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Autore: LeFleurDuMal    08/10/2008    10 recensioni
Il profumo della macchia mediterranea si fondeva con quello del mare che risaliva dalla spiaggia, mugghiante delle onde dell’Egeo.
Per Milo sarebbe stato sempre l’odore dell’infanzia, di un’infanzia antica e ancestrale che veniva prima del Santuario, prima di tutto.
Milo di Scorpio, Cavaliere dell'Ottava Casa, racconta a Camus la propria infanzia. Da quando giunse all'isola di Milo, fino al momento della sua investitura.
Un episodio dopo l'altro, come frutti dolci e velenosi.
Genere: Generale, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Frutto degli dèi


“O dèi onnipossenti

o dèi, o dèe,

voi, che di ogni evento

sapete il termine"

Eschilo, I sette contro Tebe




Milo era un’isola piccola a forma di mela.
Una delle più belle e preziose, si diceva: in tutto l’arcipelago la chiamavano la perla dell’Egeo.
Per mostrarne il disegno a Camus, appoggiato nel sole contro di lui, Milo, ormai Cavaliere d’Oro, unì le mani ricreando tra le dita un ovale, facendo toccare le falangi dei pollici.
Il vento soffiò nell’uliveto. Fece frinire le foglie argentate, portò su dalla costa l’odore del sale e questo rese tutto più naturale agli occhi di Aquarius, quando abbassò lo sguardo dal volto alle dita del compagno.
“Ecco, vedi? Milo è come due mani che si toccano. E lo spazio che si forma in mezzo è il golfo di Adamas.”


“Creatura, ma tu lo sai che cos’è un Saint?”
Milo immerse i piedini nell’acqua con soddisfazione che si tramutò in disappunto, quando la sentì gelida: “No”, brontolò.
“Molto bene” Dimetrios allungò una mano per tirarlo dentro e un’onda li sommerse entrambi.
Milo riemerse tossendo, gli occhi azzurri irritati dal sale e resi enormi dalla sorpresa. Emise un strillo indignato e si gettò con rabbia contro Dimetrios, deciso a rendergli la pariglia.
Milo avrebbe sempre fatto così, da allora in futuro: avrebbe pensato ai pro e ai contro di un’azione, come un vero stratega, scrupoloso. Ci avrebbe pensato molto, affilando gli occhi nella sera, sotto le stelle e, a vederlo così, si sarebbe pensato a lui come a una persona estremamente riflessiva. Il punto è che Milo avrebbe sempre pensato dopo.
Dopo
avere parlato.
Dopo
essersi scagliato all’attacco.
Dopo
avere trafitto a suon di tecniche segrete corpi di avversari ammutoliti, prima ancora che potessero dichiarare il loro nome e appartenenza celeste.
L’impulsività sarebbe sempre stato il rimprovero maggiore che Dimetrios avrebbe rivolto all’allievo, negli anni successivi, ma l’avrebbe fatto con un sorriso obliquo: “E’ incredibile, creatura, come tu apprenda alla perfezione tutti i miei difetti”.
Avrebbe scosso la testa con la preoccupazione sottile del Maestro, ma anche con il malcelato orgoglio di un padre che guarda il figlio portare chiaro lo stampo dei propri lineamenti.
Così Milo si gettò contro Dimetrios d’istinto, senza pensare alla differenza tra sé e l’altro. I capelli biondi grondanti sulla faccia, i suoi due anni scarsi e l’Egeo che si gonfiava e riabbassava sulla risacca gli concessero solo un paio di passi impacciati, nell’acqua, e una leggera pressione delle manine aperte sulle spalle del Maestro, seduto nelle onde della riva.
L’uomo rovesciò la testa all’indietro, in una risata aperta, raccolse Milo come si raccoglie un gattino e se lo mise sulle ginocchia. Il bambino osservò con curiosità la dentatura bianchissima di quel sorriso che sembrava il sole e di colpo dimenticò il risentimento per lo scherzo subìto.
Dimetrios gli raccontò di una ragazza bella e mentre lo fece si sporse a disegnare il profilo di lei con il dito, sulla sabbia bianca.
“Si chiama Athena” disse, e Milo guardò quel viso nobile, appena tracciato, chiedendosi se l’avrebbe mai vista. “E’ una dea, figlia di Zeus. Tu sai chi è Zeus, Milo?”
Milo fece cenno di no. A due anni, Milo non lo conosceva.
Dimetrios era bravo a raccontare e lo fece per la prima volta nell’acqua e nel sole, guardando il suo allievo fisso negli occhi, come un cacciatore, senza lasciarlo scappare. Incominciò con voce bassa, suadente e narrargli degli immortali bellissimi e capricciosi che abitavano un monte alto, in terra di Grecia, di come amassero le mele, che erano un frutto sacro e si chiamavano come lui.
Di come uno fosse scampato alla furia del padre, che aveva divorato gli altri figli e li aveva uccisi, di come si fosse seduto sul trono celeste. Milo lo aveva guardato affascinato e spaventato, rannicchiandosi contro di lui: quella storia non l’avrebbe dimenticata mai.
Dimetrios sorrise e gli disse, al ritmo delle onde sulla risacca, che c’era un dio per ogni cosa.
“Per la bellezza, per la guerra e per l’amore. C’è anche un dio del mare, Poseidon.” lo schizzò con l’acqua salata, per gioco “Poi Hades, che è il dio della morte. E sono entrambi fratelli di Zeus”.
“E Athena?”
“Athena è la dea della battaglia. Indossa un’armatura scintillante e presiede alla Giustizia”.
Dimetrios si interruppe per poco, le labbra serrate e lo sguardo velato, ma per poco. Milo non se ne accorse, impegnato a studiare il profilo di una dea sulla sabbia bianca e il Maestro continuò.
“Nel campo di battaglia, intorno a lei, si raccoglievano ragazzi che la proteggevano. Questi erano i Saint. Erano ragazzi che avevano forza e coraggio da vendere, creatura, e arrivavano da tutto il mondo. La dea odiava le armi e per proteggerla combattevano solo con l'uso dei loro corpi, senza l'ausilio di nessun'arma”.
Milo comprese anche a due anni che c’era qualcosa che non andava e guardò Dimetrios con tutto lo scetticismo concesso dalla sua breve vita.
“Eh…” Dimetrios trattenne un ghigno, che il moccioso lo faceva divertire, abbastanza da dimenticare la malincoinia leggera che l’aveva pervaso poco prima, “Ma i loro pugni fendevano l'aria, mio caro Milo dell’isola di Milo, e i loro calci erano in grado di spaccare la terra.”


