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Autore: The Stranger On The Moon    01/10/2014    3 recensioni
La Bella e la Bestia, il Gigante e la Bambina, la Spada e la Rosa, così li chiamavano.
Poi la Bella ha domato la Bestia, la Bambina ha piegato il Gigante e la Rosa ha spezzato la Spada.
Come, chiedete?
Lui un tempo l'ha chiamato Peccato,
Lei un tempo l'ha chiamato Amore.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexander Andersen, Enrico Maxwell, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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14. Elementare

 

La mattina dopo bussò alla porta del prete verso le dieci, ora che le sembrava abbastanza ragionevole. Yumiko, a colazione, l'aveva informata che la sera prima la febbre gli era scesa a trentotto, quindi non era troppo preoccupata.

-Chi è?-Chiese lui con voce stranamente affannata-Chi è?

-Miryam, padre-Rispose lei, leggermente titubante.

Ci fu un attimo di silenzio, dopodiché lo udì armeggiare con la serratura.

Poi tutto successe in un attimo: si ritrovò dentro la sua stanza, la porta chiusa alle sue spalle, stretta convulsamente fra le braccia del prete.

Aprì la bocca, ma sorpresa com'era non ne uscì niente: rimase ferma e incollata al torace dell'uomo, che spostava il peso da un piede all'altro singhiozzando violentemente.

-M-ma...Padre, che ha?-Balbettò infine, quando riuscì a recuperare l'uso della lingua. Alzò la mano sinistra e gliela strofinò cautamente sulla schiena. L'altra gliela portò al volto, visto che schiacciata com'era non riusciva neppure a girare la testa.

Lui accostò, spinse la testa contro il suo palmo col fiato corto come se, per lungo tempo, non avesse aspettato altro che una sua carezza.

Miryam sentì, passandogli la mano sulla fronte, che scottava anche di più della mattina precedente, e ne dedusse che fosse in pieno delirio febbrile: lo lasciò fare, quindi, continuando ad accarezzargli i capelli.

Quando parlò la fece sussultare di sorpresa: era così vicino al suo orecchio che sentiva il calore del suo respiro, e le sue labbra le solleticavano il padiglione.

-Mi dispiace...-Disse in un sussurro tremante, facendola rabbrividire-Mi dispiace così tanto...

-Non...-Esitò appena. Tanto stava delirando, non si sarebbe ricordato di niente.

-Non è stata colpa tua.

Non sapeva nemmeno se l'avesse sentita.

-Io non volevo farti del male...-Continuò, sempre tenendola stretta-Non volevo, capisci?Mi hanno costretto...-

-Lo so che non volevi. Non preoccuparti.

Scese con le dita a cercargli il volto, e constatò che non stava ancora piangendo. Capì però, sentendo le rughe che gli accartocciavano la pelle, che era contratto in una smorfia di tristezza e dolore.

-Ho dovuto, ma non volevo...-Sussurrò, con un tono che le strinse il cuore.

Trovò finalmente le sue labbra e vi posò sopra la punta dell'indice, per zittirlo.

-Ssssssh, Alexander...Qualsiasi cosa tu abbia fatto, io ti perdono.

Lo sentì cercare ancora le sue carezze, e gli appoggiò il palmo contro la guancia. Poco dopo, però, sentì anche le sue lacrime bagnarle i polpastrelli.

-Ti prego, no...-Febbre o meno, sentire un uomo di quel calibro piangere come un bambino era un pugno allo stomaco, e le lasciava l'amaro in bocca.

-Come puoi perdonare un mostro? Non sai quello che ho fatto!

Ora aveva un volume di poco più alto, ma in compenso aveva la voce strozzata, come se parlasse con un enorme nodo in gola. Sembrava completamente spiazzato.

Le sue braccia la stringevano tanto forte che faceva fatica a respirare ed era perfino sollevata a un paio di centimetri da terra, ma era sicura che non intendesse farle del male. Era una stretta spaventata, in un certo senso anche protettiva, come se temesse di perderla da un momento all'altro.

-Qualsiasi cosa- Ripeté dolcemente, pettinandogli i capelli a lato della testa con le dita -Qualsiasi cosa, Alexander.

Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, ma non poteva, con la testa bloccata voltata da un lato.

