Capitolo
XII
Risvegli Catastrofici.
La
notte frizzante era immersa nel silenzio. C’era una tranquillità e una pace che
da qualche giorno invece mancava e–
«Ma
porca vacca, Hanamichi! Non hai visto che c’ero io dietro la porta?!
Deficiente!», gridò Mitsui, che si era beccato un colpo di porta sul naso dal
rossino che, come un terremoto, aveva aperto quella del bagno, nonostante
sentisse la voce del cecchino dall’altra parte.
«Imbecilli!
Se continuate con questo tono Akagi vi sistemerà per le feste!», sbottò Ayako,
tirando una sventagliata in testa ai due. «Oh, scusa senpai! Mi son fatta
prendere troppo la mano!», aggiunse ridendo imbarazzata, rivolta allo studente
del terzo anno.
«Ecco,
brava! Scusati con lui e con me no!», sbottò Hanamichi, che si ribeccò un’altra
sventagliata come risposta.
«Ma
Hime e Rukawa che fine hanno fatto?», chiese Miyagi, perplesso. «Sono usciti
dieci minuti fa!».
Mai
l’avesse detto.
Hanamichi
iniziò a disperarsi, precipitandosi verso la porta come un ossesso, con
l’intento di salvare la sua sorellina dalle grinfie della volpe. Peccato che
non vide un pallone da basket per terra (cosa ci facesse lì ancora rimane un
mistero) e carambolò lungo e disteso per terra. Gli altri tre, anzi che andare
a soccorrerlo, decisero bene di scoppiare a ridere, cercando di soffocare le
loro risate con qualsiasi cosa trovassero sotto mano.
«Argh! Volpino maledetto! Non solo mi ruba la mia Hicchan…
ma lascia anche le sue palle in giro!», esclamò l’invasato, mentre gli altri
continuavano a ridere fino alle lacrime.
Nel
frattempo, Hime e Rukawa, la prima bella che pimpante e il secondo sull’orlo
del sonno, uscirono dalla stanza delle ragazze, entrambi con una busta in mano
piena zeppa di porcherie varie e giochi di carte.
Kaede,
tra uno sbadiglio e l’altro, sbirciò nella busta che teneva in mano. «Qui
dentro c’è tutto e niente», biascicò assonnato.
Hime
rise, divertita. «Quando io e Hana siamo andati a fare la spesa prima di
partire ci siamo divertiti!».
Si
fermarono davanti alla camera del volpino, dove si sarebbe tenuto il festino
notturno. Contemporaneamente, nella stanza di fronte fece la sua comparsa un
Kiyota pronto a puntino per uscire. Quando vide i due insieme dovette ricorrere
a tutto il suo auto-controllo per non spaccare il muso a quel dannato
ghiacciolo con le gambe.
Hime
arrossì nel vederlo così sistemato. Aveva un paio di jeans sbiaditi e una
camicia blu scura, aperta ai primi tre bottoni, che lasciava ben immaginare che
razza di fisico si ritrovasse; i capelli, quella sera, erano ritirati in una
codina e qualche ciuffo scappato all’elastico gli ricadeva disordinatamente sul
viso.
Lui,
d’altronde, nel trovarsela davanti vestita solo di un pantaloncino corto e una
maglietta senza maniche perse un battito. Anzi, forse anche più di uno.
Nessuno
dei due, comunque, si salutò.
Hime
bussò alla porta e sorrise mentalmente nel sentire le risate provenienti
dall’interno. Subito dopo aprì Ayako, letteralmente in lacrime per le risate.
«Ma
che state combinando qui dentro?», chiese la rossa entrando, seguita da Kaede.
«Hana, che ci fai spalmato in terra?!».
«Do’aho,
il mio pallone».
«Do’aho
un paio di palle! Stavo per ammazzarmi!».
«E
purtroppo sei ancora vivo».
