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Autore: Cruel Heart    01/10/2014    3 recensioni
C'è sempre un modo per raccontare le storie tristi.
C'è chi vuole addolcirla, come se si trattasse di una tazzina da caffè un po' amara, o c'è chi vuole renderla ancora più tragica di quanto lo sia già.
Sarebbe bello narrare di due adolescenti che si sono innamorati improvvisamente, magari al liceo.
Ma non è la verità, o, per lo meno, non lo è di questa storia.
I piccoli segreti sono ovunque.
Sto parlando di segreti non del tutto svelati, di argomenti tenuti nascosti e di scheletri troppo grandi per essere rinchiusi in un armadio.
E se tutto quello in cui lui credeva, si rivelasse una mera finzione?
E se tutto quello che lei riteneva impossibile, fosse la dura realtà?

Ecco: questa è la verità che voglio raccontarvi.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Little secrets - Missing Moments'
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Salve.

Mi dispiace di non aver aggiornato per molto tempo questa storia.

Così, ho pensato di interromperla, per mancanza di tempo.

Non ve la prendete.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scherzetto!

È ovvio che non la interrompo e, anche se il tempo è mio nemico, cercherò lo stesso di aggiornare il più velocemente possibile.

Scusatemi davvero per il ritardo, ma voi non potete capire cosa sono stati questi primi 15 giorni di scuola: compiti, compiti, compiti e compiti.

Uhm, vediamo, ho già detto compiti?

 

Se finisco ogni sera alle nove, è un miracolo.

Cercherò di rispondere al più presto alle recensioni e scusatemi anche per com’è venuto questo capitolo, ma, davvero, è stato molto difficile scriverlo nelle mie condizioni ^^”

Al prossimo aggiornamento <3

 

 

~ Cruel Heart.

 

***

Evan Taubenfeld - I Love The Both Of You

 

***

 

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Harrisburg, Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 30 Maggio 2001

 

Avril's pov

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Riuscivo a sentire gli strilli del piccolo.

Era nato solo da qualche settimana, ma la sua voce già pretendeva di essere sentita.

Sorrisi tra me e me. Sarebbe stato un ottimo urlatore.

Poi, però, il mio sorriso svanì.

Avvicinai il mio orecchio alla porta che separava il reparto della neonatologia dalla sala d’attesa, ed ascoltai.

Erano grida. Grida di un uomo.

 

Scossi i capelli via dagli occhi e mi concentrai sulla voce maschile.

«Non mi capacito di come possa essere successo…»

 

Cercai di visualizzare la scena.

Un uomo, probabilmente sulla quarantina, stava camminando nervoso su e giù per il corridoio della sala d’attesa.

Riuscivo a sentire i suoi passi irrequieti strisciare sul linoleum.

Forse era solo, o forse c’era qualcuno con lui.

 

«Calmati, ti prego.» Una donna. C’era anche una donna.

 

«No che non mi calmo. Dobbiamo assolutamente trovare una soluzione.»

 

Sentii la donna emettere un gemito di dolore, come se l’uomo le avesse dato un pugno nello stomaco.

«Come… Come puoi parlare così di tuo figlio?»

 

La rabbia dell’uomo esplose incontrollata e la voce gli salì di un’ottava. «Quello non è mio figlio! QUELLO È UN ABOMINIO! NON È UN BAMBINO, È SEMPLICEMENTE UNA COSA, UN ESPERIMENTO RIUSCITO MALE!»

Poi deglutì, come se stesse cercando di calmarsi, invano. «È fragile, è debole. È malato. Dobbiamo rimediare, Avril.»

 

Il discorso dell’uomo era stato molto concitato, certo, ma c’era qualcosa che non mi quadrava.

 

Come faceva a sapere il mio nome?

 

E poi, la sentii.

Sentii una voce gutturale, di un ragazzo, che mi chiamava dolcemente.

«Avril. Avril, svegliati.»

 

E mi risvegliai dal sogno.

 

Sgranai gli occhi e alzai di scatto il busto, con il respiro ansante.

Di fronte a me, vidi un’espressione accigliata diffondersi sul viso di Evan.

