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Autore: kenjina    08/10/2008    3 recensioni
I ritiri, se fatti con persone "normali", sono quasi sempre piacevoli, istruttivi e formativi. Il problema sorge quando queste persone tanto normali non lo sono. E Takenori Akagi e Shin'ichi Maki avranno un bel da fare per tenere a bada le teste calde delle loro relative squadre!
"Si sa, il cognome Sakuragi riporta sempre alla memoria delle grandi teste calde. Hanamichi primo fra tutti. Ma Hime, la sorella gemella dizigote, non era certo da meno. Anzi.
Per Takenori Akagi, il Gorilla dello Shohoku, era una continua lotta fisica e interiore tenere a bada quegli scalmanati dei Sakuragi. Dopo aver conosciuto Hanamichi sperava che almeno la sorella, in quanto donna, potesse essere più alla mano e meno imbecille del fratello.
Risposta sbagliata."

Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Hanamichi Sakuragi, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata

Capitolo XII

Risvegli Catastrofici.

La notte frizzante era immersa nel silenzio. C’era una tranquillità e una pace che da qualche giorno invece mancava e–

«Ma porca vacca, Hanamichi! Non hai visto che c’ero io dietro la porta?! Deficiente!», gridò Mitsui, che si era beccato un colpo di porta sul naso dal rossino che, come un terremoto, aveva aperto quella del bagno, nonostante sentisse la voce del cecchino dall’altra parte.

«Imbecilli! Se continuate con questo tono Akagi vi sistemerà per le feste!», sbottò Ayako, tirando una sventagliata in testa ai due. «Oh, scusa senpai! Mi son fatta prendere troppo la mano!», aggiunse ridendo imbarazzata, rivolta allo studente del terzo anno.

«Ecco, brava! Scusati con lui e con me no!», sbottò Hanamichi, che si ribeccò un’altra sventagliata come risposta.

«Ma Hime e Rukawa che fine hanno fatto?», chiese Miyagi, perplesso. «Sono usciti dieci minuti fa!».

Mai l’avesse detto.

Hanamichi iniziò a disperarsi, precipitandosi verso la porta come un ossesso, con l’intento di salvare la sua sorellina dalle grinfie della volpe. Peccato che non vide un pallone da basket per terra (cosa ci facesse lì ancora rimane un mistero) e carambolò lungo e disteso per terra. Gli altri tre, anzi che andare a soccorrerlo, decisero bene di scoppiare a ridere, cercando di soffocare le loro risate con qualsiasi cosa trovassero sotto mano.

«Argh! Volpino maledetto! Non solo mi ruba la mia Hicchan… ma lascia anche le sue palle in giro!», esclamò l’invasato, mentre gli altri continuavano a ridere fino alle lacrime.

Nel frattempo, Hime e Rukawa, la prima bella che pimpante e il secondo sull’orlo del sonno, uscirono dalla stanza delle ragazze, entrambi con una busta in mano piena zeppa di porcherie varie e giochi di carte.

Kaede, tra uno sbadiglio e l’altro, sbirciò nella busta che teneva in mano. «Qui dentro c’è tutto e niente», biascicò assonnato.

Hime rise, divertita. «Quando io e Hana siamo andati a fare la spesa prima di partire ci siamo divertiti!».

Si fermarono davanti alla camera del volpino, dove si sarebbe tenuto il festino notturno. Contemporaneamente, nella stanza di fronte fece la sua comparsa un Kiyota pronto a puntino per uscire. Quando vide i due insieme dovette ricorrere a tutto il suo auto-controllo per non spaccare il muso a quel dannato ghiacciolo con le gambe.

Hime arrossì nel vederlo così sistemato. Aveva un paio di jeans sbiaditi e una camicia blu scura, aperta ai primi tre bottoni, che lasciava ben immaginare che razza di fisico si ritrovasse; i capelli, quella sera, erano ritirati in una codina e qualche ciuffo scappato all’elastico gli ricadeva disordinatamente sul viso.

