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Autore: Clockwise    03/10/2014    1 recensioni
«Che ci fai nel mio sogno?»
«Sto leggendo, mi sembra evidente» risponde, con aria di sufficienza. Fa pure il presuntuoso, il signorino! Fino a prova contraria è lui l’intruso qui, quindi…
Ehi, aspetta.
«Quello è uno spartito.»

Beethoven, terza Sinfonia. Sogni tempestosi, Lo Hobbit e uno strano ragazzo con un dubbio gusto in fatto di abbigliamento.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mare è in tempesta, stanotte: il vento urla adirato, le onde rispondono a tono, infrangendosi con violenza sugli scogli. Il faro è l’unica luce sulla baia. Bel paesaggio per un quadro di quei tipi depressi del Romanticismo.
Peccato che io sia nel mezzo di tutto questo.
Sto tossendo come un’indemoniata – mossa stupida, aprire la bocca in mezzo a una tempesta, visto che non la smetto di ingoiare acqua salata ogni volta che apro bocca.
Per tutti i santi, sono settimane che arrivo nel mezzo di una tempesta, sempre in acqua. Non possiamo fare almeno in riva? Proprio no, eh? Almeno sapessi con chi prendermela! (Nel dubbio, rivolgo la mia frustrazione a Freud, che di danni, almeno al mio voto in filosofia, ne ha già fatti a sufficienza, non parliamo del subconscio.)
Il mio ex-istruttore di nuoto sarebbe fiero di me, comunque, se potesse vedere come mi riprendo e nuoto – o meglio, sbatto le braccia e le gambe con la grazia di un mulino a vento – e atterro a riva, gettandomi sulla sabbia, esausta, stile balena spiaggiata.
Tossisco fuori l’anima, tremante. Poi mi calmo e prendo fiato, cercando di espellere l’acqua nei polmoni e di tornare a respirare. Quindi, finalmente, mi do un’occhiata intorno.
E non c’è un bel niente da vedere: è buio pesto. Niente paese né castello neanche stavolta. Diamine, sono secoli che non vedo il Bardo e Pepper e tutti gli altri, da quando è iniziata questa maledettissima tempesta…
Sbuffo e una luce alla mia destra cattura il mio sguardo. C’è un faro. Non c’è mai stato un faro. L’avevo visto anche prima, in effetti, ma ero un tantino occupata nel tentativo di non morire affogata per rifletterci.
Un faro. Non sono mai stata in un faro. E faro sia.
 
 
«Alla buon’ora. Iniziavo a pensare che non saresti mai arrivata.»
C’è uno sconosciuto, al faro. Un tipo in giacca e cravatta – giacca bianca, camicia gialla e cravatta blu con motivo di teschi, tanto per puntualizzare – comodamente spaparanzato in una sedia imbottita, con i piedi sul davanzale – scarpe di tela giallo fosforescente e calzini a righe bianche e rosse, per completare il quadro.
Volta una pagina del libro che sta leggendo con fare pigro.
«Che ci fai nel mio sogno?»
«Sto leggendo, mi sembra evidente» risponde, con aria di sufficienza. Fa pure il presuntuoso, il signorino! Fino a prova contraria è lui l’intruso qui, quindi…
Ehi, aspetta.
«Quello è uno spartito.»
Perché ha davanti uno spartito e nemmeno l’ombra di uno strumento musicale?
Rotea gli occhi.
«Ma non mi dire» mormora. Apro bocca, con l’intenzione di spiegare all’intruso che lui non deve roteare gli occhi con me e…
«Terza sinfonia di Beethoven, “Eroica”. Un poema di eroi, condottieri, cavalieri, onore e gloria come non ne esistono altri» spiega, sempre con quella voce indolente, ma un guizzo di vivacità negli occhi, stavolta. Però poi corruga le ciglia, adombrandosi.
«Ma tu non puoi capire» mormora.
Ah, sì? Ora ti faccio vedere io.
Mi siedo sul davanzale e spingo giù i suoi piedi senza tante cerimonie.
«E allora spiegami.»
Lui solleva lo sguardo, stupito. Mi guarda per diversi istanti prima che il suo viso si apra in un sorriso di ammirazione, subito sostituito da un ghigno malandrino. Le espressioni sul suo volto incorniciato da riccioli rossi si susseguono più veloci di nuvole su un cielo sereno, è assurdo.
«Credi forse che io conceda il mio tempo così facilmente? Dovrai guadagnartelo, gioia.»
Gioia a chi? Chi sei, mio nonno?
«Non chiamarmi gioia
Il ghigno del ragazzo si allarga.
«Oh, hai appena firmato la tua condanna, gioia
Ok, non è divertente: perché scoppia a ridere?
Chiude lo spartito e si alza in piedi in un unico, fluido movimento. Infila lo spartito sotto braccio e si dirige alla finestra.
«La tempesta è finita. Posso andarmene» dice. Si volta di nuovo verso di me e mi lancia lo spartito, che afferro malamente, stropicciandolo un po’. Lui mi sorride, ed è come se un sole si apra sul suo volto – è davvero un bellissimo sorriso.
«Spero possa esserti d’aiuto. Ti piacerà.»
Si gira e inizia a trafficare con la finestra. Il panico mi assale.
«No, aspetta, dove vai?»
No, non può andarsene. Non può lasciarmi da sola.
Sorride, un’ombra scura nel volto sereno.
«È ora che io vada: la tempesta è finita.»
«Ma io… non so leggere questa roba, come…?»
Per favore, per favore, non andare. Non ti chiamerò più intruso, lo prometto, ma per favore non lasciarmi…
«So che puoi farcela, gioia. Io credo in te.»
Mi strizza l’occhio e, con un ultimo brillante sorriso, spalanca la finestra e salta nella notte.
E io sento un vuoto nel petto e la finestra dietro di me si apre all’improvviso, il raggio accecante del faro mi investe mentre cado, sferzata dal vento, nella notte buia, le pagine dello spartito turbinanti intorno a me...
 