 

«Che succede?» mi chiese.

 

«No… niente. Solo un brutto sogno.» Cercai di sorridergli, ma credo che il mio cervello optò per l’opzione “Smorfia non del tutto convincente”.

 

Alzò un sopracciglio e fece un sorriso sghembo. Notai che a lui, invece, i sorrisi uscivano benissimo. «Che mi nascondi qualcosa? Tipo, un sogno erotico su di me, o robe del genere?»

 

«Ma no, scemo.»

Scostai le coperte e mi alzai in piedi, di fronte a lui.

Fece scivolare le braccia intorno al mio corpo, e mi strinse a sé, sollevandomi sulle punte dei piedi.

Lo baciai lentamente e nascosi il viso tra l’incavo della sua spalla, respirando il suo odore di pulito.

«Mmh… baciarti potrebbe diventare il mio hobby preferito.» sussurrai.

 

«Beh, il mio lo è già.»

 

Risi di gusto e circondai il suo collo con le braccia. «Allora? Cosa hai fatto da quando ti sei svegliato?»

 

«Uhm, vediamo.» mi rispose, poggiando l’indice sul mento. «Ho fatto una bella doccia calda e rilassante, poi sono sceso giù, ho apparecchiato il tavolo, ho preparato la tua colazione, mentre tu dormivi ho già fatto lo zaino che tu avresti dovuto fare ieri e, cosa più importante di tutte… mi sono svegliato con il sorriso sulle labbra, il che è magnifico, se penso che il motivo della mia felicità sei tu.»

 

Lo baciai ancora e lo strinsi forte a me. Si poteva avere un buongiorno migliore?

«Wow.» commentai ironica. «Certo che si hanno dei vantaggi ad avere un fidanzato, se ti prepara la colazione.»

 

Si staccò da me, con un’espressione sbalordita sul viso, e si toccò il petto con una mano. «Avril Ramona Lavigne, posso affermare, in tutta onestà, che questo non me lo sarei mai aspettato da te.» mi disse, scherzando. «Se me l’avessi detto prima, a quest’ora sarei già in una famosissima università parigina dove studiano solo come servire le colazioni!»

 

«Mi dispiace, signor Taubenfeld, ma le toccherà passare un’altra giornata con me in un anonimo college americano.»

 

«Non chiedo di meglio.» Sorrise, contagiando anche i suoi occhi azzurri, e andò verso la porta. «E così, adesso sarei il tuo ragazzo, eh? Immagino sia un grande cambiamento, comunque: da protagonista di un sogno porno di una ragazza a suo fidanzato. Lo ammetto: sono colpito.»

 

Mi tolsi una pantofola e provai a tirargliela dietro, senza successo.

Lo sentii ridacchiare e vidi che aveva già iniziato a scendere i primi scalini, quando si fermò improvvisamente e tornò indietro di corsa.

 

Evan si sporse verso di me, finché a dividere i nostri volti non ci furono solo che pochi millimetri. Scorgevo le piccole sfumature azzurre dei suoi occhi, mentre non riuscivo a staccare lo sguardo dalle sue labbra leggermente socchiuse: riuscivo a sentire il calore del suo respiro.

Poi, si avvicinò ancora di più a me, per sussurrare al mio orecchio. «Cerca di metterti qualcosa di carino, Lavigne. Questa sera si va in un posto speciale.»

 

***

 

 [Laboratorio d’informatica del Sanford-Brown]

 

A: Computer 04 (K)

 

Ciao.

 

- X

A: Computer 23 (X)

 

Ciao, X. Stai ancora pensando alla nostra chiacchierata di due settimane fa?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Certo.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Uhm… posso provare ad indovinare chi sei?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Va bene, Kevin.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Sai, mi dà un po’ fastidio il fatto che tu sappia chi sia io, mentre io non so niente di te.