Milo non era capace di fendere l’aria, né di spaccare la terra. Per il momento trotterellava sulla sabbia o sulle pietre laviche della costa, annaspava tra gli arbusti della macchia profumata e tendeva le piccole mani per afferrarsi agli ulivi o ai meli attorno alla casa bianca.
Poiché l’aveva detto il Maestro, però, Milo non aveva dubitato nemmeno per un momento del fatto che un giorno avrebbe fatto tutte quelle cose e le avrebbe fatte bene.
Riguardo all’allenamento del bambino che gli era stato affidato, Dimetrios aveva bene le idee chiare: al mattino, fin dal sorgere del sole, si trattava di portarlo semplicemente a passeggiare, ma nei luoghi più impervi. E l’isola si prestava, con le sue lunghe spiagge bianche su cui i piedi infantili si agitavano a fatica, o con le rocce vulcaniche colorate ed enormi, che imponevano agli eventuali scalatori salti coraggiosi.
Riteneva che fosse indispensabile rendere l’allievo più agile possibile, liberandolo subito delle goffaggini tenere della prima infanzia, perché era un Cavaliere d’Oro quello che doveva allenare.
E Dimetrios - che quando doveva indossava un’armatura d’argento - spingendosi all’indietro i riccioli scuri, si domandava se ne sarebbe stato all’altezza.
Nel pomeriggio, l’avrebbe lasciato aggirarsi da solo.
L’avrebbe lasciato libero di andare, tra l’erica e il vento, sulle coste a strapiombo e sui sassi dei sentieri di quella parte d’isola in cui non andava mai nessuno.
Il piccolo Milo avrebbe dovuto cavarsela da solo, perché solo sarebbe stato: era quella la parte d’addestramento più pericolosa, perché le insidie erano tante, e se al mattino il Maestro avrebbe potuto allungarsi a prenderlo per mano o afferrarlo per la collottola nei casi estremi, nel pomeriggio ci sarebbero stati solo Milo e la sua isola.
D’altra parte, nessuna insidia deve spaventare un futuro Saint d’Athena, che con i pugni avrebbe dovuto fendere l’aria e con il calcio spaccare la terra. C’era poi da dire che se le mele erano frutti cari agli dei, allora lo sarebbe stato anche il piccolo Milo, che si chiamava come una mela e l’isola delle mele aveva adottato come propria.
Milo, infatti, non dimostrò paura, mai, ma solo entusiasmo alla prospettiva dell’esplorazione.
Dimetrios ne aveva, invece, che iniziava ad affezionarsi.
Ma era un Cavaliere d’Oro, quello che doveva allenare.
“Stai attento a non annegare, a non cadere, e stai attento agli scorpioni, che sono velenosi. Hai capito, creatura? Stai attento agli scorpioni, che qui è pieno”.
Milo sarebbe stato attento a non annegare, a non cadere e agli scorpioni. Non aveva la più pallida idea di che cosa fosse uno scorpione, ma non c’era dubbio che l’avrebbe riconosciuto, se ne avesse incontrato uno, e allora avrebbe potuto starci attento.
L’allenamento, però, sarebbe ricominciato l’indomani. Quel primo giorno Dimetrios schizzò in faccia a Milo l’acqua salata di Poseidon e se lo tenne sulle ginocchia, sulla risacca, accanto al profilo di una dea fanciulla disegnata sulla sabbia.
Gli raccontò degli immortali bellissimi e capricciosi che abitavano un monte alto, in terra di Grecia e innamorò l’allievo delle leggende del suo paese.
Da quel momento, Milo di mitologia e fiabe ne avrebbe volute sempre di più, fino a pretenderle.
Dimetrios avrebbe riso e gliele avrebbe date, approfittando delle leggende per istruire il bambino sulle prove della vita. Non aveva certo idea di quanto avrebbe reso difficile la vita di altri due Cavalieri d’Oro, anni più tardi, quando Milo, viziato, si sarebbe arrampicato sulle ginocchia di Aioros di Sagitter o avrebbe allegramente tirato i capelli di Saga di Gemini, a chiederne una dopo l’altra di favole legate alle stelle.
Se l’avesse saputo, Dimetrios non avrebbe prodotto altro che un deliziato sorriso obliquo.