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Mi sveglio, solo per rischiare di prendermi un infarto ritrovandomi un gigantesco drago nero sogghignante davanti alla faccia.
«Tal? Tutto bene?»
Scuoto la testa, boccheggiando. Accidenti a Smaug.
«Tutto bene, tranquilla. Ho solo chiuso gli occhi un attimo.»
Cassandra annuisce e torna a guardare il film, più preoccupata per le sorti di Bilbo che per quelle di sua sorella. Ah, beata l’innocenza dei suoi dodici anni.
Mi sono addormentata al cinema, nel mezzo de Lo Hobbit – è un primato, devo dire, e anche un filino allarmante.
Sospiro e tento di sgranchirmi le braccia per quanto posso. Provo a seguire il film, ma è inutile: non faccio che pensare al sogno o a quanto sia depressa ultimamente – oh, gioia.
Non ci vuole un genio per dedurre la condizione della mia vita sociale: sto passando il sabato pomeriggio al cinema con la mia sorellina piccola a guardare un film tratto da un libro praticamente per bambini che nemmeno mi piace e non per un improvviso sprazzo di affetto fraterno ma semplicemente perché non ho niente di meglio da fare e se fossi rimasta in casa sarei impazzita.
Diciamo che io sono un po’ l’amica di tutti e di nessuno, in classe: va benissimo sedersi accanto a me, chiacchierare in qualunque momento, chiedere consiglio e lamentarsi della propria vita amorosa – dando per scontato che a me importi qualcosa – ma quando viene il momento di uscire da scuola, ecco che Talia cammina da sola. A quanto pare, tutti hanno amici migliori che me. Talia è un’amica usa e getta: quando ti serve lei c’è sempre, quando hai di meglio da fare, la lasci a sé stessa. Talia sa tutto di tutti, ma nessuno sa nulla di lei; quando Talia ha un problema, non lo racconta a nessuno, perché non ha nessuno con cui raccontarlo.
Talia non fa parte di alcun gruppo o club o associazione: va in piscina ogni volta che desidera – sempre più spesso, ultimamente, grazie super-offerta-annuale – ma il nuoto non è esattamente uno sport socievole e rare volte Talia ha incontrato qualcuno della sua età o disposto a scambiare due chiacchiere. Per il resto, è negata per il disegno, la musica, gli scacchi, la matematica, le lingue straniere, il cucito, l’informatica e in generale qualsiasi sport fuori dall’acqua. Sa scrivere, ma la sua scuola non ha un giornalino scolastico, grazie mille.
Talia saprebbe benissimo cosa ci vorrebbe perché la sua storia prendesse finalmente la piega giusta, ma sfortunatamente è solo la Protagonista, non l’Autrice, per cui non può fare più di tanto. Talia non crede nel Destino, nella Fortuna, nel Caso. Talia sta diventando piuttosto cinica e pessimista, ultimamente – effetti collaterali della solitudine.
Talia sta anche prendendo gusto nel parlare di sé in terza persona, quindi o ha anche qualche rotella fuori posto oppure ha manie di protagonismo peggio di Cesare.
 
