The only reason
Parte 1
“Cioè,
tu sei a New York, e non mi
dici nulla?!” esclamò Emmaline
dall’altra parte dello schermo. Io feci la
faccia più angelica del mondo. “Volevo farti una
sorpresa!” mi giustificai. La
realtà? Con tutti i pensieri che avevo per la testa, me
l’ero completamente
dimenticata. Era impressionante la mia capacità di cestinare
le informazioni
ancora prima di averle immagazzinate. Lei dovette intuire qualcosa,
perché mi
guardò torva, come a dire, so che
hai un
segreto e costi quel che costi lo scoprirò.
Eravamo tornati
in hotel dopo quel
pomeriggio che ci aveva cambiato la vita. I ragazzi erano sfiniti,
troppa
tensione, e anche noi non eravamo messe bene. Avevo passato un
pomeriggio
piuttosto strano, con i ragazzi che facevano a turno per non farmi
raggiungere
la mia camera. Prima Carol mi aveva chiesto aiuto per smontare la sua
valigia,
poi Calum mi aveva dovuto far leggere a tutti i costi un testo, e
così via…
morale? Non avevo visto Luke tutto il pomeriggio, se non la sera tardi,
quando
eravamo rientrati in camera per crollare sul letto, come gli altri, del
resto. Tutti
dormivano, ma chi era l’unica che ancora soffriva per il jet
lag?? Che cosa
brutta vedere tutti che dormono e avere gli occhi spalancati. Mi ero
svegliata
alle cinque di mattina, troppo scombussolata per dormire ancora, e mi
ero messa
sul balcone per guardare l’alba e, chissà, magari
trarne qualche ispirazione.
Non avrei saputo dire per quanto fossi rimasta a scrivere, sapevo solo
che
avevo steso ben più di una decina di pagine. New York mi
faceva bene.
Avevo deciso di
infilarmi sotto la
doccia, ma mi era arrivata all’ultimo la chiamata di Emmaline
su Skype, e mi
mancava parlarle. Già che ero sul balcone, aveva capito dove
mi trovavo.
“Ma
che ci fai lì?!” fece poi mia
sorella, scandalizzata. Io le spiegai tutto dall’inizio, e
lei era una maschera
di stupore ad ogni mia parola. “Ok, decisamente, ho bisogno
di fare un giro.
Lavorare troppo mi ha fatto tornare le allucinazioni. Il tuo ragazzo
non sta
per diventare una star, me lo sto solo immaginando”
cercò di farfugliare lei.
Io scoppiai a ridere. “Tesoro, è tutto vero. Forse
non diventerà una star, ma
siamo sulla strada buona.”
“Oddio
non ci credo! E QUANDO
VOLEVI DIRMELO?!”
“Voleva
essere una sorpresa!”
“Ma
vattene a quel paese, te e la
tua sorpresa, dimmelo piuttosto che te ne sei dimenticata!”
Ups, beccata.
“Ma lo
sai che ti voglio bene?”
chiesi con un faccino adorabile. “Ti conviene essere
così lontana da me, che a
questo punto ti avevo già strangolato” mi
ammonì lei. Ci guardammo e scoppiammo
a ridere. “Ok, senti, io devo andare. Salutami tutti,
eh?”
“No,
aspetta! Mi serve un favore!!”
“Cosa?”
“Ti
ricordi i bracciali a mezzi
nodi che facevi sempre??”
“Certo.”
“Non
è che puoi farmene uno???”
“Perché?”
“Diciamo
che ho ridotto molto male
quello che mi avevi fatto da piccola…”
“Ok,
ok, mi metto al lavoro, capo!”
feci. Lei mi ringraziò in tutte le lingue del mondo a lei
conosciute (inglese,
italiano, francese, Emmalinese) e chiudemmo la chiamata. Se volevo un
modo per
passare il tempo, l’avevo trovato alla grande: i bracciali a
mezzi nodi erano
una cosa lunghissima da fare. Intanto, però, mi infilai
sotto la doccia. Misi
la musica alta e iniziai a cantare, mentre l’acqua calda mi
rilassava subito.