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

È la vita. C’è chi può e chi non può. E io può sempre. [N.d.A. Non vi preoccupate, l’errore è fatto di proposito]

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Dunque, incominciamo con le venti domande…

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Te ne concedo al massimo dieci, Beadfluent.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Uh, qualcuno qui vuole mantenere segreta la sua identità, eh? Comunque, iniziamo. Prima domanda: sei davvero di questo college?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

No, cioè, fammi capire: io e te abbiamo già chattato due volte nella rete privata della scuola, in più sai che ti ho regalato il cappello… E TU MI CHIEDI SE SONO DI QUESTO COLLEGE?!

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Non scrivere in stampatello, sembri in preda ad un attacco isterico. Ho semplicemente voluto controllare, non si sa mai con Internet. Saresti sempre potuto essere un hacker… o peggio, un pazzo squilibrato…

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Lo diventerò molto presto, se continuo a leggere queste tue supposizioni. Andiamo avanti, che è meglio.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Va bene, seconda domanda: sei nel consiglio studentesco?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Stranamente… no.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Riformulo la domanda: sei mai stato cacciato dal consiglio studentesco?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Stranamente… sì.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Fantastico. Hai mai più ripensato alla caccola super-mega-caccolosa di Billigan?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Purtroppo sì, me la vedo davanti agli occhi tutte le notti. È una cosa… brrr.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Bleah. Come mai hai scelto proprio me?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Non lo so, non credo ci sia un perché. Forse possono influire i soldi, chi lo sa… Non è che sei milionario?

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Ehm… No.

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Peccato, vorrà dire che tenterò con qualcun altro.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Divertente. Molto divertente. E non sono neanche sarcastico, pensa un po’. Se ti trovassi davanti ad un ragazzo con una… instabilità fisica, chiamiamola così… cosa faresti?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Beh, lo tratterei esattamente come faccio con tutti. Il che vuol dire che, per svegliarlo, la mattina, gli verserei una bella secchiata ghiacciata nelle mutande. Perché questa domanda?

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Niente, niente. Prossima: credi nell’amore a prima vista?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Sì e no. Voglio dire, non è affatto come scegliere un vestito e dire:”Mi piace, lo prendo”. Innamorarsi di qualcuno vuol dire stare assieme a quella persona minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Non sei innamorato solo perché non hai alternative, perché non puoi stare con qualcun altro. Sai già che ti appartiene e ci stai bene insieme perché, nonostante tutto, continuerai sempre a scegliere lui. O lei.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Noi due… noi due ci siamo già incontrati?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Sì.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

E come posso averti incontrato senza sapere neanche chi sei?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Forse non stavi prestando attenzione nel modo giusto.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Va bene. Come ultima cosa, vorrei chiederti… sei un ragazzo, vero?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Questa è l’unica domanda a cui non posso rispondere, Beadfluent. Mi dispiace, ma devo andare. Sono in ritardo.

 

- X

 

A: Computer 23 (X)

 

Aspetta. In ritardo? In ritardo per cosa?

 

- Kev

 

A: Computer 04 (K)

 

Per rientrare nella realtà.

 

- X

 

*Connessione terminata*

 

***

 

Avril's pov

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Mi rosicchiai le unghie, nel tentativo disperato di calmarmi.

Sì, lo so, non era un buon rimedio. Ma che ci volete fare, quando ero nervosa, le mie unghie erano la prima cosa che trovavo su cui sfogare la mia agitazione.

Wilson continuava a blaterare di qualcosa che aveva a che fare col “poema cavalleresco”, ma non gli prestai ascolto.

Ero troppo impegnata ad alimentare le mie insicurezze e a farmi brutti film mentali su cosa sarebbe successo quella sera con Evan.

Fino a quel momento, ero riuscita a fare solo tre ipotesi:

 

- La prima: Evan che mi lasciava.

Sì, so che non aveva molto senso, visto che mi aveva detto di vestirmi elegante. Ma magari voleva solo addolcirmi la pillola…

 

- La seconda: Evan che mi raccontava qualcosa del suo passato.

Magari mi avrebbe detto qualcosa di scabroso, tipo che era un agente del KGB o un membro del FBI sotto copertura e che il suo fidanzamento con me era tutta una montatura.

 

- La terza: Evan che mi diceva che andava tutto bene.

