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Autore: Ranyadel    30/09/2014    1 recensioni
Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.
***
“Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol.
***
“So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” Fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare.”
***
"Di solito le persone hanno paura."
"Di cosa?"
"Di sé stesse."
***
"Vieni con me."
"Eh?"
"Coco, vieni con me. Venite con me, tutte quante."
"Ma io non..."
"Ti ho promesso che ti sarei stato vicino, e ormai dovresti aver capito che mantengo sempre le mie promesse."
***
"È che ho troppi fantasmi alle mie spalle e mostri nella mia testa per poter essere davvero felice."
"Oh, ma li vedo."
***
Una ragazza particolare, che sa leggere gli occhi.
Coralie.
Un ragazzo speciale, con occhi che la catturano e la intrigano, così semplici da leggere e allo stesso tempo così complessi da capire.
Luke.
Un amore nato da sguardi e gesti.
***
trailer: https://www.youtube.com/watch?v=nPR1CdGLUV8
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The only reason

Parte 1

“Cioè, tu sei a New York, e non mi dici nulla?!” esclamò Emmaline dall’altra parte dello schermo. Io feci la faccia più angelica del mondo. “Volevo farti una sorpresa!” mi giustificai. La realtà? Con tutti i pensieri che avevo per la testa, me l’ero completamente dimenticata. Era impressionante la mia capacità di cestinare le informazioni ancora prima di averle immagazzinate. Lei dovette intuire qualcosa, perché mi guardò torva, come a dire, so che hai un segreto e costi quel che costi lo scoprirò.

Eravamo tornati in hotel dopo quel pomeriggio che ci aveva cambiato la vita. I ragazzi erano sfiniti, troppa tensione, e anche noi non eravamo messe bene. Avevo passato un pomeriggio piuttosto strano, con i ragazzi che facevano a turno per non farmi raggiungere la mia camera. Prima Carol mi aveva chiesto aiuto per smontare la sua valigia, poi Calum mi aveva dovuto far leggere a tutti i costi un testo, e così via… morale? Non avevo visto Luke tutto il pomeriggio, se non la sera tardi, quando eravamo rientrati in camera per crollare sul letto, come gli altri, del resto. Tutti dormivano, ma chi era l’unica che ancora soffriva per il jet lag?? Che cosa brutta vedere tutti che dormono e avere gli occhi spalancati. Mi ero svegliata alle cinque di mattina, troppo scombussolata per dormire ancora, e mi ero messa sul balcone per guardare l’alba e, chissà, magari trarne qualche ispirazione. Non avrei saputo dire per quanto fossi rimasta a scrivere, sapevo solo che avevo steso ben più di una decina di pagine. New York mi faceva bene.

Avevo deciso di infilarmi sotto la doccia, ma mi era arrivata all’ultimo la chiamata di Emmaline su Skype, e mi mancava parlarle. Già che ero sul balcone, aveva capito dove mi trovavo.

“Ma che ci fai lì?!” fece poi mia sorella, scandalizzata. Io le spiegai tutto dall’inizio, e lei era una maschera di stupore ad ogni mia parola. “Ok, decisamente, ho bisogno di fare un giro. Lavorare troppo mi ha fatto tornare le allucinazioni. Il tuo ragazzo non sta per diventare una star, me lo sto solo immaginando” cercò di farfugliare lei. Io scoppiai a ridere. “Tesoro, è tutto vero. Forse non diventerà una star, ma siamo sulla strada buona.”

“Oddio non ci credo! E QUANDO VOLEVI DIRMELO?!”

“Voleva essere una sorpresa!”

“Ma vattene a quel paese, te e la tua sorpresa, dimmelo piuttosto che te ne sei dimenticata!”

Ups, beccata.

“Ma lo sai che ti voglio bene?” chiesi con un faccino adorabile. “Ti conviene essere così lontana da me, che a questo punto ti avevo già strangolato” mi ammonì lei. Ci guardammo e scoppiammo a ridere. “Ok, senti, io devo andare. Salutami tutti, eh?”

“No, aspetta! Mi serve un favore!!”

“Cosa?”

“Ti ricordi i bracciali a mezzi nodi che facevi sempre??”

