Salve.
Mi
dispiace di non aver aggiornato per
molto tempo questa storia.
Così,
ho pensato di interromperla, per
mancanza di tempo.
Non
ve la prendete.
…
Scherzetto!
È
ovvio che non la interrompo e, anche se
il tempo è mio nemico, cercherò lo stesso di
aggiornare il più velocemente
possibile.
Scusatemi
davvero per il ritardo, ma voi
non potete capire cosa sono stati questi primi 15 giorni di scuola:
compiti,
compiti, compiti e compiti.
Uhm,
vediamo, ho già detto compiti?
Se
finisco ogni sera alle nove, è un
miracolo.
Cercherò
di rispondere al più presto alle
recensioni e scusatemi anche per com’è venuto
questo capitolo, ma, davvero, è
stato molto difficile scriverlo nelle mie condizioni ^^”
Al
prossimo aggiornamento <3
~
Cruel Heart.
***
Evan Taubenfeld - I Love The Both Of
You
***
Harrisburg,
Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 30 Maggio 2001
Avril's pov
Riuscivo
a sentire gli strilli del
piccolo.
Era
nato solo da qualche settimana, ma
la sua voce già pretendeva di essere sentita.
Sorrisi
tra me e me. Sarebbe stato un
ottimo urlatore.
Poi,
però, il mio sorriso svanì.
Avvicinai
il mio orecchio alla porta che
separava il reparto della neonatologia dalla sala d’attesa,
ed ascoltai.
Erano
grida. Grida di un uomo.
Scossi
i capelli via dagli occhi e mi
concentrai sulla voce maschile.
«Non
mi capacito di come possa essere
successo…»
Cercai
di visualizzare la scena.
Un
uomo, probabilmente sulla quarantina, stava camminando
nervoso su e giù per il corridoio della sala
d’attesa.
Riuscivo
a sentire i suoi passi irrequieti strisciare sul
linoleum.
Forse
era solo, o forse c’era qualcuno con lui.
«Calmati,
ti prego.»
Una
donna. C’era anche una donna.
«No
che non mi calmo. Dobbiamo
assolutamente trovare una soluzione.»
Sentii
la donna emettere un gemito di dolore, come se
l’uomo le avesse dato un pugno nello stomaco.
«Come…
Come puoi parlare così di tuo
figlio?»
La
rabbia dell’uomo esplose incontrollata e la voce gli
salì di un’ottava.
«Quello
non è mio figlio! QUELLO È UN ABOMINIO! NON
È UN BAMBINO, È SEMPLICEMENTE UNA
COSA, UN ESPERIMENTO RIUSCITO MALE!»
Poi
deglutì, come se stesse cercando di calmarsi, invano.
«È fragile, è
debole. È malato. Dobbiamo rimediare,
Avril.»
Il
discorso dell’uomo era stato molto concitato, certo,
ma c’era qualcosa che non mi quadrava.
Come
faceva a sapere il mio nome?
E
poi, la sentii.
Sentii
una voce gutturale, di un ragazzo, che mi chiamava
dolcemente.
«Avril. Avril, svegliati.»
E
mi risvegliai
dal sogno.
Sgranai
gli occhi
e alzai di scatto il busto, con il respiro ansante.
Di
fronte a me,
vidi un’espressione accigliata diffondersi sul viso di Evan.
«Che succede?» mi chiese.
«No… niente. Solo
un
brutto sogno.»
Cercai di sorridergli, ma credo che il mio
cervello optò per l’opzione “Smorfia non
del tutto convincente”.
Alzò
un
sopracciglio e fece un sorriso sghembo. Notai che a lui, invece, i
sorrisi
uscivano benissimo. «Che
mi nascondi qualcosa?
Tipo, un sogno erotico su di me, o robe del genere?»
«Ma no, scemo.»
Scostai
le coperte e mi alzai in piedi, di
fronte a lui.
Fece
scivolare le braccia intorno al mio
corpo, e mi strinse a sé, sollevandomi sulle punte dei piedi.
Lo
baciai lentamente e nascosi il viso tra
l’incavo della sua spalla, respirando il suo odore di pulito.
«Mmh…
baciarti potrebbe
diventare il mio hobby preferito.»
sussurrai.
«Beh,
il mio lo è già.»
