24. Il castello
dei McGregor
Yukiko era appena
precipitata in una botola di dubbia profondità e l'unica cosa che
Kei, sporgendosi oltre il bordo del riquadro oscuro, riuscì a vedere
era completa oscurità. Che la luce intermittente e fin troppo fioca
delle lampade di emergenza non lo favorisse era secondario.
– Yukiko! – la
chiamò di nuovo.
Niente.
– Non può essere
– commentò Andrew a mezza voce, attirandosi l'attenzione del
giapponese lì accanto. Lui lo fulminò con lo sguardo, ignorandone
l'espressione evidentemente sconcertata mentre fissava il
trabocchetto segreto, finché non ne incrociò lo sguardo – Quella
botola era sigillata.
– Che stai
dicendo? – gli ringhiò, cercando di non cedere all'impulso di
afferrarlo per il bavero di quella sua stupida vestaglia.
– Sto dicendo che
non si sarebbe dovuta aprire! – esclamò questi di rimando, senza
farsi intimidire.
Il dranzerblader non
perse la sua espressione corrucciata, mentre la sua mente intanto
elaborava le informazioni – Mi stai dicendo che qualcuno l'ha
riattivata? – assurdo. Chi avrebbe avuto interesse nel fare una
cosa del genere, se non i padroni di casa?
– Non ci sono
altre spiegazioni. Si tratta di un accesso rapido alle segrete, che
generalmente veniva utilizzato per spedire in cella i prigionieri, ma
da diversi anni ormai la parte relativa a segrete e fondamenta è
stata chiusa ai più, perché giudicata troppo pericolosa.
– E perché dovrei
crederti? Potrebbe benissimo essere tutta opera tua.
A quell'accusa
l'inglese drizzò le spalle, punto sul vivo – Volevo solo
spaventarvi un po', mica uccidervi!
Ah, ecco. Ora si
spiegavano molte cose.
Kei non si sorprese
di quella confessione involontaria e si alzò nuovamente in piedi con
calma, la sua attenzione ora tutta su un problema più urgente del
farla pagare al suo antico rivale: recuperare la sua compagna di
squadra il più in fretta possibile e assicurarsi che stesse bene. Il
fatto che non desse ancora segni di vita gli causava un'ansia che a
stento gli permise di non scaraventare giù per il buco il padrone di
casa.
– Qual'è l'altra
via per i sotterranei? – gli domandò, spiccio.
– Ce n'è due, ma
sono entrambe state murate – gli rispose Andrew, muovendosi con
passo deciso. Il dranzerblader lo seguì senza parlare, osservandolo
aprire una porta incassata nel sottoscala vicino per mettere a nudo
il varco in questione, completamente murato da una serie di mattoni
pieni e dalla tonalità brunastra. L'inglese allora richiuse l'anta
lignea con un cigolio, prima di voltarsi a guardarlo direttamente –
Chiunque abbia attuato questo scherzo non è passato di qua. Questa
era la via più diretta per l'ala dei sotterranei in cui dovrebbe
trovarsi Yukiko, l'altra è una porticina secondaria che si trova
nelle cucine – detto questo si mosse, avviandosi nell'ala del
castello adibita a tale scopo, entrando in un'ampia stanza squadrata,
dalle pareti intonacate e ritinteggiate di bianco. Dietro uno degli
scaffali in compensato dell'angolo adibito a dispensa, i due ragazzi
trovarono ciò che cercavano: la porticina. Quando provarono ad
aprirla, la trovarono ermeticamente sigillata.
– Questa era
l'unica alternativa – affermò apparentemente calmo l'inglese.
– Se davvero
quella botola è stata sbloccata, allora chi l'ha fatto deve aver
utilizzato un'altra via per accedere ai sotterranei – affermò
impassibile Kei dopo un attento esame di quell'accesso. Non avrebbe
lasciato la mora in fondo a quel buco, di questo era più che sicuro
– Hai delle torce?
– Sì, dovrei
averne nel vecchio studio.
– Allora vedi di
procurarcene almeno un paio – gli si rivolse senza mezzi termini,
muovendosi per tornare ad ampie falcate nell'atrio – e vediamo di
risolvere in fretta questo mistero.
Non era disposto a
perdere altro tempo.
