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Autore: Noemish    30/09/2014    0 recensioni
Tania Benner ha avuto tanti momenti brutti in passato e li ha superati, con la conseguenza di un’anima fatta di cerotti. Nessuno può farcela da solo e lei ha finalmente qualcuno.
DAL CAPITOLO UNO.
< Hai dimenticato questi. > mi dice interrompendo ogni parola per respirare.
< Oh, emh, grazie. > rispondo secca. Vattene, su.
Mi sorride calorosamente. Non vedo i suoi occhi o il suo sorriso, il buio intorno a noi me lo impedisce, vedo solamente l’ombra del suo corpo. Che fa? Perché non se ne va?
< Mi chiamo Harry, sono il nipote di Marie. >
AVVERTIMENTI: sono presenti parolacce e un linguaggio volgare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno.



Fa abbastanza freddo questa sera e mi maledico mentalmente per aver scelto oggi come giorno degli allenamenti di autodifesa. Il cielo è leggermente oscurato e nuvoloso. Il vento fa ondeggiare i miei capelli dietro a me mentre io mi alzo la sciarpa che porto al collo fino al naso. Sono quasi arrivata davanti all'edificio che ormai conosco come le mie mani e infatti lo intravedo una ventina di metri da me. Aumento il passo, rendendomi conto che sto congelando e in qualche minuto arrivo li davanti, apro l'enorme portone di legno verde e immediatamente la luce mi abbaglia. Cercando il mio 'coach' con lo sguardo vedo alcuni ragazzi allenarsi tutti già parecchio sudati, finalmente però noto Kiw ai distributori di acqua parlare con due ragazzi, lo chiamo, lui si gira e ci salutiamo con la mano, dopodiché mi dirigo agli spogliatoi femminili, vuoti da sempre, dove l'unica anima vivente sono sempre stata io. Mi cambio togliendomi i vestiti di dosso e indossando un pantalone da tuta largo, una maglia che mi arriva sopra l'ombellico, due guanti fino a metà dita, delle scarpe comode e legandomi i capelli. Esco dallo spogliatoio e mi dirigo dove di solito svolgo il riscaldamento. Inizio a correre sul tapis roulant senza mai fermarmi per un mezz’ora, dopodiché aspetto Kiw e insieme andiamo agli attrezzi.
 
< Ciao Tania. >
< Sera coach. >
< Chiamami Kiw, lo sai che non mi piace e- > lo interrompo.
< Si lo so, ma mi viene naturale, iniziamo? >
< Si, per ora cinque serie da venti, flessioni e addominali. > mi dice sistemando il tappetino.
 
Svolgo gli esercizi dati da Kiw e dopo che ho finito iniziamo il vero allenamento, andiamo verso i sacchi e lui si mette dietro il sacco tenendolo mentre io, dopo aver indossato i guantoni, scaglio vari pugni e calci in basso e in alto. Mentre scaglio un pugno facendo scucire appena appena il sacco Kiw inizia a parlarmi.
 
< Ascolta Tania. >
< Si? > rispondo continuando a scagliare pugni.
< Ti andrebbe se insieme a te ci fossero altri due compagni che svolgono l'allenamento? > dice tutto d'un fiato.
 
Lo dice mentre sto tirando un pugno e la cosa mi ha abbastanza sorpresa, cosi tanto che mi faccio male al polso.
 
< C-cosa? > dico tenendomi il polso dolorante.
< Sono due ragazzi, poco più grandi di te, e io posso allenare solo nel tuo orario nuovi personaggi. >

< Si, ma ho solo questo orario libero. Perciò o è si o si. Decidi te. > dice allontanandosi verso il suo ufficio.
< Cazzo. > sussurro. Poi rilascio la mia rabbia in una serie di pugni.
 
Mancano ancora venti minuti di allenamento, ma io ora voglio solo tornare a casa. Mi dirigo verso lo spogliatoio, chiudendo la porta a chiave, mi spoglio e vado verso le docce, mi lavo velocemente in pochi minuti ed esco andando verso l'unica panchina non vuota. Mi asciugo il corpo con l'asciugamano e anche i capelli, dopo faccio su quest'ultimi una passata di phone veloce, mi vesto, lego i capelli in una cipolla incasinata abbastanza alta e sistemo tutta la mia roba nel borsone. Ho fatto tutto ciò in pochi minuti, sono maledettamente nervosa e paranoica al momento. Indosso anche il giacchetto e vado all’ufficio del coach. Busso, udendo un sonoro "Avanti" apro la porta. Trovo il mio coach intendo a segnare delle cose su un foglio e a parlare al cellulare. Mi fa segno con la mano di aspettare. Muoviti Kiw, voglio tornare a casa. Tra le sopracciglia gli si forma una rughetta e mordicchia il lapis in modo concentrato.
 