Risi
di gusto e circondai il suo collo con le
braccia. «Allora? Cosa
hai fatto da quando ti sei svegliato?»
«Uhm,
vediamo.»
mi rispose, poggiando l’indice sul mento. «Ho
fatto una bella doccia calda e rilassante, poi sono sceso
giù, ho apparecchiato
il tavolo, ho preparato la tua colazione, mentre tu dormivi ho
già fatto lo
zaino che tu avresti dovuto fare ieri e, cosa più importante
di tutte… mi sono
svegliato con il sorriso sulle labbra, il che è magnifico,
se penso che il
motivo della mia felicità sei tu.»
Lo
baciai ancora e lo
strinsi forte a me. Si poteva avere un
buongiorno migliore?
«Wow.»
commentai ironica. «Certo
che si hanno dei
vantaggi ad avere un fidanzato, se ti prepara la colazione.»
Si
staccò da me, con
un’espressione sbalordita sul viso, e si toccò il
petto con una mano. «Avril
Ramona Lavigne, posso affermare, in tutta onestà, che questo
non me lo sarei
mai aspettato da te.»
mi disse, scherzando. «Se
me l’avessi detto prima, a quest’ora sarei
già in
una famosissima università parigina dove studiano solo come
servire le
colazioni!»
«Mi
dispiace, signor
Taubenfeld, ma le toccherà passare un’altra
giornata con me in un anonimo
college americano.»
«Non
chiedo di meglio.»
Sorrise, contagiando anche i suoi occhi azzurri, e andò
verso la porta. «E
così, adesso sarei il tuo ragazzo, eh? Immagino sia
un grande cambiamento, comunque: da protagonista di un sogno porno di
una
ragazza a suo fidanzato. Lo ammetto: sono colpito.»
Mi
tolsi una pantofola e provai a tirargliela
dietro, senza successo.
Lo
sentii ridacchiare e vidi che aveva già
iniziato a scendere i primi scalini, quando si fermò
improvvisamente e tornò
indietro di corsa.
Evan
si sporse verso di me, finché a dividere
i nostri volti non ci furono solo che pochi millimetri. Scorgevo le
piccole
sfumature azzurre dei suoi occhi, mentre non riuscivo a staccare lo
sguardo
dalle sue labbra leggermente socchiuse: riuscivo a sentire il calore
del suo
respiro.
Poi,
si avvicinò ancora di più a me, per
sussurrare al mio orecchio. «Cerca
di metterti
qualcosa di carino, Lavigne. Questa sera si va in un posto speciale.»
***
[Laboratorio
d’informatica del Sanford-Brown]
A: Computer
04 (K)
Ciao.
- X
A: Computer
23 (X)
Ciao, X. Stai
ancora pensando
alla nostra chiacchierata di due settimane fa?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Certo.
- X
A: Computer
23 (X)
Uhm…
posso provare
ad indovinare chi sei?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Va
bene, Kevin.
- X
A: Computer
23 (X)
Sai,
mi dà un po’
fastidio il fatto che tu sappia chi sia io, mentre io non so niente di
te.
- Kev
A: Computer
04 (K)
È
la vita. C’è chi
può e chi non può. E io può
sempre.
[N.d.A. Non vi preoccupate, l’errore è fatto di
proposito]
- X
A: Computer
23 (X)
Dunque,
incominciamo con le venti domande…
- Kev
A: Computer
04 (K)
Te
ne concedo al
massimo dieci, Beadfluent.
- X
A: Computer
23 (X)
Uh,
qualcuno qui
vuole mantenere segreta la sua identità, eh? Comunque,
iniziamo. Prima domanda:
sei davvero di questo college?
- Kev
A: Computer
04 (K)
No,
cioè, fammi
capire: io e te abbiamo già chattato due volte nella rete
privata della scuola,
in più sai che ti ho regalato il cappello… E TU
MI CHIEDI SE SONO DI QUESTO
COLLEGE?!
- X
A: Computer
23 (X)
Non
scrivere in
stampatello, sembri in preda ad un attacco isterico. Ho semplicemente
voluto
controllare, non si sa mai con Internet. Saresti sempre potuto essere
un
hacker… o peggio, un pazzo squilibrato…
- Kev
A: Computer
04 (K)
Lo
diventerò molto
presto, se continuo a leggere queste tue supposizioni. Andiamo avanti,
che è
meglio.