Sarebbe andato
laggiù, anche a costo di saltare lui stesso in quella dannatissima
botola.
Quando si riprese,
la ragazza ci mise una manciata di secondi buona, per collegare il
senso di stordimento al volo che aveva fatto prima di perdere i
sensi. L'oscurità quasi totale intorno a lei era rischiarata da un
vago chiarore proveniente dal trabocchetto nel quale era caduta e che
ancora permaneva dischiuso sopra la sua testa, ad un'altezza di circa
quattro metri.
Gemendo, si tirò a
sedere, portandosi poi una mano alla testa per cercare di attenuare
invano il dolore della botta. Le sarebbe venuto un bel bernoccolo, ma
a parte questo sembrava tutto in regola. Stabilite le proprie
condizioni, la mora tentò di guardarsi intorno, ritrovandosi a
distinguere una stanza in spessa pietra grigia, di cui una parete era
occupata da quelle che sembravano vecchie sbarre arrugginite. Sotto
il palmo delle mani, polvere e ruggine si confondevano dandole una
sensazione simile a quella del terriccio contro la pelle del palmo.
L'odore inoltre non era dei migliori, conservando una fragranza
piuttosto acre, tipica di ambienti scarsamente arieggiati.
Reprimendo una
smorfia, la nightblader fessurizzò gli occhi verdi per distinguere
meglio i contorni di quell'ambiente in penombra, trovandolo
totalmente vuoto a parte la sua stessa presenza. Inoltre, fra quelle
sbarre fin troppo esili, sembrava esservi un varco che dava sul
corridoio adiacente.
– Vedi di
recuperare qualche antica mappatura del castello – la voce
perentoria di Kei le fece di nuovo alzare lo sguardo verso l'alto,
sussultando ed avvertendo al contempo un sentimento di commozione per
quella presenza conosciuta a pochi metri da lei.
– Kei!
– Yukiko! – la
chiamò lui di rimando, affacciandosi oltre il varco. Le puntò un
fascio di luce giallastra negli occhi, cosa che la costrinse a
pararsi con una mano – Stai bene?
– Sì, sto bene –
esordì lei, cercando di vedere oltre il proprio arto i visi dei due
ragazzi – ..ho solo fatto un bel volo.
La breve pausa di
silenzio che seguì finalmente la vide tornare a rilassarsi,
sollevata dal cambio di direzione della luce della torcia. Sbattendo
più volte le palpebre, le ci volle un po' perché le pupille
tornassero ad adattarsi alla penombra circostante e non ci riuscì
del tutto, la fonte luminosa proveniente dalla botola che non
riusciva a liberarla del tutto della sua presenza.
– Yukiko – di
nuovo la voce del dranzerblader si fece sentire, inducendola a
sollevare di nuovo lo sguardo verso l'alto – Ti lancio la torcia:
prendila.
La nightblader annuì
di rimando con un cenno del capo e, dopo essersi sollevata cautamente
in piedi ed essersi spazzata le mani sui pantaloni, si predispose a
quel compito. Afferrò la torcia al volo per miracolo, soltanto
grazie alla buona mira del ragazzo, il quale gliela lasciò cadere
fra le mani, ma una volta appropriatasi di quello strumento
provvidenziale avvertì un nuovo guizzo di coraggio animarla. Non che
si fosse sentita così spaventata in precedenza, doveva ancora
riprendersi del tutto dal susseguirsi di avvenimenti frenetici di
quella nottata, ma ora che aveva una fonte di luce stabile poteva
anche azzardarsi a cercare un modo per uscire da lì.
Non ebbe nemmeno il
tempo di fare un passo che dietro di sé avvertì un tonfo sordo ed
uno spostamento d'aria così vicino da farla sobbalzare. Con un
urletto si scostò, ruotando su sé stessa con un balzello e puntando
il fascio di luce dritto sull'erede della famiglia Hiwatari. Questi,
raddrizzandosi come niente fosse, la guardò con apparente e
perplessa sufficienza.
– Ma che cazzo
fai? – sbottò infastidita la ragazza, premendosi una mano sul
petto.
– Pensavi che ti
avrei lasciata girovagare qui sotto da sola? – fece lui in tutta
risposta, rivolgendole quella domanda retorica con un velo di
strafottenza nel tono di voce.