< Perfetto > dice. < Mmh.. Si certo... 70 euro al mese... il Martedi... dalle 18:30 alle 19:30... certo... A presto, buona serata anche a lei. > termina la chiamata.
< Coach io me ne vado, alla prossima settimana. > gli dico neutra. Alla fine ho accettato, non posso lasciare questo posto.
< Ciao Tania. >
 
Sono sicura che stava parlando con qualcuno che centri con quei due fottuti ragazzi che avranno il mio stesso orario. Per me è troppo strana questa cosa, faccio gli allenamenti da tempo e li ho sempre fatti da sola, speriamo bene. Chiusa la porta del suo ufficio, vado verso l'uscita, ma da lontano un ragazzo chiama il mio nome, rabbrividisco subito, non conosco nessuno di qui oltre a Kiw. Sono tra i miei pensieri mentre qualcuno mi tocca la spalla, mi giro spaventata prendendogli il polso e inchiodarglielo dietro la schiena.
 
< Ehi ehi tranquilla, ho solo trovato questo, pensavo fosse tuo. > dice mostrandomi il mio bracciale d'argento.
< Oddio scusami, grazie mille. > arrossisco. Noto subito che il mio polso è vuoto. Che figuraccia.
< Va tutto apposto, sono Chad, piacere di conoscerti. > Mi porge la mano.
< Io sono Tatiana, grazie per il bracciale Chad, ciao. > lo saluto senza stringerli la mano.
< Ciao Tatiana, spero di rivederti. > mi sorride lui.
 
Esco dall'edificio, mi dispiace molto per Chad, è un ragazzo carino, ma non riesco più ad essere quella di prima. Esco dall'edificio, rabbrividendo per il freddo, provo a coprirmi un po' di più invano. Alzo la sciarpa un po’ sopra la bocca, alzo il cappuccio della felpa e provo ad allungare le maniche fino ai pollici. Sto morendo di freddo, appena arriverò nel mio appartamento accenderò il camino e mi farò una bella tazza di tè caldo. Sono molto vicina a casa, ma mi maledico mentalmente quando ricordo che a casa non c’è più tè. Con il borsone sulle spalle perciò torno in dietro verso l’ alimentari qui vicino, dovrebbe essere ancora aperto, lo vedo da una ventina di metri che sta per chiudere cosi con una corsa veloce entro svelta, vado in fretta allo scaffale del tè e ne prendo di due tipi poi svelta mi dirigo alla cassa. Dietro ad essa c’è un ragazzo, strano dov’è Marie? Lui ha un cappellino grigio di lana che gli copre i capelli ed è abbassato intento a scrivere qualcosa.
 
< Mi scusi dovrei pagare questi. > dico agitata. Non mi piace rimanere in un negozio con solo un ragazzo.
< Si, subito. > dice, sempre con lo sguardo basso.
 
Prende le scatole e guarda il prezzo, lo scrive sulla cassa e fa lo scontrino.
 
< Tre sterline. >
< Tenga arrivederci. > Prendo una banconota trovata a caso nelle tasche dei pantaloni e prendendo il tè scappo fuori.
 
Ho freddo, voglio tornare a casa. Sembro fatta di brividi. Cammino velocemente via da li, ma quando arrivo davanti al cancello del palazzo e lo sto per aprire,  sento un ragazzo chiamare qualcuno.
 
< Ragazza! Fermati! >
 
Mi giro impaurita e stranita vedendo il ragazzo dell’alimentari, almeno cosi sembra, correre verso di me. Mi guardo attorno, ci sono solo io. Di nuovo sola con lui. Cosa vuole? E perché mi ha rincorso fino a casa mia? Arriva davanti a me affaticato e mi porge lo scontrino e il resto.
 
< Hai dimenticato questi. > mi dice interrompendo ogni parola per respirare.
< Oh, emh, grazie. > rispondo secca. Vattene, su.
 