Una particolarità di me era che, anche con quaranta gradi,
la mia doccia doveva
essere calda, al massimo tiepida. Non ricordavo di aver mai fatto una
doccia
fredda. Un’altra particolarità era che gestivo i
tempi a ritmo di musica: due
canzoni per lo shampoo, una per il balsamo, una per il corpo. Era un
mio rituale
personale. Mi piaceva cantare sotto la doccia, alla faccia di chi dice
che è un
terribile cliché.
Ci misi un
po’ più del dovuto
(cinque canzoni) e mi avvolsi in un grande asciugamano. Tamponai un
poco i
capelli, giusto per non gocciolare, e li lasciai all’aria ad
asciugare. Uscii
poi dalla doccia e trovai Luke che si stiracchiava. “Da
quanto sei sveglio?”
chiesi sorridente. “Più o meno alla orribile
stonata che hai fatto mentre
cantavi Best song ever”
mi prese in
giro lui ridacchiando. “Ehi, tu sei il cantante, io la
scrittrice. Io non
giudico i tuoi scritti, tu non giudicare le mie stonature”
feci io, sorridendo.
“Ok, ok, ma la prossima volta, gli acuti di Zayn, lasciali a
Zayn” fece,
avvicinandosi a me e dandomi un bacio a stampo. Io alzai gli occhi al
cielo.
Come al solito,
avevamo le camere
separate, e io e Luke eravamo in quella più piccola, ma con
la vista migliore.
“Vai tu in doccia, ora?” chiesi. Lui
annuì e prese il cambio dalla valigia che
ancora dovevamo disfare. Sì, come organizzazione eravamo
messi male, e no, non
ci importava. “Stasera che facciamo?” chiesi ad
alta voce, perché lui mi
potesse sentire. “Non prendere impegni, amore, oggi ho
organizzato una cosa
speciale!” urlò lui in risposta. Io sorrisi
raggiante e saltellando mi fiondai
sulla mia valigia. Mi cambiai in fretta, mettendomi solo una maglia XXL
e dei
pantaloncini da pallavolo. Notai che erano le nove di mattina.
“Che mi metto?
Elegante o che altro?”
“Ti
prego, non mettermi di fronte
ad altre scelte di moda!”
“Solo
per sapere come devo
vestirmi!”
“Non
fare niente, ci penso io!”
urlò lui. Io feci spallucce e tirai fuori dalla valigia il
mio set di ago e
cucito. Presi otto spilli e li piantai in una scatola di scarpe,
creando il
telaio per il braccialetto. Annodai poi i fili colorati agli spilli e
iniziai a
intrecciare il bracciale. Era rilassante e mi aiutava a concentrarmi,
in più,
potevo capire di che stato d’animo ero: più i nodi
erano stretti, più ero
nervosa. Nonostante tutto, mi sforzai di stringerli per far venire bene
il bracciale.
Dieci minuti dopo, avevo fatto solo quattro righe di nodi quando Luke
uscì
dalla doccia. In boxer. Io lo guardai sorpresa. “Amore mio,
mi vuoi mandare in
tilt? Ci stai riuscendo” dissi solo, scrutando il corpo di
Luke alla stregua di
una pervertita. Lui si mise a ridere. “Scusa, scusa, mi copro
subito”
“No
no, fai pure!” dissi invece io,
ridacchiando. A parte gli scherzi, non volevo sembrare una pervertita
per
davvero, quindi gli porsi il mio asciugamano. Lui ci si avvolse e si
avvicinò a
me, chinandosi alla mia altezza. “Dillo di nuovo”
mi sussurrò. “Cosa?”
“Amore
mio.”
“Perché?”
“Perché
mi piace sentirtelo dire”
rispose con il più innocente dei sorrisi. Rischiavo davvero
di sciogliermi.
Feci incontrare le nostre labbra e, come al solito, iniziai a
giocherellare col
piercing. Quanto lo amavo.
Ci separammo
quando entrambi
avevamo troppo bisogno d’aria per andare avanti.
“Allora, che ti metti oggi?”
chiesi. “Sai la camicia a scacchi per cui tu vai
matta?”
“Quella
rossa e nera?”
“Già.”
“No,
volevo fregartela io!”
piagnucolai. Lui sorrise. “Penso che non avrai bisogno di
fregarmela” disse, frugando
nella valigia e porgendomi un pacco regalo. Io sgranai gli occhi dalla
sorpresa
e scartai il pacco, emozionata come una bambina a Natale. Era una
camicia uguale
alla sua, solo chiusa sul davanti e più femminile.