Kiyota
guardò la porta richiudersi, con un groppo allo stomaco nel sentire tutte
quelle risate soffocate. Accidenti, lì dentro avrebbe potuto esserci anche lui!
Chissà quanto casino avrebbero fatto! Chissà… come sarebbe stato bello stare
con lei!
Con
un sospiro si voltò, diretto a farsi una passeggiata in solitario in paese.
Magari si sarebbe anche divertito, pensò non molto convinto. Aveva bisogno di
un po’ d’aria fresca. E soprattutto doveva togliersi dalla testa l’immagine di
Hime e cosa tutto sarebbe potuto succedere se lei non lo avesse rifiutato. Aveva
scoperto quella ragazza di colpo, e così di colpo avrebbe dovuto dimenticarla.
Lo odiava e ne aveva tutte le ragioni del mondo.
Intanto,
nella camera degli orrori…
«Ahia,
Ryo-chan!», esclamò Hime, recuperando l’M&M’s che le aveva appena tirato in
un occhio. «Oh, è rossa! Mia!».
«Noo! Rossa la volevo io! Io riesco a prenderle solo tutte
marroni!», piagnucolò Hanamichi, prendendo il sacchetto delle caramelle e
ficcandoci dentro la testa.
«Fortuna
tua sono solo caramelle, allora», ghignò Mitsui, affondando un grissino nella
nutella.
Hime
scoppiò a ridere, seguita a ruota anche dagli altri. Si voltò verso Kaede,
sdraiato affianco a lei e gli occhi chiusi. «Dormi?».
«Ma
che domande fai, Hicchan?», chiese Hanamichi, come se fosse ovvio. «Quello
dorme anche quando va in bici!».
«Do’aho»,
bofonchiò il volpino, voltandosi dall’altra parte e riprendendo il suo
riposino, sperando che quei casinisti non lo disturbassero troppo e lo
facessero dormire in santa pace. Sospirò mentalmente: avrebbe dovuto rubare un
coltello da cucina e nasconderlo sotto il cuscino, per le evenienze. Pazienza,
sarebbe bastato anche un lenzuolo stretto intorno al collo, nel caso.
«Giochiamo
a Uno?», chiese Ayako, guardando tra i vari mazzi di carte a disposizione.
Hanamichi
la guardò perplesso. «E mica possiamo giocare a pallone qua dentro!».
Ci
mancò poco che ai presenti scendesse un coccolone grande quanto una casa.
«Hanamichi,
quello è Schiaccia Sette! Tu a carte sei proprio una sagoma!», commentò Ryota,
mischiando il mazzo.
Il
rossino si mise una mano dietro la nuca, ridendo imbarazzato. «Ma no, volevo
solo vedere se foste preparati! Ahaha!».
Gli
altri scossero mesti la testa, iniziando a giocare, tra caramelle zuccherate,
patatine e delizie varie.
«E
che cazzo, Miyagi! È la terza volta consecutiva che mi blocchi il giro!»,
esclamò Mitsui, sbuffando alla volta del compagno.
«Tranquillo,
Mitchi, ora ci penso io a fargli abbassare le penne!», disse in soccorso Hime,
che quando toccò a lei buttò giù una carta per pescarne altre quattro.
«Hime,
ti sto odiando», borbottò il playmaker, che così ora si ritrovava ancora con
undici carte in mano. Lei, in risposta, gli fece una linguaccia.
Ayako
alzò lo sguardo sul rossino. «Hanamichi, ma quante carte hai?».
Lui
le guardò, mostrandone solo due.
«Hai
capito la seghetta!», esclamò Hisashi.
«Ahaha! Sono un genio!».
Rukawa
si alzò un po’, il tanto giusto per vedere che carte avesse in mano il rosso.
«Un sei verde e un otto giallo».
Inutile
dire che i due iniziarono a darsela di santa ragione, tra le risa degli altri
che, invano, tentavano di fermarli.