Mi sorride calorosamente. Non vedo i suoi occhi o il suo sorriso, il buio intorno a noi me lo impedisce, vedo solamente l’ombra del suo corpo. Che fa? Perché non se ne va?
 
< Mi chiamo Harry, sono il nipote di Marie. >
 
Ora capisco, ma come mai era li? Dov’è Marie? Marie è una donna sulla settantina, la conosco fin da piccola grazie a mia nonna, si incontravano spesso nella casa dove vivo e prima che la nonna morisse stavano molto insieme, da allora mi è sempre stata molto vicina. È come se fosse la mia seconda nonna. Perché non mi ha mai parlato di suo nipote?
 
< Oh, io sono Tatiana. > mi presento, dopo aver notato che un silenzio era calato su di noi.
< Beh io torno all’alimentari, spero di rivederti presto Tatiana. > dice subito dopo tornando sui suoi passi.
< Si, certo, ciao Harry. > rispondo timorosa.
 
Apro il cancello e percorro il piccolo tratto fatto di mattonelle fino alla porta dell’edificio, cerco le chiavi nella tasca del giacchetto e apro la porta, entro e la chiudo facendo uscire un sospiro che non pensavo di trattenere. Qui fa meno freddo, prendo l’ascensore e quando finalmente arriva al quarto piano mi dirigo subito verso la mia porta, la apro e la richiudo appena entrata, finalmente, casa dolce casa. Lascio cadere, come sempre, il mio borsone vicino alla porta con sopra il giacchetto e le scarpe vicine, prendo due ciocchi di legna dal enorme contenitore di rame e le sistemo nel camino, con un accendino accendo un foglio di carta che prende subito fuoco con alcuni stecchi. Vado verso la cucina e metto a bollire un pentolino con dell’acqua lasciandoci vicino le due confezioni di tè. Accendo la tv che si sincronizza subito su il tg, ma cambio, non voglio deprimermi più di quanto già sia, metto MTVmusic, lancio il telecomando sul divano e con nonchalance vado a prendere la borsa e la porto in camera sul letto, accendo la luce e metto i vestiti sudati a lavare, poi lascio la borsa sotto il letto. Che stanchezza! Appena tornata in soggiorno mi lascio cadere sul divano sfinita. Voglio il mio tè.

                                                                              {***}

< Piccina. >
< Ciao zia Marie. > le sorrido. Ormai la chiamo sempre cosi.
< Come mai sei venuta cosi presto questa mattina? > Mi abbraccia subito. Alzo le spalle in risposta. < Sei la solita, proprio come tua mamma. >
< Mia mamma era.. >
< Tua madre era imprevedibile. > sorride al ricordo. < Tale e quale a te. > mi ammicca.
 
Le sorrido, mia madre, chissà com’era. Me lo sono sempre domandato, i conoscenti e le foto che mi sono state mostrate presentavano sempre una ragazza con i capelli biondi e gli occhi verdi, ne grossa ne magra, in forma. E io sono esattamente cosi. Sono la sua copia spiccicata, oltre a una piccola voglia scuretta tra la mascella e l’orecchio, un mio segno di riconoscimento ovviamente, presa da mio padre. Mio padre, ho vissuto con lui fino ai 18 anni, poi però sono rimasta con mia nonna. La mia salvezza. E quando lei morii mi è rimasta Marie, giuro che se perdo lei perdo tutto.
 
< Entra piccina. > Mi fa spazio per passare.
< Come stai zia? Ieri sono passata all’alimentari ma- > Mi interrompe, lei e la sua mania di interrompere.
 
Ci sediamo sul divano di stoffa giallognola e verde, incrocio le gambe dopo essermi levata le scarpe, sul divano mentre lei le accavalla iniziando a parlare a raffica. Peggio di una pettegola, penso.
 
< Non c’ero lo so, avevo bisogno di riposo e mio nipote si è offerto di lavorare al posto mio. È sempre molto premuroso, si chiama Harry e è dolcissimo con me >
< Non mi hai mai detto di avere un nipote Marie. > ridacchio, fingendomi offesa con tanto di mano sul cuore.
< Non mi sembrava il caso, ha finito di studiare un mese fa ed è tornato dall’America, era andato a studiare là. >
< America, wow, è uno studioso allora? >
< No, per niente, insomma ha preso tutto dal padre. > mi sorride ammiccandomi. Ridacchio.
 
