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Autore: Soul of Paper    01/10/2014    7 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota dell’autrice: lo so che vi ho fatto aspettare tantissimo ma spero che questo capitolo taglia XXXL vi compensi per l’attesa. Diciamo che i personaggi ad un certo punto si sono messi di testa loro e gli hanno fatto prendere una piega leggermente diversa da quanto inizialmente previsto, rendendolo più lungo del previsto, anche da scrivere. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note a fine capitolo.


 
Capitolo 40: “Old friends”


 
“Buongiorno, Valentina è in casa?”
 
Ancora un po’ assonnata e abbagliata dalla luce solare, impiega qualche secondo per mettere a fuoco lo sconosciuto alla porta, poi spalanca gli occhi, sorpresa di fronte a quell’uomo sorridente e dallo sguardo gentile e che, soprattutto, nonostante abbia evidentemente qualche anno in più di lei, rientra tranquillamente nella top-ten degli uomini più attraenti che abbia mai conosciuto, tra il fisico sportivo, sottolineato dai jeans e dalla t-shirt, e quegli occhi azzurri che potrebbero essere usati come un’arma impropria.
 
Altri cinque o sei secondi trascorrono prima che lo sguardo interrogativo dell’uomo le permetta finalmente di rendersi conto di quanto tempo ha passato a fissarlo come una perfetta idiota.
 
“Ah, Valentina… sì, credo di sì, un secondo…” bofonchia arrossendo, indietreggiando impacciata, “intanto se ti vuoi accomodare… stavo preparandomi un caffè, ne vuoi un po’?”
 
“No, grazie, ho già fatto colazione e non vorrei disturbare,” replica con un altro sorriso che quasi la fa sciogliere, per poi aggiungere, mentre i suoi occhi si soffermano sulla t-shirt da uomo che lei usa come camicia da notte e sui biscotti sul tavolo, “se… se Valentina sta ancora dormendo posso passare più tardi… purtroppo ho il vizio di essere troppo mattiniero e di dimenticarmi che è pur sempre domenica mattina.”
 
“No, no, figurati, sono io che mi sveglio tardi,” minimizza, notando con un certo imbarazzo che sono quasi le undici del mattino, “ma Valentina di solito è meno pigra di me, aspetta che la chiamo. Vale? VALE?! VALEE?!”
 
“Gaia, ho sentito, ho sentito!” li raggiunge un urlo spazientito, “che hai da urlare così tanto?! Ero sotto la-“
 
Si blocca repentinamente, appena voltato l’angolo, e non servono grandi poteri deduttivi per capire che la parola mancante alla frase era “doccia”. Un asciugamano avvolto intorno al corpo, a coprire il minimo indispensabile e uno intorno ai capelli, entrambi bianchi, mentre tutto il resto si tinge repentinamente di rosso-fucsia.
 
“Dottor Berardi? Ch- che ci fa qui?” domanda quasi balbettando quando ritrova la parola, cercando di coprirsi il più possibile con le braccia.
 
“Avevo bisogno di parlarle… ma… non immaginavo… mi dispiace di essere capitato in un momento poco opportuno,” ribatte Gaetano, sembrando lievemente a disagio, ma mai imbarazzato quanto la ragazza.
 
“No, cioè sì, cioè… si figuri e-“
 
“Se vuole… posso aspettarla qui fuori? Magari facciamo due passi e... se non ha altri impegni, chiaro,” interviene per toglierla di nuovo dall’impaccio, notando quanto la ragazza, presa dal panico, fatichi a formare anche solo una frase di senso compiuto.
 
“Sì… ok, mi preparo e torno,” acconsente, mentre Gaetano con un cenno di saluto a lei e a Gaia si avvia da solo verso la porta d’ingresso del piccolo appartamento, per poi scomparire chiudendola dietro di sé.
 
“Gaia, ma sei matta?! Non potevi avvisarmi che c’era qui gente prima di chiamarmi?! E il vicequestore, oltretutto! Che figura!!!” sbotta, ancora rossa come un peperone, avviandosi verso la sua camera per cambiarsi.
 
“Scusa, ma ero mezza addormentata e non avevo idea che fossi sotto la doccia e poi-“ inizia a giustificarsi, bloccandosi improvvisamente quando inizia a connettere i puntini, “vicequestore?! Ma certo! Figo, occhi azzurri… non dirmi che è lui il tuo capo! Ma me lo avevi descritto come una specie di cerbero precisino e invece è così gentile, alla mano… poi si presenta qui in jeans e maglietta, chiedendo di Valentina, io pensavo fosse un tuo amico, gli ho pure dato del tu… No, aspetta, aspetta: perché il tuo capo viene qui di domenica mattina, in jeans e maglietta… non è che mi sono persa qualcosa in questa storia? Perché se sì, dobbiamo festeggiare: finalmente ce l’hai fatta e-“
 
 
“Gaia, Gaia, mi fai parlare?!” riesce infine ad intervenire, arginando il fiume di parole dell’amica, “il dottor Berardi non è il mio capo, grazie a dio! Oddio, se mi avesse visto così De Matteis sarei morta di vergogna e mi toccherebbe chiedere il trasferimento in un paesino sperduto nelle alpi!”
 
“Cioè, fammi capire: quindi i vicequestori sono tutti dei fighi da paura occhiazzurri? Perché se sì ho sbagliato tutto nella vita! Altro che fare l’art director sottopagata per le pubblicità: il mio direttore creativo e i partner dell’agenzia in cui lavoro sembrano dei pupazzi di Viareggio!” commenta con una risata, facendola, nonostante tutto, sorridere.
 
Gaia è così: un uragano, un fiume in piena, estroversa, solare, ironica, divertente, spensierata, creativa, proprio come il lavoro che svolge. Proprio tutto il contrario di lei: un po’ timida, introversa, ligia al dovere e alla disciplina inculcatale nell’addestramento ma che in fondo hanno sempre fatto parte di lei, che l’hanno fatta sempre sentire bene, tranquilla, a suo agio, perché avere qualcuno che ti dice cosa fare e come farlo è rassicurante, in fondo.
 
Gaia è il tipo da tuffi dalla scogliera, da rivoluzionare la propria vita in due minuti, dal sopravvivere benissimo ad un lavoro precario, mille cambi di agenzie, periodi di superlavoro e periodi di magra. Lei è il tipo da chilometri macinati nella piscina olimpionica, di fedeltà al giuramento e al suo lavoro, spesso ingrato e con una paga da fame, alla squadra di cui fa parte, al suo capo, mai suo quanto avrebbe voluto e che probabilmente mai lo sarà.
 
Gaia è il tipo da innamorarsi in due minuti, prendere una tranvata nei denti, farsi forza e riprendersi pochi giorni dopo: nuovo giro, nuovo amore, chiodo-scaccia-chiodo. Lei è… una povera sfigata che da anni ormai si strugge dietro un uomo impossibile, in tutti i sensi, nonostante i pretendenti non le manchino di certo.
 
Forse è per questo che, paradossalmente, la coabitazione con Gaia funziona ormai da anni: si compensano a vicenda.
 
Cercando di ricacciare indietro l’imbarazzo, si cambia più in fretta che può, raccogliendo i capelli ancora umidi ed indossando la maglietta bianca e i pantaloni neri più formali del suo guardaroba, anche se… anche se Berardi si era presentato lì in modo più che informale.
 
Ma che cosa ci fa qui? Cosa vuole da me? – queste sono le domande che le passano per la testa mentre esce dalla camera e con un rapido saluto a Gaia, prima che l’amica la intercetti di nuovo con la sua logorrea, si infila nel portone di casa.
 
Berardi è già in cortile, appoggiato al muro, intento a conversare amabilmente e pazientemente con la terribile signora del quarto piano. Sospira, immaginando già il terzo grado a cui l’anziana starà sottoponendo Berardi e anche i pettegolezzi che presto gireranno per il condominio sulla visita di un uomo di domenica mattina. Avvicinandosi si stupisce di notare che l’anziana sorride, anzi, ride proprio, mentre di solito il suo concetto di buonumore è il non avere un’espressione schifata, mentre Berardi fa due coccole al suo pincher: sovrappeso fino quasi a scoppiare, viziato all’inverosimile e con un abbaiare insistente e acutissimo che ti fa venire voglia di cavarti i timpani per non sentirlo. Ma eccolo lì, disteso col pancione in su a farsi accarezzare come il più docile dei cagnolini.
 
La differenza tra Berardi e De Matteis la colpisce di nuovo: saranno pure entrambi “fighi da paura occhiazzurri”, come diceva Gaia, ma non potrebbero essere più diversi, come il giorno e la notte. Berardi è il giorno: solare, dal sorriso luminoso, i modi gentili. L’aria da principe azzurro, come lo chiamava De Matteis in modo dispregiativo, ce l’aveva tutta, anche se sapeva benissimo, da voci di corridoio, che l’ex vicequestore aveva un debole, ricambiato, per le belle donne. De Matteis invece è la notte: lunatico, ombroso, con tanti punti oscuri e imperscrutabili e proprio per questo, almeno ai suoi occhi, misterioso ed affascinante. Di donne nella sua vita nemmeno l’ombra, tanto che, dopo la prima volta che il fratello si era presentato in caserma, complice anche il cognome diverso, erano circolati parecchi pettegolezzi sull’orientamento sessuale del vicequestore, andati a morire quando l’equivoco e l’identità del signor Visconti erano stati chiariti. Ma lei ormai dopo anni di osservazione si era convinta che De Matteis più che etero o gay fosse praticamente asessuale, asettico e parecchio misantropo, in generale.
 
“Valentina, ciao!” la saluta lui quando la vede arrivare e lei non può fare a meno di sorprendersi e arrossire leggermente all’uso del suo nome di battesimo. Si chiede se De Matteis se lo ricordi il suo nome di battesimo, dato che la designa sempre con il cognome, quel cognome che tanto aveva detestato a scuola, visto che l’aveva esposta a mille prese in giro. Ma era stato anche un incentivo a fare sport, a tenersi sempre in forma.
 
“Ah, signorina, suo cugino è davvero simpatico, peccato che passi di qui così raramente! Vi lascio che è ora di dare il pranzo al mio Otto,” commenta l’anziana, salutandoli prima di incamminarsi a passo incespicante verso la tromba delle scale.
 
“Mio cugino?!” domanda sorpresa, guardandolo negli occhi.
 
“Mi scusi se mi sono permesso ma… ho pensato che fosse la cosa migliore da dire per evitarle pettegolezzi e magari problemi… che ne so… con il suo fidanzato ad esempio. Conosco il genere della signora,” le spiega con un altro di quei sorrisi brillanti che lei non può evitare di ricambiare.
 
“No, no, anzi, grazie. Solo che mi sa che adesso la signora Roncati continuerà a chiedermi di lei, anzi, di mio cugino: non so come ha fatto ma l’ha conquistata,” ribatte con una mezza risata, stupita da tanta premura, sentendosi più a suo agio.
 
“Ho i miei metodi… Allora, facciamo questi due passi?” domanda lui, sempre sorridendo, “ho visto che c’è un parco qui vicino.”
 
“Sì, ci vado spesso a correre la mattina. D’accordo,” concede, avviandosi insieme a lui verso il parco, “ma posso chiederle perché è qui? Cioè come mi ha trovata innanzitutto?”
 
“Beh, in fondo sono ancora un poliziotto, no?” ribatte con tono ironico e autoironico, facendola arrossire.
 
“Oddio, sì, mi scusi dottore, ha ragione, ma-“
 
“Per favore, niente dottore: non siamo in servizio e in ogni caso non sono il suo capo. Mi chiami solo Gaetano,” la invita con un altro sorriso gentile quando arrivano al parco, avviandosi su uno dei vialetti in terra battuta e ghiaino.
 
“D’accordo, e allora… lei mi chiami Valentina, anzi, in fondo, l’ha già fatto, no?” replica ricambiando il sorriso, sentendo sempre il viso un po’ troppo caldo, anche se l’atteggiamento di lui, cordiale ma non troppo… umano è probabilmente l’aggettivo giusto, la sta mettendo sempre più a suo agio.
 
“Già… è che… presentarmi alla sua coinquilina chiedendo dell’agente Grassetti… mi dà l’idea di un’ispezione o un interrogatorio e non amo le formalità inutili e francamente un po’ ridicole,” commenta, mentre lei non può fare a meno di pensare a De Matteis e Mancini, il rigore stampato a fuoco in ogni singola cellula del loro corpo. Mancini addirittura pretendeva che si mettessero sull’attenti se lo salutavano per strada, in borghese. Le era capitato solo una volta, per fortuna,  ma ricordava ancora perfettamente gli sguardi stupiti dei passanti e i commenti di Gaia, che era con lei a prendersi un aperitivo quella sera.
 
“Ma quindi lei… chiama i suoi sottoposti per nome? Dà loro del tu e si fa dare del tu?” non può fare a meno di domandare, incuriosita, quando lui si siede su una panchina, sedendosi accanto a lui. Aveva sentito molte voci, soprattutto dall’ispettore Torre, su quanto fosse amichevole e alla mano il “vecchio capo”.
 
“Dipende… di solito do loro del tu ma li chiamo per cognome, mentre loro mi danno del lei e mi chiamano dottore. In alcuni casi quando ero più giovane ho anche avuto sottoposti che mi davano del tu e mi chiamavano per nome, ma i miei superiori non gradivano ed è successo che qualcuno si prendesse troppa confidenza,” spiega, ricordando perfettamente quanto successo con la Cremonesi: probabilmente sarà stato anche per il carattere marziale di lei, ma arrivati ad un certo punto sembrava quasi che fosse diventata lei il capo e non lui.
 
“Da allora ho imparato la lezione ed evito, ma… Torre, che credo lei conosca, è l’amico più caro che ho, praticamente è di famiglia, nonostante io lo chiami per cognome, lui mi chiami dottore, anzi, dottò, e mi dia del voi, quindi… l’importante non sono queste convenzioni ma il rapporto che si instaura con i propri sottoposti. Si può decidere di farsi rispettare con il pugno di ferro e con l’intimidazione o, più semplicemente, agendo in modo da meritarsi il loro rispetto. E se si dà il massimo, allora si può pretendere anche il massimo e ho notato che le persone ti seguono comunque, anzi, lavorano molto meglio e i risultati si vedono, oltre al fatto che l’ambiente di lavoro è molto più piacevole.”
 
“L’ispettore Torre ci parlava spesso di lei, teneva pure una sua foto sulla scrivania. Diceva sempre che lei era il migliore capo che avesse mai avuto e ci raccontava di alcuni vostri casi insieme, delle sue intuizioni o di come era entrato in azione... lo faceva sempre di nascosto da De Matteis, ovviamente. Ma comunque per me e per Marchese lei era diventato quasi una figura mitologica, a furia di sentire parlare di lei e delle sue gesta,” ricorda Valentina con un sorriso e questa volta è il turno di Gaetano di arrossire lievemente.
 
“Torre è sempre stato troppo di parte quando si tratta di me, troppo poco obiettivo. Mi scuso da parte sua per avervi annoiato con le mie gesta, che non sono sicuramente straordinarie. Ho sempre e solo cercato di fare il mio lavoro al meglio delle mie possibilità, come tanti altri colleghi, Torre incluso.”
 
“E invece forse l’ispettore Torre aveva ragione su di lei… Quello che ha detto poco fa su come trattare i sottoposti… è esattamente quello che ci descriveva Torre, che infatti ha sempre faticato ad adattarsi a De Matteis. Io… io ho praticamente avuto solo De Matteis come capo e non mi sono mai trovata poi così male con lui, però… ammetto che ogni tanto ho un po’ invidiato Torre e i vostri ex colleghi. Dai suoi racconti sembravate una squadra davvero unita, doveva essere bello lavorare così.”
 
“Beh, Torre, la Ferrari e Piccolo… sono stati probabilmente la squadra migliore che abbia mai avuto, sicuramente almeno dal punto di vista dei rapporti umani: eravamo quasi una famiglia oramai. Però in questo mestiere ci si trasferisce spesso e ogni volta si riparte da zero e ogni squadra è un mondo a sé…”
 
Lei si limita a sorridere di nuovo ed annuire, per poi farsi più seria: si sente molto più a suo agio, è vero, ma questo non elimina i suoi dubbi o la stranezza della situazione.
 
“Cosa ci fa qui, Gaetano? Perché è venuto a cercarmi di domenica mattina?”
 
“Davvero non lo immagina?”
 
“Immagino che c’entri qualcosa con quello che è successo ieri, giusto?” domanda, mentre lui si limita ad annuire, “quello che non capisco è… perché è venuto proprio da me, cosa spera di ottenere.”
 
“Un aiuto per evitare una terribile ingiustizia a diverse persone, me incluso,” spiega, guardandola negli occhi.
 
“Beh, allora temo che stia cercando la persona sbagliata. Non perché non voglia aiutarla o… aiutare Marchese o la professoressa, ma… io non conto nulla, non ho alcun potere, sono l’ultima ruota del carro, forse solo dopo Marchese e Lorenzi. Anzi… dopo Lorenzi, considerato che Marchese ormai è fuori dai giochi,” risponde, la confusione e il dispiacere evidenti nel tono di voce.
 