Presa alla
sprovvista, Yukiko si ritrovò combattuta fra l'offesa suscitatale
dal modo in cui lui le si era rivolto e l'impressione favorevole
della premura intrinseca in quell'accortezza. Optò per la seconda,
seppur si curò di non darlo a vedere, e approfittò del momento in
cui i due ragazzi tornarono a parlarsi per puntare la luce verso la
loro via d'uscita.
– Vedete di non
andarvene in giro a vuoto – si raccomandò Andrew – Io cercherò
un'altra via.
– Non
preoccuparti, troveremo senz'altro un'uscita – lo rimbeccò a tono
il blader dai capelli d'argento.
La mora ebbe
l'impressione che fra i due fosse in atto una rivalità molto simile
a quella che aveva visto in qualche documentario fra due leoni dello
stesso branco, pensiero che la fece ridacchiare sommessamente e le
fece così guadagnare un'occhiata in tralice piuttosto perplessa da
parte di entrambi. Ovviamente lei ammutolì e, facendo finta di
niente, si incamminò verso l'arco fra le sbarre.
– Vediamo di
uscire da qui in fretta.
Kei non le rispose
ma le fu subito accanto, procedendo al passo con lei in
quell'oscurità e affacciandosi sul corridoio che si snodava oltre
quella stanza spoglia. Puntando il fascio di luce lungo lo stesso, la
mora individuò alcune aperture che dovevano essere stanze simili a
quella da cui erano appena usciti, prima che il passaggio svoltasse
in un angolo retto verso sinistra. Il soffitto alto quanto quello
delle celle contribuì a rendere ancor più macabro quell'ambiente
dimenticato dall'uomo, dando l'impressione di uno spazio stretto e
continuo, dal quale non si potesse uscire facilmente.
Proprio confortante,
insomma!
Sospirò. Non era
più molto sicura di apprezzare gli antichi castelli medievali.
Procedendo a passo
misurato lungo il passaggio, i due giapponesi effettuarono alcune
svolte prima di arrivare ad un bivio. Da una parte saliva una rampa
di scale a chiocciola che scoprirono condurre alla prima delle due
porte murate che erano l'accesso al piano superiore, mentre
dall'altra il corridoio si snodava nell'oscurità in una serie tre
diversi passaggi. Non fu facile per loro determinare la giusta
direzione da prendere, nemmeno sul pavimento sembrava esservi traccia
di un passaggio recente, cosa piuttosto strana agli occhi del
dranzerblader: doveva per forza essere passato qualcun altro lì
sotto recentemente, oltre a loro due.
Era ancora immerso
nei propri pensieri quando la voce della sua compagna di viaggio lo
riportò alla realtà.
– Ehi, hai
sentito?
Lui inarcò un
sopracciglio, tendendo le orecchie. Poco dopo colse un rumore in
sottofondo.
– Sembra un corso
d'acqua – commentò a mezza voce, per non disturbare il silenzio
che pareva avvolgere l'intera struttura. Si accostò alla parete
dietro la quale sembrava provenire quel nuovo suono e, dopo aver
confermato per mezzo dell'udito la presenza di un qualche torrente
dietro la parete rocciosa, tornò a cercarla con lo sguardo –
Proseguiamo.
Lei annuì
semplicemente con un cenno del capo prima di avanzare, precedendolo
di mezzo passo in virtù del fatto che era proprio lei a reggere la
loro unica fonte di luce. Approfittando della cosa, il dranzerblader
ne studiò la sagoma di schiena: pareva procedere senza troppe
incertezze, tenendo saldamente il fascio di luce puntato in avanti a
illuminare loro il cammino. Non c'era traccia della paura che le
aveva visto riflessa nello sguardo quando gli era finita fra le
braccia diversi minuti prima, cosa che lo sorprese.
Ficcandosi le mani
in tasca, il ragazzo assunse una smorfia. Quella ragazza riusciva
ancora a sorprenderlo continuamente, in qualche modo.
Nell'oscurità
proseguirono per diversi metri, seguendo le varie svolte e
ritrovandosi ancora una volta a dover decidere che direzione
intraprendere quando giunsero ad un nuovo bivio.