Prima che io dica o domandi qualcosa inizia a raccontarmi tutto di lui, del suo adorato nipote che non vede quasi mai e che io ho visto una sola volta in 21 anni di vita. Mi parla del suo carattere, dei suoi comportamenti, della sua adolescenza, dei suoi cambiamenti, del fatto che quando era alle medie le portava tutte le ‘fidanzatine’ che aveva e gliele presentava e lei non ricordava mai il nome, ma anche di episodi banalissimi e di sicuro imbarazzanti di quando lui da piccino era caduto nella vasca da bagno mentre si lavava perché stava cercando di acchiappare una bolla di sapone. Insomma mi sembra che questo Harry io lo conosca più di quanto volessi. E l’ho visto solo una volta, tempo record! Dopo un’ora che mi parla di suo nipote e di tutta la sua vita la blocco appena dice una frase che non mi piace per niente e cioè “Vorrei lo conoscessi, ci potresti fare amicizia.”
 
< Uouo! Marie fermati! Lo sai che rapporti ho con le persone di sesso maschile. > abbasso lo sguardo. < Non voglio avere contatti con nessuno che abbia qualcosa che noi donne non abbiamo. > Lei sorride tristemente.
< Piccola Tati. > mi abbraccia. < So che è difficile, ma devi superare questa cosa. >
< Non ce la farò mai. > sussurro arresa.
< Un buon inizio sarebbe frequentare ragazzi della tua età. >
< Ma non mi hai appena detto che Harry ha 23 anni!? >
< Ha solamente due anni più di te cara. > ammicca. < E poi, come ti ho ripetutamente detto, è rispettoso e simpatico, potreste diventare grandi amici. >
< Smettiamola di parlare di Harry. > annuncio sistemandomi diversamente sul divano < Kiw ha messo due nuovi ragazzi nei miei stessi orari di allenamento. > sbuffo.
La interrompo.
< Meglio nulla, zia! Almeno gli allenamenti li voglio fare da sola. > Nascondo la mia testa tra le ginocchia.
< Ma dai piccina, andrà tutto bene tranquilla. > Mi accarezza la schiena dolcemente. < Ti va dei cupcake al cioccolato con sopra la panna? Ne dovrei avere alcuni. > sorride.
 
Alzo la testa speranzosa guardandola con uno strano luccichio negli occhi. Sembro una bambina, mi faccio pena da sola. Annuisco piano stringendomi ancora nelle mie gambe per poi lasciarmi andare sul divano.
                          
                                                                           {****}

Siamo a dicembre e dire che fa un freddo pazzesco è un euforismo. Mi incammino verso l’università assolta nei miei pensieri: alla fine Marie mi ha organizzato un ‘incontro’ con Harry, per questa sera, a casa sua. Personalmente? Sono stressata. Non so come comportarmi con lui, è comunque un uomo, un ragazzo, un maschio. Non posso fidarmi di lui. Ma Marie.. lei è tutto per me ora. Mi devo fidare.. e per me costa veramente tanto. Per fidarmi di Kiw mi ci sono voluti circa 3 anni; in cui, quando andavo alla palestra, non mi facevo neanche toccare per essere aiutata, ma lui ha capito, mi ha compreso e mi ha aiutata, di lui ormai mi fido. Ma Harry? Harry come sarà? L’ho ‘visto’ solo una volta, all’ombra dell’oscurità della notte, non ho visto niente di lui se non la statura e la corporatura. Mi è sembrato responsabile e cortese, ma che sia realmente cosi? Ho paura, sono agitata, spero solo di non fare una mia solita figura di merda. Ok basta, sono arrivata davanti all’università, passando il cancello e sotto gli sguardi soliti di molti alunni, sorpasso la porta andando in classe. Prima ora: Spagnolo. Ho l’interrogazione programmata. Sono preparata, adoro questa materia e sono fiera di me stessa visto che il mio voto è il sopra la media. Entro in classe prima che la campanella suoni, saluto la professoressa sedendomi al mio banco.
 