"E su questo si sbaglia invece: lei ha il potere di aiutarmi, di aiutarci e di cambiare le cose. I gradi non c’entrano nulla in questo caso. Anzi, siete proprio lei e i suoi colleghi quelli che potete fare la differenza, sia singolarmente, che in gruppo. Soprattutto lei, Valentina: è forse la persona al mondo che più mi può aiutare in questo momento.”
 
“Io? E come? L’unico modo per aiutarvi sarebbe far cambiare idea a De Matteis e a Mancini, fare in modo che non vi denuncino. Ma, ammesso che esista una persona che ha questo potere, non sono di certo io: purtroppo nessuno dei due mi dà mai retta,” sospira in modo fin troppo amaro. Perché è difficile per lei ammettere ad alta voce quanto poco o nulla lei conti per l’uomo di cui è innamorata: sia come donna che come poliziotto.
 
“Ed è proprio questo il punto, Valentina!” esclama, guardandola di nuovo negli occhi, mentre lei lo osserva confusa.
 
“Che per De Matteis e Mancini conto meno del due di picche?”
 
“Che non solo lei, ma anche i suoi colleghi, insomma, che tutti coloro che non sono De Matteis e Mancini contano meno del due di picche nella vostra squadra, che definirla squadra è quindi un eufemismo. E non sto solo parlando della normale deferenza data dai gradi o dal fatto che sono vostri superiori, ma del modo in cui l’ispettore Mancini abusa della sua posizione per ritorsioni personali e del modo in cui De Matteis quantomeno tollera tutto questo, per non dire che lo avalla e ci aggiunge pure il suo carico da undici.”
 
“Lei vuole dire che…?” domanda, ancora più sbigottita, spalancando gli occhi e irrigidendosi visibilmente sullo schienale della panchina, “si rende conto di cosa mi sta chiedendo?!”
 
“Me ne rendo conto benissimo, Valentina, mi creda… Potrei provare a girarci intorno, a divagare, a cercare di impietosirla ma non voglio insultare la sua intelligenza e quindi sarò schietto con lei. So benissimo che nulla le impedisce di mandarmi a quel paese e di riferire questa conversazione a De Matteis o ad altri colleghi o superiori, ma arrivati a questo punto, non solo non ho nulla da nascondere o da perdere, ma soprattutto credo fortemente che quello che le sto chiedendo non è solo qualcosa a mio vantaggio, ma che sia la cosa giusta da fare per tutte le persone coinvolte, compresi lei e i suoi colleghi che, d’accordo, non rischierete il posto, ma che vi trovate a lavorare in un ambiente ostile, di paura, che non solo non vi gratifica e non vi aiuta a crescere come poliziotti, ma che soprattutto rischia seriamente di compromettere questa ed altre indagini. So perfettamente che con quello che le chiedo di fare potrebbe rischiare grane con più di un superiore, che probabilmente è più sicuro fare quello che lei e i suoi colleghi avete fatto finora, che Marchese stesso faceva fino a poco tempo fa: stringere i denti e andare avanti, sperando magari in un trasferimento vostro o di Mancini o di De Matteis ma-“
 
“Posso essere d’accordo su Mancini e sul fatto che il modo in cui ha sempre trattato Marchese non sia corretto e che pure a noi… non è che ci abbia mai trattati molto meglio, però De Matteis non è come lui. Certo non è… non è sicuramente come lei: per lui noi siamo solo dei sottoposti e ci tratta come tali e tiene le distanze, il protocollo, è rigido, però… con noi non ha mai fatto mobbing o nonnismo e non ha mai approfittato del suo ruolo,” obietta quasi con veemenza, non riuscendo ad evitare, nonostante tutto, di difendere quell’uomo che ama da tanto, troppo tempo.
 
“Però non ha mai fatto nulla per fermare Mancini, anzi, mi sembra, se mi perdona il modo di dire, che siano come culo e camicia. E se chi ha il potere di intervenire per evitare o per bloccare il compiersi di un reato chiude gli occhi e si gira dall’altra parte o, peggio, lo approva tacitamente, è colpevole tanto quanto chi lo mette in pratica materialmente, dato che, di fatto, lo incoraggia a farlo, visto che può contare sull’impunità. Ed è di pessimo esempio per voi: quanti vessati una volta che fanno carriera finiscono per reazione per vessare gli altri? E quanti invece, magari persone abili, intelligenti e di talento, finiscono per non fare la carriera che meriterebbero o per rinunciare, perdendosi?”
 
Valentina non parla, si limita a guardarlo, perché le sue parole le risuonano dentro, perché risvegliano frustrazioni, dubbi sopiti e messi a tacere ormai sempre più spesso.
 
“Valentina, le voglio domandare una cosa… è libera di non rispondermi, se non vuole: quello che mi interessa è che trovi una risposta per se stessa. Rispetto a quando ha iniziato a lavorare con De Matteis o anche con Mancini, come si è evoluta la sua passione per questo mestiere? Sono sicuro che deve averne avuta molta per decidere di entrare in polizia… so quanto è dura, soprattutto per voi donne: siete in minoranza, è un ambiente ancora molto maschile e a volte maschilista e non è di sicuro un lavoro con cui si può aspirare a diventare ricchi o ad avere fama o successo. Anzi, è un mestiere pericoloso e spesso ingrato, quindi chi sceglie di farlo o ha passione, o non ha molte alternative ed è un ripiego temporaneo, o è uno di quei fanatici che purtroppo aspirano al – chiamiamolo potere – che danno una pistola ed un distintivo. Nel suo caso, è evidente che lei appartiene alla prima categoria, ma mi chiedo… l’amore per questo mestiere è ancora quello di anni fa? O meglio, secondo lei essere capitata proprio nella squadra in cui è, a parità di difficoltà oggettive che questo lavoro ti mette davanti e al disincanto che ne consegue, rispetto ai primi tempi in cui si pensa di poter salvare il mondo, come ha inciso sulla sua visione di questo mestiere? Sulla sua opinione sulle sue abilità, sulla sua possibilità o sulla sua voglia di fare carriera? Si sente più sicura di se stessa come investigatrice adesso rispetto a quando è entrata in polizia o è forse il contrario?”
 
Valentina di nuovo non riesce a rispondere ma sa benissimo qual è la risposta. La verità è che no, non si sente poi molto più sicura o più abile o più in grado di condurre un’investigazione in maniera indipendente di quanto lo fosse cinque anni prima, quando aveva iniziato a lavorare con De Matteis. Essere costantemente sotto controllo, con pochissimo spazio di manovra e di iniziativa all’inizio era stato utile e rassicurante, ma, a lungo andare, non aiutava certo a crescere, di questo ne era consapevole. Inoltre, se inizialmente De Matteis ogni tanto lasciava trapelare sprazzi di umanità e concedeva loro un po’ più di fiducia e di libertà, la situazione era peggiorata con l’arrivo di Mancini, che praticamente li riduceva, nella maggior parte dei casi, a meri esecutori di ordini, di analisi, di rilievi, mentre lui e solo lui conduceva l’investigazione insieme a De Matteis. L’iniziativa personale non era di sicuro incentivata anzi, spesso era mal tollerata, soprattutto se arrivava da Marchese. E quando ogni errore viene praticamente trattato con derisione, è difficile “buttarsi” e provare a contribuire con idee ed ipotesi proprie.
 
In quanto alla sua passione per questo mestiere… la frustrazione che provava sul lavoro nei confronti di De Matteis andava di pari passo con quella per il suo amore non ricambiato, tanto che a volte le due cose sembravano quasi rimescolarsi e non riusciva più a capire dove terminasse l’una e iniziasse l’altra. Spesso si ritrovava a pensare che i sentimenti che prova per il vicequestore fossero nati non in conseguenza, ma nonostante il trattamento che lui riservava a lei e ai suoi colleghi. E, se in alcuni casi lo aveva ammirato davvero per il suo comportamento, per il suo essere così integerrimo e sempre pronto a mettersi in prima linea, quando la situazione lo richiedeva, in altri era arrivata quasi ad odiarlo per la sua totale mancanza di tatto o di considerazione nei confronti di tutti i suoi sottoposti, lei compresa. A volte le sembrava che fossero interscambiabili ai suoi occhi, come soldatini di piombo senza un’identità propria, le sembrava che a De Matteis non importasse affatto conoscerli, capirli, sapere chi erano dietro la divisa, ma che anche se ci fossero state altre persone al loro posto, se anche domani fossero stati tutti trasferiti… per lui sarebbe stato esattamente lo stesso, che se ne sarebbe a malapena accorto.
 
Di nuovo i loro sguardi si incrociano e Gaetano non ha bisogno di chiedere nulla, ha già compreso perfettamente la risposta, ma anche l’esitazione e il conflitto interiore della ragazza.
 
“Senta, a parte… a parte voi, Marchese, Mancini e De Matteis e i vostri rapporti lavorativi e interpersonali… lei c’era a casa della signora Andreina, della madre di Camilla e c’era anche ieri nell’ufficio di De Matteis, quindi sa perfettamente quanto me che il motivo per cui De Matteis ha così il dente avvelenato con Camilla e forse anche con me non ha nulla a che fare con questo caso, con le indagini o con l’etica professionale…”
 
Valentina annuisce e sospira: sa benissimo per quale motivo De Matteis ce l’ha a morte con “la Baudino”, anche se non è del tutto sicura che questo spieghi del tutto anche perché sia così incattivito nei confronti di Gaetano.
 
“Le sembra davvero giusto che… che per questi motivi personali io rischi la carriera e Marchese il posto? E che Camilla e Sammy rischino di passare guai giudiziari?” le domanda poi, guardandola di nuovo negli occhi.
 
“No ma… se faccio… se faccio quello che mi sta chiedendo, anche se non avessi problemi io, anche se non rischiassi ritorsioni… saranno Mancini e De Matteis ad avere problemi e… non sono sicura che nemmeno questo sia giusto, soprattutto nel caso di De Matteis,” ribatte, sentendosi divisa in due tra quello che prova per De Matteis, come superiore e come uomo, e quest’ingiustizia che forse lei potrebbe evitare.
 
“Già, è vero… sta a lei valutare chi… chi ha sbagliato di più… quale sarebbe l’ingiustizia più grande. Non le chiedo di rispondermi adesso, ma di pensarci: se sono venuto a disturbarla stamattina è proprio perché voglio che lei abbia tutto il tempo di pensarci e di valutare i pro e contro. In ogni caso, so che non è una scelta facile e la capirò qualsiasi cosa deciderà di fare,” le dice con un sorriso gentile e amaro al tempo stesso, poggiandole una mano sull’avambraccio in una stretta rapida e amichevole, priva di malizia, ma che le fa avvampare di nuovo il viso, prima di alzarsi in piedi e di porgerle un biglietto, “ora la lascio tornare al suo giorno libero: le ho già fatto perdere troppo tempo. Qui c’è il mio numero, se avrà qualcosa da comunicarmi.”
 
Accetta il biglietto da visita con mano lievemente tremante e le guance ancora infuocate. Un ultimo sorriso cortese, un augurio di buona domenica e lui si incammina lungo i vialetti del parco, probabilmente avendo intuito quanto lei abbia bisogno di un po’ di solitudine e tranquillità per riflettere.
 
Mentre lo guarda allontanarsi, non può fare a meno di pensare che Berardi in un’ora è riuscito a comprenderla e a conoscerla meglio di De Matteis in cinque anni. Perché lei potrebbe essergli utile, certo, ma quelle domande sul suo lavoro, sulla sua passione, sulle sue sicurezze e sui suoi dubbi sono cose che avrebbe dovuto domandarle De Matteis, di cui avrebbe potuto e dovuto discutere con lui. Cose su cui, ne è sicura, Berardi si confronta regolarmente con i suoi sottoposti, senza bisogno di alcuna emergenza, ma perché per lui è questo che vuol dire essere il caposquadra.
 
E se De Matteis è un’incognita, un enigma che continua e probabilmente continuerà sempre ad affascinarla, con i suoi punti oscuri e le sue ombre, deve ammettere però che essere per una volta esposti al calore del sole alla luce che irradia è così gradevole, elettrizzante e allo stesso tempo stranamente rassicurante, nonostante le circostanze, nonostante quello che le ha chiesto di fare.
 
Se fino a poche ore fa qualcuno le avesse detto che lei sarebbe mai arrivata anche solo a considerare l’ipotesi di “tradire” De Matteis, di fare qualcosa che potesse in qualche modo danneggiarlo, gli avrebbe riso in faccia. E ora invece, seduta su quella panchina, i raggi del sole che le scaldano la pelle, si sorprende a pensarci seriamente, a valutare, combattuta come non avrebbe mai creduto di poter essere.
 
Forse finalmente capisce Torre, disposto a trasferirsi a centinaia di chilometri pur di seguire “Il Dottore”: Gaetano Berardi è il genere di comandante capace di farsi amare e rispettare a tal punto dai suoi “uomini” da renderli disposti a seguirlo anche fino all’inferno, senza nemmeno doverlo chiedere.
 
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“Apri Marchese! Apri!!!!”
 
“Ispettore? Che ci fa qui?!” domanda, aprendo la porta spaventato dalle urla che l’hanno bruscamente risvegliato dopo una notte in gran parte insonne.
 
“Mia moglie è qui, vero?! Fammi passare!” grida, spintonandolo e facendosi strada a forza nel piccolo appartamento.
 
“Sammy? Sammy non è qui! Ispettore, ispettore!!!” urla a sua volta, correndogli dietro mentre l’altro uomo si fa largo tra le stanze, ispezionando il salone/cucina, la camera da letto ed infine il bagno, come se fosse a casa sua.
 
“Dov’è??!! Cos’è, se ne è già andata? Dimmi dov’è!!” grida, fuori di sé, afferrandolo per la maglietta.
 
“Sammy non è qui, non è mai stata qui e non ho idea di dove sia!” urla di rimando, afferrando i polsi dell’uomo, cercando di fargli mollare la presa, “e ora mi lasci, per favore!”
 
“Sammy non ha passato la notte a casa e ho provato già dai suoi genitori e dalle sue amiche e nessuno l’ha vista né l’ha sentita. È ovvio che rimani solo tu, Marchese, quindi ti consiglio di raccontarmi la verità!!”
 
“Questa è la verità! E visto come l’ha trattata non mi stupisco che Sammy non sia tornata a casa, né che probabilmente o i suoi genitori o qualche sua amica la stia coprendo, dato che evidentemente non le vuole parlare e ne ha tutte le ragioni. E ora mi lasci e se ne vada: questa è casa mia, lei non è più il mio superiore e non ha alcun diritto di irrompere qui in questo modo e di trattarmi così!”
 
“Perché se no cosa fai, eh? Vorresti minacciarmi, picchiarmi?”
 
“No, semplicemente chiamare polizia o carabinieri, se preferisce, e denunciarla per violazione di domicilio,” ribatte Marchese, deciso.
 
“Ma certo, dovevo aspettarmelo: tu sei troppo vigliacco per affrontarmi faccia a faccia,” lo deride Mancini, non mollando la presa.
 
“Ah sì? Mi faccia capire: quindi se ricorro io a una denuncia, questo mi rende un vigliacco, ma se ci ricorre lei, allora è un atto eroico e di assoluta integrità morale?” ribatte con un sopracciglio alzato e uno sguardo duro e determinato.
 
Mancini spalanca gli occhi, chiaramente colpito e spiazzato. Continuano a fissarsi per qualche secondo, Marchese non chiude gli occhi e non cede di un millimetro, fino a che sente le dita sulla maglietta allentarsi.
 
“Non finisce qui, Marchese,” proclama prima di voltarsi, di avviarsi a passo deciso verso l’ingresso e di uscire sbattendo la porta.
 
E che non lo so? – pensa con un sospiro, prima di cercare il cellulare e di comporre il numero di Sammy.
 
Ma, come prevedibile, il numero risulta non raggiungibile – del resto, in caso contrario, Mancini non sarebbe arrivato a casa sua in quel modo.
 
Spera solo che, dovunque si trovi, stia bene e che non abbia compiuto qualche sciocchezza.
 
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“Mi dispiace tantissimo: tolgo subito il disturbo, davvero, non-“
 
“Ma non dirlo nemmeno per scherzo: questa, fino a prova contraria, è casa mia, e sottolineo mia e solo mia, e sono liberissima di scegliere chi ospitare o meno!” ribatte l’anziana con un tono che non ammette repliche.
 
“Mamma, però ho deciso io di far rimanere Sammy a dormire qui e Amedeo-“
 
“E hai fatto bene! E se Amedeo non è in grado di capire perché l’hai fatto, perché non potessi di certo sbattere la porta in faccia ad una ragazza che di punto in bianco si è trovata senza più una casa in cui poter tornare, beh forse provare cosa vuol dire gli farà solo bene. A parte che tanto ha la sua casa in campagna in cui rifugiarsi, quindi non corre questo rischio!”
 
Camilla guarda sua madre e poi Sammy e Livietta, che mangia i biscotti della colazione seduta al bancone della cucina.
 
Amedeo, quando si era trovato Sammy a colazione e quando, dopo le sue spiegazioni, sua madre l’aveva rassicurata che “poteva rimanere lì tutto il tempo che serviva”, aveva assunto un’espressione solenne e aveva chiesto ad Andreina di andare un secondo con lui in camera loro.
 