“E poi?” domandò Milo, con gli occhi grandi, afferrandosi a Dimetrios, quando questi se lo fece scendere di dosso e si sollevò dalla sabbia bagnata e dalle onde dell’Egeo.
“E poi cosa, creatura?”
“Il serpente nel giardino!” miagolò disperato l’altro, che voleva sapere del resto della storia.
“Il serpente Ladone dalle cento teste. Ricordatelo” la grande e bella mano di Dimetrios – ruvida di sale e di mare – aveva ingoiato quella minuscola dell’allievo e insieme avevano risalito la baia, verso il meleto e verso casa. Il sole era sceso e inondava tutto di luce dorata, riscaldando il cuore e addolcendo le forme. “Vegliava sul giardino delle mele d’oro, affinché nessuno potesse cogliere”.
D’oro sembravano anche le mele mature sugli alberi che ombreggiavano la casa dipinta di bianco di Dimetrios, come se quei pochi alberi fossero un intero giardino fatato.
Il giovane camminò a piedi scalzi fin sulla soglia, a godersi il momento.
Milo osservava le mele come se fossero quelle della leggenda, circospetto come se si aspettasse di veder comparire il serpente Ladone da un momento all’altro, con tutte le sue teste.
Perché non poteva forse essere su quell’isola, magica, nata da un vulcano spento con le sue rocce colorate? Dimetrios aveva pensato che sarebbe stato bello se fosse stato così, la prima volta che era arrivato a Milo.
Milo era un’isola piccola a forma di mela.
Un’isola selvaggia eppure tenera, nella vita semplice della gente di mare piegata sull’Egeo.
Per mostrarne il disegno a Milo, in piedi di fronte a lui, Dimetrios allungò una mano a raccogliere un pomo dorato dal sole, dal frutteto sopra le loro teste, e lo spezzò a metà.
“Vedi, creatura? Milo è proprio una mela. E il nido più riparato con i semi, al suo interno, è il porto di Adamas.
“E noi?” articolò il bambino, appoggiando le mani su quelle grandi del Maestro.
“Noi siamo qui” Dimetrios fece scorrere il dito lungo il bordo inferiore del frutto a metà, sulla linea rossa della buccia.
Milo guardò il frutto a metà e le mani del maestro, che la teneva. Guardò e vide l’isola nella polpa del frutto e il golfo nel nido riparato dei semi.
Poi guardò le mani del Maestro e ci appoggiò le proprie. Le mani erano state il suo primo contatto con Dimetrios e quando in futuro avrebbe pensato a lui, prima ancora del suo viso, degli occhi profondi e scuri e del sorriso che sembrava di sole, Milo avrebbe ricordato le sue mani grandi e ruvide di sale e di mare.
Milo è come due mani unite che si toccano, pensò quando vice le proprie dita e quelle del Maestro unite nella forma della mela. E sarebbe così che avrebbe spiegato, anni più tardi, com’era fatta la sua isola
.