“Certo.”

“Non è che puoi farmene uno???”

“Perché?”

“Diciamo che ho ridotto molto male quello che mi avevi fatto da piccola…”

“Ok, ok, mi metto al lavoro, capo!” feci. Lei mi ringraziò in tutte le lingue del mondo a lei conosciute (inglese, italiano, francese, Emmalinese) e chiudemmo la chiamata. Se volevo un modo per passare il tempo, l’avevo trovato alla grande: i bracciali a mezzi nodi erano una cosa lunghissima da fare. Intanto, però, mi infilai sotto la doccia. Misi la musica alta e iniziai a cantare, mentre l’acqua calda mi rilassava subito. Una particolarità di me era che, anche con quaranta gradi, la mia doccia doveva essere calda, al massimo tiepida. Non ricordavo di aver mai fatto una doccia fredda. Un’altra particolarità era che gestivo i tempi a ritmo di musica: due canzoni per lo shampoo, una per il balsamo, una per il corpo. Era un mio rituale personale. Mi piaceva cantare sotto la doccia, alla faccia di chi dice che è un terribile cliché.

Ci misi un po’ più del dovuto (cinque canzoni) e mi avvolsi in un grande asciugamano. Tamponai un poco i capelli, giusto per non gocciolare, e li lasciai all’aria ad asciugare. Uscii poi dalla doccia e trovai Luke che si stiracchiava. “Da quanto sei sveglio?” chiesi sorridente. “Più o meno alla orribile stonata che hai fatto mentre cantavi Best song ever” mi prese in giro lui ridacchiando. “Ehi, tu sei il cantante, io la scrittrice. Io non giudico i tuoi scritti, tu non giudicare le mie stonature” feci io, sorridendo. “Ok, ok, ma la prossima volta, gli acuti di Zayn, lasciali a Zayn” fece, avvicinandosi a me e dandomi un bacio a stampo. Io alzai gli occhi al cielo.

Come al solito, avevamo le camere separate, e io e Luke eravamo in quella più piccola, ma con la vista migliore. “Vai tu in doccia, ora?” chiesi. Lui annuì e prese il cambio dalla valigia che ancora dovevamo disfare. Sì, come organizzazione eravamo messi male, e no, non ci importava. “Stasera che facciamo?” chiesi ad alta voce, perché lui mi potesse sentire. “Non prendere impegni, amore, oggi ho organizzato una cosa speciale!” urlò lui in risposta. Io sorrisi raggiante e saltellando mi fiondai sulla mia valigia. Mi cambiai in fretta, mettendomi solo una maglia XXL e dei pantaloncini da pallavolo. Notai che erano le nove di mattina. “Che mi metto? Elegante o che altro?”

“Ti prego, non mettermi di fronte ad altre scelte di moda!”

“Solo per sapere come devo vestirmi!”

“Non fare niente, ci penso io!” urlò lui. Io feci spallucce e tirai fuori dalla valigia il mio set di ago e cucito. Presi otto spilli e li piantai in una scatola di scarpe, creando il telaio per il braccialetto. Annodai poi i fili colorati agli spilli e iniziai a intrecciare il bracciale. Era rilassante e mi aiutava a concentrarmi, in più, potevo capire di che stato d’animo ero: più i nodi erano stretti, più ero nervosa. Nonostante tutto, mi sforzai di stringerli per far venire bene il bracciale. Dieci minuti dopo, avevo fatto solo quattro righe di nodi quando Luke uscì dalla doccia. In boxer. Io lo guardai sorpresa. “Amore mio, mi vuoi mandare in tilt? Ci stai riuscendo” dissi solo, scrutando il corpo di Luke alla stregua di una pervertita. Lui si mise a ridere. “Scusa, scusa, mi copro subito”

“No no, fai pure!” dissi invece io, ridacchiando. A parte gli scherzi, non volevo sembrare una pervertita per davvero, quindi gli porsi il mio asciugamano. Lui ci si avvolse e si avvicinò a me, chinandosi alla mia altezza. “Dillo di nuovo” mi sussurrò. “Cosa?”

“Amore mio.”

“Perché?”