Lui, d’altronde, nel trovarsela davanti vestita solo di un pantaloncino corto e una maglietta senza maniche perse un battito. Anzi, forse anche più di uno.

Nessuno dei due, comunque, si salutò.

Hime bussò alla porta e sorrise mentalmente nel sentire le risate provenienti dall’interno. Subito dopo aprì Ayako, letteralmente in lacrime per le risate.

«Ma che state combinando qui dentro?», chiese la rossa entrando, seguita da Kaede. «Hana, che ci fai spalmato in terra?!».

«Do’aho, il mio pallone».

«Do’aho un paio di palle! Stavo per ammazzarmi!».

«E purtroppo sei ancora vivo».

Kiyota guardò la porta richiudersi, con un groppo allo stomaco nel sentire tutte quelle risate soffocate. Accidenti, lì dentro avrebbe potuto esserci anche lui! Chissà quanto casino avrebbero fatto! Chissà… come sarebbe stato bello stare con lei!

Con un sospiro si voltò, diretto a farsi una passeggiata in solitario in paese. Magari si sarebbe anche divertito, pensò non molto convinto. Aveva bisogno di un po’ d’aria fresca. E soprattutto doveva togliersi dalla testa l’immagine di Hime e cosa tutto sarebbe potuto succedere se lei non lo avesse rifiutato. Aveva scoperto quella ragazza di colpo, e così di colpo avrebbe dovuto dimenticarla. Lo odiava e ne aveva tutte le ragioni del mondo.

Intanto, nella camera degli orrori…

«Ahia, Ryo-chan!», esclamò Hime, recuperando l’M&M’s che le aveva appena tirato in un occhio. «Oh, è rossa! Mia!».

«Noo! Rossa la volevo io! Io riesco a prenderle solo tutte marroni!», piagnucolò Hanamichi, prendendo il sacchetto delle caramelle e ficcandoci dentro la testa.

«Fortuna tua sono solo caramelle, allora», ghignò Mitsui, affondando un grissino nella nutella.

Hime scoppiò a ridere, seguita a ruota anche dagli altri. Si voltò verso Kaede, sdraiato affianco a lei e gli occhi chiusi. «Dormi?».

«Ma che domande fai, Hicchan?», chiese Hanamichi, come se fosse ovvio. «Quello dorme anche quando va in bici!».

«Do’aho», bofonchiò il volpino, voltandosi dall’altra parte e riprendendo il suo riposino, sperando che quei casinisti non lo disturbassero troppo e lo facessero dormire in santa pace. Sospirò mentalmente: avrebbe dovuto rubare un coltello da cucina e nasconderlo sotto il cuscino, per le evenienze. Pazienza, sarebbe bastato anche un lenzuolo stretto intorno al collo, nel caso.

«Giochiamo a Uno?», chiese Ayako, guardando tra i vari mazzi di carte a disposizione.

Hanamichi la guardò perplesso. «E mica possiamo giocare a pallone qua dentro!».

Ci mancò poco che ai presenti scendesse un coccolone grande quanto una casa.

«Hanamichi, quello è Schiaccia Sette! Tu a carte sei proprio una sagoma!», commentò Ryota, mischiando il mazzo.

Il rossino si mise una mano dietro la nuca, ridendo imbarazzato. «Ma no, volevo solo vedere se foste preparati! Ahaha!».

Gli altri scossero mesti la testa, iniziando a giocare, tra caramelle zuccherate, patatine e delizie varie.

«E che cazzo, Miyagi! È la terza volta consecutiva che mi blocchi il giro!», esclamò Mitsui, sbuffando alla volta del compagno.

«Tranquillo, Mitchi, ora ci penso io a fargli abbassare le penne!», disse in soccorso Hime, che quando toccò a lei buttò giù una carta per pescarne altre quattro.

«Hime, ti sto odiando», borbottò il playmaker, che così ora si ritrovava ancora con undici carte in mano. Lei, in risposta, gli fece una linguaccia.