Accortezza abbastanza inutile, dato che il litigio che ne era seguito era stato così forte che sicuramente anche Rosetta al pianterreno l’aveva sentito. Amedeo essenzialmente era sbottato dopo giorni e giorni di evidente malumore e aveva detto a sua madre che questa casa non era un albergo e che se aveva deciso di seguire l’esempio della figlia nel fare la buona samaritana verso tutti – visti oltretutto i risultati – poteva farlo senza di lui come intralcio. Che già avevano avuto in casa una pluriomicida e che si era stancato di essere considerato meno di zero, di venire sempre all’ultimo posto nella scala delle priorità di Andreina. Che se lei davvero “metteva la famiglia al primo posto” come sosteneva, evidentemente lui non ne faceva più parte.
 
Se ne era andato sbattendo la porta, proclamando che “se cambi idea – ma tanto non la cambierai – sai dove trovarmi!” e Camilla dubitava che l’avrebbero rivisto a breve, a meno che sua madre non si fosse decisa a fare il primo passo.
 
“Signora Andreina, io la ringrazio, però non è proprio il caso che litighi con suo marito per me. Per stasera posso trovare tranquillamente un’altra sistemazione, davvero,” risponde Sammy, evidentemente in imbarazzo e sentendosi tremendamente in colpa.
 
“Mamma, Sammy ha ragione: ti ricordi il discorso che abbiamo fatto ieri sulle priorità? Non puoi giocarti il matrimonio per questo e… in effetti negli ultimi anni e soprattutto quest’anno Amedeo è stato davvero paziente e disponibile. Prima con la mia separazione, siete tornati a vivere qui, mi avete dato sempre una mano con Livietta e poi quest’anno sei stata così tanti mesi a Torino ed è successo tutto quello che è successo. Dovevamo rimanere ospiti qui una settimana e di nuovo è successo il finimondo: in fondo Amedeo lo capisco, mamma. Io e Livietta possiamo trovarci un albergo per questi giorni, così voi avrete modo di confrontarvi e di chiarirvi in santa pace e-“
 
“Non se ne parla nemmeno, Camilla: tu sei un momento difficile e non permetterei mai a niente o a nessuno di impedirmi di starti vicino. La mia priorità assoluta siete tu e Livietta e questo Amedeo l’ha sempre saputo, fino da quando ci siamo conosciuti, ha sempre saputo che se avessi dovuto scegliere tra voi e lui avrei scelto voi. Ti ricordi anche cosa ti ho detto ieri su Renzo? Beh, probabilmente Amedeo ha purtroppo lo stesso problema: ha avuto settimane per aprirsi con me, per dirmi come stavano le cose, per farmi capire cosa non andava, per sfogarsi ma… ha preferito dare in escandescenze quando c’eravate qui anche voi e poi oggi con voi e con Sammy e questo non lo accetto!”
 
“Mamma, non è così semplice: non ti sembra di essere troppo dura con Amedeo? Qui non si tratta di voltare le spalle a me o a Livietta, ma di pensare anche un po’ ad Amedeo e al vostro matrimonio. Non puoi buttare via dieci anni di relazione così, d’impulso… puoi starmi accanto anche se rimango in un albergo qui vicino e-“
 
“No, Camilla, non hai capito: se tu vuoi andartene da qui per motivi tuoi, perché non vuoi più quella vecchia rompiscatole di tua madre tra i piedi sei liberissima di farlo. Ma se lo fai per me ed Amedeo, scordatelo! Se Amedeo non riesce a capire che questo era l’ultimo dei momenti in cui prendere questa posizione e caricarmi e caricarti di altri problemi… con tutto quello che sta succedendo! Ora dobbiamo solo pensare a te e a Gaetano e ad evitare che passiate dei guai per colpa di quel… di quel… del fratello di Marco!”, proclama con tono che non ammette la minima obiezione, evitando epiteti su De Matteis probabilmente solo per la presenza di Livietta.

“Guarda che anche Sammy e Marchese rischiano di passare dei grossi guai, anzi, io sono quella che rischia meno, dato che il mio lavoro non ha niente a che fare con giustizia, tribunali o quant’altro,” le fa notare Camilla con un sospiro, decisa ad ignorare il tentativo di deviare il discorso della madre, aggiungendo, “e comunque Amedeo-“
 
“Mamma,” le interrompe all’improvviso la voce di Livietta. Camilla alza lo sguardo e incontra quegli occhi azzurri che la guardano con un’espressione strana ma terribilmente determinata.
 
“Mamma, tu hai parlato di te, di Gaetano, di Marchese, di Sammy. Ma quindi Marco e Tom sono esonerati dall’inquisizione perché parenti di De Matteis o forse De Matteis non lo sa che vi hanno aiutato anche loro?”
 
“Non lo so… non ci ho pensato ma… conoscendo De Matteis credo che non lo sapesse, sai, se no, sarebbe stato ancora più furibondo e me l’avrebbe di certo sbattuto in faccia. Da quello che ho intuito, prima di ieri non avevano scoperto nulla sulle nostre indagini e quindi probabilmente non sanno che altre persone ci hanno aiutato,” risponde, spiazzata dall’uscita della figlia, sia perché inattesa, sia perché la porta a riflettere su qualcosa che, nella concitazione delle ultime ore, le era completamente sfuggita.

“E allora devi andare da Marco e pregargli di parlare con suo fratello, mamma, a convincerlo a non denunciarvi,” proclama Livietta, decisa, come se stesse pronunciando un’ovvietà.
 
“Da Marco?” domanda Camilla sbalordita, perché in effetti non aveva pensato a questa ipotesi, a questa soluzione, ma rendendosi immediatamente conto che non potrebbe funzionare, “Livietta, anche se convincessi Marco a intercedere per noi con De Matteis… De Matteis non lo ascolterebbe mai, non rinuncerebbe mai.”
 
“Sì che rinuncerebbe, se sapesse che c’è coinvolto anche suo fratello e suo nipote,” ribatte Livietta, sempre più determinata, “non fosse altro per pararsi lui il-“
 
“Livietta!” la interrompe Camilla, sempre più sbigottita dal tono e dalla decisione della figlia, “capisco che Marco non ti stia mai stato simpatico, ma cosa mi proponi di fare? Di denunciarlo io a suo fratello? O di chiedergli di autodenunciarsi? Non posso farlo, è fuori discussione! Non solo perché non è giusto e non è corretto, ma anche perché oltretutto, dopo tutto quello che è successo tra me e lui, non credo di essere nella posizione di chiedergli proprio alcunché, ci mancherebbe altro!”
 
“Beh, sai cosa diceva la nonna a proposito del pedone da sacrificare e delle priorità? Chi conta di più per te? Marco o Gaetano?”
 
“Gaetano, ovviamente, ma questo non c’entra con-“
 
“Certo che c’entra. Mamma, qui le chiacchiere stanno a zero: c’è un solo modo per evitare tutto questo ed è che De Matteis non vi denunci al questore. E se c’è una persona che può convincere De Matteis, o con le buone o con le cattive, è Marco. E se c’è una persona che può convincere Marco a convincere suo fratello sei proprio tu. Ho visto come ti guardava e come si comportava con te quella sera al casale e, nonostante tutto quello che è successo, sono sicura che tiene ancora molto a te, mamma, e che non potrebbe dirti di no.”
 
“Livietta…” sussurra, sconvolta da questo lato quasi machiavellico di sua figlia, ma allo stesso tempo non potendo negare che non ha tutti i torti, anzi. Non sul fatto di chiedere a Marco di autodenunciarsi, quello non lo farebbe mai, però è vero che probabilmente le uniche persone al mondo a cui De Matteis tiene sul serio, a parte se stesso, sono Marco e Tom, soprattutto Marco.
 
E vale la pena di fare un tentativo, anche perché è l’unica cosa che può fare in questo momento per aiutare Gaetano. Senza quasi rendersene conto afferra il cellulare e si mette alla ricerca del numero di Marco: l’aveva eliminato dalla rubrica tempo addietro, ma magari c’è ancora qualche suo messaggio sepolto negli archivi della SIM o del telefono. Se no dovrà chiamare alla Fattoria ma, tra Gaspare e la possibile presenza di De Matteis, spera di poterlo evitare.
 
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“Lo sai che sei un po’ fuori età per le olimpiadi, sì?”
 
“Spiritoso!” gli fa il verso, prendendo al volo l’asciugamano che gli lancia e cercando di scrollarsi di dosso il grosso dell’acqua clorata, prima di farsi forza ed entrare sotto il getto della doccetta gelata a bordo piscina, aggiungendo, cercando di non battere i denti, “guarda che un po’ di moto farebbe bene anche a te!”
 
“Un po’ di moto: non la maratona di New York tra i vigneti, seguita dall’attraversata del Canale della Manica, fortunatamente in una piscina meno gelida, per non parlare del torneo di boxe di ieri sera. Se vai avanti così rischi di farti male sul serio, Paolo, o di prenderti un accidente,” gli fa notare con un sospiro, passandogli anche un accappatoio quando termina la breve doccia.
 
“Sì, mamma,” ribatte sarcastico, accettando però l’accappatoio e sedendosi su uno dei lettini lì vicino, mentre il fratello fa lo stesso, “e comunque è un po’ ipocrita da parte tua preoccuparti adesso per la mia salute, dopo le tue minacce di ieri sera.”
 
“Guarda che le minacce di ieri sera le ho fatte anche pensando alla tua salute mentale, perché so benissimo che, se dovessi andare fino in fondo con questa storia della denuncia, dopo il senso di rivalsa iniziale, finiresti solo per essere roso dai sensi di colpa…”
 
“Ma che ne sai, eh?! E perché mai dovrei sentirmi in colpa? Perché faccio il mio dovere e denuncio un reato compiuto oltretutto proprio da dei colleghi?” sbotta, fulminandolo con un’occhiata glaciale.
 
“Perché ti conosco Paolo, da quando sei nato, e so che se usassi il tuo ruolo per quella che è a tutti gli effetti una ritorsione personale, se rovinassi la vita di almeno due persone per questo, non riusciresti più ad indossare la tua divisa. Forse non oggi e non domani, ma tra qualche mese o tra qualche anno, sì,” ribadisce, guardandolo negli occhi e poggiandogli una mano sulla spalla, come quando erano ragazzi, “e in ogni caso io non cambio idea, quindi vorrei una risposta da te, su cosa hai deciso di fare.”
 
“Ci sto pensando, Marco,” risponde con un sospiro e Marco sa benissimo che quelle tre parole, dette da suo fratello, valgono già molto. Se ci sta pensando vuol dire che non è ancora sicuro al cento per cento.
 
“Hai già chiamato il questore?”
 
“No, lo dovrei fare domani…”
 
“Allora hai tempo fino a stasera per riflettere. Magari da fermo, eh? Che di moto per schiarirti le idee ne hai già fatto a sufficienza,” gli intima in un tono tra l’ironico e il preoccupato.
 
Proprio in quel momento squilla il suo telefono. Lo recupera dalla tasca e il nome sul display gli butta il cuore nello stomaco: Camilla.
 
“Problemi?” chiede Paolo, vedendo il fratello quasi sbiancare.
 
“Un… un cliente importante a cui non riesco e non posso mai dire di no,” ribatte dopo un attimo di esitazione, alzandosi in piedi, e facendo segno verso l’edificio, “ti dispiace se…?”
 
“Per la carità… ti lascio più che volentieri al tuo scocciatore. Io vado a farmi una doccia vera,” proclama, allontanandosi verso l’ingresso laterale del casale, i passi fatti con le ciabatte di plastica che risuonano rumorosamente sulla pavimentazione in sasso.
 
“Pronto?”
 
“Marco, ciao, sono Camilla, scusa se ti disturbo ma-“
 
“No, non mi disturbi affatto… è successo qualcosa?” le domanda, notando il tono esitante e a disagio di lei.
 
“Sì, è successo qualcosa, sì, e… avrei bisogno di parlarti…”
 
“Ok… se vuoi possiamo trovarci al nostro vecchio bar? Quello vicino alla questura?”
 
“No, ecco… mi imbarazza chiedertelo però… preferirei evitare le zone intorno alla questura. In realtà preferirei se tuo fratello non sapesse che ci incontriamo oggi, Marco,” ammette con un sospiro e Marco ha un’indiretta conferma del motivo di questa telefonata.
 
“D’accordo, senti, hai già mangiato?”
 
“No, veramente no, ma-“
 
“Allora c’è un wine bar molto carino che credo possa fare al caso nostro. Devo passarci a fare delle consegne e… non è il genere di posto che frequenta mio fratello. Ti mando l’indirizzo e ci vediamo lì tra un’ora, se ti va?”
 
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“Dove sei stata stanotte??!! Sono ore che ti chiamo!!!”
 
Fa quasi un salto dallo spavento, lasciando cadere i pantaloni che aveva appena estratto dall’armadio per metterli in valigia.
 
Maledizione! – era stata ad osservare l’edificio e la strada per un po’ prima di entrare, aveva anche avuto conferma da quella pettegola della portiera che Pietro era uscito abbastanza presto e non era più tornato. Si era convinta che fosse al lavoro e invece… eccolo qui. E dire che le sarebbero bastati ancora pochi minuti per finire la valigia… certo, solo con il minimo indispensabile per qualche giorno, ma era sempre meglio che essere completamente senza nulla.
 
“Credo che dove sono stata non ti riguardi e che, dopo quello che è successo ieri, non sono tenuta né a risponderti, né a darti conto dei miei spostamenti,” risponde, dura, lasciando chiaramente trasparire quanto sia furiosa con lui.
 
“Fino a prova contraria sei ancora mia moglie e sei tenuta eccome a dirmi dove sei e con chi sei. Eri con Marchese, eh? DIMMI LA VERITÀ, DANNAZIONE!”
 
“Dopo come mi hai trattata ieri non hai il diritto di chiedermi niente, Pietro, NIENTE! E anche se fossi stata con dieci uomini, SAREBBERO SOLO AFFARI MIEI!” urla di rimando, chiudendo la valigia con un colpo secco. Quello che ha preso ha preso: ora vuole solo uscire di lì.
 
“Cos’è quella?? Cosa pensi di fare, eh??” le domanda non appena la vede sollevare il trolley dal letto e metterlo sul pavimento.
 
“Questa è una valigia e quello che penso di fare è andarmene il più  lontano possibile da questa casa e da te, soprattutto!” ribatte, sarcastica e amara, cercando di farsi strada intorno al letto, ma lui le blocca il passaggio, “lasciami passare, Pietro!”
 
“Ah, sì? Ti ripeto che sei ancora mia moglie, Sammy, e forse ti sei scordata dell’articolo 143 del codice civile e dell’articolo 570 del codice penale!”
 
“La violazione dei doveri coniugali? L’abbandono del tetto coniugale?” domanda, incredula, dopo un attimo di pausa, per poi aggiungere con quello che è quasi un sibilo, “ti sei forse dimenticato che si è esentati dal rispettarli, se esistono fondati motivi che hanno fatto venire meno la fiducia nei confronti dell’altro coniuge, cioè in questo caso tu. E non solo i miei motivi sono più che fondati, ma soprattutto, se pensi che sputarmi addosso norme di legge e che lo spauracchio di ulteriori denunce mi farà rimanere qui un secondo di più, non solo non hai capito niente di quello che ti ho detto ieri, ma soprattutto non hai capito niente di me! E ora fammi passare se non vuoi beccartela tu una denuncia, visto che a quanto pare ragioni solo così!”
 
Pietro sembra accusare il colpo e Sammy approfitta dell’attimo di esitazione per girargli intorno e avviarsi verso l’ingresso.
 
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“Camilla!”
 
Sente la sua voce e si volta, vedendolo arrivare verso di lei sorridente. Si lascia trascinare nel classico saluto – stretta di mano e due baci sulle guance – prima di seguirlo dentro il locale.
 
“Alla faccia del wine bar carino: se mi avessi avvertito che era così, mi sarei vestita diversamente,” gli fa notare con un sopracciglio alzato, guardandosi intorno in quello che sembra una specie di ritrovo della Roma-bene: tutta gente firmata da capo a piedi. Lei, coi suoi pantaloni capri e una maglietta, sembra la piccola fiammiferaia. Le occhiate di un paio di signore agli altri tavoli la fanno sentire ancora più fuori luogo.
 
“Guarda che stai benissimo così e poi… nemmeno io mi sono messo elegante,” ribatte con un sorriso ed un’occhiata di apprezzamento che la fa sentire in imbarazzo.
 
“Perché? Tu ti sei mai messo elegante in vita tua?” domanda ironica, per sdrammatizzare.
 
“Potrei stupirti: tu non hai idea di cosa significhi essere figlio di un generale dell’esercito!” ribatte con un sorriso.
 
“In effetti non ho idea di cosa significhi essere figlio del generale De Matteis, ma ho idea di cosa significhi essere figlia del generale Baudino,” replica, non potendo celare un velo di sarcasmo all’ennesima conferma di quanto poco lui effettivamente sappia di lei.
 
“Cioè, vuoi dirmi che tuo padre-“
 
“Era un generale dell’esercito, sì. Sicuramente di famiglia molto meno ricca ed influente del tuo, ma sempre generale era,” conferma con un sorriso più gentile, vedendolo con quell’espressione imbarazzata.
 