“Grazie, grazie, grazie!”
esclamai con voce acuta, saltandogli addosso e travolgendolo con un
mega
abbraccio stile koala. Lui si mise a ridere, soffocato dalla mia
stretta
micidiale. “Piccola, la giornata è appena
iniziata, non uccidermi subito, ti
prego!” esclamò poi, mentre nonostante le sue
parole ricambiava la stretta, ma
in modo più delicato. Io mi tolsi la giga maglia per
cambiarla con la camicia e
mi parai davanti allo specchio. “È
bellissima!” esclamai emozionata. Lui si
affiancò a me e sorrise. “No, tu
sei
bellissima” rispose dandomi un piccolo bacio sulla tempia.
Poi, s’immobilizzò e
impallidì. Si fiondò sul bordo della camicia,
dove notai sventolare il
cartellino del prezzo. Solo lui poteva essere così genio da
lasciarlo. Scoppiai
a ridere, mentre lui litigava con il cartellino per staccarlo senza
farmelo
vedere. “Ce n’è di gente stupida in
giro, ma accidenti, io li batto tutti!”
esclamò lui, borbottando, facendomi ridere ancora di
più. Alla fine, si chinò
per strappare il cartellino coi denti. Sbuffò soddisfatto
quando riuscì a
vincere la sua guerra. “Accidenti, la prossima volta mi porto
dietro un
machete” fece poi, strappando il cartellino in tanti
minuscoli pezzi e
buttandolo. Io, intanto, avevo mal di pancia dal ridere. “Ok,
facciamo finta
che tutto questo non sia mai accaduto” disse lui, pulendosi
le mani. Io gli
presi un dito e glielo feci vedere: era segnato da una riga rossa, che
indicava
il punto dove aveva forzato il filo di plastica. Lui guardò
truce il segno,
borbottando un: “Maledetto cartellino” e
massaggiando il polpastrello per far
circolare il sangue. Io, intanto, ridevo di nuovo. “Ok, ci
sono. Dai,
prepariamoci che la giornata ha solo ventiquattro ore e me ne
servirebbero quarantotto”
disse poi frettoloso. Io presi un paio di Jeans neri stretti e li
infilai,
mentre lui faceva lo stesso con un paio suo. “Ok, no, stiamo
esagerando con la
storia dei gemelli” disse poi, ridacchiando e cambiandosi i
pantaloni, mettendo
dei jeans più larghi, sdruciti e pallidi.
S’infilò la camicia – che mai e poi
mai avrei smesso di rubargli – e le scarpe, mentre io lo
imitavo e lottavo con
le All Stars nere. Mi infilai il mio berretto e presi al volo la borsa,
mentre
lui metteva portafoglio e cellulare nelle tasche, e uscimmo.
Rimanemmo cinque
minuti buoni ad
aspettare l’ascensore del grattacielo/hotel. In quel lasso di
tempo, non so
come, mi ritrovai con le spalle al muro e le labbra di Luke premute
prepotentemente sulle mie. Le sue mani vagavano liberamente sui miei
fianchi,
stringendoli, avvicinandomi a lui. Io, invece, lo tenevo stretto a me,
con le
mani intrecciate sulla sua nuca. “Hemmings! Lemaire! Un
po’ di contegno, vi
prego! Almeno non in mezzo al corridoio!” esclamò
Ashton alle nostre spalle,
scandalizzato. Noi ci voltammo ridacchiando e lo vedemmo sulla soglia
della
porta che condivideva con Carol, in pigiama. Scoppiammo a ridere e lui
ci
guardò malissimo, prima di notare le camicie coordinate.
“Bello il regalo, le
hai detto di oggi?” chiese, rivolto a Luke. L’altro
lo fulminò con lo sguardo e
Ashton capì di non dover dire nulla. “Ok, ok, me
ne vado, buona giornata,
ragazzi!” trillò il maggiore, chiudendo la porta.
“Di cosa parlava?” chiesi
curiosa. “Niente di che. Andiamo?” fece lui,
ansioso, indicando l’ascensore che
si era appena aperto. Io alzai gli occhi al cielo e presi lo zaino che
aveva
lasciato appoggiato al muro. Lui sgranò gli
occhi.”Ok, basta, oggi il mio
cervello è in ferie” fece, prendendo lo zaino,
mentre io ridevo e lo seguivo.