- X
A: Computer
23 (X)
Va
bene, seconda
domanda: sei nel consiglio studentesco?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Stranamente…
no.
- X
A: Computer
23 (X)
Riformulo
la
domanda: sei mai stato cacciato dal consiglio studentesco?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Stranamente…
sì.
- X
A: Computer
23 (X)
Fantastico.
Hai
mai più ripensato alla caccola super-mega-caccolosa di
Billigan?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Purtroppo
sì, me
la vedo davanti agli occhi tutte le notti. È una
cosa… brrr.
- X
A: Computer
23 (X)
Bleah.
Come mai
hai scelto proprio me?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Non
lo so, non
credo ci sia un perché. Forse possono influire i soldi, chi
lo sa… Non è che
sei milionario?
- X
A: Computer
23 (X)
Ehm…
No.
- Kev
A: Computer
04 (K)
Peccato,
vorrà
dire che tenterò con qualcun altro.
- X
A: Computer
23 (X)
Divertente.
Molto divertente. E non sono
neanche sarcastico, pensa un po’. Se
ti trovassi davanti ad un ragazzo con una…
instabilità fisica, chiamiamola così…
cosa faresti?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Beh,
lo tratterei
esattamente come faccio con tutti. Il che vuol dire che, per
svegliarlo, la
mattina, gli verserei una bella secchiata ghiacciata nelle mutande.
Perché
questa domanda?
- X
A: Computer
23 (X)
Niente,
niente.
Prossima: credi nell’amore a prima vista?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Sì
e no. Voglio
dire, non è affatto come scegliere un vestito e
dire:”Mi piace, lo prendo”.
Innamorarsi di qualcuno vuol dire stare assieme a quella persona minuto
dopo
minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Non sei innamorato solo
perché non
hai alternative, perché non puoi stare con qualcun altro.
Sai già che ti
appartiene e ci stai bene insieme perché, nonostante tutto,
continuerai sempre
a scegliere lui. O lei.
- X
A: Computer
23 (X)
Noi
due… noi due
ci siamo già incontrati?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Sì.
- X
A: Computer
23 (X)
E
come posso
averti incontrato senza sapere neanche chi sei?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Forse
non stavi
prestando attenzione nel modo giusto.
- X
A: Computer
23 (X)
Va
bene. Come
ultima cosa, vorrei chiederti… sei un ragazzo, vero?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Questa
è l’unica
domanda a cui non posso rispondere, Beadfluent. Mi dispiace, ma devo
andare.
Sono in ritardo.
- X
A: Computer
23 (X)
Aspetta.
In
ritardo? In ritardo per cosa?
- Kev
A: Computer
04 (K)
Per
rientrare nella realtà.
- X
*Connessione
terminata*
***
Avril's pov
Mi
rosicchiai le unghie, nel tentativo
disperato di calmarmi.
Sì,
lo so, non era un buon rimedio. Ma che ci volete fare, quando ero
nervosa, le
mie unghie erano la prima cosa che trovavo su cui sfogare la mia
agitazione.
Wilson
continuava a blaterare di qualcosa che
aveva a che fare col “poema cavalleresco”, ma non
gli prestai ascolto.
Ero
troppo impegnata ad alimentare le mie insicurezze e a farmi brutti film
mentali
su cosa sarebbe successo quella sera con Evan.
Fino
a quel momento, ero riuscita a fare solo
tre ipotesi:
-
La prima: Evan che mi lasciava.
Sì,
so che non aveva molto senso, visto che
mi aveva detto di vestirmi elegante. Ma magari voleva solo addolcirmi
la
pillola…
-
La seconda: Evan che mi raccontava qualcosa
del suo passato.
Magari
mi avrebbe detto qualcosa di scabroso,
tipo che era un agente del KGB o un membro del FBI sotto copertura e
che il suo
fidanzamento con me era tutta una montatura.
-
La terza: Evan che mi diceva che andava tutto
bene.
Mi
avrebbe confessato quanto mi amasse,
quanto io fossi speciale per lui, quanto fossi importante nella sua
vita… e poi mi avrebbe scaricato.