– Questo posto
sembra un labirinto – si lamentò Yukiko.
Kei non le rispose,
convenendo con quanto da lei detto soltanto fra sé e sé e
limitandosi a ripiegare sulla destra. Aveva già perso la cognizione
del tempo, potevano essere lì sotto da pochi minuti come da più di
un'ora e si chiese che fine avesse fatto Andrew. Era casa sua quella,
almeno una delle tante, se lui non era stato in grado di trovare quel
terzo accesso ai sotterranei allora c'erano poche probabilità che
potesse riuscirci qualcun altro.
In quel momento,
dopo aver effettuato l'ennesimo passo, Kei avvertì qualcosa sotto la
suola della propria scarpa cedere, seguito da un sommesso clangore
metallico e da un rumore raschiante. Fu un istante, prima si sentirsi
spintonare di peso da un lato e schiacciare contro la parete. La
torcia rimbalzò per terra, un secondo prima che davanti agli occhi
del blader passasse quella che sembrava una lama, che falciò in un
arco l'aria esattamente dove era stato lui l'attimo precedente.
Premuto contro il
muro di schiena, il ragazzo rimase a fissare quella falce di ferro
arrugginito con occhi sgranati, ricordandosi di riprendere fiato
soltanto quando percepì i polmoni bruciargli per la mancanza di
ossigeno. Col cuore ancora in gola, cogliendo con la parte razionale
della mente la pressione che gli gravava ancora sul petto, abbassò
lo sguardo e si rese effettivamente conto della presenza della mora
che, con la sua prontezza di riflessi, gli aveva appena salvato la
pelle. Lei stessa stava cercando di riprendersi dallo spavento,
piuttosto pallida persino in quella penombra, appoggiata a lui con
tutto il suo peso. Il suo odore gli solleticò le narici e lui ne
distinse la vaga fragranza di gelsomino, quasi completamente messa in
secondo piano dall'odore proprio di lei. Gli piacque, inutile
nasconderlo, e lo aiutò a riemergere da quello stato di torpore
dovuto all'accidente che si era preso soltanto per catapultarlo in
una trance differente.
La vide sollevare lo
sguardo alla ricerca del suo e si perse all'interno di quegli occhi
di smeraldo, il suo viso così vicino da poter distinguere il
contrasto fra iride e pupilla; così vicino, da poter cogliere il
suono del suo respiro, tanto flebile quanto irregolare. L'adrenalina
ancora in circolo contribuì ad acuire le sue percezioni, i sensi
talmente all'erta da riuscire a captare la tensione nei muscoli di
lei, che era pari alla sua.
Così vicina, che
avrebbe potuto facilmente rubare un bacio a quelle labbra leggermente
schiuse, tanto invitanti persino in quel particolare frangente. Il
silenzio intorno a loro era assoluto, fatta eccezione per il battito
dei loro cuori, tale da dar l'impressione di non doversi calmare mai
più. La stessa cosa era per le innumerevoli sensazioni che stavano
correndo sottopelle al dranzerlader, tutte intense allo stesso modo e
pulsanti nei punti in cui lei premeva le proprie piccole mani sul suo
petto, oppure dove la pressione contro il suo bacino combaciava con
il basso ventre di lei ed una gamba sfiorava l'interno della sua.
Eppure, a
prescindere da tutto questo, a mandarlo alla deriva delle proprie
emozioni era quella coppia d'iridi luminose, liquide quanto profonde,
le quali esercitarono su di lui una forza magnetica che non tentò
nemmeno di contrastare. Con lentezza quasi esasperante la distanza
fra i loro volti si accorciò sempre più, il tempo scandito soltanto
dal battito dei loro cuori, finché persino questo parve fermarsi
quando lui ne sfiorò la punta del naso con la propria, reclinando
leggermente il capo verso destra.
Ancora pochi
millimetri e avrebbe dato pace all'intenso desiderio di assaporare
quelle labbra.
Ancora pochi istanti
e avrebbe potuto dar sfogo al profondo sospiro di sollievo che
racchiudeva nel petto, al pensiero di soddisfare quell'intimo
desiderio.
Le loro labbra si
sfiorarono... e la parete, contro la quale Kei era poggiato di peso,
cedette.