Nell’ascensore,
ci scambiammo un
altro paio di baci, più tranquilli del precedente. Per poco
non dimenticammo di
nuovo lo zaino, ma riuscimmo a uscire dall’hotel senza
lasciare la scia di
Hansel e Gretel dietro di noi. Luke fermò un taxi e salimmo
nella classica auto
gialla, mentre lui sussurrava la destinazione al tassista. Lui
annuì e
sfrecciammo lungo le vie fortunatamente poco trafficate di New York. Il
tassista ci guardò nello specchietto retrovisore e sorrise
nel vederci
abbracciati. Disse qualcosa che io non capii, aveva parlato troppo
veloce.
Guardai interrogativa Luke, che stava ringraziando il tassista.
“Che ha detto?”
“Che
siamo teneri con la camicia
uguale e che coppie come noi non si vedono spesso in giro, solo la loro
brutta
copia, quelli che si mollano dopo tre giorni e in poco sono pronti a
nuove
storielle.”
Io sorrisi,
affondando di più nella
sua stretta. Lui mi guardò e ridacchiò.
“Sei arrossita, cucciola” mi disse,
dandomi un bacio sul naso. Io alzai gli occhi al cielo e risi sotto i
baffi,
mentre cercavo di capire la destinazione. Quando vidi che stavamo
accostando di
fianco ad un immenso parco, saltai a sedere, appiccicando il naso alla
finestra, scatenando le risate di Luke. “Central
Park!” esclamai, elettrizzata come una bambina.
Quando scendemmo dal taxi,
non esitai un momento a buttarmi nell’erba mentre Luke pagava
il tassista.
Decisi che avrei diviso il conto con lui più tardi, ero
troppo impegnata a fare
angeli d’erba. Ridacchiavo come una cretina, ma ero sempre
stata attratta da
quel parco immenso. “Ti piace?” chiese lui,
chinandosi di fianco a me. Io, in
tutta risposta, gli saltai addosso, facendolo cadere. Rotolammo per un
metro
circa, ridendo, e ci fermammo quando io ero sopra di lui.
“Allora?” chiese di
nuovo. Io annuii frenetica, con un sorriso che andava da un orecchio
all’altro.
“Sono felice di averti fatto sorridere
così” fece poi, con quella sua faccia da
cucciolo che mi aveva fatta innamorare al primo sguardo. Appoggiai
piano le
labbra sulle sue, in un leggerissimo bacio a stampo, e lui mi prese il
viso fra
le mani. Sembravamo due bambini, o almeno, l’innocenza era la
stessa, poi che
io avessi diciassette anni e lui diciotto, non cambiava nulla.
Oddio, aveva
già diciotto anni.
Eppure c’ero anch’io alla festa che abbiamo fatto.
Festa a sorpresa venuta
molto bene, dato che Luke ci aveva scoperti tre giorni prima. Aveva
fatto finta
di essere sorpreso solo perché aveva visto quanto ci stavamo
impegnando. Il mio
Luke era diciottenne da poco più di un mese, accidenti, mi
suonava così strano!
“A
cosa pensi, piccola?” mi chiese,
vedendomi distratta con un piccolo sorriso sulle labbra. “A
quanto il tempo passa
in fretta” feci a bassa voce. Lui ridacchiò.
“Piccola filosofa, possiamo
goderci la giornata e far finta che l’orologio si sia
fermato?” mi chiese. Io
sorrisi e annuii. Ci alzammo e lui si buttò lo zaino in
spalla, poi ci ripensò
e me lo consegnò. Io lo guardai confusa, prima che lui mi
prendesse in braccio
stile principessa. Risi e capii perché mi aveva dato lo
zaino. “Dove la porto,
signorina?” fece, con voce leggermente strozzata per la
fatica. “Verso
l’infinito e oltre?” chiesi. “Non so se
reggo fino a lì, inizio ad avere un
languorino.”
“Abbiamo
appena fatto colazione!
Sono le dieci!”
“Ho
detto languorino, non fame. Languorino
sta per merenda, fame sta per pranzo” spiegò lui
con fare saccente. Io risi di
nuovo. “Ok, che ne dici se cerchiamo un bar?”