“Perché mi piace sentirtelo dire” rispose con il più innocente dei sorrisi. Rischiavo davvero di sciogliermi. Feci incontrare le nostre labbra e, come al solito, iniziai a giocherellare col piercing. Quanto lo amavo.

Ci separammo quando entrambi avevamo troppo bisogno d’aria per andare avanti. “Allora, che ti metti oggi?” chiesi. “Sai la camicia a scacchi per cui tu vai matta?”

“Quella rossa e nera?”

“Già.”

“No, volevo fregartela io!” piagnucolai. Lui sorrise. “Penso che non avrai bisogno di fregarmela” disse, frugando nella valigia e porgendomi un pacco regalo. Io sgranai gli occhi dalla sorpresa e scartai il pacco, emozionata come una bambina a Natale. Era una camicia uguale alla sua, solo chiusa sul davanti e più femminile. “Grazie, grazie, grazie!” esclamai con voce acuta, saltandogli addosso e travolgendolo con un mega abbraccio stile koala. Lui si mise a ridere, soffocato dalla mia stretta micidiale. “Piccola, la giornata è appena iniziata, non uccidermi subito, ti prego!” esclamò poi, mentre nonostante le sue parole ricambiava la stretta, ma in modo più delicato. Io mi tolsi la giga maglia per cambiarla con la camicia e mi parai davanti allo specchio. “È bellissima!” esclamai emozionata. Lui si affiancò a me e sorrise. “No, tu sei bellissima” rispose dandomi un piccolo bacio sulla tempia. Poi, s’immobilizzò e impallidì. Si fiondò sul bordo della camicia, dove notai sventolare il cartellino del prezzo. Solo lui poteva essere così genio da lasciarlo. Scoppiai a ridere, mentre lui litigava con il cartellino per staccarlo senza farmelo vedere. “Ce n’è di gente stupida in giro, ma accidenti, io li batto tutti!” esclamò lui, borbottando, facendomi ridere ancora di più. Alla fine, si chinò per strappare il cartellino coi denti. Sbuffò soddisfatto quando riuscì a vincere la sua guerra. “Accidenti, la prossima volta mi porto dietro un machete” fece poi, strappando il cartellino in tanti minuscoli pezzi e buttandolo. Io, intanto, avevo mal di pancia dal ridere. “Ok, facciamo finta che tutto questo non sia mai accaduto” disse lui, pulendosi le mani. Io gli presi un dito e glielo feci vedere: era segnato da una riga rossa, che indicava il punto dove aveva forzato il filo di plastica. Lui guardò truce il segno, borbottando un: “Maledetto cartellino” e massaggiando il polpastrello per far circolare il sangue. Io, intanto, ridevo di nuovo. “Ok, ci sono. Dai, prepariamoci che la giornata ha solo ventiquattro ore e me ne servirebbero quarantotto” disse poi frettoloso. Io presi un paio di Jeans neri stretti e li infilai, mentre lui faceva lo stesso con un paio suo. “Ok, no, stiamo esagerando con la storia dei gemelli” disse poi, ridacchiando e cambiandosi i pantaloni, mettendo dei jeans più larghi, sdruciti e pallidi. S’infilò la camicia – che mai e poi mai avrei smesso di rubargli – e le scarpe, mentre io lo imitavo e lottavo con le All Stars nere. Mi infilai il mio berretto e presi al volo la borsa, mentre lui metteva portafoglio e cellulare nelle tasche, e uscimmo.