“E la mia figuraccia anche per oggi l’ho fatta…” sospira, prima di fare un cenno al cameriere, evidentemente ansioso di cambiare argomento.
 
“I signori desiderano?” domanda il ragazzo, gettando un’occhiata dubbiosa al loro abbigliamento, come a chiedersi e a chiedere loro se possano permettersi il conto del locale.
 
“Sono Visconti, delle Cantine Visconti. Avrei del vino da scaricare e un tavolo prenotato per due a mio nome…”
 
“Dottor Visconti, ma certo: se mi dà le sue chiavi, le scarichiamo il vino e, se intanto vuol seguirmi, abbiamo riservato a lei e alla sua signora il nostro tavolo migliore,” proclama il ragazzo mutando espressione, con un sorriso ed un tono ossequioso che la diverte e la infastidisce in egual misura.
 
“È proprio vero che quando uno è un VIP  può permettersi qualunque abbigliamento,” commenta lei con un mezzo sorriso dopo che si sono accomodati.
 
“Eh, basta concedere buoni sconti sulle forniture e sei subito un VIP,” ribatte, per poi aggiungere, avvicinandosi a lei quasi come a volerle rivelare un segreto, “e se poi sei abbastanza temerario o abbastanza folle da ignorare il rincaro medio del 200% sui costi e diventare pure cliente allora non possono proprio lasciarsi scappare un pollo così.”
 
“Senti, il locale l’hai scelto tu e il conto lo paghi tu, vero? Date le premesse…” ribatte con una risata, anche se c’è un fondo di reale preoccupazione.
 
“Ci mancherebbe altro! E comunque tu volevi un posto a cui mio fratello non si avvicinasse nemmeno per sbaglio, no?”
 
“Ah, beh, su questo non posso proprio darti torto, a meno che sia qualcun altro a pagargli il conto,” ammette con un’altra mezza risata, ricordando benissimo quanto fosse tirchio De Matteis.
 
In un’atmosfera più rilassata e tranquilla, attendono l’arrivo del cameriere a cui Marco fa le ordinazioni.
 
“Sai, Camilla, la tua chiamata mi ha sorpreso e la tua compagnia è sempre piacevole, ma immagino che tu non mi abbia cercato né per la compagnia, né per il vino,” proclama infine Marco, dopo un paio di sorsi di un ottimo spumante rosé dall’aria molto costosa e qualche assaggio di salumi e formaggi locali.
 
“No… cioè… in realtà….”
 
“Camilla, ieri sera mio fratello mi ha raccontato tutto ed era completamente fuori di sé. Raramente l’ho visto così furioso,” ammette, vedendola in difficoltà e decidendo di rompere il ghiaccio.
 
“Cosa?? Ma quindi sai tutto?? Perché non me l’hai detto subito quando ti ho telefonato?!” gli domanda, sorpresa e lievemente irritata.
 
“Primo perché tu non me l’hai chiesto e poi perché quello che mi chiedo è… perché mi hai cercato e qual è il mio ruolo in tutto questo. Se cerchi informazioni sul nemico o…”
 
“Beh… no, non solo… sono in imbarazzo, Marco, ma… vedi…” quasi balbetta, facendosi forza con un’altra sorsata di vino, “vedi… odio dovertelo chiedere e non lo farei se non ci fosse di mezzo la vita di diverse persone a cui tengo molto, però… l’unico modo per evitare il peggio è che… è che tuo fratello rinunci all’idea della denuncia e… l’unica persona a cui dà retta sei tu, Marco. E lo so che è tuo fratello e che… che non sono nella posizione di chiederti favori, però… se riuscissi a farlo ragionare, a fargli cambiare idea, io…”
 
“E tu credi che non ci abbia già provato?” la interrompe con un sospiro, “Camilla, gli ho già detto chiaro e tondo che o rinuncia ai suoi propositi o mi autodenuncerò anche io al questore, con le ovvie conseguenze, non solo per me ma anche per lui…”
 
“Che cosa??” sussurra, sbalordita, spalancando gli occhi, sentendosi in colpa, “tu faresti davvero questo per me? Dopo tutto quello che è successo tra noi?”
 
“Sai che tu e mio fratello ogni tanto vi assomigliate? È la stessa identica domanda che mi ha fatto lui ieri sera,” risponde con un sorriso agrodolce, prima di posarle una mano sull’avambraccio e stringere leggermente, “Camilla, proprio per tutto quello che c’è stato tra noi, non permetterei mai che ti accada qualcosa, mai.”
 
Al senso di colpa di nuovo si sostituisce il disagio ed un altro tipo di senso di colpa, verso Gaetano, anche se purtroppo non stanno più insieme e anche se in fondo non sta facendo niente di male.
 
“In realtà sono quella che rischia di meno, sai?” risponde, sfilando delicatamente il braccio dalla sua presa con la scusa di afferrare di nuovo il calice di vino e berne un altro sorso, “Marchese rischia il posto e Gaetano come minimo la carriera… anche per Sammy con il suo praticantato… non è un bell’episodio da avere sul curriculum.”
 
“Già… a proposito di Gaetano, devo ammettere che mi sono stupito vedendoti arrivare da sola: geloso come mi è sembrato, non pensavo ti permettesse di incontrarmi senza di lui…” confessa con un altro sorriso agrodolce, avendo colto perfettamente il disagio di lei, prima di aggiungere, dopo essere stato colto da un dubbio terribile, “a meno che… non è che pensava che parlandomi da sola, avresti avuto più possibilità di convincermi?”
 
“Si vede che non lo conosci affatto: Gaetano preferirebbe finire direttamente in galera, piuttosto che chiedermi di fare la carina con te o con chiunque altro per aiutarlo, come stai insinuando,” sibila, non potendo trattenere l'indignazione, “e non solo perché sono io: non chiederebbe mai a nessuno di sacrificarsi al posto suo, non manipolerebbe mai qualcuno in quel modo, non è assolutamente quel tipo d’uomo!”
 
“Scusami, Camilla, non volevo offenderlo o offenderti… è che… è vero, non lo conosco bene e mi preoccupo per te, tutto qui. Si sente quanto lo ami… e per amore si farebbe di tutto,” ammette con amarezza, prima di aggiungere, guardandola negli occhi, “lui non sa nemmeno che sei qui, vero? Sei venuta di nascosto?”
 
“No, Gaetano non sa che sono qui con te, ma non è stato necessario nascondergli nulla. Vedo che tuo fratello non ti ha detto proprio tutto, Marco… io e Gaetano ci siamo lasciati, purtroppo… e non lo vedo da ieri.”
 
“Cosa??” sussurra, completamente spiazzato da questa notizia, per poi aggiungere, e questa volta è il suo turno di non trattenere l’indignazione, “ma è per la denuncia di mio fratello? Non dirmi che ti incolpa per questo!”
 
“No, Marco, anzi, io ci ho pure provato a prendermi la colpa con tuo fratello, anche perché è colpa mia, sono io che l’ho trascinato in questa storia, ma Gaetano non me l’ha permesso, non me l’avrebbe mai permesso,” gli spiega, l’amore e l’ammirazione che prova per Gaetano talmente evidenti nel tono di voce che Marco sente una fitta al petto, “e credo che i motivi per cui ci siamo lasciati riguardino solo me e lui, ma, se proprio lo vuoi sapere, è soprattutto per colpa mia e della mia testardaggine, quindi…”
 
“Quindi quello che provi per lui non è cambiato, e si vede e si sente,” conclude con un altro sospiro, “e, a parte la minaccia della denuncia, gli ultimi due giorni non devono essere stati facili per te, per nulla.”
 
“No, infatti, non lo sono stati, ma non lo sono stati per nessuno, nemmeno per Gaetano,” ribatte, sentendo un’altra fitta al petto al pensiero della situazione in cui l’ha messo.
 
“Beh, certo…” esordisce lui, per poi cambiare completamente espressione, quando gli occupanti di un tavolo in mezzo alla sala si alzano, liberando la visuale sull’altro lato del locale, aggiungendo, con tono sarcastico, “certo che sa come… tirarsi su di morale il tuo Gaetano. E pure in fretta.”
 
“Eh?” domanda, senza capire, per poi voltarsi, colta da un orribile presentimento, nella direzione in cui Marco sta guardando.
 
E lo vede, seduto ad un tavolinetto quasi opposto al loro, ancora più elegante del solito e, soprattutto, accompagnato da una mora mozzafiato. Tra i trenta e i quarant’anni, i capelli corvini in un carré corto, che riesce ad essere sbarazzino ed elegante al tempo stesso, sottolineandone i lineamenti perfetti, gli occhi scuri e grandi da cerbiatta e le labbra carnose. Elegante e di classe, con quella camicia bianca e i pantaloni neri dal taglio maschile, che sottolineano, per contrasto, la femminilità prorompente e naturale delle sue forme da pin-up. Insomma, tutto il contrario di lei e, soprattutto, il tipo di donna che, pur essendo bellissima, non appartiene affatto al genere della “venere del Botticelli”, ma alla stessa categoria di Sonia e di Eva. La categoria più pericolosa.
 
Lui le sta dicendo qualcosa e lei scoppia in una risata argentina e sincera, prima di replicare e farlo ridere di gusto.
 
È proprio vero che una risata ci seppellirà – pensa Camilla, avvertendo una pugnalata al cuore e una colata d’acido nello stomaco.
 
“Mi dispiace, Camilla… però… dai, probabilmente è solo un’amica…” proclama Marco, ridestandola dalla nube verde e tossica da cui si sente avvolta.
 
“In effetti sono molto amichevoli, su questo non c’è dubbio. Invece dubito sinceramente che ti dispiaccia, soprattutto se me lo dici con quel tono e con quell’espressione, ma non te ne faccio una colpa. Probabilmente sarebbe davvero troppo pretendere il contrario,” sospira con un sopracciglio alzato, risultando forse più tagliente di quanto avrebbe voluto.
 
“Touché… e comunque chi ci perde è lui.”
 
“Ma certo: ci ha proprio perso nel cambio, è così evidente!” proclama sarcastica, scuotendo il capo, “guarda che ti cresce il naso: sono due ore che la fissi senza toglierle gli occhi di dosso.”
 
“Sì, ma è solo perché mi è familiare e sto cercando di capire dove l’ho già vista…” protesta, continuando però a fissare la sconosciuta.
 
“Sì… cos’è: ci siamo già visti da qualche parte? La scusa più vecchia del mondo… certo che voi uomini potreste pure essere un po’ più originali ogni tanto,” ribatte con una mezza risata amara.
 
“No, Camilla, dico sul serio: l’ho già vista… ma dove… dove… ma certo!” esclama, colto da un’illuminazione, “è un commissario! Non ricordo in quale commissariato lavori, ma l’ho vista l’anno scorso ad una partita di beneficienza a cui mi è toccato andare per tifare per mio fratello. Poliziotti contro carabinieri, non ti dico che noia, dato che detesto il calcio!”
 
“Cioè, tuo fratello gioca a calcio?” domanda, sorpresa da questa notizia quasi più che dal fatto che la stangona sia un commissario.
 
“Sì, in difesa: sai, sul marcare stretto fino allo sfinimento in pochi battono mio fratello”, ribatte con una risata, “lei invece stava in porta ed era pure molto brava, anche se qualcuno tra il pubblico commentava che usasse armi improprie, dato che, vedendola in pantaloncini, gli avversarsi si distraevano. Fatto sta però che non sono riusciti a farle un solo goal.”
 
“Immagino…” sospira, sentendo il peso sullo stomaco farsi sempre più opprimente: bellissima, intelligente, realizzata professionalmente e anche un’atleta.
 
Praticamente la donna perfetta, la versione femminile di Gaetano…. Una donna davvero alla sua altezza, al contrario di lei.
 
Nel frattempo dall’altra parte del locale…
 
“… E ti ricordi l’istruttore di tiro? Era un vero fanatico: ho ancora le sue urla nelle orecchie… Berardi, la postura!
 
“Almeno a te non ha praticamente intimato di farti ridurre il seno, altrimenti non saresti mai riuscito a sparare come si deve e a passare il corso,” ricorda con una mezza risata amara.
 
“No, in effetti no, non ho mai ricevuto di questi consigli,” ribatte con un sorriso, “beh, tu però fortunatamente non hai ceduto e hai passato eccome il corso, e a pieni voti. Eri forse la più brava tiratrice tra noi.”
 
“Dopo di te, Gaetano, non fare il modesto, dai! Anzi, se non mi avessi aiutata tu nel tuo tempo libero non credo l’avrei nemmeno passato l’esame, visto quanto mi era d’aiuto l’istruttore…”
 
“Ehi, è stato un piacere, e poi tu mi hai dato una mano in altri corsi… e inoltre… in effetti voi donne ce l’avevate ancora più dura di noi uomini. Tu soprattutto: attiravi tutti i marpioni.”
 
“Già… ti ricordi dell’istruttore di guida? Che con la scusa di dirmi quando dovevo cambiare marcia continuava a toccarmi la gamba? Gliel’avrei staccata quella mano, se avessi potuto! Ma poi tu hai avuto l’idea geniale di farmi cospargere i pantaloni di peperoncino in polvere… bianco ed invisibile, tenendo sotto la calzamaglia impermeabile per evitare che mi arrivasse sulla pelle. Sono morta di caldo ma ne è valsa la pena… quanto è stato assente per ‘indisposizione’? Una settimana? E poi ha chiesto il trasferimento.”
 
“Ah, non lo invidio: quel peperoncino era potente. Non sarà riuscito a sedersi per giorni!” ricorda con un’altra risata: l’aveva seguito per accertarsi che lo stratagemma avesse funzionato e lui e altri due ragazzi l’avevano dovuto soccorrere in bagno e non era stato un bello spettacolo, “chissà se la lezione almeno gli sarà servita…”
 
“Non lo so se sia servita a lui, ma di sicuro è servita a me! Ma… sai, Gaetano, credo di non averti mai ringraziato e… probabilmente non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza,” ammette lei con un sorriso, appoggiando la mano destra sulla sua e stringendo lievemente.
 
“Per la storia del peperoncino e per due lezioni extra di tiro?” domanda, sorpreso e lievemente in imbarazzo.
 
“Non solo, ma perché sei stato uno dei pochi al corso che non ci ha mai provato con me: non mi hai nemmeno mai fatto battute, nulla. E soprattutto sei stato l’unico che mi ha sempre trattata alla pari, come avresti trattato un collega maschio,” spiega, stringendogli di più la mano per poi lasciarla, “ma quando avevo bisogno mi hai sempre guardato le spalle e mi hai aiutata, senza farmelo pesare, senza chiedermi niente in cambio. Hai reso l’addestramento mille volte più sopportabile e mi hai aiutata a superare i momenti in cui ero tentata di mandare tutto a quel paese e mollare. Ti devo moltissimo.”
 
“Figurati… come avrei dovuto trattarti, scusa? Tu eri e sei una collega e come abilità non solo mi sei pari, ma probabilmente mi superi anche. E poi, sinceramente, era anche una questione di sopravvivenza: avevo visto come te la cavavi nel corpo a corpo e volevo evitarmi di finire in ospedale,” risponde, per sdrammatizzare, facendola ridere, “però… a parte qualche istruttore e questi episodi… è stato un bel periodo, no?”
 
“Sì… è vero… un gran bel periodo anche se… dio mio, era una vita fa, praticamente…”
 
“Ci pensi che ormai siamo più vecchi noi della maggior parte degli istruttori che avevamo allora?”
 
“Vecchio ci sarai! Nessuno mi dà l’età che ho e vecchia non mi ci sento proprio!” esclama, trascinandolo in un’altra risata.
 
“Per la carità, anzi: stai benissimo e non sei cambiata di una virgola, Claudia, in tutti i sensi.”
 
“Neanche tu sei cambiato, per fortuna,” gli sorride, prima di bere un altro sorso di vino e farsi più seria, “sai… mi ha sorpresa molto la tua chiamata… quanti anni saranno che non ci vediamo? Sette? Otto?”
 
“Già… anche di più… era ancora prima del mio trasferimento a Praga…”
 
“E… diciamo che immagino che tu non ti sia rifatto vivo dopo tutto questo tempo per ricordare i bei tempi andati del nostro addestramento. O sbaglio?” gli domanda con un sopracciglio alzato.
 
“No, non sbagli… diciamo che… mi sono andato a cacciare in un bel casino e… forse tu mi potresti aiutare. Credimi che mi imbarazza venire qui a chiederti un favore dopo secoli che non ci vediamo ma-“
 
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Gaetano! Guarda che sono ancora in debito con te e… se posso aiutarti lo faccio più che volentieri,” risponde, evidentemente preoccupata, “anche perché per chiedermi un aiuto, testone ed orgoglioso come sei… questo casino deve essere bello grosso. Che cosa hai combinato?”
 
“Tu hai lavorato con l’ispettore Pietro Mancini, vero?” le domanda, chiedendo conferma a ciò che ha già scoperto dalle sue ricerche forsennate delle ultime ore.
 
