averlo sognato?
-Sì.
-Anche io, in realtà.-
Se fosse stato possibile, il sorriso si sarebbe allargato ancora di più.

Si alzò quasi subito dopo, e, per una volta, fummo puntuali. Se non in anticipo. Caroline, quando ci vide scendere per primi, non credette ai suoi occhi.

In pubblico non facemmo niente, se non camminare con il braccio dell'uno intorno al collo dell'altro. Il tacito accordo era di non far sapere a troppa gente ciò che era successo (e che stava succedendo, nella mia testa e nel mio petto). Andava bene così, per il momento.

Il sole dell'ultimo giorno era sorto da poco, quando io e Louis ci svegliammo. Si sforzò di lasciare mondo dei sogni il più in fretta possibile, e dimostrai il mio apprezzamento con un bacio sulla fronte. Ogni momento era diventato buono per baciarsi, perché era così bella la sensazione che mi faceva provare. Avevamo deciso di non dormire fino a tardi per non sprecare gli ultimi momenti insieme. Nessuno dei due aveva voglia di alzarsi, così non spostammo la testa dal cuscino. Ci guardavamo negli occhi, e ogni tanto uno dei due rompeva il silenzio per sbadigliare o raccontare qualcosa.
Spiegato così non è un granché, me ne rendo conto, ma giuro che è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Non c'é altra spiegazione al mio sorriso ogni volta che mi torna in mente quella scena.
Mi venne da piangere, all'assordante frastuno della seconda sveglia di quella mattina. Aiutai Louis ad alzarsi in piedi e lo sorressi, perché naturalmente doveva fare il coglione e lasciarsi cadere a peso morto tra le mie braccia. Ero stanco anche io, che cosa credeva? In ogni caso, non appena riuscii a scrollarmelo di dosso e l'ebbi costretto a trascinarsi dietro il suo trolley rosso mentre mi seguiva, diedi addio alla stanza dove avevo passato quella vacanza indimenticabile.

A metà del viaggio di ritorno ci addormentammo uno sopra l'altro, perché nelle ultime notti non avevamo fatto esattamente una maratona di sonno. Prima che mi assopissi completamente, affondò una mano nei miei riccioli scuri, com'era ormai solito fare, e glielo permisi. Come avevo sempre fatto, con lui, d'altronde. E come non avevo mai fatto, con gli altri, da sempre.

Caroline ci svegliò e ci cacciò fuori a calci. Dovemmo salutarci in modo spiccio, e non riuscii a escogitare un modo per baciarci senza che nessuno se ne accorgesse, infatti dovetti fare a meno delle sue labbra. Ne percepivo l'assenza, e compresi che mi sarebbero mancate.
-Ciao, Harry.
-Ciao, Lou.-
Un saluto carico di sottintesi.

Il giorno dopo già non ce la facevo più. Alle dieci del mattino stavo andando in una specie di crisi d'astinenza, così afferrai il mio iPhone e composi:
'Hey Lou usciamo?'
Rispose subito.
'Ricordi che mi avevi fatto giurare di non darti più fastidio, una volta a casa?'
'Vuoi o no?'
'A casa mia dopo l'una, perché mi vergogno a farmi vedere in giro con te ;)'
Sapevo che scherzava, ma lo rimproverai.
'Sei proprio uno sciocco!'

Avrei sempre amato Louis Tomlinson.




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Ciao a tutti! Come avrete capito, la storia non è molto sensata, è solo che avevo voglia di scrivere qualcosa e questo è quello che mi è uscito fuori. Anche se non centra proprio nulla con la trama, mi ha ispirata 'I See Fire' di Ed Sheeran.
Probabilmente prima o poi toglierò questa storia, come anche l'altra che avevo pubblicato, perché non mi vanno molto a genio.. Per il momento le lascio perché spero che a qualcuno possano piacere, e che vi possano portare qualcosa di buono. Se per qualche motivo volete che le lasci in rete, basta chiedere, perché tanto a me non cambia assolutamente nulla. Se volete farmi sapere cosa vi è o non vi è piaciuto della storia, esistono le recensioni. Vi prego, scrivetemene qualcuna, anche solo due parole, altrimenti penso che mi odiate tutti e mi deprimo D:
-Amelie.

 

  
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