Rimanemmo cinque minuti buoni ad aspettare l’ascensore del grattacielo/hotel. In quel lasso di tempo, non so come, mi ritrovai con le spalle al muro e le labbra di Luke premute prepotentemente sulle mie. Le sue mani vagavano liberamente sui miei fianchi, stringendoli, avvicinandomi a lui. Io, invece, lo tenevo stretto a me, con le mani intrecciate sulla sua nuca. “Hemmings! Lemaire! Un po’ di contegno, vi prego! Almeno non in mezzo al corridoio!” esclamò Ashton alle nostre spalle, scandalizzato. Noi ci voltammo ridacchiando e lo vedemmo sulla soglia della porta che condivideva con Carol, in pigiama. Scoppiammo a ridere e lui ci guardò malissimo, prima di notare le camicie coordinate. “Bello il regalo, le hai detto di oggi?” chiese, rivolto a Luke. L’altro lo fulminò con lo sguardo e Ashton capì di non dover dire nulla. “Ok, ok, me ne vado, buona giornata, ragazzi!” trillò il maggiore, chiudendo la porta. “Di cosa parlava?” chiesi curiosa. “Niente di che. Andiamo?” fece lui, ansioso, indicando l’ascensore che si era appena aperto. Io alzai gli occhi al cielo e presi lo zaino che aveva lasciato appoggiato al muro. Lui sgranò gli occhi.”Ok, basta, oggi il mio cervello è in ferie” fece, prendendo lo zaino, mentre io ridevo e lo seguivo.

Nell’ascensore, ci scambiammo un altro paio di baci, più tranquilli del precedente. Per poco non dimenticammo di nuovo lo zaino, ma riuscimmo a uscire dall’hotel senza lasciare la scia di Hansel e Gretel dietro di noi. Luke fermò un taxi e salimmo nella classica auto gialla, mentre lui sussurrava la destinazione al tassista. Lui annuì e sfrecciammo lungo le vie fortunatamente poco trafficate di New York. Il tassista ci guardò nello specchietto retrovisore e sorrise nel vederci abbracciati. Disse qualcosa che io non capii, aveva parlato troppo veloce. Guardai interrogativa Luke, che stava ringraziando il tassista. “Che ha detto?”

“Che siamo teneri con la camicia uguale e che coppie come noi non si vedono spesso in giro, solo la loro brutta copia, quelli che si mollano dopo tre giorni e in poco sono pronti a nuove storielle.”

Io sorrisi, affondando di più nella sua stretta. Lui mi guardò e ridacchiò. “Sei arrossita, cucciola” mi disse, dandomi un bacio sul naso. Io alzai gli occhi al cielo e risi sotto i baffi, mentre cercavo di capire la destinazione. Quando vidi che stavamo accostando di fianco ad un immenso parco, saltai a sedere, appiccicando il naso alla finestra, scatenando le risate di Luke. “Central Park!” esclamai, elettrizzata come una bambina. Quando scendemmo dal taxi, non esitai un momento a buttarmi nell’erba mentre Luke pagava il tassista. Decisi che avrei diviso il conto con lui più tardi, ero troppo impegnata a fare angeli d’erba. Ridacchiavo come una cretina, ma ero sempre stata attratta da quel parco immenso. “Ti piace?” chiese lui, chinandosi di fianco a me. Io, in tutta risposta, gli saltai addosso, facendolo cadere. Rotolammo per un metro circa, ridendo, e ci fermammo quando io ero sopra di lui. “Allora?” chiese di nuovo. Io annuii frenetica, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. “Sono felice di averti fatto sorridere così” fece poi, con quella sua faccia da cucciolo che mi aveva fatta innamorare al primo sguardo. Appoggiai piano le labbra sulle sue, in un leggerissimo bacio a stampo, e lui mi prese il viso fra le mani. Sembravamo due bambini, o almeno, l’innocenza era la stessa, poi che io avessi diciassette anni e lui diciotto, non cambiava nulla.

Oddio, aveva già diciotto anni. Eppure c’ero anch’io alla festa che abbiamo fatto. Festa a sorpresa venuta molto bene, dato che Luke ci aveva scoperti tre giorni prima. Aveva fatto finta di essere sorpreso solo perché aveva visto quanto ci stavamo impegnando. Il mio Luke era diciottenne da poco più di un mese, accidenti, mi suonava così strano!

“A cosa pensi, piccola?” mi chiese, vedendomi distratta con un piccolo sorriso sulle labbra. “A quanto il tempo passa in fretta” feci a bassa voce. Lui ridacchiò. “Piccola filosofa, possiamo goderci la giornata e far finta che l’orologio si sia fermato?” mi chiese. Io sorrisi e annuii. Ci alzammo e lui si buttò lo zaino in spalla, poi ci ripensò e me lo consegnò. Io lo guardai confusa, prima che lui mi prendesse in braccio stile principessa. Risi e capii perché mi aveva dato lo zaino. “Dove la porto, signorina?” fece, con voce leggermente strozzata per la fatica. “Verso l’infinito e oltre?” chiesi. “Non so se reggo fino a lì, inizio ad avere un languorino.”