“Ci
sto.”
“Mi
metti giù?”
“Nemmeno
per sogno” rispose lui con
fare ovvio, cercando con lo sguardo un qualche punto dove mangiare.
Mezz’ora
dopo, eravamo seduti ad un
tavolo all’ombra di alti alberi, con due bicchieri di succo
d’arancia davanti e
un vassoio con due brioches e un muffin al cioccolato. Non sapevo
perché Luke
non avesse pensato a portarsi dietro uno spuntino nello zaino, ma mi
aveva
impedito di sbirciare il contenuto, classificandolo come sorpresa. Non
ci feci
caso più di tanto e bevvi un altro sorso di succo
d’arancia, che personalmente
adoravo. Finiva sempre troppo presto, così avevo preso
l’abitudine di mangiare
prima e poi bere, per non ritrovarmi a bocca asciutta, letteralmente.
Mangiammo
parlando del più e del
meno, ridendo con la bocca piena e rischiando di affogarci non so
quante volte.
Improvvisamente, un flash ci accecò per un attimo. Era una
ragazzina gracile,
minuta, che reggeva una macchina fotografica troppo grande per lei, con
un
cordino attorno al collo per non farla cadere. “Scusate, non
volevo
disturbarvi, non credevo avesse il flash…” fece
mortificata, lasciando
rimbalzare la macchina fotografica sulla sua pancia. Noi sgranammo gli
occhi
sorpresi. “Tranquilla, ma perché l’hai
fatto?” chiese Luke poi, con un sorriso
che aveva lo scopo di mettere a proprio agio la ragazzina. Doveva avere
dodici
anni all’incirca. “Niente, niente, è un
motivo stupido” fece in fretta lei,
paonazza. Mi venne da sorridere nel vedere quanto le lentiggini
risaltavano
sulla pelle rosso fuoco. “Noi siamo stupidi, secondo me ti
capiremmo” ribatté
Luke ridacchiando. Lei si avvicinò al nostro tavolo a
piccoli passi, torturandosi
una ciocca di capelli biondo chiaro. “È
che… st-sto provando a-a scrivere una
fan fiction… e no-non volevo prendere una f-foto di Internet
per l-la
copertina. Stavo cercando qualcosa da fotografare e-e… voi
eravate così giusti
per la storia…” fece balbettando. Noi sorridemmo.
“Mi fa piacere. È bello che
tu voglia scrivere. Ci vuole pazienza, determinazione e passione, e in
giro non
ci sono molte persone disposte a dare via un pezzetto della loro vita
per
ottenerne in cambio tanti altri” dissi. Lei mi
guardò finalmente negli occhi e
notai quanto fossero chiari, un nocciola flebile, molto strano e di
sicuro
diverso da qualsiasi altro paio di occhi che avessi mai visto.
“Tu scrivi?”
chiese poi. Io annuii e lei, finalmente, mi sorrise, quel sorriso che
solo i bambini
sanno fare, che mostra tutti i denti. “Ti piace
leggere?” mi chiese. Io annuii
di nuovo. “Leggi tanto?” Ancora risposta
affermativa. “Anche io. Ho molto tempo
libero perché gli altri non vogliono giocare con me, solo
perché ho un nome
strano.”
“Come
ti chiami?”
“Vanilla.”
“Io
invece lo trovo un nome molto
bello” si intromise Luke. Vanilla sorrise di nuovo, mentre il
rossore spariva
dalle sue guance rotonde. “Comunque credo che da grande lo
cambierò. Non mi
piace che mi prendano tutti in giro.”
“Io
invece lo terrei, solo per far
vedere agli altri che sono più forte di loro”
risposi. Lei mi guardò di nuovo e
mi ritrovai ad ammirare i suoi occhioni chiari. “Ma io non
voglio rimanere da
sola.”
“Non
rimarrai sola, tranquilla.
Prima o poi cresciamo tutti, e un nome non avrà
più importanza. E poi, Vanilla
ha tanti bei soprannomi. Vany, Vaniglia, cose del genere. Io invece
sono
Corallo da quando ho messo piede a scuola!”
“Come
ti chiami?”
“Coralie.”
Lei si mise a ridere.
“Perché ridi?”