Mi avrebbe confessato quanto mi amasse, quanto io fossi speciale per lui, quanto fossi importante nella sua vita… e poi mi avrebbe scaricato.

 

Emisi un sospiro di disperazione e mi misi le mani tra i capelli.

Ora come ora, l’unica opzione possibile mi sembrava sbattere la testa contro il muro fino a quando non mi fossi calmata.

 

Poi, per fortuna, la campanella decretò la fine di quella giornata di lezione e, in men che non si dica, mi ritrovai nel corridoio, insieme a Kevin.

Mi guardai attorno, per cercarlo, ma di lui non c’era traccia.

«Evan?» chiesi a Kevin.

 

Dal canto suo, lui continuava a fissare dritto di fronte a sé, senza dare segno di avermi sentito.

Sembrava… assente.

 

Gli passai una mano davanti agli occhi, per attirare la sua attenzione. «Kevin? Ci sei?»

 

«Eh?» Sembrò mettermi a fuoco solo in quel momento. «Che c’è?»

 

«Ti ho chiesto se sapessi dove fosse Evan.»

 

«Evan? Dovrebbe essere a casa, adesso. È uscito prima e ha saltato l’ultima ora. Non te ne sei accorta?»

 

Increspai le sopracciglia, pensierosa. «No… non credo.»

Feci un rapido riassunto della situazione, e capii che ero stata talmente presa dalle mie ansie che non mi ero nemmeno accorta della sua assenza.

 

Fantastico.

La giornata non poteva andare peggio di così.

 

Invece, scoprii, con mio grande disappunto, che, effettivamente, la giornata poteva anche andare peggio.

Tre ore dopo, infatti, mi resi conto che Evan non era affatto tornato a casa, come mi aveva suggerito Kevin, e che non aveva lasciato niente di scritto per me.

Ergo, non sapevo né l’ora, né tantomeno il luogo dell’appuntamento.

E questo era niente, in confronto alla Scelta che dovevo prendere.

La Scelta con la S maiuscola.

 

COSA DIAVOLO DOVEVO METTERMI?

 

Mi aveva detto di vestirmi elegante, certo, ma c’era una bella differenza tra sentirlo dire dal tuo ragazzo e indossare un bel vestito, sentendoti completamente inadatta.

 

Dopo una doccia rilassante, alla fine, optai per un vestitino nero, di quelli leggeri e sopra il ginocchio, che ti fanno venir voglia di sprofondare appena metti piede fuori casa.

 

E fu proprio in quel momento che Peter bussò alla porta della mia stanza e mi comunicò che doveva portarmi, “su ordine del signorino Evan”, in un posto speciale.

 

***

 

Peter mi fece salire con gentilezza sulla limousine che aveva parcheggiato fuori dalla villa.

I sedili in pelle nera erano comodissimi e, in qualche modo, conciliavano il sonno, ma io non avevo alcuna intenzione di dormire.

Anzi, per l’agitazione, sembrava quasi che mi stessi sedendo su degli spilli acuminati.

 

Mossi nervosamente le dita, nella speranza che Peter facesse retromarcia indietro e che mi riportasse a casa, dove sarei stata la classica fifona di sempre insieme al mio pigiama con gli orsacchiotti.

 

Peter, leggendo probabilmente quello che doveva trasparire dai miei occhi, cercò di rassicurarmi. «Non si preoccupi, signorina Avril. Sa, è capitato che il signorino Evan non sia sempre stato gentile con tutti, ma io riesco a notare i piccoli cambiamenti legati alla sua vicinanza. Lei lo sta cambiando in meglio, e di questo ne deve essere fiera.»

 

Arrossii fino alle punte dei capelli e tentai, con un penoso balbettio, di ringraziarlo.

Dopo qualche minuto, Peter accostò accanto ad un marciapiede.

Alzai lo sguardo, come attirata dalla sua presenza, e lo vidi.

Tutte le ansie che avevo avuto fino a quel momento, si sciolsero come neve al sole di fronte alla sua vista.

 

Era incredibilmente bello: indossava uno smoking nero, che gli metteva in risalto il fisico snello, mentre i capelli biondi erano scompigliati dalla leggera brezza che soffiava quella sera.