Il muro di massiccia
pietra si scostò, ruotando su cardini invisibili e facendo
sbilanciare entrambi i ragazzi all'indietro, causandone la rovinosa
caduta sul pavimento del nuovo passaggio segreto. La botta che diede
di schiena alla dura pietra gli tolse il respiro, in aggiunta al peso
della ragazza che gli finì addosso ed il cui urletto di sorpresa si
sommò al senso di vertigine che gli aveva fatto girare la testa e
chiudere la bocca dello stomaco.
Ci impiegò un paio
di secondi ancora, prima di schiarirsi abbastanza la mente da aprire
gli occhi e visualizzare nel proprio campo visivo un volto ben noto.
– Eccovi,
finalmente! Ho trovato una serie di passaggi segreti che fa al caso
nostro – annunciò loro Andrew, con stampata in volto
un'espressione sorniona – Lo so che ci ho messo un po', ma io vi
avevo detto di non muovervi.
Kei sbuffò,
scoccandogli un'occhiataccia di fuoco, prima di avvertire finalmente
il peso della mora venire meno e potersi rialzare a propria volta.
Una volta in piedi, si spazzò la polvere dai vestiti e si rimise a
posto la sciarpa, per poi incrociare ambo le braccia sul petto e
rivolgersi direttamente all'inglese, che pareva aver trovato anche il
tempo di vestirsi.
– Allora, come
facciamo ad uscire da qui?
Non riuscì in alcun
modo a mascherare il fastidio della propria voce, dovuto al pessimo
tempismo di questi: aveva ancora il cuore in tumulto per ciò che era appena accaduto fra lui e la nightblader al suo fianco, qualcosa
che era destinato a rimanere in sospeso.
– Seguitemi –
Andrew fu piuttosto bravo ad ignorare quella sua reazione, sebbene
sembrò sfoggiare uno strano sorrisetto che contribuì ad irritare
maggiormente il dranzerblader, sicuramente non famoso per la sua
pazienza.
Yukiko, rimasta in
silenzio sino a quel momento, ricomparve accanto a loro con la sua
torcia stretta in una mano, miracolosamente funzionante dopo essere
caduta sul pavimento a quel modo pochi minuti prima. Fu la prima a
seguire il blader inglese, aiutandolo a far luce lungo il cammino
mentre i tre avanzavano lungo il passaggio, largo appena da
permettere a due persone di procedere affiancate.
In quel nuovo
silenzio, percorsero qualche metro quando Kei tornò a far sentire la
propria voce.
– Hai notato segni
di un passaggio recente?
Andrew sembrò
rifletterci un istante – Si può dire di sì, visto lo stato
piuttosto pulito di alcuni cunicoli. È così che vi ho trovati.
Yukiko si voltò a
scoccargli un'occhiata carica di sottintesi e lui annuì di rimando,
leggendovi i suoi stessi dubbi: se l'inglese aveva constatato lo
status in buone condizioni di alcuni passaggi piuttosto che altri,
così come sembrava vigere quello che stavano attualmente
percorrendo, ciò voleva dire che il meccanismo che aveva azionato
l'ultima trappola in cui erano incappati era stato riparato per
l'occasione. E probabilmente, quel qualcuno non era troppo distante
da loro.
In quel momento
arrivarono ad un incrocio che si apriva in tre direzioni diverse, ma
prima di riuscire a imboccare una via, lungo i condotti si diffuse di
nuovo uno strano suono molto simile ad uno stridio di catene, tanto
vago quanto di breve durata. Nel silenzio a seguire, Kei si scoprì
piuttosto nervoso e non fu l'unico ad accusare la tensione del
momento: il rumore precedente era sembrato provenire da ognuna delle
direzioni in cui si diramavano i passaggi.
– Per di qua –
esordì a basso tono Andrew, facendo loro strada.
Imboccarono il
cunicolo sulla destra seppur, prima di chiudere la fila, il
dranzerblader si ritrovò a rabbrividire a causa di un umido alito di
vento che gli sfiorò la nuca. Gli si rizzarono persino i capelli
neri e riuscì a malapena a contenere la tensione relativa alla
situazione in cui si erano cacciati.