“Abbiamo appena fatto colazione! Sono le dieci!”

“Ho detto languorino, non fame. Languorino sta per merenda, fame sta per pranzo” spiegò lui con fare saccente. Io risi di nuovo. “Ok, che ne dici se cerchiamo un bar?”

“Ci sto.”

“Mi metti giù?”

“Nemmeno per sogno” rispose lui con fare ovvio, cercando con lo sguardo un qualche punto dove mangiare.

 

Mezz’ora dopo, eravamo seduti ad un tavolo all’ombra di alti alberi, con due bicchieri di succo d’arancia davanti e un vassoio con due brioches e un muffin al cioccolato. Non sapevo perché Luke non avesse pensato a portarsi dietro uno spuntino nello zaino, ma mi aveva impedito di sbirciare il contenuto, classificandolo come sorpresa. Non ci feci caso più di tanto e bevvi un altro sorso di succo d’arancia, che personalmente adoravo. Finiva sempre troppo presto, così avevo preso l’abitudine di mangiare prima e poi bere, per non ritrovarmi a bocca asciutta, letteralmente.

Mangiammo parlando del più e del meno, ridendo con la bocca piena e rischiando di affogarci non so quante volte. Improvvisamente, un flash ci accecò per un attimo. Era una ragazzina gracile, minuta, che reggeva una macchina fotografica troppo grande per lei, con un cordino attorno al collo per non farla cadere. “Scusate, non volevo disturbarvi, non credevo avesse il flash…” fece mortificata, lasciando rimbalzare la macchina fotografica sulla sua pancia. Noi sgranammo gli occhi sorpresi. “Tranquilla, ma perché l’hai fatto?” chiese Luke poi, con un sorriso che aveva lo scopo di mettere a proprio agio la ragazzina. Doveva avere dodici anni all’incirca. “Niente, niente, è un motivo stupido” fece in fretta lei, paonazza. Mi venne da sorridere nel vedere quanto le lentiggini risaltavano sulla pelle rosso fuoco. “Noi siamo stupidi, secondo me ti capiremmo” ribatté Luke ridacchiando. Lei si avvicinò al nostro tavolo a piccoli passi, torturandosi una ciocca di capelli biondo chiaro. “È che… st-sto provando a-a scrivere una fan fiction… e no-non volevo prendere una f-foto di Internet per l-la copertina. Stavo cercando qualcosa da fotografare e-e… voi eravate così giusti per la storia…” fece balbettando. Noi sorridemmo. “Mi fa piacere. È bello che tu voglia scrivere. Ci vuole pazienza, determinazione e passione, e in giro non ci sono molte persone disposte a dare via un pezzetto della loro vita per ottenerne in cambio tanti altri” dissi. Lei mi guardò finalmente negli occhi e notai quanto fossero chiari, un nocciola flebile, molto strano e di sicuro diverso da qualsiasi altro paio di occhi che avessi mai visto. “Tu scrivi?” chiese poi. Io annuii e lei, finalmente, mi sorrise, quel sorriso che solo i bambini sanno fare, che mostra tutti i denti. “Ti piace leggere?” mi chiese. Io annuii di nuovo. “Leggi tanto?” Ancora risposta affermativa. “Anche io. Ho molto tempo libero perché gli altri non vogliono giocare con me, solo perché ho un nome strano.”

“Come ti chiami?”

“Vanilla.”

“Io invece lo trovo un nome molto bello” si intromise Luke. Vanilla sorrise di nuovo, mentre il rossore spariva dalle sue guance rotonde. “Comunque credo che da grande lo cambierò. Non mi piace che mi prendano tutti in giro.”

“Io invece lo terrei, solo per far vedere agli altri che sono più forte di loro” risposi. Lei mi guardò di nuovo e mi ritrovai ad ammirare i suoi occhioni chiari. “Ma io non voglio rimanere da sola.”