Ayako alzò lo sguardo sul rossino. «Hanamichi, ma quante carte hai?».

Lui le guardò, mostrandone solo due.

«Hai capito la seghetta!», esclamò Hisashi.

«Ahaha! Sono un genio!».

Rukawa si alzò un po’, il tanto giusto per vedere che carte avesse in mano il rosso. «Un sei verde e un otto giallo».

Inutile dire che i due iniziarono a darsela di santa ragione, tra le risa degli altri che, invano, tentavano di fermarli.

 

*

 

Il mattino seguente, quando Akagi entrò nella camera del volpino e del tiratore da tre (dato che il Gorilla si era fatto dare una copia delle chiavi, alla faccia della privacy) si ritrovò uno scenario che rasentava lo spettacolo tragicomico: Hanamichi era per metà sdraiato sul letto (più precisamente le gambe) e per metà per terra su un fianco, con le braccia lunghe distese sul pavimento; Mitsui era addossato a Ryota, che nei suoi sogni più reconditi credeva di essere abbracciato alla sua Ayakuccia; la prima manager era, invece, raggomitolata su un divanetto, lontano da quel branco di caproni; infine Rukawa, con un braccio a penzoloni e l’altro del tutto insensibile, causa la testa di Hime che lo aveva relegato a cuscino.

Temendo che gli saltassero definitivamente le coronarie, Kogure, aiutato dalle altre matricole, lo portò via, mentre lui come un indemoniato, sbraitava contro quel branco di buoni a nulla, avvolto nelle fiamme dell’inferno. E meno male che avrebbero dovuto re-iniziare gli allenamenti, quella settimana! Erano le nove meno un quarto e nessuno si era presentato a colazione!

Maki e Jin, seguiti da Kiyota, appena tornati dalla sala pranzo, fecero una capatina nella stanza, ridendo divertiti per la situazione. Quei ragazzi erano dei terremoti. Povero Akagi che doveva tenere a freno quelle teste calde!

Nobunaga, invece, sbuffò. Ci sarebbe dovuto essere lui al posto di Rukawa. Lui avrebbe dovuto farle da cuscino!

«Che branco di deficienti», sbottò, entrando in camera sua e sbattendo la porta.

Contemporaneamente Ayako iniziò ad aprire gli occhi, infastidita da tutto quel caos. Fece per allungare la mano verso il comodino, per afferrare la sveglia, ma qualcosa non quadrò. Anche perché, sbilanciandosi troppo, si trovò bella che distesa per terra.

«Porca paletta, che male!», esclamò, accarezzandosi il fianco. Quando si rese conto dello stato di cose per poco non le scese un infarto.

«Buongiorno!», esclamò Maki, sorridente.

«Buon–! Ma brutto branco di caproni, vi sembra questa l’ora di dormire?», sbraitò la riccia, sfoderando il ventaglio e svegliando a modo suo tutti gli altri.

Miyagi e Mitsui strizzarono gli occhi, ancora nel dormiveglia. Quando però si guardarono in faccia (troppo, decisamente troppo vicine per i loro gusti) scattarono sul letto, indicandosi a vicenda. «Che cazzo ci facevi attaccato come un polpo, hentai?!», gridarono all’unisono, rossi per l’imbarazzo.

Hanamichi, nel frattempo, guardò il soffitto con la vista annebbiata, non capendo il perché del suo mal di schiena improvviso. Quando rotolò sull’altro fianco per mettersi in una posizione quantomeno decente, si ritrovò ancora a gambe all’aria, sempre più confuso.

«Sakuragi, dormi sempre così o è solo un caso?», chiese Jin, ridendosela.

Il rossino sbatacchiò le palpebre un bel paio di volte, mettendo a fuoco i due sulla porta. Poi con un balzo si mise in piedi, guardando la sorella e il volpino ancora nel mondo dei sogni.

«Hanamichi, fermo…!», provò a dire Ayako, capendo le intenzioni del rosso.