“Il Mastino? Purtroppo sì,” sospira, cambiando nuovamente tono, aggiungendo poi con un’espressione quasi disgustata, “era un mio sottoposto fino all’anno scorso. Ce l’ho avuto in squadra per tre anni, anche se dire che facesse squadra... era stato un istruttore prima di tornare operativo e… diciamo che se si comportava con i suoi allievi come si comportava quando era sotto di me… altro che peperoncino! Riuscivo a malapena a sopportarlo io ed ero un suo superiore! È stata forse la seconda volta nella mia carriera che ho fatto festa quando uno dei miei uomini si è trasferito.”
 
“Ma è successo qualcosa in particolare? Cioè ci sono stati episodi spiacevoli? Come si comportava con te?”
 
“Mah… con me in realtà era fin troppo ossequioso: sai… è uno di quelli che fa il bullo con chi gli sta sotto, ma poi con i superiori è un agnellino. Però lo capivo che non mi rispettava davvero… non dico che fosse maschilista, anzi, con le colleghe donne di solito era più gentile che con gli uomini e non l’ho mai beccato a provarci con nessuna. Da questo punto di vista è sempre stato correttissimo. Però… mi dava l’idea che essere sotto ad una donna forte, che gli teneva testa, non gli andasse giù. Non è raro, eh, mi capita spesso.”
 
“E a parte questo? È successo qualcos’altro?”
 
“È successo che trattava gli agenti giovani quasi come fossero degli zerbini. Con un paio di suoi ex allievi in particolare era assurdo. Da un giorno all’altro mi sono ritrovata dall’avere una bella atmosfera in squadra ad avere il regime del terrore. Io ovviamente, mi conosci, gli ho detto che se voleva fare full metal jacket, aveva sbagliato carriera e che se lo avessi nuovamente pescato a trattare male gli agenti gli avrei fatto un richiamo scritto. Si è dato una calmata per un po’ e sembrava andare tutto bene, fino a quando non ho assistito per caso ad un interrogatorio che stava conducendo lui. Io dovevo essere in tribunale, ma mi avevano spostato l’udienza. Stava cercando di far confessare un presunto omicida: un ragazzo con evidente ritardo mentale che, a detta di molti testimoni, aveva una vera e propria ossessione per la vittima. Guarda, mi viene ancora rabbia se ci ripenso: lui che urlava nelle orecchie di quel poveretto mostrandogli le immagini peggiori della ragazza uccisa e l’altro che piangeva e quasi aveva le convulsioni. Per la carità, Gaetano, anche io ho calcato un po’ la mano in qualche interrogatorio, lo sai anche tu che a volte è necessario, ma dipende da chi hai di fronte e in quel caso era assolutamente inutile, oltre che crudele.”
 
“E tu che hai fatto?”
 
“Sono stata stupida, impulsiva. Avrei dovuto filmare la scena, documentarla, ma il mio primo istinto è stato di fermarlo. L’ho bloccato, gli ho fatto una lavata di capo e… e gli ho detto che o chiedeva il trasferimento e se ne andava al primo posto vacante disponibile, o l’avrei denunciato. Lo so, lo so che avrei dovuto e potuto fare di più, che forse è stata una soluzione vigliacca, però… lo sai quanto è difficile denunciare un collega, no? Soprattutto senza prove in mano, se non la mia parola contro la sua. E anche fargli dei richiami… sarebbe stato l’inizio di un lunghissimo procedimento, un mal di testa infinito. E non ero in un periodo facile, avevo già mille grane e… volevo solo liberarmi dell’ennesima grana nella maniera più rapida possibile. Dopo pochi mesi si è trasferito e sono stata più che felice di non doverci più avere a che fare.”
 
“Già… è finito a lavorare nella mia ex squadra, che adesso è guidata dal vicequestore De Matteis. Per caso conosci anche lui?”
 
“De Matteis? Di sfuggita… giochiamo insieme a calcio nelle partite di beneficienza, ma non è che ci si veda spesso. Ci si allena per quelle due o tre settimane una volta all’anno e finisce lì. E poi siamo in tanti e lui è molto riservato: parla pochissimo. Anzi, direi che è proprio timido, più che riservato: ho provato ad attaccarci bottone un paio di volte e mi sembrava davvero imbarazzato, faceva quasi tenerezza,” ricorda con un sorriso, mentre Gaetano la guarda con un’espressione talmente meravigliata da risultare comica.
 
De Matteis timido? Che faceva “tenerezza”?
 
“Che c’è?” gli domanda, non potendo evitare di scoppiare a ridere.
 
“No è che… siamo sicuri che stiamo parlando dello stesso De Matteis? Quello che conosco io fa tutto tranne che tenerezza e non mi sembra affatto timido. Riservato sì, ma… ti garantisco che è un osso duro e sa farsi valere. È molto deciso, per non dire che è proprio strafottente.”
 
“Mah non lo so… quello che posso dirti è che poi in campo si trasforma: come marca gli avversari lui, nessuno. Non li molla un attimo: nell’ultima partita che abbiamo disputato, contro i carabinieri, ha esasperato talmente tanto un attaccante della squadra avversaria, un maresciallo, che ho temuto per un attimo una rissa o che il maresciallo lo aspettasse fuori e gliela facesse pagare. Se si mette in testa una cosa non molla, questo sì,” ammette con un sorriso, per poi tornare più seria ed intimargli, con uno sguardo che pare scavargli dentro, “ma perché ti interessa tanto di De Matteis e di Mancini? Mi spieghi che cos’è successo? E stavolta non ci provare a fare il furbo e a divagare, Berardi, se davvero vuoi che ti aiuti!”
 
Nel frattempo, dall’altra parte del locale…
 
“Camilla, vuoi che andiamo da un’altra parte?”
 
La voce di Marco la fa quasi sobbalzare: era stata così impegnata ad osservare e studiare ogni singola mossa, ogni singolo gesto tra Gaetano e la sua accompagnatrice, che si era praticamente scordata del resto del mondo intorno a sé.
 
Il modo spontaneo e sincero in cui ridevano insieme, la complicità che si respirava tra loro, la naturalezza con cui lei gli aveva preso la mano – e lui non si era affatto sottratto – erano come coltellate al cuore che la stavano lentamente uccidendo.
 
Come poteva sperare di competere con una donna così? Soprattutto dopo tutto quello che aveva combinato, dopo che, per dare retta a lei, Gaetano stava rischiando tutto.
 
Però… certo che lui si era ripreso davvero in fretta: se l’era immaginato distrutto, angosciato, come lei del resto, che aveva passato una notte praticamente insonne. E invece era lì che rideva e scherzava, come se niente fosse, dopo nemmeno ventiquattrore dalle minacce di De Matteis e, soprattutto, dopo nemmeno ventiquattrore che si erano lasciati.
 
E al dolore immenso e alla paura, si somma adesso la rabbia. La rabbia al pensiero di contare così poco per lui, dopo tutto quello che aveva fatto per conquistarla, dopo averle fatto credere di essere l’unica donna per lui, l’unica che avesse mai amato, che senza di lei non sarebbe riuscito a vivere, né ad essere felice.
 
E invece… invece evidentemente era lei quella che ci era rimasta sotto, che si sentiva come se le fosse passato sopra un treno, come se niente avesse più senso, mentre lui…
 
“Camilla?”
 
Il suo nome ripetuto, la porta finalmente a girarsi verso Marco, che la guarda preoccupato.
 
“No, Marco… non fa niente… anzi, certe cose è meglio vederle, che ignorarle. Comunque… mi hai detto che hai parlato con tuo fratello, giusto? Cosa pensi che farà? Rinuncerà o…” domanda, cambiando argomento e rifiutandosi di cedere e di mostrare quanto stia male.
 
“Non lo so, Camilla. Ma mi ha detto che ci stava pensando e quindi non è convinto, non al cento per cento. Credo che potrebbe cambiare idea ma… non posso garantirtelo. Mio fratello non è facile da capire, per niente…”
 
“Ah, su questo sono perfettamente d’accordo con te,” esclama con amarezza, bevendo un altro sorso di vino, “spero che si convinca, Marco, perché… non voglio nemmeno considerare l’altra ipotesi. Se Gaetano e Marchese dovessero davvero perdere il lavoro per colpa mia… non me lo perdonerei mai, mai.”
 
“Nonostante tutto…?” le domanda, indicando in direzione dell’altro tavolo.
 
“Ma che c’entra, scusa? Non è che se… che se non sta con me o se… se non mi ama…” mormora, quelle parole che bruciano come acido nella gola e sulla lingua, “gli auguro di finire sotto un ponte. E la colpa di quello che è successo rimane mia e la responsabilità mia.”
 
“Camilla…” sussurra con sguardo preoccupato e commosso, allungando di nuovo una mano a coprire la sua, stringendola forte. Perché la capisce benissimo, perché è esattamente quello che prova lui, pensandola nei guai.
 
“COSA?! MA SEI IMPAZZITO?! Come ti è saltato in mente di fare una cosa del genere?!”
 
Sentendo quello che è quasi un urlo e che squarcia l’atmosfera tranquilla del locale, si voltano verso il tavolo di Gaetano, perché ad alzare la voce è stata proprio la sua accompagnatrice, che lo guarda incredula, prima di sospirare, appoggiare la fronte su una mano e scuotere il capo, sconsolata. Gaetano si passa una mano tra i capelli, in un gesto che esprime chiaramente imbarazzo.
 
Istintivamente, Gaetano si guarda intorno, notando le occhiatacce che gli lanciano alcuni degli occupanti degli altri tavoli e facendo un cenno di scuse, fino a che, proseguendo nella sua carrellata, il cuore gli si ferma nel petto, quando il suo sguardo incontra due occhi nocciola che si fissano nei suoi. Pochi istanti e si sente ribollire il sangue nelle vene quando vede chi è il suo accompagnatore e, soprattutto, quando nota il modo in cui si stanno tenendo per mano.
 
Camilla ricambia lo sguardo con un’occhiata dura, tagliente, serrando le labbra fino a ridurle a fessura.
 
“Conosci le persone a quel tavolo?” domanda Claudia, interrompendo la battaglia di sguardi.
 
“Sì, lui è… è il fratello di De Matteis e lei è… è Camilla…”
 
“La tua compagna? Quella con cui hai avuto la brillante idea di metterti a indagare su un caso di De Matteis e di Mancini?” domanda, sorpresa, studiando l’altra donna, aggiungendo poi, con tono innervosito, “che ci fanno qui insieme? Non mi hai appena detto che avevano avuto una storia loro due, che lei l’aveva lasciato e che per questo De Matteis ce l’ha a morte con lei? Gaetano, mi spieghi cosa sta succedendo? Se volevi farmeli incontrare potevi parlare chiaramente ed evitare tutta questa sceneggiata!”
 
“No, no, non sapevo… non sapevo che si sarebbero incontrati o che fossero qui, come del resto Camilla non sapeva che ti avrei incontrata e-“
 
“E lo vedo! Se gli sguardi potessero uccidere saremmo morti tutti e due!” ribatte, avendo notato benissimo l’occhiata assassina che Camilla stava lanciando a Gaetano e anche a lei, “ti rendi conto di cosa starà pensando, Gaetano?”
 
“Sì, probabilmente sta pensando quello che sto pensando pure io,” sibila lui, continuando a fissare Marco e Camilla, che si tengono ancora per mano.
 
“Camilla, cosa fai?!” domanda Marco, sorpreso, vedendola alzarsi dalla sedia. Cerca di trattenerla, ma lei si libera dalla sua presa, “vuoi andare via?”
 
“No, o meglio, tra un attimo. Prima credo sia il caso di fare un saluto, no? È buona educazione, quando si vede qualcuno che si conosce,” risponde con tono apparentemente calmo, avviandosi a passo tranquillo verso il tavolo dal lato opposto del locale.
 
Marco, dal canto suo, si affretta a lasciare un paio di banconote sul tavolo – un importo più che sufficiente a pagare il conto – e a seguirla, maledicendosi per avere scelto proprio questo posto.
 
“Sta venendo qui!” sibila Claudia, sempre più preoccupata, vedendo l’altra donna avvicinarsi, “senti, Gaetano, lo sai che per te farei quasi tutto, ma non voglio mettermi in mezzo a questa cosa, è-“
 
“Ciao, Gaetano,” li raggiunge la voce di Camilla, apparentemente serena e tranquilla, sul volto quel sorriso tirato che Gaetano riconosce benissimo e che ha visto di recente, durante l’episodio con Ricci, “che sorpresa trovarti qui: non mi presenti la tua amica?”
 
“Beh, anche io devo ammettere che sono molto sorpreso di trovarti qui, Camilla, anche se il tuo amico non ha bisogno di presentazioni,” ribatte con un tono praticamente identico, “comunque lei è Claudia Milani, è il vicequestore a capo del commissariato del Tuscolano X, oltre che un’amica di vecchia data. Abbiamo fatto l’addestramento insieme.”
 
“Sì, si notava che siete molto… affiatati…” replica con un altro sorriso che non le raggiunge gli occhi, per poi aggiungere, porgendo la mano all’altra donna, “piacere, sono Camilla Baudino, insegno lettere e sono… beh, si può dire che sono anche io un’amica di vecchia data di Gaetano.”
 
Claudia e Gaetano si guardano, entrambi sorpresi dalle parole di Camilla, mentre Gaetano si sente come se avesse ricevuto uno schiaffo. Amica di vecchia data. Amica, amico… quante volte negli anni lui e Camilla si erano ripetuti frasi come “se no gli amici a che servono?” o “in fondo siamo amici, no?”, quasi per autoconvincersi, ma con un tono e uno sguardo che lasciavano trasparire quanto nessuno dei due credesse veramente a quella definizione, così incredibilmente inadeguata per descrivere il loro rapporto.
 
E se lo era già prima che succedesse tutto quello che è successo tra loro, ora… Camilla non è e non sarebbe mai stata solo un’amica di vecchia data per lui, fossero anche passati cent’anni. E l’idea che lei possa definirsi così, che possa pronunciare quelle parole con tanta nonchalance, gli fa male fin nel profondo dell’anima.
 
“Il piacere è mio, però… mi era sembrato di capire che lei e Gaetano… insomma… che aveste una relazione,” risponde Claudia, sempre più confusa, ricambiando la stretta decisa dell’altra donna.
 
“Gaetano le ha parlato di me?” domanda Camilla, spiazzata, mentre la maschera dipinta sul volto le si spezza e guarda Gaetano negli occhi.
 
“Sì, prima che tu ci interrompessi, le stavo parlando proprio di te e di tutto quello che è successo negli ultimi giorni, ma non avevo ancora fatto in tempo a spiegarle che ci siamo lasciati ieri,” chiarisce Gaetano con tono gelido e duro.
 
“Capisco… beh, allora mi scuso per l’interruzione e tolgo il disturbo, così avrete modo di… recuperare il tempo perduto,” proclama con tono ancora più gentile, allargando il sorriso, “Claudia, è stato un piacere conoscerla. Gaetano, a questo punto, immagino che ci vedremo in questura. Passate una buona domenica! Marco, andiamo?”
 
E, senza aspettare risposta, si avvia verso l’uscita del locale.
 
“Gaetano, oh, Gaetano, mi senti?”
 
“Eh?” le domanda, voltandosi verso di lei, sentendosi pungolare sul braccio.
 
“Mi spieghi che ci stai a fare ancora qui? Non puoi lasciarla andare via così: vai a chiarirti con lei!” lo esorta Claudia con un sospiro, indicando Camilla e Marco che stanno per uscire.
 
“A me sembra che sia in ottima compagnia e che non ci sia proprio nulla da chiarire: è stata chiarissima. Io per lei sono ormai solo un amico di vecchia data: più chiaro di così!” ribatte Gaetano, sentendosi ancora profondamente ferito.
 
“Gaetano, credimi, io se vedo un mio amico di vecchia data con un’altra donna, non reagisco così e credo sia lo stesso per chiunque, compresa la tua Camilla, che mi sa che è proprio come te: una testona orgogliosa! Non lo capisci che la sua è soltanto una reazione all’averti visto qui con me dopo ventiquattrore che vi siete lasciati?”
 
“E io cosa dovrei dire di lei che sta mano nella mano con il suo ex, eh?” ribatte, duro e amaro.
 
“Magari stava anche mano nella mano con lui, ma guardava solo te, le importava solo di te! E, se come mi sembra evidente, lei per te non è né un’amica di vecchia data, né una ex, dato che non ci sei nemmeno riuscito a dirmi che vi eravate lasciati, vai e parlale, prima che sia troppo tardi!”
 
“No, non se ne parla nemmeno e poi… devo ancora spiegarti cos’è successo con De Matteis e con Mancini e-“
 
“E ti ho già detto che per te farei quasi qualsiasi cosa, Gaetano, ma che non voglio mettermi in mezzo a questa storia tra te e Camilla. Quindi, se vuoi che ti aiuti, ora tu prendi, ti alzi, vai da lei e ti chiarisci e poi dopo parliamo di De Matteis e di Mancini fin che vuoi.”
 
“Ma non posso mica lasciarti qui così!”
 
“Devi! E poi mica mi abbandoni in mezzo al deserto: se non l’avessi notato, qui cibo e bevande non mancano. Certo, ti troverai con un conto un po’ salato al tuo ritorno, ma…” ironizza, facendogli l’occhiolino, prima di assumere un tono marziale e intimargli, “muoviti, Berardi, è un ordine!”
 