*
Il
mattino seguente, quando Akagi entrò nella camera del volpino e del tiratore da
tre (dato che il Gorilla si era fatto dare una copia delle chiavi, alla faccia
della privacy) si ritrovò uno scenario che rasentava lo spettacolo tragicomico:
Hanamichi era per metà sdraiato sul letto (più precisamente le gambe) e per
metà per terra su un fianco, con le braccia lunghe distese sul pavimento;
Mitsui era addossato a Ryota, che nei suoi sogni più reconditi credeva di essere
abbracciato alla sua Ayakuccia; la prima manager era, invece, raggomitolata su
un divanetto, lontano da quel branco di caproni; infine Rukawa, con un braccio
a penzoloni e l’altro del tutto insensibile, causa la testa di Hime che lo
aveva relegato a cuscino.
Temendo
che gli saltassero definitivamente le coronarie, Kogure, aiutato dalle altre
matricole, lo portò via, mentre lui come un indemoniato, sbraitava contro quel
branco di buoni a nulla, avvolto nelle fiamme dell’inferno. E meno male che
avrebbero dovuto re-iniziare gli allenamenti, quella settimana! Erano le nove
meno un quarto e nessuno si era presentato a colazione!
Maki
e Jin, seguiti da Kiyota, appena tornati dalla sala pranzo, fecero una capatina
nella stanza, ridendo divertiti per la situazione. Quei ragazzi erano dei
terremoti. Povero Akagi che doveva tenere a freno quelle teste calde!
Nobunaga,
invece, sbuffò. Ci sarebbe dovuto essere lui al posto di
Rukawa. Lui avrebbe dovuto farle da cuscino!
«Che
branco di deficienti», sbottò, entrando in camera sua e sbattendo la porta.
Contemporaneamente
Ayako iniziò ad aprire gli occhi, infastidita da tutto quel caos. Fece per
allungare la mano verso il comodino, per afferrare la sveglia, ma qualcosa non
quadrò. Anche perché, sbilanciandosi troppo, si trovò bella che distesa per
terra.
«Porca
paletta, che male!», esclamò, accarezzandosi il fianco. Quando si rese conto
dello stato di cose per poco non le scese un infarto.
«Buongiorno!»,
esclamò Maki, sorridente.
«Buon–!
Ma brutto branco di caproni, vi sembra questa l’ora di dormire?», sbraitò la
riccia, sfoderando il ventaglio e svegliando a modo suo tutti gli altri.
Miyagi
e Mitsui strizzarono gli occhi, ancora nel dormiveglia. Quando però si
guardarono in faccia (troppo, decisamente troppo vicine per i loro gusti)
scattarono sul letto, indicandosi a vicenda. «Che cazzo ci facevi attaccato
come un polpo, hentai?!», gridarono all’unisono, rossi per l’imbarazzo.
Hanamichi,
nel frattempo, guardò il soffitto con la vista annebbiata, non capendo il
perché del suo mal di schiena improvviso. Quando rotolò sull’altro fianco per
mettersi in una posizione quantomeno decente, si ritrovò ancora a gambe
all’aria, sempre più confuso.
«Sakuragi,
dormi sempre così o è solo un caso?», chiese Jin, ridendosela.
Il
rossino sbatacchiò le palpebre un bel paio di volte, mettendo a fuoco i due
sulla porta. Poi con un balzo si mise in piedi, guardando la sorella e il
volpino ancora nel mondo dei sogni.
«Hanamichi,
fermo…!», provò a dire Ayako, capendo le intenzioni del rosso.
Troppo
tardi. Il rosso aveva già afferrato per le spalle il volpino e aveva iniziato a
scuoterlo violentemente per farlo svegliare e fargli una ramanzina che sarebbe
passata nella storia dell’oratoria. Altro che Cicerone!