Troppo tardi. Il rosso aveva già afferrato per le spalle il volpino e aveva iniziato a scuoterlo violentemente per farlo svegliare e fargli una ramanzina che sarebbe passata nella storia dell’oratoria. Altro che Cicerone!

Hime fu l’ultima a svegliarsi, tra stiracchiamenti e sbadigli vari. Puntellandosi sui gomiti si guardò intorno, in quel campo di battaglia che le fece venire in mente la nottata appena trascorsa. Con un sorrisino divertito, esclamò: «Ma che splendida giornata, non trovate anche voi?».

I giocatori, immaginando la reazione di Akagi, non la pensarono esattamente così.

Gli allenamenti, infatti, furono anche più distruttivi degli ultimi. Non solo i ragazzi, ma anche Hime fu punita. Venne, infatti, relegata a portavoce tra gli allenatori Anzai e Takato per appuntare le ultime cose sulla partita del pomeriggio, facendo avanti e indietro ogni dieci minuti.

La decima volta che si ritrovò nella palestra dove si stava allenando il Kainan si buttò stremata nella panchina, affianco a Takato, che con il suo immancabile ventaglio si stava facendo un po’ di fresco.

«Dimmi, Sakuragi. È necessario dovermi portare ogni singolo foglio anzi che tutti insieme?».

Hime, imbronciata, incrociò le braccia sul petto, guardando il Capitan Maki sorpassare la difesa di Takasago e andare a canestro. «Akagi è arrabbiato per il risveglio di questa mattina e me la sta facendo pagare a modo suo! Quello scimmione!», digrignò tra i denti.

L’allenatore del Kainan si mise a ridere. «Fermati un po’ più del dovuto, così non dovrai tornare subito dagli altri. Anche perché, detto tra noi, quello che ti sta facendo fare è parecchio inutile».

Hime lo guardò con occhioni luccicanti, inchinandosi in segno di rispetto. «Sensei Takato, è il migliore!».

Kiyota, sul campo, lanciò un’occhiata alla ragazza che stava allegramente chiacchierando con il suo coach. Accidenti, perché stava facendo avanti e indietro così? Non riusciva a concentrarsi!

Ed ecco, infatti, che gli arrivò una pallonata in pieno viso.

«Kiyota! Dormi o cosa?», esclamò irritato Maki, mettendosi le mani sui fianchi.

Hime alzò lo sguardo su di lui, notando che era mezzo chino, con una mano sul naso.

«Accidenti, ha ripreso a sanguinare», mormorò Nobunaga, guardandosi un dito sporco di sangue.

Hime si alzò, dirigendosi a grandi passi verso il centro campo. Lo prese per un polso e se lo trascinò nello stanzino che avevano adibito a infermeria.

Nobunaga, seduto sull’unica panca presente, la guardava, stupito e senza parole, mentre la ragazza rovistava in una cassetta per le medicine, mandandone all’aria l’intero contenuto. Piegò la testa all’indietro, per non far colare troppo sangue, ma appena Hime se ne accorse gliela spostò bruscamente in avanti.

«Quando perdi sangue dal naso non devi mai inclinare la testa all’indietro», gli spiegò, imbevendo un pezzo di cotone con acqua ossigenata. «Rischi di fartelo scendere in gola».

Si chinò su di lui, iniziando a tamponare le narici arrossate. E lui la guardava, studiandone i lineamenti del viso, i suoi occhi attenti, il nasino impertinente… quanto era bella! Come aveva fatto a non accorgersene prima?

Hime, intimamente imbarazzata dell’attenzione che si sentiva addosso, lo tamponò per bene, passando il cotone anche sulle labbra, sporche di sangue. Per un attimo indugiò nel pulirgliele. Erano così invitanti.

«Sakuragi».

La ragazza si risvegliò di colpo, alzandosi velocemente e affondando la testa nella cassetta per le medicine, in completo imbarazzo. Nobunaga sospirò, abbattuto.

Tornò con uno spray decongestionante e glielo spruzzò due volte per narice.