“Grazie, Claudia, sei un’amica!” risponde, grato, stringendole lievemente la spalla prima di uscire di corsa dal locale, sperando di fare in tempo a fermarla.
 
Intanto, poco distante…
 
“Camilla, sei proprio sicura di non volere un passaggio?”
 
“No, Marco, davvero, scusami ma ho bisogno di starmene un po’ da sola…” risponde con un sorriso stanco.
 
“Ok, comunque… se hai bisogno di qualcosa…”
 
“Lo so, grazie… mi faresti solo sapere se… se tuo fratello ha deciso qualcosa?”
 
“Tranquilla, appena ho notizie ti avviso, ok?” la rassicura, salutandola poi con i canonici due baci sulle guance, entrando nella sua vecchissima e fedelissima automobile che, dopo qualche tentativo, finalmente si avvia e si allontana barcollante lungo la strada.
 
“Camilla!”
 
Quella voce, la sua voce, le fa accelerare il battito.
 
“Gaetano, che ci fai qui? E la tua amica?” domanda, non potendo contenere il sarcasmo e l’amarezza.
 
“E Marco? Perché non sei andata via con lui?” le chiede di rimando, guardandola negli occhi.
 
“Già forse avrei dovuto…” commenta lei con un sospiro, “ma non ero dell’umore adatto, a differenza tua, che evidentemente oggi sei di ottimo umore. Devo dire che hai delle capacità di ripresa sorprendenti, Gaetano, non c’è che dire: come cadi, cadi sempre in piedi.”
 
“Cosa, cosa?! Non sono io quella che mi ha definito come un vecchio amico, dopo nemmeno ventiquattr’ore che ci siamo lasciati!” sbotta furente, quel commento come un artiglio che gli squarcia il petto.
 
“Non ho mai detto che tu fossi un mio vecchio amico, Gaetano. Ho detto che sono io che evidentemente sono solo una tua vecchia amica, perché, come avrei dovuto definirmi, scusa? Visto che, dopo nemmeno ventiquattr’ore che ci siamo lasciati, ti trovo a ridere e a scherzare e a fare lo scemo con un’altra come se niente fosse! È evidente quanto devo essere stata importante per te, no!”
 
“Cosa?! Tu sei stata e sei importante per me, dannazione! Sei la donna più importante della mia vita!” grida esasperato, prendendola per le spalle per costringerla a guardarlo negli occhi, “Camilla, tu hai un’idea di cosa sono stati per me questi ultimi giorni e queste ultime ore? Hai idea di cosa ho passato da quando ci siamo… ci siamo lasciati ieri, eh? Di cosa ho provato all’idea di avere perso tutto? E non sto parlando del mio lavoro, ma di te, DI TE, maledizione! Hai un’idea di che bella nottata ho passato?”
 
“E tu hai un’idea di che bella nottata ho passato io, Gaetano? Non solo all’idea di averti perso, ma all’idea che probabilmente ti ho rovinato la vita? Hai un’idea di quanto mi sono sentita in colpa, di quanto ero preoccupata per te? E hai un’idea di cosa ho provato a vederti lì con quella stangona, così affiatati, complici, sereni… e proprio si vedeva come soffrivi, povero Gaetano, mamma mia, chissà che sofferenza interiore avevi, mentre ti sganasciavi dal ridere con quella, a tal punto che tra un po’ vi si slogava la mandibola! Dio mio, hai un’idea di quanto mi sono sentita cretina, eh?!” urla di rimando, fuori di sé, “e non solo ridevi e scherzavi di gusto, ma lo facevi mentre le spiegavi di quello che è successo negli ultimi giorni! Mi chiedo che cosa tu le abbia raccontato per farla ridere così, perché io non ci trovo nulla di divertente, Gaetano, niente!”
 
“Non ridevo con lei di quello che è successo negli ultimi giorni, Camilla io-“
 
“Ma se me l’ha detto proprio lei che stavate parlando di quello! Non negarlo!”
 
“Non lo nego affatto, ma gliene ho parlato DOPO. Quando ridevamo e scherzavamo è perché stavamo ricordando gli episodi più assurdi del nostro addestramento: sono anni che non ci vediamo e ripensavamo ai tempi andati… E scusami tanto se, dopo tutta la tensione, la preoccupazione di queste ore mi sono lasciato andare a qualche istante di leggerezza!”
 
“No, per la carità: lasciarti andare a qualche istante di leggerezza è la tua specialità, no, Gaetano?”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Quello che ho detto: di istanti di leggerezza nella tua vita ne hai collezionati parecchi, no, Gaetano? Se adesso si dice così…”
 
“Cioè tu pensi che… che io ci stessi provando con Claudia? Che voglia portarmela a letto? O avere una relazione con lei?” domanda, sconvolto, guardandola come se fosse impazzita.
 
“Ma no, certo che no! Perché mai dovrei pensarlo, eh? Vediamo: tu e una donna in un bar, che vi bevete un aperitivo, ridete, fate battute, affiatati e complici e poi vi prendete anche per mano. Ma cosa mi ricorderà mai questa scena, eh?”
 
“Tu… tu non puoi paragonarmi noi due con me e Claudia! Lei è ed è sempre stata solo una collega e un’amica, mentre, visto che siamo in argomento, che mi dici di te e di Marco, che è un tuo ex, seduti in un bar mano nella mano?”
 
“Io e Marco non eravamo seduti mano nella mano e-“
 
“L’ho visto coi miei occhi: almeno non negare l’evidenza!”
 
“Non nego l’evidenza, Gaetano! Forse Marco mi avrà preso la mano per consolarmi e-“
 
“E tu ti sei lasciata consolare!”
 
“Maledizione, Gaetano, ricominciamo?! Ti ho già spiegato a chiare lettere che Marco non mi interessa, che non sono innamorata di lui, che non sono mai stata innamorata di lui. Tu pensi sul serio che solo perché ci siamo lasciati io correrei a gettarmi tra le sue braccia? Stare con lui è un errore che ho già fatto una volta e che non ripeterò: ma pensi davvero che abbia così poco amor proprio, eh?” sbotta frustrata, fulminandolo con lo sguardo, “sai perché mi sono vista con Marco oggi? Perché volevo convincerlo ad intercedere per noi con suo fratello, a fare ragionare De Matteis e a farlo desistere dalla sua idea di denunciarci!”
 
“Che cosa?! Camilla, ti ho pregata di tenerti lontana dai guai, di lasciare fare a me e tu-“
 
“E io infatti mi sono tenuta lontana dai guai, ma questa era l’unica cosa che potevo fare per te, maledizione, lo vuoi capire?! E non potevo certo non fare almeno questo tentativo!”
 
“Preferirei finire in galera, piuttosto che farti elemosinare pietà per me da Marco e da De Matteis e tu questo lo sai, Camilla!” sbotta, sorprendendosi quando le labbra di lei si contraggono in quello che sembra un moto di riso soffocato sul nascere, “che c’è?”
 
“C’è che lo so, Gaetano, lo so benissimo,” risponde, ricordando quello che aveva detto lei stessa a Marco pochi minuti prima, “però qui non si tratta di elemosinare pietà e in ogni caso non ho dovuto nemmeno chiedere, perché ci aveva già pensato Marco. Ha detto a suo fratello che, se non ritirerà la denuncia, lui si autodenuncerà, facendogli fare una figura terribile, oltretutto.”
 
“Cosa?” sussurra, stupito e anche innervosito da quest’ennesima conferma di quanto Marco tenga evidentemente ancora a Camilla.
 
“Già… e poi qualcuno doveva pure fare qualcosa, dato che tu mi sembravi… parecchio impegnato a distrarti dai problemi con il tuo istante di leggerezza,” proclama sarcastica, fulminandolo con lo sguardo.
 
“Guarda che se mi sono visto con Claudia è proprio per fare qualcosa per tirarci fuori dai guai!” ribatte Gaetano, irritato dal tono di lei, “ti avevo detto che avrei cercato di parlare con i miei amici in polizia, no? Per cercare qualche prova contro De Matteis o Mancini…”
 
“E guarda caso, tu, con tutti i poliziotti della capitale, hai scelto di incontrarti proprio con una che sembra una diva di Hollywood, per quanto è bella…. Come si dice? È un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo?”
 
“Senti, Camilla, se mi sono incontrato proprio con Claudia è per due motivi: primo perché è una delle poche conoscenze che ho in polizia che sta ancora qui a Roma, di cui mi posso fidare, con cui ho una conoscenza abbastanza approfondita da poterle chiedere un favore e che soprattutto mi deve più di un favore e-“
 
“Immagino quanto approfondita,” lo interrompe tagliente con uno sguardo che lo fa imbestialire.
 
“E poi, se mi fai parlare,” soffia, prendendola di nuovo per le spalle per bloccarla, “Claudia Milani non è solo un’amica, ma è soprattutto l’ultimo vicequestore ad avere avuto Mancini in squadra prima di De Matteis. Lo capisci adesso perché dovevo incontrare proprio lei?”
 
“Cosa?”
 
“Già! E a quanto pare ha informazioni che potrebbero esserci non solo d’aiuto, ma che potrebbero ribaltare la situazione a nostro favore, se solo riesco a convincerla a testimoniare davanti al questore. Che era quello che stavo cercando di fare poco fa, prima di mollarla come una cretina a quel tavolo per venire qui a chiarirmi con te!”
 
“Gaetano…”
 
“Gaetano niente! Camilla, ma per chi mi hai preso, eh? Tu pensi che con tutto quello che ci sta succedendo, con tutto quello che c’è in ballo, col questore che incombe sulle nostre teste come una spada di Damocle e da cui probabilmente ci toccherà andare in udienza già domani, io mi metta a perdere tempo a fare il cretino a flirtare con altre? Forse sei tu che non solo pensi che io abbia poco amor proprio, ma che sia proprio un idiota!” sbotta, lasciando trapelare nella voce quanto i suoi dubbi l’abbiano ferito, “e poi ero io quello che non si fidava di te, no?”
 
“Oddio, Gaetano, hai ragione… hai ragione, scusami, scusami! Sono io che sono un’idiota!” esclama, mentre la nube verde della gelosia si dissipa per lasciare spazio alle spire striscianti del senso di colpa, abbassa gli occhi imbarazzata, prima di sollevarli e incrociarli di nuovo con quelli di lui, che la guardano con un’espressione indefinibile, “è che… non so cosa mi è preso… ma quando ti ho visto lì con lei, così affiatati, così complici e poi lei così… così bella, così perfetta, io…”
 
“Camilla…” sussurra intenerito e sollevato – in fondo se lei è così gelosa è perché evidentemente ci tiene ancora a lui. Senza quasi accorgersene, solleva le dita della mano destra fino a sfiorarle la guancia. Il cuore gli accelera lievemente nel petto quando lei inclina il capo per incrementare il contatto, appoggiandosi alla sua mano.
 
“Gaetano…” mormora, ricambiando il gesto con mano tremante, tracciandogli la tempia, lo zigomo e la mandibola, facendolo rabbrividire e chiudere gli occhi.
 
“Camilla, che stiamo facendo?” le domanda quando li riapre, osservandola, come per leggerle dentro.
 
Si guardano per lunghi istanti che paiono infiniti, il respiro nel respiro dell’altro, gravitando sempre più vicino, senza rendersene conto.
 
Non saprebbero dire chi si sia mosso per primo, ma improvvisamente le loro labbra si scontrano in un bacio famelico e disperato, le mani sul viso, poi tra i capelli… stretti, sempre più stretti, il mondo ridotto alle labbra, alle mani, ai respiri, ai battiti, alla sensazione di tornare finalmente a respirare, a vivere, mano a mano che manca il fiato, che i polmoni bruciano, che le loro labbra continuano a duellare, ad accarezzarsi a mordersi, a fondersi.
 
È Camilla la prima a staccarsi, a doversi staccare, a dover tornare bruscamente alla realtà, perché la realtà è che il suo corpo reclama disperatamente ossigeno anche se, per il suo cuore, questo significa privarsi dell’unico vero ossigeno di cui ha bisogno.
 
Si guardano, sconvolti, ansanti, i capelli fuori posto, i visi paonazzi, le mani sulle spalle dell’altro, non si sa se per tenere le distanze ed evitare di cedere di nuovo alla tentazione o se per evitare che l’altro si allontani.
                                  
“Gaetano… cosa stiamo facendo?” gli sussurra, ancora senza fiato, tra una boccata d’aria e l’altra, facendo eco alla sua domanda di pochi minuti prima.
 
“Non lo so, Camilla, non lo so,” ammette, accarezzandole i capelli e stringendola a sé, il cervello che ancora si rifiuta di connettere, inondato dalle sensazioni, dall’ebbrezza di quel bacio, di averla di nuovo tra le braccia, di sentirla stringersi a lui, rifugiarsi in lui, di sentire il calore della sua guancia contro il cuore che gli batte all’impazzata, di sentirla di nuovo sua.
 
Lei solleva gli occhi dal suo petto e lo guarda in quel modo così confuso, così dolce e così vulnerabile… lo stesso modo in cui lo aveva guardato prima di lasciarsi andare al loro primo bacio e poi quando le aveva confessato che si trasferiva a Praga, quell’ultimo sguardo, che aveva portato impresso a fuoco nella mente e nel cuore durante i due anni successivi di separazione. E quando aveva cercato i suoi occhi dopo lo squillo provvidenziale di quel cellulare, in quei pochi istanti in cui doveva decidere se rimanere e sposare Roberta o correre a rispondere “all’emergenza”. Gli era bastato vedere quello sguardo sul viso di lei, per capire che non avrebbe mai potuto farlo. E a Torino quell’espressione gli era divenuta sempre più familiare, ogni volta che si era avvicinato un po’ di più a lei, ogni volta che aveva preso il coraggio a piene mani e aveva tentato di baciarla e lei… lei esitava sempre un po’ di più prima di fermalo, guardandolo in quel modo come se lo pregasse, ma come se non lo sapesse nemmeno lei che cosa lo pregasse di fare – se di tirarsi indietro o di annullare le distanze e baciarla.
 
Ed è proprio questo che fa, d’istinto, annulla di nuovo le distanze, accarezzando ed assaporando, questa volta dolcemente e lentamente, quelle labbra ancora rigonfie per l’impeto dei suoi baci. Per qualche istante è nuovamente in paradiso, sentendola sciogliersi nelle sue braccia e ricambiare con una tenerezza che gli provoca un dolore sordo e piacevole al petto.
 
“Gaetano… no… no!”
 
Quelle poche sillabe, sussurrate e poi quasi gridate, le mani che improvvisamente spingono sulle sue spalle per allontanarlo e tenerlo a distanza di sicurezza, sono come uno schiaffo e una doccia gelata, un pugno allo sterno.
 
“Perché no?! Camilla, non ci sto capendo più niente!” sbotta, guardandola negli occhi, non nascondendo la delusione e la frustrazione che prova.
 
“Nemmeno io ci sto capendo più niente, Gaetano. Ed è proprio questo il problema!” spiega, guardandolo ancora in quel modo così vulnerabile, così fragile e disorientato, che lo porta a placarsi all'istante.
 
“Gaetano ti rendi conto di quante cose sono successe negli ultimi due giorni? Troppe! Noi che ci… che ci lasciamo… De Matteis, Mancini… tu che rischi di perdere il lavoro e poi adesso, questo. Prima litighiamo furiosamente, poi ci baciamo… Ti ricordi quando mi hai detto che non volevi essere un momento di debolezza e di confusione per me?  Bene, nemmeno io voglio esserlo per te e-“
 
“Camilla tu non sei e non sarai mai un momento di debolezza! Lo vuoi capire che ti amo?” proclama, prendendole di nuovo il viso tra le mani e guardandola per farle capire quanto è sincero.
 
“Anche io ti amo, da morire, ma… se tu hai deciso di lasciarmi e di prendere quel treno è perché c’erano dei problemi tra noi. Problemi che non si cancellano per un’emergenza o perché ti desidero o perché non sopporto l’idea di vederti con un’altra. Problemi che, proprio per… per rispetto a quello che provo per te e a quello che voglio per noi due, per il nostro futuro, meritano di essere affrontati insieme e risolti con calma, con lucidità e consapevolezza e-“
 
“E allora affrontiamoli e risolviamoli, Camilla! Andiamo in un posto tranquillo e parliamone,” le propone, accarezzandole di nuovo il viso, fino a che lei gli blocca le mani con le sue.
 
“No, non adesso, Gaetano. Non capisci che non è il momento?”
 
“Perché? Perché mi hai visto con Claudia?”
 
“Sì, perché sei qui con Claudia, ma non per i motivi che pensi tu. Gaetano, tu prima avevi ragione in pieno: tu in questo momento ti stai giocando la vita e la carriera e hai probabilmente meno di ventiquattro ore di tempo per trovare un modo di difenderti davanti al questore. Non puoi permetterti di perdere tempo a flirtare con qualcuna, compresa me,” spiega, squadrandolo con uno sguardo eloquente.
 