Emisi
un sospiro di disperazione e mi misi le
mani tra i capelli.
Ora
come ora, l’unica opzione possibile mi
sembrava sbattere la testa contro il muro fino a quando non mi fossi
calmata.
Poi,
per fortuna, la campanella decretò la
fine di quella giornata di lezione e, in men che non si dica, mi
ritrovai nel
corridoio, insieme a Kevin.
Mi
guardai attorno, per cercarlo, ma di lui
non c’era traccia.
«Evan?»
chiesi a Kevin.
Dal
canto suo, lui continuava a fissare
dritto di fronte a sé, senza dare segno di avermi sentito.
Sembrava… assente.
Gli
passai una mano davanti
agli occhi, per attirare la sua attenzione. «Kevin? Ci sei?»
«Eh?» Sembrò mettermi a fuoco
solo in quel momento. «Che
c’è?»
«Ti
ho chiesto se sapessi
dove fosse Evan.»
«Evan? Dovrebbe essere a
casa, adesso. È
uscito prima e ha saltato
l’ultima ora. Non te ne sei accorta?»
Increspai
le sopracciglia, pensierosa. «No…
non credo.»
Feci
un rapido riassunto della situazione, e
capii che ero stata talmente presa dalle mie ansie che non mi ero
nemmeno
accorta della sua assenza.
Fantastico.
La
giornata non poteva andare peggio di così.
Invece,
scoprii, con mio
grande disappunto, che, effettivamente, la giornata poteva anche andare
peggio.
Tre
ore dopo, infatti, mi
resi conto che Evan non era affatto tornato a casa, come mi aveva
suggerito
Kevin, e che non aveva lasciato niente di scritto per me.
Ergo,
non sapevo né l’ora,
né tantomeno il luogo dell’appuntamento.
E
questo era niente, in
confronto alla Scelta che dovevo prendere.
La
Scelta con la S
maiuscola.
COSA
DIAVOLO DOVEVO
METTERMI?
Mi
aveva detto di vestirmi
elegante, certo, ma c’era una bella differenza tra sentirlo
dire dal tuo
ragazzo e indossare un bel vestito, sentendoti completamente inadatta.
Dopo
una doccia rilassante, alla
fine, optai per un vestitino nero, di quelli leggeri e sopra il
ginocchio, che
ti fanno venir voglia di sprofondare appena metti piede fuori casa.
E
fu proprio in quel momento
che Peter bussò alla porta della mia stanza e mi
comunicò che doveva portarmi, “su
ordine del signorino Evan”, in un
posto speciale.
***
Peter
mi fece salire con
gentilezza sulla limousine che aveva parcheggiato fuori dalla villa.
I
sedili in pelle nera erano
comodissimi e, in qualche modo, conciliavano il sonno, ma io non avevo
alcuna
intenzione di dormire.
Anzi,
per l’agitazione,
sembrava quasi che mi stessi sedendo su degli spilli acuminati.
Mossi
nervosamente le dita,
nella speranza che Peter facesse retromarcia indietro e che mi
riportasse a
casa, dove sarei stata la classica fifona di sempre insieme al mio
pigiama con
gli orsacchiotti.
Peter,
leggendo
probabilmente quello che doveva trasparire dai miei occhi,
cercò di
rassicurarmi. «Non si preoccupi, signorina Avril. Sa,
è capitato che il
signorino Evan non sia sempre stato gentile con tutti, ma io riesco a
notare i
piccoli cambiamenti legati alla sua vicinanza. Lei lo sta cambiando in
meglio,
e di questo ne deve essere fiera.»
Arrossii
fino alle punte dei
capelli e tentai, con un penoso balbettio, di ringraziarlo.
Dopo
qualche minuto, Peter
accostò accanto ad un marciapiede.
Alzai
lo sguardo, come
attirata dalla sua presenza, e lo vidi.
Tutte
le ansie che avevo
avuto fino a quel momento, si sciolsero come neve al sole di fronte
alla sua
vista.
Era
incredibilmente bello:
indossava uno smoking nero, che gli metteva in risalto il fisico
snello, mentre
i capelli biondi erano scompigliati dalla leggera brezza che soffiava
quella
sera.
Ma
la cosa che mi colpì, più
di tutto, fu il sorriso: gli illuminava il viso in una maniera
sconvolgente.
