Questo
era l’ultimo. L’ultimo specchio rimasto da
coprire in
tutta la casa.
Con
le sue piccole mani ancora tremanti strinse forte la
coperta che aveva preso da un cassetto appositamente per coprire anche
quest’ultimo specchio.
Si
arrampicò con un ginocchio sul mobile del bagno e con
tutta la forza che aveva lanciò il telo e questo si
agganciò agli spigoli della
superficie riflettente, restandovi appeso.
Scese
lentamente e si lasciò sfuggire un profondo respiro di
sollievo, con il cuore ancora a mille, tremando flebilmente, mentre una
goccia
di sudore freddo rotolava impietosa lungo la sua tempia.
«Ma
certo che puoi
rimanere qui, Cecil. Oserei dire che dovresti.»
pronunciò con voce melliflua la donna.
Cecil
osservò il
suo ampio sorriso crescere ancora di più e mettere in mostra
ancora più denti.
Poi
passò lo
sguardo sul ragazzo accanto a lei, e anche lui sorrise allo stesso
modo, con un
accattivante bagliore negli occhi neri.
Li
aveva coperti tutti.
Avrebbe
dovuto sentirsi più al sicuro ora, ma quella sensazione non
voleva
andarsene. Era sempre lì… Quell’ombra
evanescente dietro la coda del suo
occhio.
Si
voltò di scatto quando credette di averla dietro di
sé, ma, come
tutte le altre volte, non c’era niente.
«Chi
c’è? Chi o cosa sei? Ti prego, vieni fuori. Mi
stai facendo paura!
Chiunque tu sia, ti prego adess--»
«E’
l’unico prezzo
da pagare. Non mi dirai che è troppo per tutto
questo…» disse sempre più
sorridente la donna – quella che assomigliava tanto a sua
madre – alzando
leggermente un sopracciglio e facendo un ampio gesto col braccio come
ad
indicare… beh, tutto.
Il
bambino rimirò
ancora un po’ le due viti che giacevano appoggiate sul tavolo.
Il
ragazzo – quello
che assomigliava tanto a suo fratello – ne prese una in mano
e gliela porse con
un sorriso incoraggiante.
Cecil
esitò nel
toccarla.
«Beh…
immagino di
no, però…»
Aprì
gli occhi e si alzò un po’ a fatica.
Chissà
quanto tempo era rimasto lì accovacciato nel bel mezzo del
soggiorno, ma a giudicare dalla sua faccia tutta bagnata doveva aver
pianto
parecchio.
Lo
specchio del soggiorno era scoperto.
“Strano”,
pensò, “non ricordo di averlo scoperto”.
Si avvicinò e lo
ricoprì.
Non
era sicuro del perché tutti gli specchi in casa sua fossero
coperti,
ma erano sempre stati così da quando riuscisse a ricordare e
aveva
l’impressione che non potesse essere altrimenti.
«Prima
di tutto
però ho bisogno del mio registratore! L’ho
lasciato dall’altra parte, devo
andare a prenderlo.» disse scendendo dalla sedia.
La
donna spostò il
peso da una gamba all’altra, come a disagio o nervosa.
Un
angolo della sua
enorme bocca si piegò ancora di più
all’insù con fare incerto.
«Non
ce n’è bisogno.
Qui possiamo trovarti tutti i registratori che vuoi, caro.»
provò a
persuaderlo.
«Sì
ma io voglio il
mio. E’ speciale, è un regalo di
mia madre. Si
offenderebbe se lo perdessi, me l’ha regalato
perché è fiera di me. O almeno
credo che lo sia…» spiegò Cecil.
La
donna non batté
ciglio, ma una luce raggelante luccicò nei suoi occhi neri.
«Certamente,
capisco. Allora vai, ma mi raccomando, torna presto.»
proferì la donna, con un
tono fin troppo dolce e condiscendente.
Cecil
vide il ragazzo accanto a lui tremare impercettibilmente.
Entrambi
salutarono
Cecil con la mano, prima che attraversasse la grande porta di quercia.
Un
brivido gli attraversò la schiena.
La
casa era vuota, come era sempre stata, eppure qualcosa ancora lo
disturbava e non lo faceva stare del tutto tranquillo.
Fu
quasi sicuro di vedere qualcosa muoversi dietro la coda
dell’occhio,
ma quando si girò non c’era nulla.
Si
disse che doveva essere stata un’impressione e
scrollò le spalle.
Afferrò
il suo fidato registratore e corse fuori a giocare.
Vide
quasi subito un uomo, poco distante da casa sua, con una giacca e
una valigetta di pelle di cervo.
Si
avvicinò un po’ per vedere meglio, e proprio in
quel momento
valigetta si aprì e uno sciame gigantesco di piccole nere
mosche ronzanti ne
fuoriuscì, oscurando momentaneamente il cielo e riempiendo
l’aria di quel
ronzio assordante.
Quando si riprese dalla sorpresa e si decise ad avvicinarsi, le mosche erano volate via tutte quante e dell’uomo non c’era più traccia, però Cecil notò qualcosa di curioso a terra: una strana bambola.