“Tu non sei qualcuna Camilla e-“
 
“Non è questo il punto, Gaetano. Te l’ho già detto una volta: io non vado da nessuna parte. Anche perché ora, grazie a De Matteis, anche volendo, né io, né te possiamo andare da nessuna parte,” chiarisce facendolo sorridere, per poi aggiungere, stringendogli più forte le mani che trattiene ancora tra le sue, “Gaetano, abbiamo tutto il tempo del mondo per… per parlare, per chiarirci, se tu lo desideri. Ma hai poche ore per scagionarti e le devi usare al massimo, fino all’ultimo minuto, e ti ho già fatto perdere fin troppo tempo. Quindi ora tu torni in quel carinissimo e carissimo wine bar, prima che questa Claudia ti mandi davvero a quel paese e fai tutto il possibile per convincerla ad aiutarti, ok?”
 
“Agli ordini, professoressa,” ribatte con un altro sorriso, sospirando e scuotendo il capo: la adora quando fa così, “vuoi… vuoi venire anche tu a parlare con lei?”
 
“No, Gaetano. Anche su un’altra cosa avevi ragione tu: è molto più probabile che si apra e che accetti di aiutarti se le parli da solo e non accompagnato da una perfetta sconosciuta che oltretutto le ha quasi fatto una scenata di gelosia. Anzi, se permetti rientrerei un attimo con te prima di andare, ma solamente per scusarmi con lei.”
 
“Camilla…” sussurra, stupito, conoscendola benissimo e sapendo quanto Camilla, pur essendo indubbiamente una persona cortese e garbata, sia anche orgogliosa. E capisce che lo sta facendo solo per lui, perché è preoccupata per lui e che possa perdere il lavoro.
 
“Gaetano, un’ultima cosa: anche se a volte mi comporto come un’idiota, io mi fido di te, moltissimo! E sono sicura che riuscirai a trovare un modo di risolvere questa situazione. Tu De Matteis e Mancini te li mangi a colazione,” lo incoraggia, poggiandogli una mano sulla spalla, in quel modo che l’ha sempre rassicurato, che gli ha sempre dato una forza indescrivibile, il coraggio che gli serviva e che gli serve ora per affrontare tutto quello che deve affrontare.
 
“Grazie,” sussurra, ricambiando il gesto, trattenendosi a forza dall’abbracciarla perché non riuscirebbe più a staccarsi, “grazie davvero.”
 
Un ultimo sguardo e si avviano verso l’ingresso del locale, dove lei si avvicina rapidamente al tavolo ancora occupato da Claudia, che li guarda arrivare con malcelata apprensione.
 
“Ah, bene, siete tornati… professoressa si unisce a noi?” domanda Claudia, alzandosi dalla sedia.
 
“No, no, io adesso vado però… volevo scusarmi con lei per l’interruzione, per il mio atteggiamento di prima e anche per averla in un certo senso costretta a rimanere qui da sola ad aspettare. Purtroppo la gelosia è un difetto che non sono ancora riuscita ad eliminare e mi dispiace che ne abbia fatto le spese lei,” proclama con un sorriso ed aria sinceramente dispiaciuta, per non dire quasi dimessa.
 
“Ma si figuri: guardi che capisco benissimo! Anzi, è stata molto più diplomatica di quanto sarei stata io al suo posto, mi creda. Se la gelosia fosse un reato, starei già in galera da una vita!” esclama, ricambiando il sorriso.
 
“Bene, allora… vi lascio alla vostra rimpatriata. Claudia, grazie ancora della comprensione. Gaetano, se ci sono novità mi avvisi?”
 
“Certo, anche tu, mi raccomando,” risponde con un’occhiata che la fa sorridere e che è una raccomandazione non verbale di tenersi lontana dai guai.
 
“Contaci. Beh, allora buon proseguimento!”
 
Lui e Claudia la osservano in silenzio fino a che esce dal locale.
 
“E bravo Gaetano!” commenta con un sorriso, bevendo un sorso di vino.
 
“Che vuoi dire?”
 
“Che evidentemente, dato come è cambiato l’umore della tua Camilla, sei riuscito a trovare le parole giuste al momento giusto… e non solo le parole…” lo punzecchia con un sopracciglio alzato, scoppiando a ridere davanti alla sua espressione imbarazzata.
 
“Vuoi dire che ci hai visti?”
 
“E dai, su, lo sai che noi sbirri siamo curiosi per natura, altrimenti non faremmo questo mestiere, no? Anche se, ti dirò, quasi non potevo credere ai miei occhi: Gaetano Berardi innamorato! La tua Camilla ha fatto un bel miracolo, non c’è che dire!”
 
“Claudia…”
 
“È vero! Hai cambiato più ragazze tu durante l’addestramento di tutti i nostri colleghi messi insieme! E pure dopo, almeno fino a quando non ci siamo persi di vista, non ti sei fatto mancare niente, eh!”
 
“Eddai, su, non ero così terribile!” si difende, anche se sa che Claudia ha ragione.
 
“No, anzi, eri – e sei – una bravissima persona, l’importante era non avere la malaugurata idea di innamorarsi di te. Compiango ancora le povere sfortunate!”
 
“Forse non hai tutti i torti… ma non è colpa mia se ho sempre fatto fatica ad innamorarmi! Però, se ti può consolare, le sofferenze che ho inflitto, anche se involontariamente, alle povere sfortunate, credo di averle scontate con gli interessi dopo.”
 
“Con Camilla?”
 
“Sì… ma non per colpa sua. E comunque è una storia lunga e non vorrei annoiarti. E poi-“
 
“E poi non sono affari miei, più che giusto,” lo interrompe con un sorriso.
 
“No, non è per quello è che… è che ho bisogno assolutamente di spiegarti di De Matteis e di Mancini e-“
 
“Gaetano, ascoltami, è evidente quanto tu sia innamorato di Camilla e capisco anche il perché: si vede che è una donna intelligente, con le palle e che ci tiene talmente tanto a te che è perfino venuta a scusarsi con me, anche se non era necessario. Praticamente la donna perfetta, se non fosse però per questa sua pericolosissima passione per le indagini!” commenta con uno sguardo eloquente, “Gaetano, per quanto tu la ami, come hai… come hai potuto lasciarti trascinare in questa follia?! Ti rendi conto della gravità di quello che avete combinato tu, Camilla e questo altro agente?”
 
“Claudia, Camilla non è una sprovveduta e se le ho permesso di indagare e se l’ho aiutata non è solo perché la amo, ma perché sentivo che era la cosa giusta da fare. De Matteis e Mancini non avevano né la lucidità, né l’imparzialità necessarie per fare il loro dovere. Non cercavano la verità ma una vendetta personale, ognuno per i suoi fini. Conosci Mancini e lo sai che ho ragione, lo sai di cosa è capace! E se Marchese si è ribellato è perché non aveva altra scelta e io l’ho aiutato a fare quello che si doveva fare, quello che De Matteis e Mancini non erano in grado di fare. E per quanto riguarda Camilla, è la persona più onesta che conosca, oltre che un’investigatrice eccezionale: tu non hai un’idea di quante persone ho potuto aiutare negli anni grazie a lei, di quanti casi ho potuto risolvere con il suo aiuto.”
 
“Cosa?? Cioè mi stai dicendo che questa… che questa non è la prima volta che permetti a Camilla di fare la detective? L’hai lasciata… le hai permesso di partecipare ai TUOI casi??” gli domanda, sconvolta ed incredula, alzando di nuovo la voce.
 
“Sì, ma non per i motivi che pensi tu. Claudia, Camilla è… ha un talento per le indagini straordinario, rarissimo e non sto esagerando.”
 
“In che senso?”
 
“Nel senso che… lei riesce a vedere connessioni che agli altri sfuggono, ha un istinto quasi infallibile nel valutare le persone, le situazioni, le dinamiche. Ha un grande spirito di osservazione, un’incredibile capacità di elaborare gli elementi in suo possesso, di porsi le domande giuste e di darsi le risposte corrette. Questo è… è il venticinquesimo caso a cui collaboriamo insieme e-“
 
“Il venticinquesimo??!!” esclama, guardandolo come se fosse pazzo e mettendosi le mani tra i capelli, “Gaetano, ti-“
 
“E sai quanti di questi casi sono rimasti irrisolti?” la interrompe, sostenendo il suo sguardo, “nessuno, Claudia, nessuno. Grazie a Camilla ho sempre trovato il colpevole, sempre. Ti rendi conto di quante persone hanno avuto giustizia grazie a lei?”
 
Claudia rimane per un attimo in silenzio, osservandolo, studiandolo.
 
“Claudia, se domani ti si presentasse un caso che non riesci a risolvere e se sapessi che c’è una persona, che non è un collega, ma che ti può aiutare, che riuscirà ad arrivare alla verità, tu cosa faresti?” le domanda, studiandola di rimando, “se ti fossi trovata nella mia situazione di questi giorni, cosa avresti fatto tu? Ti saresti fatta intimidire da De Matteis e da Mancini o avresti comunque cercato la verità, costi quel che costi?”
 
“Gaetano…”
 
“Io ti conosco, Claudia, anche se sono anni che non ci vediamo, ti conosco profondamente e so che avresti fatto la stessa cosa che ho fatto io. O sbaglio?”
 
“No… no… forse non sbagli, Gaetano,” ammette, chiudendo per un attimo gli occhi per poi riaprirli e trafiggerlo con un’occhiata quasi disperata, “però, porca miseria, ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo di fare? Anche se non mi hai ancora chiesto niente, lo so perché siamo qui oggi, lo so cosa vuoi che io faccia… ma ti rendi conto di cosa rischio se rivelo quello che so? Se rivelo che invece di denunciare le irregolarità di Mancini ho preferito… ho preferito mollare la patata bollente ad altri?”
 
“Lo so benissimo e so che non ho diritto di chiedertelo, ma… non lo farei se non fossi non solo disperato, ma soprattutto convinto che sia la cosa giusta da fare. Vuoi davvero dargliela vinta?”
 
“No… no! E mi sento in colpa, Gaetano, perché non posso fare a meno di pensare che… se avessi avuto più coraggio, forse tu ora non ti troveresti in questa situazione ma… non è facile, lo capisci?”
 
“Lo capisco, ma tu non sei mai stata una che sceglie la via più facile, Claudia.”
 
“Forse… forse sono cambiata in questi anni, non ci hai pensato?” gli domanda, guardandolo di nuovo negli occhi, quasi sfidandolo.
 
“No, non credo. E me ne hai dato conferma oggi. Sei rimasta qui ad aspettarmi, anche quando avresti potuto cogliere la palla al balzo ed andartene, dato che avevi capito benissimo cosa ti stavo per chiedere,” le fa notare, guardandola a sua volta, posandole una mano sull’avambraccio e stringendo lievemente.
 
“Neanche tu sei cambiato Berardi… per fortuna o purtroppo…” sospira scuotendo il capo con un sorriso agrodolce, “hai sempre l’irritante abitudine di avere ragione e di essere il mio grillo parlante.”
 
“Quindi…”
 
“Quindi ti aiuterò, Gaetano… forse me ne pentirò ma ti aiuterò,” conferma, posando la mano sulla sua in un patto solenne, “che dici? Ci sarà un ponte abbastanza grande per ospitarci tutti?”
 
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“Ci sono novità?”
 
“No, dottore, credo che fino a domani sia tutto bloccato. Il medico legale non ha ancora fatto l’autopsia, gli uffici del comune di Spinaceto riaprono domani e quindi dobbiamo aspettare per vedere se hanno trovato i documenti del signor Giuliani…”
 
“Capisco… d’accordo Lorenzi, grazie lo stesso. E per quanto riguarda Mancini? È rientrato?”
 
“Sì, un’ora fa. Glielo chiamo?”
 
“Sì, sì, grazie, Lorenzi. E tu vai pure a casa, ci vediamo domani.”
 
“Grazie dottore, a domani!”
 
Il ragazzo si mette sull’attenti ed esce dalla porta. Come si richiude, sospira, si toglie gli occhiali e si sfrega gli occhi.
 
Si sente esausto: suo fratello aveva ragione, ha esagerato con lo sport. E ora che la rabbia si è calmata, sente ogni singola giuntura e ogni singolo muscolo che protestano.
 
E poi come si fa a lavorare così? Con un uomo in meno, Lorenzi che è bravino, sì, ma è inesperto, Mancini che sembra impazzito per questa storia vera o presunta tra sua moglie e Marchese e poi Grassetti, l’unica che ancora si salva, che giustamente si gode almeno un giorno libero dopo una settimana di superlavoro.
 
Una pluriassassina a piede libero e neanche uno straccio di indizio su come ritrovarla.
 
E poi quell’idiota di Berardi e la Baudino… La Baudino, sempre lei, la sua nemesi, il suo tormento: ma perché, perché, con tutte le donne sulla faccia della Terra, suo fratello doveva innamorarsi proprio di lei? Innamorarsi a tal punto da volerla proteggere ancora, dopo tutto quello che era successo. A tal punto da dargli questo maledetto aut aut che però, lo deve ammettere, l’ha costretto a riflettere.
 
Due tocchi sul legno della porta.
 
“Dottore, mi ha fatto chiamare?” domanda con quel tono solerte che oggi gli da particolarmente sui nervi.
 
“Sì, Mancini. Venga, si sieda.”
 
“Se riguarda il caso Scortichini, purtroppo non ci sono novità, dottore e-“
 
“Lo so, Mancini… e quello che le volevo dirle riguarda il caso Scortichini solo indirettamente. Vorrei parlarle di quello che è successo ieri, con l’agente Marchese, il vicequestore Berardi, la professoressa Baudino e ovviamente sua moglie.”
 
“Ah… quindi ha rintracciato il questore? Ha fissato un appuntamento con lui?”
 
“No, ancora no ed è proprio di questo che volevo parlarle Mancini. Penso di essere stato troppo precipitoso ieri e troppo severo. Marchese e Berardi hanno sbagliato nei modi, è vero, ma… in fondo credo stessero semplicemente cercando di… di aiutare la giustizia, anche se non approvo ovviamente il fatto che mi abbiano scavalcato. Però… credo che sia sufficiente un richiamo per Marchese ed un blocco della sua eventuale promozione, senza coinvolgere il questore ed ingigantire questa storia più di quanto sia necessario. Mi sembra la cosa migliore per tutti, per la reputazione di questa squadra e-“
 
“Cosa? Dottore, sta scherzando, vero?” lo interrompe Mancini, non potendo evitare di alzare la voce.
 
De Matteis non sa se essere più sorpreso dell’interruzione o del tono dell’ispettore, di solito sempre così ossequioso.
 
“Non è mia abitudine scherzare, Mancini e-“
 
“Lei non può farlo, non può tirarsi indietro adesso!” lo interrompe di nuovo, alzando ancora di più la voce, “Marchese e Berardi hanno violato tutte le procedure, Marchese ha violato il segreto di indagine… hanno commesso dei reati! E lei non può adesso insabbiare tutto e risolvere con un richiamo e far finire tutto a tarallucci e vino!”
 
“Non si tratta di insabbiare nulla, ma di usare il buonsenso, Mancini. Vale davvero la pena di rovinare la vita di tante persone per questa infrazione? In fondo le scoperte di Berardi, della Baudino e di Marchese ci sono state utili e non hanno compromesso le indagini. E poi c’è coinvolta anche sua moglie, rischia anche lei grossi problemi sul lavoro e-“
 
“E se Sammy avrà problemi sul lavoro è perché se li è cercati! Io non ci posso credere dottore, non posso credere a questo suo voltafaccia: Ieri era convinto quanto me e ora mi sta dicendo che devo dimenticarmi tutto? Ma stiamo scherzando?!” urla, ormai fuori di sé, per poi aggiungere, sprezzante, “Io lo so cosa le ha fatto cambiare idea, o meglio chi. È per via di suo fratello e della Baudino vero? Lo so che avevano una relazione!”
 
“Non le permetto di parlarmi con questo tono, Mancini o di fare certe insinuazioni, chiaro?!” urla di rimando, furioso, “capisco che sia un periodo difficile per lei, che sia deluso da sua moglie, però sono convinto che se proseguiamo su questa strada sarà lei il primo a pentirsene tra qualche tempo!”
 
“No, dottore, non provi a dire che lo sta facendo per me, perché non me ne pentirò mai! Marchese, Berardi, la Baudino e Sammy hanno sbagliato, hanno infranto la legge, Marchese e Berardi hanno infranto il loro giuramento e hanno violato i loro doveri e non c’è nulla che giustifichi un simile comportamento! Sono due cani sciolti, due mine vaganti, indegni della divisa che portano e per questo vanno allontanati! E se lei ora vuole davvero tirarsi indietro, vorrà dire che dal questore ci andrò io, personalmente, e gli spiegherò perché lei, pur essendo a conoscenza della situazione ha preferito chiudere un occhio, eh? Per fare contento il suo caro fratello, per i suoi legami personali con una delle persone coinvolte!”
 
“Lei mi sta minacciando, Mancini?!” sibila, gli occhi a fessura, mentre digrigna i denti, “si rende conto che sono il suo diretto superiore?”
 
“Beh, non lo sarà ancora per molto, se vado dal questore e gli rivelo cosa sta succedendo qui, dottore,” ribatte l’altro, durissimo, gelido e tagliente, “e si ricordi che ho fatto io le registrazioni ai nostri congiurati e ne ho ancora una copia. Basta che le porto dal questore e il gioco è fatto. E se non lo chiama entro domani, lo farò io.”
 