Scesi
dalla macchina con le
ginocchia che mi tremavano, e non di
certo per il freddo o per la paura!
Venne
verso di me, non
togliendomi mai gli occhi di dosso, e mi diede il suo braccio, che
presi molto
più che volentieri. «Se ti dicessi che sei
incredibilmente sexy con quel
vestito, Ramona, cosa succederebbe?»
«Ti
risponderei che sei un
maniaco, David. Oltre che un pazzo.»
Mi
guardò con quegli occhi
fiammeggianti. «Oh, ma io lo
sono. Sono
completamente, totalmente e
irrimediabilmente pazzo di te. E, a questo proposito…»
disse, conducendomi all’entrata di un cancello. «Ho
preparato questa piccola sorpresina.»
Camminammo
insieme in un
piccolo viale circondato da piante e fiori di ogni genere: piccole luci
decoravano e percorrevano centinaia e centinai di rami.
L’atmosfera
era magica.
Infine,
arrivammo ad un
tavolo apparecchiato per due: sopra una tovaglia bianca, che doveva
essere probabilmente
seta, vi era posizionato un unico grande vassoio d’argento
circolare coperto da
una calotta coordinata.
Mi
girai per guardarlo, con
la bocca spalancata. «Tu… tu hai organizzato
questo?»
«Sì.
Perché, non ti piace?»
Dio,
mi veniva una voglia incredibile di baciarlo, quando faceva la parte
dell’insicuro.
«Stai
scherzando, vero?»
Corsi verso il tavolo, dimenticando per un attimo di non indossare i
miei
comodi e vecchi jeans. «Evan,
questo è… questo è…
semplicemente meraviglioso! E tu mi chiedi se non mi piace?»
«Oh,
beh, allora devi ancora
vedere il meglio.»
Mi
aiutò a sedermi, proprio come un vero
gentiluomo, e tolse il coperchio argentato dal vassoio.
Mi
aspettavo di vedere salmone, caviale, o
roba ancora di più da riccastri, quando invece
c’era solo…
«Pizza?
Hai ordinato una
pizza?!»
dissi, a metà tra lo sbalordito e il divertito.
«E non una
comune pizza! È
una
pizza gigante con würstel e patatine sopra. Ho pensato che
informale sarebbe
stato meglio.»
Mi
alzai dalla sedia e allacciai le mie
braccia al suo collo. «Grazie
per questa serata.
Ti…»
Amo,
stavo per dirgli.
Ma
non lo feci.
C’era
qualcosa che mi bloccava.
Eppure
sarebbe stato così semplice!
Quell’unica
parola era lì, a portata di mano.
Ma,
non so per quale motivo, quelle tre
lettere non volevano uscire dalla mia bocca.
Così
deglutii, piena di vergogna, e staccai a
fatica lo sguardo da lui, tornando lentamente al mio posto. «Ti
sei preparato molto bene.» conclusi.
Per
fortuna, non
notò il mio improvviso malessere. «Certo.
Dai,
coraggio, attacca la pizza, Tigre.»
Diciamo
che, più che altro, la pizza la mangiò lui.
Io
non avevo molta fame, e sentivo ancora quel maledetto peso sullo
stomaco per la
frase non detta di prima.
«E
adesso, se non ti dispiace, vorrei concludere la serata in bellezza.»
disse poi.
Si
abbassò sotto
il tavolo e prese la sua chitarra classica, che prima non avevo notato.
«Sai,
ho notato come molta gente pensi che stare da soli sia meglio, e che
occuparsi
di un’altra persona dia solo fastidi inutili.»
Sorrise. «Ma,
grazie a te, mi sono accorto che tutto ha un lato
positivo, perfino un pugno tirato dritto sul naso. E quindi, ho capito
che
niente eguaglia la consapevolezza di sapere chi abbracciare o da chi
farti
abbracciare, che niente eguaglia quel calore che ti scalda il cuore
appena
senti che quella persona ti dà il buongiorno. La
verità è che non si sta meglio
da soli, perché tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si
prenda cura di noi. Per
cui… ho scritto questa canzone.»
E
allora incominciò a suonare, completamente
estraniato dal mondo.
So, we got an issue.
Put
away the tissues.
I'm
telling you now that things will be alright.