Che nel bel mezzo di
tale situazione vi fosse anche quello che doveva essere il loro
anfitrione poi, aveva quasi del ridicolo.
L'oscurità era
totale all'infuori del raggio delle torce, l'aria immota in quella
nuova via, finché non sbucarono in una camera dall'alto soffitto a
cupola. Illuminandola, notarono subito gli anelli in pesante acciaio
affissi alle pareti, così come alcuni strumenti di metallo
arrugginito, a ridosso di alcuni resti in legno di quello che
probabilmente era stato il mobile in cui dovevano essere stati
riposti. Al centro, alcune assi di legno marcio e delle catene.
Kei intuì subito
che stanza fosse, ma ci pensò l'inglese a esternare quel pensiero a
parole.
– Questa doveva
essere una sala degli interrogatori...
Sembrava del tutto
indifferente alla cosa, ma il modo in cui non soffermava la luce su
nulla in particolare gli fece intuire quanto in realtà
quell'ambiente dovesse inquietarlo. Si sentì un po' più sollevato
nel constatare che non era l'unico a provare simili sentimenti per
quel luogo piuttosto lugubre e non riuscì in alcun modo a frenare
una smorfia, nel pensare agli orrori a cui quelle pareti dovevano
aver assistito nel corso dei decenni.
– Da che parte? –
domandò spiccio alla loro guida.
– Dovrebbe esserci
una porta più avanti.. – stava dicendo l'inglese, voltandosi
appena in sua direzione e bloccandosi, nel momento in cui posò il
suo sguardo sul compagno.
Il dranzerblader in
quel momento avvertì nuovamente un brivido gelido corrergli su per
la schiena e per riflesso si aggiustò meglio la sciarpa sotto il
mento, inarcando al contempo un sopracciglio nell'osservare il volto
del blader europeo. Questi aveva smesso improvvisamente di parlare e,
il fascio di luce puntato verso il basso, sembrava improvvisamente
pallido quanto un lenzuolo nel fissarlo ad occhi sgranati.
Perplesso, Kei scoccò uno sguardo alla sua compagna di viaggio
apparentemente ignara di tutto e la vide indugiare un secondo
nell'osservare il resto della sala, prima di voltarsi a sua volta
verso di loro, mostrando un sopracciglio inarcato con aria
palesemente interrogativa. Un'aria che mutò nel preciso istante in
cui inquadrò il dranzerblader nel proprio campo visivo, il quale
poté così vederla sgranare a sua volta quegli occhi verdi che, fino
a pochi minuti prima, l'avevano attratto così prepotentemente. Si
rese conto che i due ragazzi non stavano guardando lui soltanto in un
secondo momento, quando avvertì un tocco tanto leggero quanto gelido
sulla spalla sinistra.
Gli bastò ruotare
leggermente il capo per inquadrare la sagoma scheletrica di quella
mano avvolta da una debolissima luminescenza azzurrognola, così come
l'attimo seguente gli si gelò letteralmente il sangue nelle vene
nell'affondare gli occhi scuri in un fosco cappuccio al di sotto del
quale intravedeva appena, nella penombra, dei lineamenti ossuti e
spigolosi, all'apparenza quasi spettrali.
– KYAAAh!!!!
Il grido di Yukiko
rimbombò per tutta la sala, sommato a quello di Andrew, facendogli
prendere letteralmente un colpo prima che entrambi lo afferrassero,
uno per braccio, e lo trascinassero via di peso. Corsero via a gambe
levate, imboccando il primo passaggio a loro disposizione ancor prima
che l'eco di quell'urlo si spegnesse, tutti e tre egualmente
spaventati, nonostante l'adrenalina in circolo nelle vene di Kei
fosse dovuta più alla reazione comune che al resto. Se si fosse
fermato a ragionare un secondo, probabilmente avrebbe capito che
sotto quelle spoglie immortali si celava una creatura umana in tutto
e per tutto mortale, ma non riuscì nemmeno a pensare di rallentare
mentre procedevano come frecce impazzite lungo il cunicolo un po'
più largo dei precedenti.
– Io non ho
paura! Io non ho paura! Io non ho paura!