Hime
fu l’ultima a svegliarsi, tra stiracchiamenti e sbadigli vari. Puntellandosi
sui gomiti si guardò intorno, in quel campo di battaglia che le fece venire in
mente la nottata appena trascorsa. Con un sorrisino divertito, esclamò: «Ma che
splendida giornata, non trovate anche voi?».
I
giocatori, immaginando la reazione di Akagi, non la pensarono esattamente così.
Gli
allenamenti, infatti, furono anche più distruttivi degli ultimi. Non solo i
ragazzi, ma anche Hime fu punita. Venne, infatti, relegata a portavoce tra gli
allenatori Anzai e Takato per appuntare le ultime cose sulla partita del
pomeriggio, facendo avanti e indietro ogni dieci minuti.
La
decima volta che si ritrovò nella palestra dove si stava allenando il Kainan si
buttò stremata nella panchina, affianco a Takato, che con il suo immancabile
ventaglio si stava facendo un po’ di fresco.
«Dimmi,
Sakuragi. È necessario dovermi portare ogni singolo foglio anzi che tutti
insieme?».
Hime,
imbronciata, incrociò le braccia sul petto, guardando il Capitan Maki
sorpassare la difesa di Takasago e andare a canestro. «Akagi è arrabbiato per
il risveglio di questa mattina e me la sta facendo pagare a modo suo! Quello
scimmione!», digrignò tra i denti.
L’allenatore
del Kainan si mise a ridere. «Fermati un po’ più del dovuto, così non dovrai
tornare subito dagli altri. Anche perché, detto tra noi, quello che ti sta
facendo fare è parecchio inutile».
Hime
lo guardò con occhioni luccicanti, inchinandosi in segno di rispetto. «Sensei
Takato, è il migliore!».
Kiyota,
sul campo, lanciò un’occhiata alla ragazza che stava allegramente
chiacchierando con il suo coach. Accidenti, perché stava facendo avanti e
indietro così? Non riusciva a concentrarsi!
Ed
ecco, infatti, che gli arrivò una pallonata in pieno viso.
«Kiyota!
Dormi o cosa?», esclamò irritato Maki, mettendosi le mani sui fianchi.
Hime
alzò lo sguardo su di lui, notando che era mezzo chino, con una mano sul naso.
«Accidenti,
ha ripreso a sanguinare», mormorò Nobunaga, guardandosi un dito sporco di
sangue.
Hime
si alzò, dirigendosi a grandi passi verso il centro campo. Lo prese per un
polso e se lo trascinò nello stanzino che avevano adibito a infermeria.
Nobunaga,
seduto sull’unica panca presente, la guardava, stupito e senza parole, mentre
la ragazza rovistava in una cassetta per le medicine, mandandone all’aria
l’intero contenuto. Piegò la testa all’indietro, per non far colare troppo
sangue, ma appena Hime se ne accorse gliela spostò bruscamente in avanti.
«Quando
perdi sangue dal naso non devi mai inclinare la testa all’indietro», gli spiegò,
imbevendo un pezzo di cotone con acqua ossigenata. «Rischi di fartelo scendere
in gola».
Si
chinò su di lui, iniziando a tamponare le narici arrossate. E lui la guardava,
studiandone i lineamenti del viso, i suoi occhi attenti, il nasino
impertinente… quanto era bella! Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Hime,
intimamente imbarazzata dell’attenzione che si sentiva addosso, lo tamponò per
bene, passando il cotone anche sulle labbra, sporche di sangue. Per un attimo
indugiò nel pulirgliele. Erano così invitanti.
«Sakuragi».
La
ragazza si risvegliò di colpo, alzandosi velocemente e affondando la testa
nella cassetta per le medicine, in completo imbarazzo. Nobunaga sospirò,
abbattuto.
Tornò
con uno spray decongestionante e glielo spruzzò due volte per narice.
«Questo
dovrebbe tapparti definitivamente i traumi che hai lì dentro», gli passò un
altro pezzo di cotone, pulito. «Continua a tamponare così, poi può bastare».