“Perché
ti chiami come l’autrice
del libro che sto leggendo” fece lei, tirando fuori dal suo
zainetto il libro
in questione. Io e Luke cercammo di mascherare la sorpresa mentre
Vanilla ci
mostrava Look into my eyes.
“E ti
piace?” chiese Luke con un sorriso enorme. Lei
annuì frenetica. “Da grande
voglio essere come la protagonista” fece poi. Io mi aprii in
un sorriso raggiante,
ero al settimo cielo. Poi ripensai alle parole di Vanilla.
“Non devi essere
come lei. Non è giusto vivere cercando di imitare qualcun
altro. Capirai cosa diventare
mano a mano che passa il tempo, l’unica cosa da imparare
è che non bisogna
indossare nessuna maschera” dissi. Lei mi guardò
stupita. “Pensi questo del
libro?” mi chiese poi, gli occhi da cerbiatto puntati nei
miei. Io annuii.
“Penso anche che l’autrice abbia scritto il libro
immaginando quella che
sarebbe stata la sua vita. E sono sicura che niente è andato
come nei piani, ma
lei non potrebbe essere più felice di
così” dissi poi, lanciando un’occhiata a
Luke, che ricambiò. La sua mano cercò la mia
sotto il tavolino e la strinse una
volta trovata. “Pensi che ci sarà un
seguito?” chiese di nuovo Vanilla. Luke mi
guardò e: “Sì, Coco, ci sarà
un seguito?” mi chiese ridacchiando. Io mi
trattenni dal ridere. “Secondo me ci sta già
lavorando. Però bisogna tenere
conto che magari, dico magari, può avere cose più
importanti a cui pensare. Che
so, magari il ragazzo di cui è innamorata sta per diventare
una grande rockstar
e lei gli vuole stare vicina ad ogni costo” dissi poi.
Vanilla rise. “Hai tanta
fantasia” mi disse poi. Io sarei scoppiata a ridere.
“Sai, credo che questa mia
ipotesi sia la meno fantasiosa di tutte” commentai, mentre
Luke si tratteneva
dal ridere. “Io ora devo andare, la mamma mi sta aspettando.
È stato bello
parlare con voi. Grazie, Coralie e…?”
“Luke.”
“Grazie,
Coralie e Luke. Spero di
rivedervi, un giorno.”
“Anche
noi, Vanilla.”
Vanilla fece di
nuovo quel suo
sorriso enorme e ci salutò con la mano, mentre correva via.
Rimanemmo a
guardarla per qualche secondo, poi io sospirai. “Mi
piacerebbe davvero
rivederla” dissi. “Forse non è
così improbabile, sai?”
“Luke,
è di New York. Noi siamo qui
in vacanza.”
“Non
hai notato che parlava
benissimo l’italiano? E che non ha nemmeno provato a parlare
in americano?”
chiese lui. Io sgranai gli occhi. “Hai ragione! Ecco
perché non ho fatto fatica
a capirla!! Se parlava americano mica la capivo!” esclamai.
Non ci avevo fatto
caso, troppo presa dalla situazione. Lui rise e: “Lo mangi
quel muffin?”
Stavamo
camminando lungo i
vialetti, abbracciati, quando passammo davanti ad un fioraio. Era
così pieno di
colori! Mi avvicinai subito ai lilium, i miei fiori preferiti,
osservando
quanto fossero belli. Lilium rosa, bianchi, arancioni… il
mio sguardo incontrò
una macchia blu. Erano rose, bellissime. “Luke,
guarda!” feci, distogliendolo
da un vaso di orchidee. “Che belle” fece lui.
“Scusi, quanto vengono?” chiesi
al fioraio, indicando le rose. “Tre dollari a rosa”
fece lui, potando un
piccolo bonsai. Io sgranai gli occhi. Feci un gesto a Luke per dire che
era un
prezzo esagerato e ce ne andammo, salutando il venditore, che stavolta
era
americano. “Ti piacevano?” mi chiese Luke. Io
annuii. “Ma costavano troppo”
dissi poi, prima che potesse tornare indietro. Il mio problema era che
i fiori
singoli non mi piacevano. Dovevano essere tre, o cinque, o sette, o un
qualsiasi numero dispari. Quindi, spendere nove, quindici, o ventuno
dollari,
non mi andava molto bene.