< Signorina Benner. > mi chiama la prof.
< Si, prof? > Mi alzo e mi avvicino alla cattedra.
< Va bene se viene interrogata in un modo diverso dal solito? > Inizio a sentirmi a disagio.
< Emh in che senso scusi? >
< Lei mi dovrà tradurre tutto ciò che dirà un altro alunno e segnare da se gli errori se non sa qualcosa, mi fido di lei signorina. >
< Oh. > Figo. < Certo professoressa. >
< Bene per l’alunno.. > Inizia a scorrere con lo sguardo su e giù per il registro <.. Micheal Jones. >
 
Mi irrigidisco. Dovrò passare tutte le ore scolastiche attaccata a un ragazzo. Un maschio. No, non ce la posso fare, preferisco prendere un’insufficienza. Ma che ce l’hanno tutti con me?
 
< Professoressa mi scusi ma- > Non faccio in tempo a finire la frase che la campanella suona, segno evidente dell’inizio delle lezioni.
< Bene signorina. > Gli altri alunni iniziano lentamente ad entrare ridendo o sbuffando, finché non entra Micheal che viene richiamato dalla professoressa, si avvicina a me. < Micheal voglio che la signorina Benner e lei stiate assieme tutto il tempo per questa giornata nelle ore scolastiche, voglio che lei traduca tutto ciò che tu dirai e se non saprà dire qualcosa lo dovrete segnare. >
< Oh emh, okey prof. > dice imbarazzato lui.
< Bene, andate a sedere, magari vicini di banco e iniziamo la lezione. >
 
Sono a disagio, rigida e ho alzato le mura, sarò fredda e distaccata, me lo stento. Io e lui ci sediamo nei primi banchi senza proferire parola, finché lui non spezza il silenzio che cercavo di mantenere visto che volevo assolutamente ascoltare e stare attenta alla lezione della mia adorata materia preferita.
 
< Almeno se parliamo non ci ribecca. > “Al menos si estamos hablando de no castigarnos.” Traduco mentalmente.
< Già. > rispondo secca.
< Hai tradotto la frase che ho detto? > “Ha traducido la frase que le dije?”
< Si. >
< Perché sei fredda? > “¿Por quéestá frío?”
 
Alzo le spalle. Lui si arrende nel cercare di attaccare bottone e prova a seguire la lezione, meglio. Meno cose dice meno dovrò tradurle nella mia mente, più avrò il voto alto. Non voglio mentire alla professoressa che davanti a me inizia a spiegare un testo di un poeta spagnolo che personalmente non conosco ma che mi affascina, speriamo bene.

Suona la campanella dell’ultima ora, menomale, io e Micheal ovviamente non abbiamo più parlato da quel ‘dialogo’ avuto nella prima ora. Prendo il libro di fisica e lo infilo dentro la cartella per poi alzarmi, ormai la classe è deserta, oltre a Micheal che mi aspetta osservandomi dallo stipite della porta. Mi avvicino.
 
< Andiamo dalla prof di spagnolo? > domanda. “Vamos por el profesor de español?”
 
Annuisco rimanendo in silenzio e ci avviamo verso la sala insegnanti, io che tengo stretto lo zaino a me e lui imbarazzato che vorrebbe dire qualcosa ma che non sa cosa dire. Apre e chiude la bocca senza emettere suono più volte. Non è imbarazzante, è peggio, e mi sento in colpa perché lui sta cosi per me, ma io, io non riesco ad essere più socievole come prima.. E se Marie avesse ragione? Dovrei dimenticarmi tutto e essere forte? Ricominciare da capo andando avanti? No.. Non me la sento. Non mi sento pronta, anche dopo 3 anni io non mi sento pronta. Ma perché?
 
< Ragazzi! Com’è andata l’ “interrogazione”? >
< Bene sisi. > risponde Micheal al posto mio.
< Tatiana puoi anche smettere di tradurre. > sorride la prof. O credeva che io le stessi ancora traducendo? Ero assolta nei miei pensieri da sfortunata ragazza ventunenne.
< Va bene. > sospiro.
Dopo che ci fa qualche domanda e Micheal si inventa delle cose per alzarmi in voto la prof dice: < Bene, buona giornata ragazzi, arrivederci. >
< Arrivederci prof. > la salutiamo all’unisono.
Siamo appena usciti dall’edificio scolastico. Non vedo l’ora di andare a casa. < So che non stavi traducendo prima. > mi sussurra il ragazzo.
 
Lo guardo sorpresa che avesse aperto bocca.
 
