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Autore: GirMetsa    09/10/2008    1 recensioni
Silenzio.
Nemmeno un’ombra e nemmeno un fruscio.
Solo quel silenzio opprimente, rotto unicamente dal ticchettio dell’orologio che scandiva un tempo che sembrava infinito; finché lei capì.
Capì che era tutto finito.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio.
Nemmeno un’ombra e nemmeno un fruscio. Solo quel silenzio opprimente, rotto unicamente dal ticchettio dell’orologio che scandiva un tempo che sembrava infinito; finché lei capì.
Capì che era tutto finito.
Il sole, l’allegria, perfino il profumo di lavanda che aleggiava sempre in quella casa era svanito nel nulla. Ormai c’era solo sangue, il fumo, e il dolore.
La ragazza non sapeva il suo nome, non sapeva quanti anni avesse, non sapeva da dove venisse; sapeva solo che quelle persone immobili davanti a lei erano state la sua famiglia, e non poteva sopportare che fossero state uccise così, senza pietà, per colpa di uomini non abituati a pensare alle conseguenze dei loro atti.
-Ehi, Lunazzurra!
La ragazza si girò, sentendosi chiamare. Vide Fiorerosso, il suo amico dai capelli scarlatti; era ancora vivo, e portava tra le braccia un bambino ustionato al viso.
Lunazzurra non riuscì a dire nulla, quello era troppo per lei, ormai i suoi occhi celesti sembravano non avere nessun’anima; fece per andarsene nel bosco, voleva restare sola e sprofondare, tornare ad essere parte della terra, e in questo modo non dover più soffrire. Ma in realtà voleva pensare.
Aveva bisogno di pensare.
-Lunazzurra, dove stai andando? Questo bambino ha bisogno di cure, e poi il bosco ora può essere pericoloso per...
-Io qui non ci devo fare nulla. Questo non è mai stato il mio posto, e mai lo sarà. Con queste parole Lunazzurra scomparve tra i giganti verdi, così come il profumo di lavanda era scomparso dalla sua pelle.

-Lunacrescente! Scappa, presto!
Si svegliò di colpo. Era ormai da dieci giorni, da quando era stato messo a ferro e fuoco il suo ultimo villaggio, che ogni notte faceva lo stesso sogno.
In una casa che non conosceva, una donna bellissima dai capelli corvini la incitava a scappare, chiamandola con un nome che non era suo. O almeno, non sapeva se fosse mai stato suo.
Dopodichè vedeva la stessa scena. Le case bruciavano, il sangue schizzava e le urla di rabbia e di dolore si sovrapponevano a quelle che erano sicure di una vittoria costruita sui cadaveri di centinaia di uomini.
Poi tutto finiva, e il profumo di rosa lasciava il suo posto alla puzza del fumo e della morte.
Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore, chiedendosi chi fosse quella donna che sembrava tenere molto a lei.
Si alzò e andò verso il fiume, depose i suoi abiti su una roccia e si immerse nell’acqua, quando si accorse di avere fame.
Molta fame.
Erano tre giorni che non mangiava, perché era piovuto forte e incessantemente, e lei aveva preferito restare nell’incavo del tronco che usava come tana.
Ma quel giorno non pioveva più, così decise di muoversi, andare nella città più vicina, magari trovare un lavoro e ottenere delle informazioni. Sapeva che era impossibile, ma lei voleva... doveva sapere chi fosse la donna che sognava ogni notte, e immersa nei suoi pensieri si preparava a partire raccogliendo le poche cose che le erano rimaste.

Erano già due settimane che Lunazzurra era in viaggio, ma aveva solo trovato altri villaggi bruciati, e da una stalla prese un cavallo ancora miracolosamente vivo. Era vecchio, per questo i briganti non l’avevano rubato prima di attaccare la città, ma poteva andare bene lo stesso. Al quindicesimo giorno di viaggio Lunazzurra decise di darsi una tregua e far riposare il cavallo. Preparò un giaciglio e si addormentò.

Un fruscio. Lunazzura si svegliò e si mise subito in ascolto, per capire se si trattasse di un animale.
Passi. Due passi.
Persone.
Lunazzurra ormai le sentiva, dovevano essere in tre, e si avvicinavano.
-Ma guarda! Una ragazza!
-Che ci fai qui tutta sola? Sei scappata da un villaggio di persone inutili che ora sono tutte morte?
Lunazzurra riconobbe quelle voci, erano i briganti che avevano attaccato la famiglia dell’erborista che abitava vicino a casa sua.
Era indecisa sul da farsi, non sapeva se scappare o se provare ad attaccare il brigante più vicino a lei col coltello che nascondeva sotto la manica.
Troppo tardi.
Sentì un rivolo di sangue scendere sul collo, lungo le spalle e giù, fino a terra senza alcun rumore.
"Maledizione!"
L’avevano presa.
-Ragazza, tu vieni con noi.
Altro sangue.
Le schizzò in faccia.
Era molto, quella volta.
Si girò e vide che i due briganti erano stesi a terra, e anche l’uomo che la teneva cadde con un tonfo sordo.
-In queste situazioni non c’è spazio per le indecisioni, Lunacrescente.
Una lunga lama argentata in mano a un uomo avvolto in un mantello blu, con il cappuccio calato sul viso.
-Chi sei? Perché mi hai salvata? E... perché mi chiami Lunacrescente?
-Proprio non mi riconosci?
L’uomo si tolse il cappuccio. Scoprì dei riccioli scuri come la notte, che ricadevano sui suoi occhi celesti e profondi, uguali a quelli di Lunazzurra.
-Sono tuo padre.
“Sono tuo padre”...
Lunazzurra non riuscì più a muoversi, quando riconobbe in quell’uomo l’inizio e la fine della sua vita.
Non si ricordò di quando viveva con lui, ma si ricordò di quando lui aveva sterminato la sua famiglia adottiva, in quell’inferno di fuoco che aveva segnato una svolta nella sua vita tranquilla.
-La donna che sogni è tua madre, lo so perché ti osservavo ogni secondo della tua permanenza nel bosco. Non ti resta che rimanere con me, e ti aiuterò a crescere, lo giuro.
Sua madre.
Sognava sua madre, morta anche lei in un inferno di fuoco e sangue.
Le scintille si sollevavano al cielo, indicando la luna contornata dal fumo.
Quella notte era una notte di luna crescente.

  
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