Vagammo fino a
trovare un posticino
tranquillo, praticamente disabitato. Era mezzogiorno, più o
meno, e il jet lag
ci aveva scombussolato, quindi non sapevamo più se per noi
era una colazione,
un pranzo o una cena. Nessuno di noi due era un asso in geografia e non
ci
ricordavamo come funzionassero i fusi orari.
“Hai
fame?” mi chiese lui. Io
annuii e ci sedemmo nel prato. Lui aprì finalmente il
misterioso zaino e ne
tirò fuori una tovaglia a grandi quadrati bianchi e blu. Io
mi misi a ridere.
“Un pic-nic classico, eh?” chiesi.
“Sì, ma questa tovaglia è
originale” fece
lui. “Ah, davvero?” continuai io. Lui
annuì. “Innanzitutto, non è rossa e
bianca, ma blu e bianca. E poi è personalizzata”
fece, sentendola a terra. Io
notai solo in quel momento che su ogni quadrato era scritta una frase
diversa.
Sui quadrati blu era scritta in bianco e viceversa. Mi bastò
un’occhiata per
capire che erano frasi di canzoni d’amore. Sorrisi a
trecentosessanta gradi,
commossa, e lo guardai. “Ti piace?” mi chiese. Io
risposi allo stesso modo in
cui avevo risposto prima e lui si ritrovò steso a terra, con
me sopra di lui,
che lo abbracciavo più forte che potevo. “Coco, mi
stai soffocando!” soffiò
lui, di nuovo, con un filo di voce. Stavolta non lo lasciai andare
subito, solo
quando lo sentii tossire e capii che stavo esagerando. Mi scusai per
l’irruenza
in mille modi, ma lui sorrise e mi chiuse le labbra con un dito.
“Se farti
felice costa solo un po’ di fiato, sono pronto a
soffocare” mi disse
dolcemente, prima di darmi un bacio sulla punta del naso.
Tornammo a
sedere e lui indicò la
tovaglia. “Vediamo se riesci ad indovinare i
titoli” mi sfidò poi, tirando
fuori dallo zaino due pennarelli indelebili,uno blu e uno bianco. Mi
chinai sul
primo.
Everybody
wanna steal my girl
Everybody
want to take her heart away
Couple
billion in the whole wide
world
Find
another one, ‘cause she belongs
to me.
“Steal my girl degli One
direction” dissi sicura. Lui annuì e
stappò
il pennarello bianco con I denti, per poi scrivere sotto i versi il
titolo. Mi spostai
al riquadro successivo.
You’re
so beautiful
But
that’s not why I love you
I’m
not sure you know
That
the reason I love you
Is
you, been you, just you
Yeah,
the reason I love you
It’s
all we’ve been trough
And
that’s why I love you
“I love you di Avril” feci di
nuovo. Lui ridacchiò e scrisse il
titolo. Riquadro successivo.
Torn
in two
And
I know I shouldn’t tell you
But
I just can’t stop thinking of you
Wherever
you are
You,
wherever you are
Every
night I almost call you
Just
to say it always will be you
Wherever
you are.
“Wherever you are, della mia band
preferita, che ospita il mio
cantante preferito, ovvero il ragazzo che amo” feci
ridacchiando. Lui sbuffò. “Cioè,
io sono stato tutto il pomeriggio a cercare canzoni d’amore,
a selezionarle
così meticolosamente, e tu mi smonti così,
indovinandole subito?! Almeno fai
finta di pensarci su!” fece esasperato, scrivendo il titolo.
Andammo avanti
così per mezz’ora
circa. I
riquadri contenevano canzoni
bellissime, come “Heartbreak girl”,
“Wherever you will go”,
“Nobody compares”,
“Last first kiss”,
e molte altre. Mancava
l’ultimo riquadro. Mi
chinai su di esso, concentrata.