< Cos’hai Tatiana? Non sei come le altre, che succede? > mi domanda penetrandomi con lo sguardo.
 
Ha gli occhi azzurri, non li avevo mai notati, occhi azzurri e capelli neri, un contrasto devo dire fantastico. Sembra che quegli occhi mi stiano leggendo dentro infrangendosi con i miei. Abbasso lo sguardo incapace di sostenerlo e senza farlo apposta una lacrima cade dal mio occhio sinistro che io, preparata, l’asciugo con la manica della felpa. Sento due braccia grandi stringermi e sussulto a quel contatto, è circa.. è tanti anni che non ho un contatto del genere con un ragazzo, fa quasi effetto. Incomincia ad accarezzarmi i capelli lunghi e a quel contatto mi allontano bruscamente. Tutto mi ritorna in mente, le sue mani sul mio corpo, sulla mia schiena che sfilavano la mia maglia. Orribile. Chiudo gli occhi e dopo tanto che non piangevo crollo sotto gli occhi scioccati di quel ragazzo.
 
< Tati che succede?! >
 
Alzo lo sguardo sentendo solo la prima parola da lui pronunciata. Tati. L’ultimo maschio che mi ha chiamato cosi è stato il mio incubo peggiore. Scoppio a piangere ancora più forte e lui mi abbraccia nuovamente, solo che stavolta nessun sussulto nessun spostamento da me, mi lascio semplicemente cullare da due braccia di un sesso che è stato distaccato da me per troppo tempo. Rimanemmo li finché un bidello ci incomincia a gridare contro di non stare davanti. Mi infilo il giacchetto cercando calore che non tarda ad arrivare, il problema è che è arrivava da due braccia e da un corpo che mi avevano nuovamente stretto a se e non dal giacchetto.
 
< Ti va una cioccolata calda? Sono appena le sei. >
 
Lo guardo e lui guarda me negli occhi. E non so come, non so con quale coraggio e con quale forza, mi fido di lui e annuisco non riuscendo a dire niente. Mi passo in malo modo le mani sul viso cercando di nascondere l’espressione distrutta che ho assunto. Lui mi sorride per poi passare una mano tra i miei capelli scompigliandoli leggermente. Nascondo dentro di me quella brutta sensazione che ho, perché quell’atto mi ricorda purtroppo le sue mani strette nei miei capelli, e sorrido falsamente. Lui leggermente deluso, ma pieno di speranza mi fa un cenno con la testa di proseguire con lui.
 
< Puoi ridarmi lo zaino? > domando dopo circa dieci minuti in silenzio.
< No signorina. >
< Perché? > lo guardo scioccata e leggermente alterata.
< Semplice, non voglio che ti affatichi. >
< Ce la faccio benissimo da sola. > borbotto prima di inciampare e cadere quasi a terra, menomale che lui mi afferra saldamente li braccio.
< Certo, è divertente sentirlo dire da quella che stava per cadere. > ridacchia.
 
Non apro più bocca per ben dieci minuti, sia perché stavo pensando, sia perché mi sentivo ancora a disagio, sia per farli dispetto. Dopo che siamo entrati nel bar “Da Fernegan.” e ci siamo seduti lui incomincia a farmi domande, il che mi da leggermente fastidio, ma che mi fa anche sorridere.
 
< Dai rispondimi! > Sesta volta che ripete queste due parole. < Farò tutto quello che vuoi se mi rispondi. >
 
Lo guardo con sguardo di sfida. Inizio a pensarci su mentre lui mi guarda implorante. È strano, essere in questa situazione, insomma.. io, Tatiana Benner, a prendere una cioccolata calda con un ragazzo. Giorno da scrivere sul calendario. Persa dei miei pensieri torno alla realtà quando la cameriera porta le nostre ordinazioni precedenti al tavolo. Ok devo lasciarmi andare.. come ha detto Marie.
 
< Voglio che prendi questa tazza di cioccolata, vai dalla cameriera e gliela versi sulla camicetta. > sorrido malignamente.
< Spero tu scherzi! > Strabuzza gli occhi lui.
 