Ad aprire la fila
una Yukiko più veloce di quanto ci si sarebbe aspettato, che
continuava a proferire quell'unica frase a ripetizione in un tono
tanto terrorizzato da rendere vano quel tentativo di
autoconvincimento da parte della moretta.
Subito dietro c'era
lui, ovviamente, che era troppo preso a riempire i polmoni d'aria per
pensare di dire o pensare qualunque cosa, mentre accanto a lui Andrew
riusciva a mantenere il loro passo fin troppo bene, con le braccia
che seguivano il moto di quella corsa a perdifiato nell'oscurità.
Corsero più
velocemente che poterono, senza risparmiarsi nemmeno quando il
terreno iniziò a salire sotto di loro e la strada che stavano
seguendo raggiunse il suo epilogo contro quella che parve loro come
una massiccia botola in legno rinforzato. Non ci pensarono su un solo
istante, vi si gettarono contro di peso e questa cedette con fin
troppa facilità sotto quell'improvvisa pressione, spalancandosi. Si
ritrovarono fuori, lanciandosi letteralmente sul pendio erboso sotto
quell'uscita di fortuna, finendo a ruzzolare sul terreno umido ed
intriso di pioggia con un gran chiasso di imprecazioni e urla.
Dietro di loro la
botola si richiuse da sé a causa del contraccolpo con le mura sotto
le quali si stagliava, nascosta fra i cespugli, isolando un'altra
volta quei sotterranei dal mondo esterno.
Quando Yukiko si
riebbe dal volo fatto nello sbucare da quel passaggio, si ritrovò
piena di graffi all'interno di quello che doveva essere un folto
cespuglio carico di foglioline. Dolorante, riuscì a liberarsene a
fatica ed una volta riversa carponi sul prato, cercò con lo sguardo
i suoi due compagni di disavventura, il cuore che ancora le risuonava
nelle orecchie per lo spavento presosi pochi minuti prima.
Andrew non era messo
meglio: era riverso su quel pendio a braccia spalancate, gli occhi
sgranati sul cielo volto all'albeggiare e il fiato altrettanto corto
degli altri. Kei invece era seduto con ambo le mani a puntellare il
terreno intriso di pioggia sul quale doveva essere scivolato - questo
almeno a giudicare dalla quantità di fango che gli macchiava i
pantaloni - col capo riverso all'indietro ed il petto che si gonfiava
prepotentemente ad ogni inspirazione.
La volta celeste
sopra le loro teste era punteggiata di nubi, ma un vago chiarore
stava tingendo gli squarci nel manto nuvoloso di sfumature quali
l'azzurrino, il rosa e l'oro: l'astro diurno doveva essere già in
procinto di sbucare all'orizzonte, oltre il profilo delle colline
circostanti.
Quando la
nightblader tornò a guardare i due ragazzi a poca distanza da lei,
intercettò lo sguardo ancora stralunato del figlio dei McGregor e
quello magnetico del suo compagno di viaggio, cosa che le suscitò un
nuovo brivido lungo la schiena, uno di quelli che non avevano nulla a
che fare con la paura sperimentata poc'anzi.
– Che diavolo era?
– chiese, la voce ancora spezzata dal respiro irregolare.
Lo vide scuoter il
capo in segno di diniego, in un modo che le sembrò più sconsolato
che confuso in realtà, come se non avesse alcuna intenzione di
affrontare l'argomento. Qualunque cosa fosse successa là sotto,
meritava di rimanerci. Lo sguardo di Andrew le fece comprendere che
era della stessa idea se non di più, mentre sul suo viso dai
lineamenti occidentali era ancora presente quel pallore da morto di
paura che lo aveva assalito sin dal momento in cui si era accorto di
quella presenza dietro al dranzerblader.
Sospirando, la mora
reclinò il capo verso il basso, lasciando che i propri capelli le
pendessero in avanti in un drappeggio scomposto, così come era
scomposto il resto di lei. Lo risollevò soltanto un paio di secondi
dopo, quando alle orecchie le giunse un suono che non credeva avrebbe
mai avuto occasione di sentire. All'inizio fu talmente lieve che,
scoccando un'occhiata al diretto fautore, dovette scrutarne il viso
delineato in un sorriso per convincersi che non si stava sbagliando.
Kei scoppiò a
ridere sotto i suoi stessi occhi.