-Davvero...?- La sua voce era ridotta ad un sussurro roco.

-Davvero.

-Perchè lo fai...?

Sospirò indecisa, non sapendo se parlare o meno. Poi gli spinse gentilmente la testa verso il basso, in modo di avere il suo orecchio a portata di labbra.

-Perchè, anche se non sei mio, sei tutto quello che ho.

Fu poco meno di un sospiro, ma bastò a farle capire che aveva confessato il più grande tormento della sua anima.

Da dove le veniva quel coraggio non lo sapeva: probabilmente era perchè sperava che si sarebbe dimenticato tutto, o forse perchè non poteva più tenerselo dentro. Malgrado ciò riuscì, ameno in parte, a calmarlo.

Sentì la stretta allentarsi e i suoi piedi toccare di nuovo terra; poi lui posò la mano sulla sua, sulla guancia, e chinò leggermente la testa di lato.

Alzò la testa e lo guardò in volto.

Teneva il capo chinato, il mento che toccava il petto: la sua espressione era ancora addolorata, ma di un dolore più sereno; dolce, a suo modo. Le lacrime gli rotolavano giù dagli occhi, ma meno fitte, e i singhiozzi gli scuotevano il petto solo di tanto in tanto.

Cercò i suoi occhi: erano lucidi e visibilmente privi di coscienza, ma le iridi verdi erano limpide come non le aveva mai viste.

Le spostò delicatamente la mano dalla guancia ai capelli e lei, recepito il messaggio, riprese a passarci le dita in mezzo.

Lo sentì rilassarsi in un lungo sospiro di sollievo, mentre la sua mano le scivolava sul polso.

In quel momento vide un'enorme bestia ferita acquietarsi alle carezze di una bambina.

Oh, sì, aveva visto tanti uomini piangere di rabbia o di vergogna: eppure la toccava molto di più lui, che piangeva più che altro a causa della febbre. Forse era a causa del fatto che sbuffava e si agitava, a tratti, impacciato, come a dire:”Cos'è questa roba? Non è possibile, io non ho mai pianto”.

Gli prese il volto fra e mani e cercò di guardarlo negli occhi: lui però si rifiutò di incrociare i suoi.

-Alexander?

Era un peccato non poterlo chiamare davvero così: a lei quel nome piaceva tanto e lui sembrava rilassarsi un po' di più ogni volta che lo usava. Probabilmente fu per questo che accettò, suo malgrado, di alzare lo sguardo.

-Guardami, su. Così, sì, da bravo... Basta piangere, adesso, ok? Vieni con me.

Ottenne di essere lasciata del tutto – la sua schiena sospirò di sollievo - e lui si lasciò guidare verso il letto, sempre con la mano posata sulla sua.

Lo fece stendere e lo coprì; ad un tratto provò a lasciarlo ed andare a prendere una pezza bagnata, ma lui le serrò il polso in una stretta d'acciaio. Le ci volle un certo autocontrollo per non fare una smorfia di dolore.

-Non te ne andare- La supplicò, tirandola verso di sé -Resta qui...

-Vado a prenderti uno straccio bagnato, bruci di febbre.

-Per favore...- Insistette, strattonandola un po' più forte. Sicuramente non si rendeva conto della sua forza, perchè la fece quasi cadere.

-Va bene, va bene...- Si sedette sul bordo del letto.

-Contento?

Andersen annuì e le lasciò il polso.

Gli fece scivolare la punta delle dita dalla tempia al collo, sospirando. Lo vide socchiudere gli occhi e sorridere. Aveva smesso anche di singhiozzare.

-Potresti rifarlo...?

-Cosa, questo?-Disse, ripetendo il gesto.

Annuì, contento come un bambino. Riprese ad accarezzargli i capelli e, dopo di un po', vide che gli ciondolava la testa di lato. Dopo di un po' lo lasciò, andare convinta che stesse dormendo.

-Miryam...

Sobbalzò di sorpresa e si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, ma non completamente chiusi.

-Ti...

Lei piegò la testa, in ascolto, ma il prete sospirò e reclinò il capo di lato.

La ragazza si alzò ed uscì dalla stanza.

 

-Miryam...