“Non rimarrai sola, tranquilla. Prima o poi cresciamo tutti, e un nome non avrà più importanza. E poi, Vanilla ha tanti bei soprannomi. Vany, Vaniglia, cose del genere. Io invece sono Corallo da quando ho messo piede a scuola!”

“Come ti chiami?”

“Coralie.” Lei si mise a ridere. “Perché ridi?”

“Perché ti chiami come l’autrice del libro che sto leggendo” fece lei, tirando fuori dal suo zainetto il libro in questione. Io e Luke cercammo di mascherare la sorpresa mentre Vanilla ci mostrava Look into my eyes. “E ti piace?” chiese Luke con un sorriso enorme. Lei annuì frenetica. “Da grande voglio essere come la protagonista” fece poi. Io mi aprii in un sorriso raggiante, ero al settimo cielo. Poi ripensai alle parole di Vanilla. “Non devi essere come lei. Non è giusto vivere cercando di imitare qualcun altro. Capirai cosa diventare mano a mano che passa il tempo, l’unica cosa da imparare è che non bisogna indossare nessuna maschera” dissi. Lei mi guardò stupita. “Pensi questo del libro?” mi chiese poi, gli occhi da cerbiatto puntati nei miei. Io annuii. “Penso anche che l’autrice abbia scritto il libro immaginando quella che sarebbe stata la sua vita. E sono sicura che niente è andato come nei piani, ma lei non potrebbe essere più felice di così” dissi poi, lanciando un’occhiata a Luke, che ricambiò. La sua mano cercò la mia sotto il tavolino e la strinse una volta trovata. “Pensi che ci sarà un seguito?” chiese di nuovo Vanilla. Luke mi guardò e: “Sì, Coco, ci sarà un seguito?” mi chiese ridacchiando. Io mi trattenni dal ridere. “Secondo me ci sta già lavorando. Però bisogna tenere conto che magari, dico magari, può avere cose più importanti a cui pensare. Che so, magari il ragazzo di cui è innamorata sta per diventare una grande rockstar e lei gli vuole stare vicina ad ogni costo” dissi poi. Vanilla rise. “Hai tanta fantasia” mi disse poi. Io sarei scoppiata a ridere. “Sai, credo che questa mia ipotesi sia la meno fantasiosa di tutte” commentai, mentre Luke si tratteneva dal ridere. “Io ora devo andare, la mamma mi sta aspettando. È stato bello parlare con voi. Grazie, Coralie e…?”

“Luke.”

“Grazie, Coralie e Luke. Spero di rivedervi, un giorno.”

“Anche noi, Vanilla.”

Vanilla fece di nuovo quel suo sorriso enorme e ci salutò con la mano, mentre correva via. Rimanemmo a guardarla per qualche secondo, poi io sospirai. “Mi piacerebbe davvero rivederla” dissi. “Forse non è così improbabile, sai?”

“Luke, è di New York. Noi siamo qui in vacanza.”

“Non hai notato che parlava benissimo l’italiano? E che non ha nemmeno provato a parlare in americano?” chiese lui. Io sgranai gli occhi. “Hai ragione! Ecco perché non ho fatto fatica a capirla!! Se parlava americano mica la capivo!” esclamai. Non ci avevo fatto caso, troppo presa dalla situazione. Lui rise e: “Lo mangi quel muffin?”

 

Stavamo camminando lungo i vialetti, abbracciati, quando passammo davanti ad un fioraio. Era così pieno di colori! Mi avvicinai subito ai lilium, i miei fiori preferiti, osservando quanto fossero belli. Lilium rosa, bianchi, arancioni… il mio sguardo incontrò una macchia blu. Erano rose, bellissime. “Luke, guarda!” feci, distogliendolo da un vaso di orchidee. “Che belle” fece lui. “Scusi, quanto vengono?” chiesi al fioraio, indicando le rose. “Tre dollari a rosa” fece lui, potando un piccolo bonsai. Io sgranai gli occhi. Feci un gesto a Luke per dire che era un prezzo esagerato e ce ne andammo, salutando il venditore, che stavolta era americano. “Ti piacevano?” mi chiese Luke. Io annuii. “Ma costavano troppo” dissi poi, prima che potesse tornare indietro. Il mio problema era che i fiori singoli non mi piacevano. Dovevano essere tre, o cinque, o sette, o un qualsiasi numero dispari. Quindi, spendere nove, quindici, o ventuno dollari, non mi andava molto bene.