When
I close my eyes and try to sleep
I
fall apart, I find it hard to
breathe
Yoy’re
the reason, the only reason
Even
though my dizzy head is numb
I
swear, my heart is never giving up
You’re
the reason, the only reason
“Allora,
premetto che non la
conosco, ma second me si chiama The only
reason” dissi. Lui fece gesto di infilzarsi con il
pennarello. “Cioè, non
la conosci, e pure indovini?! Ok, basta, questi giochi non li faccio
più con te”
si arrese. Io risi. “Di chi è?” chiesi
poi. Lui si indicò con un sorriso
gongolante, quasi fosse un bambino. “Non l’avevo
mai sentita!” esclamai. “L’abbiamo
stesa molto tempo fa, prima di conoscervi, e prima di partire
l’abbiamo
rispolverata. Non avevamo mai provato a finirla, poi ci è
tornata la voglia di
creare ed eccoci qui” spiegò. Io mi aggrappai al
suo braccio. “Me la fai
sentire!?” chiesi trepidante. Lui rise e tirò
fuori il cellulare, facendo
partire una traccia musicale. “È solo la
base” mi avvertì. “Allora canta
tu”
feci convinta. Lui sorrise e si schiarì la voce, prima di
offrirmi un
piccolissimo concerto privato.
Quando
finì, avevo gli occhi a
cuore. “È bellissima!” urlai
elettrizzata. “Siamo sicuri che non lo dici solo
perché
sono io?” mi chiese lui, titubante. Lo fissai scioccata.
“Ma come ti viene in
mente, scusa?! Credi che potrei farlo? Cioè, sì,
potrei farlo, ma te ne
renderesti conto subito!” esclamai. Lui rise e mi
abbracciò. “Ok, allora.”
Dopo aver fatto
quello strano
gioco, Luke tirò fuori dallo zaino tutto il necessario per
un pic nic alquanto
romantico. Mangiammo senza stare un attimo zitti, continuando a ridere
e a parlare,
anche a bocca piena. Non ci importava nulla del galateo, eravamo io e
lui, da
soli, senza bisogno di regole, in una libertà difficile da
provare con altre
persone.
Finimmo di
mangiare e ci sdraiammo
sulla tovaglia, abbracciati. Iniziò ad accarezzarmi i
capelli e io chiusi
subito gli occhi, rilassata. Ci misi poco ad addormentarmi, come al
solito.
Quando mi
svegliai, realizzai di
essere da sola. “Ma che cavolo…?!” feci,
confusa. Dov’era finito Luke?! Lo avevano
rapito?! Esclusi subito l’idea che mi avesse abbandonato al
mio destino. Sentii
un trillo fastidioso e ricordai di essermi svegliata a causa di quello.
Era la
sveglia del mio cellulare. Io non l’avevo impostata! Guardai
il messaggio: “guarda
nella tasca davanti dello zaino” diceva. Io obbedii e notai
un biglietto blu a
forma di cuore, piegato a metà. Sorrisi e lo aprii.
Ciao
piccola,
innanzitutto
mi scuso per averti abbandonato in mezzo al parco. Scusami! Era
l’unico modo! Ti prego, non prendertela!
Ti
chiederai che sto combinando. Diciamo che ho organizzato una minuscola
caccia al tesoro. Mi sto nascondendo da qualche parte con il tesoro, in
questo
parco immenso, tanto che ho paura che mi perderò. Tocca a te
trovarmi! Trovi il
primo indizio sotto il ponte davanti a te! In bocca al lupo e divertiti!
Ti
amo
Luke
Io scoppiai a
ridere. Solo a lui
potevano venire in mente queste idee pazze! Alzai lo sguardo e
incontrai il
ponte di cui mi aveva parlato. Misi via le mie cose nello zaino, me lo
buttai
in spalla e corsi verso il ponte.
“Che
la caccia al tesoro inizi!”
esclamai da sola, ridendo come una ritardata.
*Angolo autrice*
Aiutooo sono in
ritardo cosmico!! Mi
scuso tantissimo!! Sono settimane che ho questo dannatissimo capitolo
in
testa!! E non è nemmeno finito, infatti siamo solo a
metà giornata, solo che se
stavo qui a scriverlo tutto non finivo più, e veniva fuori
un papiro. Devo darmi
una mossa! Sono fortunata che ho la febbre, almeno non ho nulla da
fare!!
Mi scuso di
nuovo per il ritardo!!
Detto
questo… davvero fa così
schifo la storia?? Se ha preso una piega che non piace, basta dirlo!
Devo pagare
oro per un parere… :,(
Boh, a (spero)
presto, mi scuso di
nuovo, ciaoo
Ranya