Non alzò nemmeno la testa dalla sua lettura. Da quando s'era addormentato - un'ora, forse due - l'aveva chiamata almeno una decina di volte, ora scusandosi, ora invocandola e basta.

-Miryam, io ti...

A quella la alzò , la testa.

-Ti...

Lo fissò, in attesa, mentre un turbine di pensieri le attraversava la testa. Il più gentile di essi era “Finisci quella cazzo di frase, idiota”.

Ma come si sa, ogni momento importante è destinato ad interrompersi sul più bello.

-Miryam?

Le servì una gran forza di volontà per non snocciolare tutte le imprecazioni che conosceva.

Lo guardò stiracchiarsi di gusto, ribollendo in silenzio.

-Come mai qui?

-Niente, volevo solo vedere come stava.

-Ah, ti ringrazio. Cos...?-Si tastò la fronte, dove aveva posato la famosa pezza bagnata.

-Le era salita di molto la febbre, stamattina. Qualcosa come quarantadue.

-Ho delirato? Perchè quando mi ammalo ho questa spiacevole tendenza a non avere più il filtro fra il cervello e la lingua.

Tutte scuse autentiche, quindi, come pure le lacrime. E se avesse finito quella frase...

-No, o almeno non in mia presenza.

-Strano, perchè ho dei flash...-Si portò una mano alla testa, confuso-Boh, forse me lo sono sognato. Comunque la febbre m'è passata.

-Che?Ma lei scherza. Fino a stamattina scottava come una stufa.

-Certo: prima mi fa lo svarione e poi mi passa del tutto. Non ci credi?Passami il termometro.

Fece quello che le aveva chiesto, scettica. Lui si sedette sul bordo del letto e attese dondolando le gambe, e qualche minuto dopo tirò fuori la risposta: trentasei e due.

-Stupefacente.

-Bene!

Il prete si alzò in piedi e si stiracchiò di nuovo.

-Com'è andata con Maxwell?

-Una cosa normale di noia normale. Non è stato nemmeno troppo viscido.

-Povera ragazza...- Commentò togliendosi il pigiama -Sai che ti dico?Ti ci porto io a cena, domani sera.

-Eh?

Sbirciò da sopra la spalla: boxer, peccato.

-Ma sì: ti porto fuori a cena. Ci stai?

-Certo che ci sto.

-Allora domani sera alle otto.

-Formale?

-Spero tu stia scherzando.

 

-Buongiorno!

Eccolo là. Capitava sempre nei momenti più inopportuni, quello: per esempio quando era nel clue di un allenamento, mezzo svestita e lucida di sudore.

-Enrico-Salutò a sua volta col suo miglior sorriso finto, fermandosi-Cosa posso fare per te?

Sottotitolo: perchè non te ne vai alla svelta, ratto albino?

-Ricordi l'altra sera, quando ti ho detto che probabilmente avrei dovuto incontrare l'Hellsing?

-Sì.

-Domani devo, per l'appunto, discutere di una faccenda di non poco conto con loro. Dobbiamo incontrarci al Museo dell'Esercito Reale, e Renaldo...Beh, non può seguirmi. Ti dispiacerebbe accompagnarmi?

Oh Signore, e smettila.

-Sarebbe una missione?

Prese tempo, elucubrando intanto una scusa plausibile da opporre alla sua richiesta.

-Beh, no.

Fece una pausa che, l'avrebbe giurato, era studiatissima.

-Però preferirei portarmi dietro sia te che Andersen, in affari come questo. Sai com'è...

Ah, allora non c'era alcun motivo per restare.

-D'accordo. Non avevo comunque niente da fare-Rispose sospirando.

-Benissimo. Sarà una cosa veloce, non preoccuparti: intendo sbrigare la questione il più rapidamente possibile.



Nota: Per coloro che non avessero ben presente che razza di arma Miryam usi, vi allego sotto un paio di foto.


E' un'arma indiana comunemente nota come bagh nakh o "Artigli di tigre". Quella di Miryam, in particolare, è combinata ad un bichwa, che è il pugnale laterale che vedete in foto. Nei buchi vanno fatti passare l'indice e il mignolo, cosicchè è possibile colpire sia frontalmente, con gli artigli, che lateralmente, col pugnale.

  
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