The
woman that you're swearing,
and
other
times you caring.
And
how will I ever know what's on your mind?
Well,
hear me out,
I'm
not complaining.
Got
a theory that explains it.
I
guess you're schizophrenic,
but
I swear I don't regret it.
Yeah,
I love the things you do,
I
promise that is true.
Here
is my confession,
Yeah,
I heart your imperfections.
And
I think it's time you knew,
I
love the both,
I
love the both of you.
We
got an issue.
No,
I don't need a warning,
at
least you’re never boring.
I'm
watching you laugh yourself until you cry.
Well,
I don't let it face me,
‘cause
we're all a little crazy.
But
who wants to have the sugar with no spice?
Well,
hear me out,
I'm
not complaining.
I
don't ever want you changing.
I
guess you're schizophrenic,
but
I swear I don't regret it.
Yeah,
I love the things you do,
I
promise that is true.
Here
is my confession,
Yeah,
I heart your imperfections.
And
I think it's time you knew,
I
love the both,
I
love the both of you.
And
like a box of chocolates
And
the coin after it flips
Like
a card out of the deck
How
can you ever be sure what you're gonna
get?
I
guess you're schizophrenic,
but
I swear I don't regret it.
Yeah,
I love the things you do,
I
promise that is true.
Here
is my confession,
Yeah,
I heart your imperfections.
And
I think it's time you knew,
I
love the both,
I
love the both.
I
think it's time you knew,
I
love the both,
I love the both of you.
I
don't ever want you changing, girl.
Quindi,
abbiamo un problema.
Metti
via i fazzoletti.
Ora
ti sto dicendo che le cose andranno bene.
La
donna su cui stai giurando,
e
di cui altre volte ti prendi cura.
Riuscirò
mai a capire cosa c'è nella tua
mente?
Ascoltami
bene,
non
mi sto lamentando.
Ho
una teoria che spiega tutto questo.
Credo
che tu sia schizofrenica,
ma
giuro che non mi dispiace.
Amo
quello che fai,
giuro
che è vero.
Questa
è una confessione,
amo
le tue imperfezioni.
Credo
sia ora che tu sappia,
che
amo tutto.
Amo
tutto di te.
Abbiamo
un problema.
Non
ho bisogno di un allarme,
almeno
non sei mai noiosa.
Ti
sto guardando ridere finché non piangi.
Non
mi lascio fronteggiare,
tutti
siamo un po’ pazzi.
Ma
chi vuole avere lo zucchero senza sapore?
Ascoltami
bene,
non
mi sto lamentando.
Non
vorrei mai che tu cambiassi.
Credo
che tu sia schizofrenica,
ma
giuro che non mi dispiace.
Amo
quello che fai,
giuro
che è vero.
Questa
è una confessione,
amo
le tue imperfezioni.
Credo
sia ora che tu sappia,
che
amo tutto.
Amo
tutto di te.
E,
come una scatola di cioccolato,
e
la moneta dopo averla lanciata,
come
la carta fuori dal mazzo,
come
puoi sempre essere sicura di cosa
otterrai?
Credo
che tu sia schizofrenica,
ma
giuro che non mi dispiace.
Amo
quello che fai,
giuro
che è vero.
Questa
è una confessione,
amo
le tue imperfezioni.
Credo
sia ora che tu sappia,
che
amo tutto.
Amo
tutto di te.
Non
vorrei mai che tu cambiassi, ragazza.
E
poi, come se fosse stata parte della canzone, disse una
frase.
Una
singola frase.
«Ti
amo, Avril
Ramona Lavigne.»
Deglutii
a fatica, scacciando quel groppo pesante che mi
si era formato in gola.
«Evan,
io… non… non posso. Vorrei tanto dirti quelle due
parole che vuoi sentirti dire, ma non posso. Credimi, queste due
settimane sono
state le più belle di tutta la mia vita. E questo solo
perché c’eri tu. E forse
mi sto solo facendo problemi inutili, o forse è troppo
presto per me, ma, io…
io… non ci riesco.»
La
vergogna era troppa.
Non
riuscivo a dirgli a mia volta che l’amavo.
Così
lasciai che lui guardasse me, fino a quando non annuì, con
le labbra contratte,
e tornò a guardare la sua chitarra.