Lanciandogli un’ultima occhiata, si volta ed esce sbattendo la porta, senza nemmeno attendere di essere congedato.
 
Continua a fissare la porta a vetri sconvolto, incredulo e con un pensiero fisso che gli rimbomba nella mente: Berardi aveva ragione su Mancini.
 
E doverlo ammettere brucia forse anche di più del trattamento che ha appena ricevuto dall’ispettore o dalla consapevolezza che, qualunque cosa farà, l’immagine e la reputazione che ha faticosamente costruito negli anni sta per essere macchiata, forse irrimediabilmente.
 
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“Gaetano, finalmente! Ci sono novità?”
 
“Sì, Camilla: Claudia ha accettato di aiutarci, per fortuna. Ma con le altre persone con cui ho parlato per ora è stato un buco nell’acqua, anche se… anche se aspetto ancora una risposta…”
 
“Da chi?”
 
“Preferisco poi parlartene di persona, sai se dovesse rifiutare…”
 
“Ok, capisco,” concorda, capendo perché Gaetano non voglia fare nomi al telefono, “ma quindi, quindi ci manca...”
 
“Esatto… quindi mi chiedevo, tu hai novità?”
 
“No, niente, non ho sentito niente, né in un senso, né nell’altro…”
 
“Beh, era prevedibile in fondo, io non ci spererei molto. Hai visto com’era agguerrito ieri, no? Ce l’ha a morte con noi,” sospira, sapendo benissimo che ci vorrebbe un miracolo perché Marco riesca a convincere il fratello a desistere dalla denuncia.
 
“Dai, c’è ancora domani, almeno qualche ora…” sospira di rimando, anche se sa quanto siano flebili le speranze. Claudia può testimoniare solo contro Mancini e rimane ovviamente De Matteis, l’osso più duro.
 
Un lungo silenzio al telefono, tante parole, tante frasi che si vorrebbero dire ma che rimangono congelate in gola, nel dubbio di quanto dire, di come dirlo, di chi deve fare la prima mossa.
 
“Tu come stai?” gli chiede infine, sentendo dal respiro dall’altro capo della cornetta che non ha messo giù.
 
“Meglio, Camilla, da qualche ora decisamente meglio,” ammette e lei riesce a percepire che sta sorridendo, “e tu?”
 
“Anche io, molto meglio… anche se…” esita, mordendosi la lingua. Stava per dirgli: anche se starei ancora meglio se tu fossi qui con me. Ma, come gli ha detto qualche ora fa, non è il momento adatto per fare una pazzia: ci sono troppe cose in ballo, Gaetano deve concentrarsi solo su domani.
 
E poi… e poi non potrebbe sopportare altri tira e molla tra lei e Gaetano. Vuole essere sicura che anche lui sia convinto e consapevole tanto quanto lo è lei, non solo di quello che prova lui, ma anche di quello che prova lei. Che non ci siano più malintesi ed incomprensioni.

E lasciarsi andare ad una notte di passione ora sarebbe bellissimo ma troppo pericoloso e lei vuole molto di più per loro di un’ultima notte di passione.
 
“Anche se?” la incalza, con tono incuriosito e speranzoso.
 
“Anche se… non è facile ovviamente, per nessuno. Forse è meglio che adesso andiamo a riposarci, Gaetano, domani sarà una giornata molto pesante…”
 
“D’accordo,” sospira, un pizzico di delusione che trapela dal tono di voce, “a domani allora.”
 
“A domani…” sussurra, esitando se pronunciare quelle due parole, così brevi eppure così importanti, così grandi: ti amo.
 
Ma, prima che possa decidersi, decide lui per lei e sente il clic che indica la fine della conversazione.
 
“Sbaglio o i toni tra voi si sono molto ammorbiditi?” la sorprende una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare.
 
“Sammy! Tra un po’ mi facevi venire un infarto!” esclama, il cuore che le rimbomba nel petto, “e comunque, sì, diciamo che le cose tra me e Gaetano vanno un po’ meglio ma… ne abbiamo ancora di strada da fare.”
 
“Sono sicura che ce la farete: si vede quanto vi amate e quanto vi rispettate, soprattutto,” proclama con un sorriso malinconico.
 
“Sammy…” sussurra Camilla, poggiandole una mano sulla spalla, capendo benissimo lo stato d’animo della ragazza, dopo tutto quello che era successo tra lei e il marito.
 
“Guardi che faccio il tifo per voi due prof. e… non è che se le cose vanno male a me, mi auguro che vadano male anche agli altri. Anzi, almeno questo mi ridà un po’ di speranza sui rapporti di coppia e sul genere maschile,” ironizza con un altro sorriso, un po’ più deciso, “e per quanto riguarda il questore… il dottor Berardi ha un piano, vero?”
 
“Sì… sì ma… è complicato e… non sono sicura che ti piacerà.”
 
“Cioè?”
 
“Sta cercando materiale su De Matteis e anche su… su tuo marito…” ammette, trattenendo il fiato, ma sapendo che tanto Sammy lo scoprirebbe tra poco e meglio che lo sappia da lei.
 
“Capisco… e a che punto è?”
 
“In realtà… ha trovato qualcosa proprio su tuo marito, ma non su De Matteis.”
 
“Eh, lo immagino. Da quanto ne so Pietro non ci è mai andato molto per il sottile, mentre De Matteis non sarà un mostro di simpatia ma non ha di certo la sua reputazione…” sospira, aggiungendo poi, dopo un attimo di riflessione, “prof. capisco che il tempo stringe, ma… io un po’ di conoscenze le ho in procura… è chiaro, sono solo una praticante e non ho grande influenza, però… se il dottor Berardi è d’accordo magari posso provare a dargli una mano in questa ricerca.”
 
“Sammy... non so se sia il caso: c’è di mezzo anche tuo marito e-“
 
“E se Pietro avrà problemi sul lavoro è perché se li è cercati prof.. E dopo quello che è successo nelle ultime ore non merita alcuna comprensione da parte mia!” proclama con una decisione ed una luce negli occhi che quasi spaventa Camilla.
 
Forse è proprio vero che non c’è furia al mondo peggiore di quella di una donna ferita.
 
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“Pronto?”
 
“Parlo con Marchese?”
 
“Sì, ma… chi parla?”
 
“Sono Sisma, l’amico di Marcio e… e di Black… Ti ricordi, no?”
 
“Certo, certo che mi ricordo!” esclama Marchese, sentendosi improvvisamente più sveglio, anche se si chiede perché il punkabbestia lo cerchi di domenica sera, “è successo qualcosa?”
 
“Si tratta di Ginger… ha avuto un mezzo tracollo, ma adesso dice che vuole collaborare, che vuole fare di tutto per ritrovare chi ha ucciso Marcio. Per questo ti ho chiamato: è molto agitata, ansiosa e… prima ci vediamo e meglio è.”
 
“Capisco, però… vedi, il fatto è che non mi occupo più io di queste indagini. Vi conviene presentarvi in questura e chiedere del dottor De Matteis: il caso è suo,” spiega, mentre lo assale di nuovo il mal di testa che gli aveva fatto compagnia per tutto il giorno.
 
“No, non se ne parla: noi alla questura non ci avviciniamo, chiaro?!”
 
“Capisco, ma io non posso più occuparmi del caso. Se mi lasciate un recapito vi faccio contattare dal dottor De Matteis e-“
 
“No, assolutamente no! Noi questo De Matteis non lo conosciamo e non lo vogliamo conoscere. Siamo disposti a parlare solo o con te, o col commissario con la professoressa!” esclama, in un tono che gli fa capire che non cambierà idea.
 
 
La verità è che col ritrovamento del cadavere del Vecchio, la testimonianza dei punkabbestia serve a ben poco, dato che ora bisogna ritrovare Ilenia e loro su Ilenia non hanno alcuna informazione. Ma non può certo essere lui a dire loro che il Vecchio è morto: è già abbastanza nei guai così.
 
“D’accordo… ho capito. Senti… se mi lasci un recapito vedo cosa posso fare, ok?”
 
“Così lo passi ai tuoi colleghi e mi ritrovo gli sbirri alle calcagna? Guarda che siete stati voi a cercarci, a insistere, e ora ti fai pure pregare? La verità è che della morte di un punkabbestia non ve ne frega niente, vero?! Lo sapevo che non ci si poteva fidare! Ma vai al diavolo, va!”
 
“No, non è così, aspetta, è che-“ prova a chiarire Marchese, ma l’altro gli chiude la comunicazione in faccia. Il numero che ha usato è anonimo e ora non ha più accesso ai mezzi necessari per rintracciarlo.
 
Ah, se avessi fatto il commercialista, come voleva mio padre! – pensa con un sospiro, prima di avviarsi sotto la doccia.
 
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“Mi scusi, mi scusi!”
 
“Sì?”
 
“Senta, lei è la ragazza che sta dalla signora Andreina, no? L’amica della professoressa…”
 
“Sì, esatto,” conferma con il fiatone, continuando a correre sul posto. Era uscita all’alba per fare jogging e scaricare un po’ la tensione, ma si sentiva ancora un fascio di nervi.
 
“Allora posso darla a lei la posta, vero? Ci sono un pacco e una busta grande che non entrano nella buca delle lettere e tra poco devo uscire,” proclama Rosetta, mollandole le carte nelle  mani senza nemmeno attendere una risposta per poi rientrare nel suo gabbiotto.
 
Sale le scale, apre la porta con le chiavi che le aveva dato la signora Andreina e, sentendo dei rumori, si avvia verso la cucina.
 
“Ah, Sammy, sei tornata. Sei andata a correre?” domanda Camilla, che, seduta al tavolo con la madre, si sta versando una tazza di caffè.
 
“Sì, non l’ho svegliata, vero?”
 
“No, no, tranquilla. Non ho chiuso occhio ma non è certo colpa tua…”
 
“Ma quella è la mia posta?” domanda Andreina, sorpresa.
 
“Sì, me l’ha data la portinaia per lei. Tenga,” risponde, appoggiando le buste e il pacchetto sul tavolo, “io vado a fare una doccia.”
 
“Camilla, questa è per te,” proclama Andreina, porgendole la grossa busta gialla.
 
“Per me?” domanda Camilla, sorpresa, prendendola e verificando che è indirizzata alla “professoressa Camilla Baudino.”
 
“Prof. ma non è che…” esclama Sammy, bloccandosi sui suoi passi, guardando la busta come se dovesse contenere tutti i segreti dell’universo.

Camilla capisce che hanno avuto la stessa idea.
 
“Mamma, mi porteresti dei guanti?” domanda, osservando ancora la busta, mentre sente la mano tremare.
 
Con le mani coperte di lattice e l’aiuto di un taglierino, apre la busta.
 
Un foglio A4, scritto a computer e un cellulare vecchio modello ma piccolo e sottile.


 
Prof.,
 
la prego: sono disperata e ho bisogno del suo aiuto per tirarmi fuori dai guai!
 
Qualcuno mi ha voluto incastrare e finalmente ho le prove che potrebbero scagionarmi, o meglio, so dove trovarle, ma non posso certo andare dalla polizia e lei è l’unica persona di cui mi fido.
 
Se mi crede, tenga acceso questo cellulare: le comunicherò presto la data, l’ora e il posto in cui potrà trovarmi.
 
La prego: se mi ha voluto almeno un po’ di bene, non avvisi la polizia, nemmeno il suo compagno. Lo so che è convinto come gli altri che io sia colpevole e io mi fido solo di lei, prof., e parlerò solo con lei.
 
Se mi denuncerà alla polizia o non si presenterà da sola, capirò che anche lei mi ha già condannata, come tutti gli altri.
 
A presto, spero.
 
Ilenia
 



 
“E adesso che facciamo? Cosa vuole fare, prof.?” le domanda Sammy, che ha letto tutto sporgendosi sopra la sua spalla.
 
“Non lo so, forse-“
 
Lo squillo del suo cellulare la interrompe prima che possa finire la frase. È un numero anonimo.
 
“Pronto?”
 
“Professoressa Baudino? Sono De Matteis.”
 
“Dottor De Matteis, a cosa devo il piacere di questa chiamata?” domanda sarcastica, “ha già fissato un appuntamento col questore, immagino?”
 
“No, in realtà… la chiamavo perché ho bisogno di parlarle urgentemente,” risponde con un tono che sembra stranamente esitante.
 
“Parlarmi? Quindi devo venire in questura? A che ora?”
 
“No, non in questura: ho bisogno di parlarle in privato. In realtà sono già sotto a casa sua. Potrebbe raggiungermi?”
 
“Cioè… lei è qui sotto… e io la devo raggiungere?” domanda, incredula e per nulla allettata dalla prospettiva, “tra quanto?”
 
“Appena possibile, dato che poi dovrei rientrare in ufficio.”
 
“Posso rifiutarmi?” chiede, innervosita, sentendosi a disagio.
 
“Certo che può, ma, mi creda, non le conviene.”
 
“È una minaccia dottor De Matteis?”
 
“No, è solo la verità. Senta, se può farla sentire più a suo agio può… può chiamare Berardi e possiamo raggiungerlo dove desidera. Però preferirei parlarle da solo visto che… io e Berardi non andiamo molto d’accordo, se così si può dire…”
 
“E invece io e lei andremmo d’accordo, dottor De Matteis?” ironizza, anche per prendere tempo e ragionare su cosa sia meglio fare.
 
“No, ma… se ci sforziamo possiamo essere civili, no? In fondo lo siamo stati per un lungo periodo…”
 
“Già… e va bene, mi dia cinque minuti e sono da lei…”
 
“Grazie, non se ne pentirà.”
 
Ne dubito – pensa, chiudendo la chiamata.
 
“Devo andare…” annuncia, alzandosi dalla sedia e prendendo la borsa.
 
“E questa lettera prof.? E il cellulare?”
 
“Questi li tengo io,” decide, infilandoli nuovamente nella busta, sempre con mano guantata, e infilando il tutto in una tasca interna della borsa, per poi gettare i guanti e avviarsi verso la porta, “non so a che ora tornerò, vi terrò aggiornate.”
 
Prima di scendere le scale, apre di nuovo la borsa, prende il cellulare e lo imposta in modalità registratore. Lo mette nella tasca di fronte della borsa e prova a parlare normalmente. Riprende il telefono, stoppa la registrazione e la riascolta. Soddisfatta, riavvia il registratore, lo rimette nella tasca di fronte e si avvia verso questo appuntamento inatteso.
 
Si sguarda intorno cercando la macchina grigia ed immacolata di De Matteis, ma non la vede.
 
“Camilla, sono qui!”
 
Si volta verso la voce e non sa che cosa la sconvolga di più: se l’uso del suo nome di battesimo, se il tono amichevole e assolutamente non “da De Matteis” con cui sono state pronunciate quelle parole, o se il suo abbigliamento: jeans, polo, scarpe da ginnastica e occhiali da sole. Quasi non lo riconosce tanto è diverso: sembra almeno dieci anni più giovane.
 
Lo raggiunge accanto all’auto – evidentemente a noleggio – trattenendo l’impulso di darsi un pizzicotto per accertarsi di non stare facendo un sogno bizzarro, frutto di troppe notti insonni, o di non essere finita in una specie di dimensione parallela.
 
“Che sta aspettando? Si sbrighi, salga in macchina!” le sibila quando è a portata di orecchio, prima di aprire la portiera e mettersi alla guida.
 
No, non è un sogno, è un incubo – pensa Camilla, infilandosi nel posto del passeggero e allacciandosi le cinture di sicurezza, appena in tempo per evitare di spalmarsi contro il cruscotto, quando De Matteis parte con una sgommata degna di un film d’azione americano.
 
 
 
 
 
Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo luuuuuungo capitolo che è stato un po’ meno d’azione del previsto ma… diciamo che c’erano un po’ di ossi duri da convincere, il nostro Gaetano ha dovuto dare sfoggio di tutta la sua dialettica e capacità di persuasione e inoltre Camilla e Gaetano hanno deciso di fare di testa loro… non riuscivano a starsi lontani, non del tutto, e non potevo non assecondarli ;). La parte puramente d’azione arriverà nel prossimo capitolo, che sarà risolutivo sotto molti aspetti e che non dovrebbe più tardare come questo, dato che ho finito il periodo dei viaggi di lavoro, almeno per un po’.
Per tenervi più aggiornati su a che punto sono con la scrittura, ho deciso che da ora in poi sul mio profilo autore (che al momento è in bianco), posterò regolarmente notizie su a che punto sono nella scrittura e sulla data indicativa in cui penso di poter pubblicare.
Nel prossimo capitolo scopriremo cosa succederà con De Matteis e con Mancini e se si finirà di fronte al questore, cosa accadrà in seguito alla lettera che Camilla ha ricevuto e ci aspettano momenti davvero esplosivi e drammatici, in cui la vera natura di molte persone sarà finalmente rivelata, mentre il finale di questo caso si avvicina sempre di più. Siamo davvero ad un passo ;). Come sempre vi ringrazio tantissimo per i vostri commenti che mi motivano da morire, non vedo l’ora di sapere cosa pensate di questo capitolo e mi scuso ancora tantissimo per la lunga attesa. A presto!
 
   
 
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