Vagammo fino a trovare un posticino tranquillo, praticamente disabitato. Era mezzogiorno, più o meno, e il jet lag ci aveva scombussolato, quindi non sapevamo più se per noi era una colazione, un pranzo o una cena. Nessuno di noi due era un asso in geografia e non ci ricordavamo come funzionassero i fusi orari.

“Hai fame?” mi chiese lui. Io annuii e ci sedemmo nel prato. Lui aprì finalmente il misterioso zaino e ne tirò fuori una tovaglia a grandi quadrati bianchi e blu. Io mi misi a ridere. “Un pic-nic classico, eh?” chiesi. “Sì, ma questa tovaglia è originale” fece lui. “Ah, davvero?” continuai io. Lui annuì. “Innanzitutto, non è rossa e bianca, ma blu e bianca. E poi è personalizzata” fece, sentendola a terra. Io notai solo in quel momento che su ogni quadrato era scritta una frase diversa. Sui quadrati blu era scritta in bianco e viceversa. Mi bastò un’occhiata per capire che erano frasi di canzoni d’amore. Sorrisi a trecentosessanta gradi, commossa, e lo guardai. “Ti piace?” mi chiese. Io risposi allo stesso modo in cui avevo risposto prima e lui si ritrovò steso a terra, con me sopra di lui, che lo abbracciavo più forte che potevo. “Coco, mi stai soffocando!” soffiò lui, di nuovo, con un filo di voce. Stavolta non lo lasciai andare subito, solo quando lo sentii tossire e capii che stavo esagerando. Mi scusai per l’irruenza in mille modi, ma lui sorrise e mi chiuse le labbra con un dito. “Se farti felice costa solo un po’ di fiato, sono pronto a soffocare” mi disse dolcemente, prima di darmi un bacio sulla punta del naso.

Tornammo a sedere e lui indicò la tovaglia. “Vediamo se riesci ad indovinare i titoli” mi sfidò poi, tirando fuori dallo zaino due pennarelli indelebili,uno blu e uno bianco. Mi chinai sul primo.

Everybody wanna steal my girl

Everybody want to take her heart away

Couple billion in the whole wide world

Find another one, ‘cause she belongs to me.

Steal my girl degli One direction” dissi sicura. Lui annuì e stappò il pennarello bianco con I denti, per poi scrivere sotto i versi il titolo. Mi spostai al riquadro successivo.

You’re so beautiful

But that’s not why I love you

I’m not sure you know

That the reason I love you

Is you, been you, just you

Yeah, the reason I love you

It’s all we’ve been trough

And that’s why I love you

I love you di Avril” feci di nuovo. Lui ridacchiò e scrisse il titolo. Riquadro successivo.

Torn in two

And I know I shouldn’t tell you

But I just can’t stop thinking of you

Wherever you are

You, wherever you are

Every night I almost call you

Just to say it always will be you

Wherever you are.

Wherever you are, della mia band preferita, che ospita il mio cantante preferito, ovvero il ragazzo che amo” feci ridacchiando. Lui sbuffò. “Cioè, io sono stato tutto il pomeriggio a cercare canzoni d’amore, a selezionarle così meticolosamente, e tu mi smonti così, indovinandole subito?! Almeno fai finta di pensarci su!” fece esasperato, scrivendo il titolo.

Andammo avanti così per mezz’ora circa. I riquadri contenevano canzoni bellissime, come “Heartbreak girl”, “Wherever you will go”, “Nobody compares”, “Last first kiss”, e molte altre. Mancava l’ultimo riquadro. Mi chinai su di esso, concentrata.