 

Rispondendo:
Ren-chan: çOç Si! Dime! çOç E speriamo di renderlo al meglio questo uk.. questo bastardo! *C*  *spuccia e fangirla*
Kijomi: ;O; Grazie *stringe e spuccia* Sì, gurda. Ormai è diventata proprio una roba malata e lo diventerà di più visti gli sviluppi di cui ti ho accennato. Vediamo come andrà avanti.  ...la cosa di Dimetrios fa imbizzarrire enormemente anche a me. Tu non sai quanto, visto che mi ha accompagnato a casa solo ieri sera. Vabbè. XDDD
roxrox: continuare, continuo. Grazie per essere passata, spero di vederti passare di nuovo >***<
EriS_San: ;O; ooooh! Grazie! Continuo di certo a raccontare, che ci pensavo da un po', ma se sarai al mio fianco, lo farò di certo con più piacere. Ti ringrazio per le parole che hai avuto çOç E scusa  per il ritardo >**<
Stateira: *C* ma no, ma no! Non preoccuparti del peggio! *C* Non scrivo cose TREMENDE e basta! ...beh, dell'angst ce ne sarà anche qui, ma nel complesso sarà una cosina solare, come è Milo. èOé Almeno spero. Beh, ci conto! Grazie per la menzione d'onore >///< sono cammei a cui tengo tantissimo.
Ichigo: Oh! Ma che cosa carina mi hai detto! ;O;  Il trittico è finito, sì. Mi stava ammazzando, davvero, ma sono contenta del risultato. Spero che questa cosina nuova possa piacerti altrettanto. Il nostro Milo, allora. ^__- Un bacio!
Damaris: XDDDD eh, già! XDDD Trattati alla stregua di umili soldati, questi poveri bronzetti XDDD Saori ha ridimensionato le cose, pare. XDD Sono contentissima di sapere che mi segui anche qui. L'infanzia di Milo mi è molto cara, come quella degli altri Gold Saint. Un po' ci lavoriamo anche nel prologo dell'Heramachia, ma volevo starci comoda, qui, a vivermi quella di Milo. Gh.  Grazie per le belle parole che hai sempre. Un bacio enorme.
ArabianPhoenix: grazie anche a te di tutto! Sì, seguirò l'addestramento di Milo fino al suo arrivo ad Atene, vediamo cosa viene fuori. ^__- Sei carinissima! >***<
ManuLani: Ti assicuro che questo genere di ripetizioni non fanno mai male! XDDD Grazie di tutto, sapere che mi leggi con tanto piacere mi commuove e riempie di piacere me. Un abbraccio forte!

   
 
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