Faccio segno di chiudermi la bocca con una cerniera e di buttare via la chiave. Che poi cosa centra la zip con una chiave?! Lui sospira rassegnato e prende la tazza, si alza e si avvicina alla cameriera, mi guarda con un sorrisino divertito e si avvicina alla cameriera, per poi versarle direttamente il contenuto della tazza sul seno molto esposto. Inizio a ridacchiare trattenendo delle risate che si potrebbero sentire troppo alla reazione della mora ossigenata. Inizia a sbecerare come una pazza mentre Micheal imbarazzato ma divertito torna al nostro tavolo.
 
< Contenta? Ora mi parlerai? >
 
Faccio per rispondergli ma invece inizio a ridere come una forsennata. Mi guarda qualche secondo per poi ridere anche lui. Dopo che ci siamo calmati bevo la mia cioccolata e lui ne ordina un’altra, quando abbiamo finito usciamo entrambi sorridenti. È cosi strano, è tanto che non mi sentivo a mio agio con qualcuno, mentre bevevamo la cioccolata chiaccheravamo e ridevamo divertiti ed è veramente troppo che non sorridevo cosi. Anche con mia nonna e Marie è sempre stato difficile strapparmi un sorriso e invece lui era riuscito a farmi sorridere, ridere, sfogarmi e stare a mio agio in poco più di cinque ore da quando ci conoscevamo. Il casino più grande? Con lui ero anche riuscita a farmi ‘toccare’. Più volte mi ha dato una spinta sul braccio o uno scappellotto. Con Kiw, al contrario, i primi anni, se mi toccava lo uccidevo con lo sguardo.
 
< Ti odio. > sussurro stringendomi nel giacchetto. Che freddo.
< Cosa? Perché? Che ho fatto? > Non volevo mi sentisse, accidenti. Si para davanti a me e mi blocca tenendomi le spalle inchiodando il suo sguardo preoccupato nel mio.
< Sei riuscito a tirare giù tutti i muri che mi ero creata in tutti questi anni, hai distrutto la mia corazza in poco tempo. > Sussurro guardandolo.
 
Alle mie parole lui sorride e mi abbraccia subito dopo. Terzo abbraccio. Sorrido al pensiero che dopo tanti anni quello era il terzo abbraccio che ricevevo da una figura maschile.
 
< Quando vuoi per te ci sono Ti >
< Ti? > Alzo la testa dal suo petto per guardarlo con un sopracciglio alzato.
< Si! Nuovo soprannome, che te ne pare? > sorride nuovamente.
 
Rido, che scemo che è! Inizia a squillarmi il cellulare, con uno sbuffo lo prendo e accetto la chiamata senza notare chi fosse a chiamarmi alle 19 di sera. Le 19. Le 7 pm. Cazzo la cena da Marie!
 
< P-pronto? >
< Tati! Piccola mia! Dio dove sei? Che fine hai fatto? Dovevi essere qui un quarto d’ora fa! > Marie.
< Scusami zia, io.. io ho avuto un.. sono rimasta con un.. un amico > sorrido, pronunciando quella parola, a Micheal.
< Un amico?> Una pausa. < Mi racconterai tutto vero? > Sento che sta sorridendo, ne sono certa.
< Si, zia, si. > ridacchio.
< Quando arrivi? >
< Io ora torno a casa, per le otto dovrei essere li. >
< Ti aspettiamo, a dopo. > “Ti aspettiamo” Cavolo, già c’è suo nipote? Bene, prima figura di merda della serata.
< A dopo zia. > Attacco e deposito nuovamente il cellulare nello zaino. < Scusa Micheal ma devo andare, mia zia mi aspetta a cena. >
< Vuoi un passaggio? Ho l’auto qua dietro. >
< Cioè aspetta, tu mi stai dicendo che hai l’auto e che quando siamo usciti dall’università invece di prenderla e evitare cosi la mia figuraccia hai preferito camminare?! >
< Si, emh, vuoi ancora essere accompagnata? > ridacchia lui.
< No. > mi imbroncio.
< Dai, non fare la bambina. > mi abbraccia. Quarto abbraccio, okey basta contare gli abbracci. Che faccio? Accetto?
sorrido. E finalmente sono felice.

 
-Momento Autrice-
Allora? Che ne pensate? Sinceramente è tipo un anno che ho questo capitolo salvato, ma non ho mai avuto il coraggio di pubblicare qualcosa dopo il fallimento della mia prima pubblicazione.
Vi piace come primo capitolo? Spero lo leggiate in tanti e spero di poter aggiornare presto. Baci xx
-Noemish
  
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