Kiyota
fece come gli aveva detto, borbottando un “ok” d’assenso. «Grazie».
Hime
fece spallucce. «La prossima volta vedi di concentrarti su quello che fai,
anziché imbambolarti come Hanamichi».
Nobunaga
dovette mordersi la lingua, o le avrebbe gridato dietro che stava guardando
proprio lei e che quindi era colpa sua se ora si era fatto male! Ma non gli
piaceva per niente la freddezza con cui lo trattava. Si sentiva ignorato,
sebbene gli avesse rivolto la parola e si fosse subito presa cura di lui. No,
così non andava bene. Avrebbe preferito cento volte il rapporto che avevano
prima di quell’inconveniente che quella freddezza. Sembrava un Rukawa al
femminile! Certo, si era comportato da vero deficiente il giorno prima ed era
più che comprensibile quel comportamento. Ma accidenti, l’aveva rifiutato! Come
poteva dire di no a un bel ragazzo come lui? Eh? Eh?!
Risvegliandosi
dalle sue chilometriche seghe mentali, la bloccò subito per un braccio, quando
la vide andarsene senza dire altro. Hime si ritrovò, così, a una decina di
centimetri da quel corpo sconvolgente, che neanche la sua testardaggine
riusciva a ignorare.
Nobunaga
prese un bel respiro, prima di trovare il coraggio di parlare. «Senti, lo so
che mi son comportato da idiota e… mi dispiace, Sakuragi».
Hime
sbatté le palpebre velocemente, cercando una qualsiasi via d’uscita da quella
situazione. Il cuore le stava martellando in petto e temeva veramente di fare o
dire qualcosa di sbagliato.
Kiyota
posò lo sguardo sulle sue labbra, imponendosi un po’ di calma. Voleva rovinare
tutto come l’ultima volta? «È che pensavo che tu–».
«Ehi,
ragazzi, tutto bene?». Maki arrivò in quel momento, così improvvisamente e
inaspettato che li trovò ancora vicinissimi, rossi in viso per l’imbarazzo.
«Ok, torno dopo!», esclamò, facendo retro march in men che non si dica.
I
due guardarono perplessi il playmaker andarsene velocemente, quasi fosse
contento di quello che aveva appena visto. Poi si voltarono tra di loro,
abbassando lo sguardo.
«Doomo arigatoo,
Sakuragi. Già non sanguina più».
Hime
abbozzò un sorriso, impacciata. Con una mano sulla nuca, mormorò: «Sai, noi Tensai…».
Kiyota
ricambiò insicuro e si allontanò velocemente per riprendere gli allenamenti,
ancora troppo tentato da quelle labbra che non aveva avuto la possibilità di
accarezzare a dovere.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Konnichi wa
minna-saaan!
Porca paletta, già
l'undicesimo capitolo! O.O *me si stupisce di se stessa*
Quanto mi son divertita
a scrivere il festino di questo capitolo! Hanamichi è una fonte di ispirazione
incredibile, è inutile! XD [vero Miha? xD]
Ma questo è niente
rispetto a quello che la mia mente malata ha scritto per i prossimi festini… uh
uh uh! XD
Spero vi sia piaciuto
anche questo capitolo. ( :
Angolino per i
ringraziamenti:
MihaChan: ehehe,
cara quanto ti capisco! :Q___ Inoue-sama è stato
proprio crudele a disegnare dei personaggi così… così… oh, my…!
*sviene* Ahaha! “Scimmietta porcellosa”!
Che incrocio! XD Grazie per il sostegno! *_* Besos! :*
SangoChan88: Awww!
Son felice abbia apprezzato il match! Anche perché dovevo scrivere di
basket… e lo farò ancora, perché lo adoro! *o* Vedrai, vedrai che succederà!
*me sghignazza*
Come sempre un grazie
anche a tutti coloro che leggono questa cosa!
Ja, mata
ne!
Kenjina.