Ma la cosa che mi colpì, più di tutto, fu il sorriso: gli illuminava il viso in una maniera sconvolgente.

 

Scesi dalla macchina con le ginocchia che mi tremavano, e non di certo per il freddo o per la paura!

Venne verso di me, non togliendomi mai gli occhi di dosso, e mi diede il suo braccio, che presi molto più che volentieri. «Se ti dicessi che sei incredibilmente sexy con quel vestito, Ramona, cosa succederebbe?»

 

«Ti risponderei che sei un maniaco, David. Oltre che un pazzo.»

 

Mi guardò con quegli occhi fiammeggianti. «Oh, ma io lo sono. Sono completamente, totalmente e irrimediabilmente pazzo di te. E, a questo proposito…» disse, conducendomi all’entrata di un cancello. «Ho preparato questa piccola sorpresina.»

 

Camminammo insieme in un piccolo viale circondato da piante e fiori di ogni genere: piccole luci decoravano e percorrevano centinaia e centinai di rami.

L’atmosfera era magica.

 

Infine, arrivammo ad un tavolo apparecchiato per due: sopra una tovaglia bianca, che doveva essere probabilmente seta, vi era posizionato un unico grande vassoio d’argento circolare coperto da una calotta coordinata.

 

Mi girai per guardarlo, con la bocca spalancata. «Tu… tu hai organizzato questo?»

 

«Sì. Perché, non ti piace?»

 

Dio, mi veniva una voglia incredibile di baciarlo, quando faceva la parte dell’insicuro.

«Stai scherzando, vero?» Corsi verso il tavolo, dimenticando per un attimo di non indossare i miei comodi e vecchi jeans. «Evan, questo è… questo è… semplicemente meraviglioso! E tu mi chiedi se non mi piace?»

 

«Oh, beh, allora devi ancora vedere il meglio.»

 

Mi aiutò a sedermi, proprio come un vero gentiluomo, e tolse il coperchio argentato dal vassoio.

Mi aspettavo di vedere salmone, caviale, o roba ancora di più da riccastri, quando invece c’era solo…

 

«Pizza? Hai ordinato una pizza?!» dissi, a metà tra lo sbalordito e il divertito.

 

«E non una comune pizza! È una pizza gigante con würstel e patatine sopra. Ho pensato che informale sarebbe stato meglio.»

 

Mi alzai dalla sedia e allacciai le mie braccia al suo collo. «Grazie per questa serata. Ti…»

 

Amo, stavo per dirgli.

Ma non lo feci.

C’era qualcosa che mi bloccava.

Eppure sarebbe stato così semplice!

Quell’unica parola era lì, a portata di mano.

Ma, non so per quale motivo, quelle tre lettere non volevano uscire dalla mia bocca.

 

Così deglutii, piena di vergogna, e staccai a fatica lo sguardo da lui, tornando lentamente al mio posto. «Ti sei preparato molto bene.» conclusi.

 

Per fortuna, non notò il mio improvviso malessere. «Certo. Dai, coraggio, attacca la pizza, Tigre.»

 

Diciamo che, più che altro, la pizza la mangiò lui.

Io non avevo molta fame, e sentivo ancora quel maledetto peso sullo stomaco per la frase non detta di prima.

 

«E adesso, se non ti dispiace, vorrei concludere la serata in bellezza.» disse poi.

Si abbassò sotto il tavolo e prese la sua chitarra classica, che prima non avevo notato.

«Sai, ho notato come molta gente pensi che stare da soli sia meglio, e che occuparsi di un’altra persona dia solo fastidi inutili.» Sorrise. «Ma, grazie a te, mi sono accorto che tutto ha un lato positivo, perfino un pugno tirato dritto sul naso. E quindi, ho capito che niente eguaglia la consapevolezza di sapere chi abbracciare o da chi farti abbracciare, che niente eguaglia quel calore che ti scalda il cuore appena senti che quella persona ti dà il buongiorno. La verità è che non si sta meglio da soli, perché tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi. Per cui… ho scritto questa canzone.»

 

E allora incominciò a suonare, completamente estraniato dal mondo.