When I close my eyes and try to sleep

I fall apart, I find it hard to breathe

Yoy’re the reason, the only reason

Even though my dizzy head is numb

I swear, my heart is never giving up

You’re the reason, the only reason

“Allora, premetto che non la conosco, ma second me si chiama The only reason” dissi. Lui fece gesto di infilzarsi con il pennarello. “Cioè, non la conosci, e pure indovini?! Ok, basta, questi giochi non li faccio più con te” si arrese. Io risi. “Di chi è?” chiesi poi. Lui si indicò con un sorriso gongolante, quasi fosse un bambino. “Non l’avevo mai sentita!” esclamai. “L’abbiamo stesa molto tempo fa, prima di conoscervi, e prima di partire l’abbiamo rispolverata. Non avevamo mai provato a finirla, poi ci è tornata la voglia di creare ed eccoci qui” spiegò. Io mi aggrappai al suo braccio. “Me la fai sentire!?” chiesi trepidante. Lui rise e tirò fuori il cellulare, facendo partire una traccia musicale. “È solo la base” mi avvertì. “Allora canta tu” feci convinta. Lui sorrise e si schiarì la voce, prima di offrirmi un piccolissimo concerto privato.

Quando finì, avevo gli occhi a cuore. “È bellissima!” urlai elettrizzata. “Siamo sicuri che non lo dici solo perché sono io?” mi chiese lui, titubante. Lo fissai scioccata. “Ma come ti viene in mente, scusa?! Credi che potrei farlo? Cioè, sì, potrei farlo, ma te ne renderesti conto subito!” esclamai. Lui rise e mi abbracciò. “Ok, allora.”

Dopo aver fatto quello strano gioco, Luke tirò fuori dallo zaino tutto il necessario per un pic nic alquanto romantico. Mangiammo senza stare un attimo zitti, continuando a ridere e a parlare, anche a bocca piena. Non ci importava nulla del galateo, eravamo io e lui, da soli, senza bisogno di regole, in una libertà difficile da provare con altre persone.

Finimmo di mangiare e ci sdraiammo sulla tovaglia, abbracciati. Iniziò ad accarezzarmi i capelli e io chiusi subito gli occhi, rilassata. Ci misi poco ad addormentarmi, come al solito.

Quando mi svegliai, realizzai di essere da sola. “Ma che cavolo…?!” feci, confusa. Dov’era finito Luke?! Lo avevano rapito?! Esclusi subito l’idea che mi avesse abbandonato al mio destino. Sentii un trillo fastidioso e ricordai di essermi svegliata a causa di quello. Era la sveglia del mio cellulare. Io non l’avevo impostata! Guardai il messaggio: “guarda nella tasca davanti dello zaino” diceva. Io obbedii e notai un biglietto blu a forma di cuore, piegato a metà. Sorrisi e lo aprii.

Ciao piccola,

innanzitutto mi scuso per averti abbandonato in mezzo al parco. Scusami! Era l’unico modo! Ti prego, non prendertela!

Ti chiederai che sto combinando. Diciamo che ho organizzato una minuscola caccia al tesoro. Mi sto nascondendo da qualche parte con il tesoro, in questo parco immenso, tanto che ho paura che mi perderò. Tocca a te trovarmi! Trovi il primo indizio sotto il ponte davanti a te! In bocca al lupo e divertiti!

Ti amo

Luke

Io scoppiai a ridere. Solo a lui potevano venire in mente queste idee pazze! Alzai lo sguardo e incontrai il ponte di cui mi aveva parlato. Misi via le mie cose nello zaino, me lo buttai in spalla e corsi verso il ponte.

“Che la caccia al tesoro inizi!” esclamai da sola, ridendo come una ritardata.

 

 

*Angolo autrice*

Aiutooo sono in ritardo cosmico!! Mi scuso tantissimo!! Sono settimane che ho questo dannatissimo capitolo in testa!! E non è nemmeno finito, infatti siamo solo a metà giornata, solo che se stavo qui a scriverlo tutto non finivo più, e veniva fuori un papiro. Devo darmi una mossa! Sono fortunata che ho la febbre, almeno non ho nulla da fare!!

Mi scuso di nuovo per il ritardo!!

Detto questo… davvero fa così schifo la storia?? Se ha preso una piega che non piace, basta dirlo! Devo pagare oro per un parere… :,(

Boh, a (spero) presto, mi scuso di nuovo, ciaoo

Ranya

  
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