«Questo dovrebbe tapparti definitivamente i traumi che hai lì dentro», gli passò un altro pezzo di cotone, pulito. «Continua a tamponare così, poi può bastare».

Kiyota fece come gli aveva detto, borbottando un “ok” d’assenso. «Grazie».

Hime fece spallucce. «La prossima volta vedi di concentrarti su quello che fai, anziché imbambolarti come Hanamichi».

Nobunaga dovette mordersi la lingua, o le avrebbe gridato dietro che stava guardando proprio lei e che quindi era colpa sua se ora si era fatto male! Ma non gli piaceva per niente la freddezza con cui lo trattava. Si sentiva ignorato, sebbene gli avesse rivolto la parola e si fosse subito presa cura di lui. No, così non andava bene. Avrebbe preferito cento volte il rapporto che avevano prima di quell’inconveniente che quella freddezza. Sembrava un Rukawa al femminile! Certo, si era comportato da vero deficiente il giorno prima ed era più che comprensibile quel comportamento. Ma accidenti, l’aveva rifiutato! Come poteva dire di no a un bel ragazzo come lui? Eh? Eh?!

Risvegliandosi dalle sue chilometriche seghe mentali, la bloccò subito per un braccio, quando la vide andarsene senza dire altro. Hime si ritrovò, così, a una decina di centimetri da quel corpo sconvolgente, che neanche la sua testardaggine riusciva a ignorare.

Nobunaga prese un bel respiro, prima di trovare il coraggio di parlare. «Senti, lo so che mi son comportato da idiota e… mi dispiace, Sakuragi».

Hime sbatté le palpebre velocemente, cercando una qualsiasi via d’uscita da quella situazione. Il cuore le stava martellando in petto e temeva veramente di fare o dire qualcosa di sbagliato.

Kiyota posò lo sguardo sulle sue labbra, imponendosi un po’ di calma. Voleva rovinare tutto come l’ultima volta? «È che pensavo che tu–».

«Ehi, ragazzi, tutto bene?». Maki arrivò in quel momento, così improvvisamente e inaspettato che li trovò ancora vicinissimi, rossi in viso per l’imbarazzo. «Ok, torno dopo!», esclamò, facendo retro march in men che non si dica.

I due guardarono perplessi il playmaker andarsene velocemente, quasi fosse contento di quello che aveva appena visto. Poi si voltarono tra di loro, abbassando lo sguardo.

«Doomo arigatoo, Sakuragi. Già non sanguina più».

Hime abbozzò un sorriso, impacciata. Con una mano sulla nuca, mormorò: «Sai, noi Tensai…».

Kiyota ricambiò insicuro e si allontanò velocemente per riprendere gli allenamenti, ancora troppo tentato da quelle labbra che non aveva avuto la possibilità di accarezzare a dovere.

 

Piccolo siparietto per l’autrice:

Konnichi wa minna-saaan!

Porca paletta, già l'undicesimo capitolo! O.O *me si stupisce di se stessa*

Quanto mi son divertita a scrivere il festino di questo capitolo! Hanamichi è una fonte di ispirazione incredibile, è inutile! XD [vero Miha? xD]

Ma questo è niente rispetto a quello che la mia mente malata ha scritto per i prossimi festini… uh uh uh! XD

Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo. ( :

Angolino per i ringraziamenti:

MihaChan: ehehe, cara quanto ti capisco! :Q___ Inoue-sama è stato proprio crudele a disegnare dei personaggi così… così… oh, my…! *sviene* Ahaha! “Scimmietta porcellosa”! Che incrocio! XD Grazie per il sostegno! *_* Besos! :*

SangoChan88: Awww! Son felice abbia apprezzato il match! Anche perché dovevo scrivere di basket… e lo farò ancora, perché lo adoro! *o* Vedrai, vedrai che succederà! *me sghignazza*

Come sempre un grazie anche a tutti coloro che leggono questa cosa!

Ja, mata ne!

Kenjina.

 

   
 
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