 
«Ti è piaciuto il film, Tal?»
Sorvolando sul fatto che Cassandra continui ad usare quel nomignolo ridicolo nonostante l’abbia rimproverata mille volte, mi chiedo come faccio, guardando il suo faccino contento sopra la maglietta di Frodo, a dirle che non ho seguito neanche metà film?
«Mi è piaciuto il drago.»
Sicuro non me lo scorderò mai.
«Smaug! Lui si che è forte!» esclama, spalancando le braccia con un sorriso gigantesco e cercando di imitare il vocione da brividi del drago.
«I am fire, I am death!» urla, assomigliando davvero poco ad un drago quanto piuttosto ad uno scoiattolo.
Sobbalziamo tutte e due quando una voce ben più profonda mormora quelle stesse parole in un sussurro di morte da far accapponare la pelle.
Mi guardo intorno per trovarmi un ragazzo dai ricci rossi con degli improbabili occhiali dalla montatura blu e una maglia gialla con un robot che grida “exterminate!” che ci guarda.
«È così che andava fatto. Un po’ più di pathos
è così serio mentre lo dice, dopo aver appena proclamato di essere fuoco e morte nella hall di un cinema di periferia davanti a due sorelle terrorizzate, una mezza addormentata e l’altra sovraeccitata e piena di pop-corn, che non posso fare a meno di scoppiargli a ridere in faccia.
 
 
«Non trovo il divertimento in tutto ciò. E comunque, sottovaluti Cumberbatch. Lui non ha solo dato la voce a Smaug, ma tutti i movimenti, le espressioni…»
«Un drago ha espressioni?»
Mi guarda basito.
«Ma te l’hai visto il film, o no?»
Hem…
«Smaug fa delle smorfie fenomenali! Te la fai sotto quando hai Smaug davanti!»
Può una persona normale entusiasmarsi tanto per un drago digitale?
«È un lavoro incredibile, se pensi a tutta la progettazione, il disegno, la motion capture…»
Disconnetto le orecchie dal cervello e lo lascio parlare, sorseggiando la mia Coca-Cola. Cassandra lo ascolta rapita, dimentica della Fanta che ha davanti. Anche lui, nella foga del discorso, ha totalmente abbandonato la sua Coca-Cola.
«Non vedo l’ora che esca il prossimo, sono davvero curioso di vedere cosa faranno, anche se, in questo, un po’ si sono lasciati andare, in certi punti non mi hanno convinto proprio…»
«Ne fanno un altro?» chiedo, dandogli finalmente un po’ d’attenzione. Lui annuisce, infervorato. Io roteo gli occhi.
«Come diavolo hanno fatto a tirar fuori tre film da due ore e mezza l’uno da un libro per bambini di neanche trecento pagine?» domando. Lui beve un sorso della sua bibita, riflettendo. È una domanda importante, apparentemente.
Dopo qualche secondo di riflessione intensa, riapre la bocca e non la chiude più per tutto il pomeriggio – anche dopo aver riportato Cassandra a casa, mentre ceniamo a base di hamburger e patatine e mentre camminiamo per il parco.
Ho il suo numero di telefono scarabocchiato sul dorso della mano e la promessa di una maratona del Signore degli Anelli – si è infuriato quando ha scoperto che avevo letto solo mezzo libro. E, inaspettatamente, sono felice.
 
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Stavolta è mattino. Il mare è inquieto, ma non troppo burrascoso. Il vento mi alza i capelli mentre arranco verso il faro.
«Come andiamo, gioia? Hai letto la Sinfonia?»
Sorrido, ansimando.
«Non pensavo ti avrei rivisto» balbetto, il cuore che batte forte per l’emozione. Lui mi sorride, illuminandosi tutto.
«Non ti libererai facilmente di me, gioia.»
I ricci rossi scarmigliati, i vestiti scombinati. È proprio lui, è tornato! Non mi sembra vero.
«Prendi quello spartito, vediamo di combinare qualcosa» comanda, tendendo una mano verso di me. Afferro lo spartito dal davanzale e glielo lancio, sedendomi su un’altra poltrona accanto a lui. Lui mi lancia un’occhiata divertita e incuriosita, in qualche modo, e lo apre con fare teatrale. Si schiarisce la voce e raddrizza le spalle, spianando lo spartito davanti a sé.
«Aspetta» lo fermo. Alza un sopracciglio, guardandomi. «Perché questa? Voglio dire, perché proprio questa sinfonia?»
Alza le spalle.
«Perché no? È la mia preferita. E mi sembra proprio che tu abbia bisogno di qualcosa del genere per scoprire un nuovo mondo, qualcosa che ti interessi e riaccenda le fiamme nei tuoi occhi. E perché Mozart non mi piace.»
Chino la testa per nascondere un sorriso.
Niente più tempeste.
 

 

***
Una cosa un po' così, nata da un pomeriggio solitario. 
No tomatoes, please.
-Clock
  
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