Una risata che
crebbe in volume, liberatoria quanto potrebbe esserlo una corsa
sfrenata in reazione ad una felicità incontenibile, riempiendo il
silenzio calato nell'aria del primo mattino, che lo costrinse ad
abbandonare il capo d'argento fra le sue ampie spalle, scosse da quel
moto d'ilarità. Quella reazione la lasciò spiazzata, completamente,
assolutamente priva della possibilità di avere una qualsiasi
reazione per un paio di minuti buoni oltre al fissarlo a bocca
aperta.
Kei stava ridendo.
Stava ridendo di cuore.
A quel suono si unì
ben presto anche la voce di Andrew, il quale scoppiò a ridere a sua
volta in una risata nervosa e poi sempre più divertita e fine a sé
stessa. L'improvvisa ed incomprensibile esternazione di tutto quel
buon umore contagiò ben presto anche Yukiko che, in preda al
sollievo comune di essere uscita da quell'avventura da brivido, si
unì alla comitiva.
L'incredulità
tuttavia non scemò affatto in lei, ridendo mentre la sua mente
ancora non riusciva a ricollegare il blader con cui aveva passato
l'ultimo mese a quello che ora se ne stava lì, seduto a terra, a
bagnarsi i vestiti ed a ridersela di quanto era appena accaduto loro.
E poi comprese.
Comprese di essersi
sbagliata sino ad allora.
Comprese di aver
preso una cantonata colossale dal momento in cui l'aveva definito
come un blader di ghiaccio.
In realtà il potere
del suo bitpower gli calzava a pennello: lui era un blader di fuoco.
Era come un vulcano dormiente sotto un ghiacciaio e pronto ad
eruttare da un momento all'altro. Era l'emblema stesso della
passionalità e dell'istintività, l'unico motivo per cui le era
sembrato il contrario era la sua capacità di contenersi e dominarsi,
di far prevalere la sua parte razionale. Ma quella impulsiva era
sempre lì, sottopelle, pronta ad esplodere appena le difese che il
ragazzo aveva accuratamente eretto intorno a sé avevano un
cedimento.
Con la franca risata
del blader ad accompagnare le loro, avvertì al centro del petto una
sensazione di calore che si sprigionò prepotentemente verso
l'esterno, dolce e amara al tempo stesso, talmente inattesa da
lasciarla senza difese di fronte all'evidenza dei suoi sentimenti.
Comprese di
essersene irrimediabilmente innamorata.
Non aveva idea di
come fosse accaduto di preciso, di quando quella semplice attrazione
si fosse evoluta in qualcosa di più profondo, ma non ebbe alcun
dubbio al riguardo: lo amava.
Lo amava con tutta
sé stessa.
Amava quel suo lato
distaccato e scontroso, così come amava quella parte gentile e
premurosa che le aveva mostrato nei giorni precedenti, ed ancor di
più amava quella sua anima passionale quanto poteva essere il fuoco
più rovente.
Lo amava come non
aveva mai amato nessun altro, tanto da sentir dolere il cuore al
centro del petto, ed in quel momento comprese che ciò che provava
era destinato ad essere un sentimento a senso unico.
Rise di sé stessa,
piegandosi sino a posare la fronte sull'erba bagnata.
Rise appoggiando
ambo gli avambracci accanto a sé per sostenersi, mentre calde
lacrime le scivolarono roventi sulla pelle, ricadendo fra quegli
steli verdi, confondendosi con la rugiada del mattino. In quel
momento di comprensione totale, non ebbe più alcun dubbio su sé
stessa: era davvero una stupida.
...continua.
[ANGOLO AUTRICE]
Ho rischiato di non farcela, perché sono piuttosto di corsa, quindi scriverò giusto due righette!
Ringrazio chi mi segue e chi si è aggiunto fra i lettori di questa mia opera, che ormai ha preso una piega tutta nuova XD L'originale era decisamente diversa. Credo che ormai della fanfic precedente siano rimasti soltanto i personaggi. Fine. Ahah!
Vabbè, sperando che questo capitolo sia piaciuto vi saluti e vi mando un bacio, rimandandovi al prossimo aggiornamento! Fatemi sapere che cosa ne pensate per favore!
Kaiy-chan