 

So, we got an issue.
Put away the tissues.
I'm telling you now that things will be alright.
The woman that you're swearing,
and
other times you caring.
And how will I ever know what's on your mind?

Well, hear me out,
I'm not complaining.
Got a theory that explains it.

I guess you're schizophrenic,
but I swear I don't regret it.
Yeah, I love the things you do,
I promise that is true.
Here is my confession,
Yeah, I heart your imperfections.
And I think it's time you knew,
I love the both,
I love the both of you.

We got an issue.

No, I don't need a warning,
at least you’re never boring.
I'm watching you laugh yourself until you cry.
Well, I don't let it face me,
‘cause we're all a little crazy.
But who wants to have the sugar with no spice?

Well, hear me out,
I'm not complaining.
I don't ever want you changing.

I guess you're schizophrenic,
but I swear I don't regret it.
Yeah, I love the things you do,
I promise that is true.
Here is my confession,
Yeah, I heart your imperfections.
And I think it's time you knew,
I love the both,
I love the both of you.

And like a box of chocolates
And the coin after it flips
Like a card out of the deck
How can you ever be sure what you're gonna get?

I guess you're schizophrenic,
but I swear I don't regret it.
Yeah, I love the things you do,
I promise that is true.
Here is my confession,
Yeah, I heart your imperfections.
And I think it's time you knew,
I love the both,
I love the both.
I think it's time you knew,
I love the both,

I love the both of you.

I don't ever want you changing, girl.

 

Quindi, abbiamo un problema.
Metti via i fazzoletti.
Ora ti sto dicendo che le cose andranno bene.
La donna su cui stai giurando,
e di cui altre volte ti prendi cura.
Riuscirò mai a capire cosa c'è nella tua mente?

Ascoltami bene,
non mi sto lamentando.
Ho una teoria che spiega tutto questo.

Credo che tu sia schizofrenica,
ma giuro che non mi dispiace.
Amo quello che fai,

giuro che è vero.
Questa è una confessione,
amo le tue imperfezioni.
Credo sia ora che tu sappia,
che amo tutto.
Amo tutto di te.


Abbiamo un problema.

Non ho bisogno di un allarme,
almeno non sei mai noiosa.
Ti sto guardando ridere finché non piangi.
Non mi lascio fronteggiare,
tutti siamo un po’ pazzi.
Ma chi vuole avere lo zucchero senza sapore?

Ascoltami bene,
non mi sto lamentando.
Non vorrei mai che tu cambiassi.


Credo che tu sia schizofrenica,
ma giuro che non mi dispiace.
Amo quello che fai,

giuro che è vero.
Questa è una confessione,
amo le tue imperfezioni.
Credo sia ora che tu sappia,
che amo tutto.
Amo tutto di te.


E, come una scatola di cioccolato,
e la moneta dopo averla lanciata,
come la carta fuori dal mazzo,
come puoi sempre essere sicura di cosa otterrai?

Credo che tu sia schizofrenica,
ma giuro che non mi dispiace.
Amo quello che fai,

giuro che è vero.
Questa è una confessione,
amo le tue imperfezioni.
Credo sia ora che tu sappia,
che amo tutto.
Amo tutto di te.


Non vorrei mai che tu cambiassi, ragazza.

 

E poi, come se fosse stata parte della canzone, disse una frase.

Una singola frase.

 

«Ti amo, Avril Ramona Lavigne.»

 

Deglutii a fatica, scacciando quel groppo pesante che mi si era formato in gola.

«Evan, io… non… non posso. Vorrei tanto dirti quelle due parole che vuoi sentirti dire, ma non posso. Credimi, queste due settimane sono state le più belle di tutta la mia vita. E questo solo perché c’eri tu. E forse mi sto solo facendo problemi inutili, o forse è troppo presto per me, ma, io… io… non ci riesco.»

 

La vergogna era troppa.

Non riuscivo a dirgli a mia volta che l’amavo.

Così lasciai che lui guardasse me, fino a quando non annuì, con le labbra contratte, e tornò a guardare la sua chitarra.

 

   
 
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