Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: tomlindoll    03/10/2014    0 recensioni
Il mio cuore perse un battito al solo pensiero di Louis accanto a me, ma non potei fare a meno di continuare a fantasticare su di lui. Così mi persi in fretta nei miei pensieri, distaccandomi dalla realtà e dimenticandomi completamente di quello che stavo facendo. Immaginai che - per qualche assurdo motivo - avrebbe bussato alla porta da un momento all’altro.
Bello come al solito, i capelli sistemati con quella sua classica precisione che ogni tanto lo portava a scatti di rabbia incontrollabili, gli occhi azzurri brillanti, l’ombra delle ciglia lunghe proiettata sui suoi zigomi sporgenti, la pelle perennemente abbronzata ed il suo sorriso ad ornare il tutto. Immaginai il suo profumo dolce, le sue dita intrecciate con le mie… Come sarebbe stato averlo per me un’altra volta?
[...]
Aprii la porta di scatto e, per una frazione di secondo, non capii.
Il punto è che, alle tre del mattino, con la pioggia che si riversava in modo continuato nelle grondaie provocando un rumore fastidiosissimo, con la mente offuscata dall’afa californiana, quasi non mi accorsi della figura minuta che mi stava davanti.
“Ciao, Haz.” mormorò Louis. [...]
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Era una di quelle serate che detestavo. La pioggia picchiettava sulla finestra del salotto, il fuoco scoppiettava piano nel camino - nonostante fosse piena estate, purtroppo per me - , le bambine erano incollate alla televisione, stravaccate comodamente sul rosso divano di pelle che era stato comprato da mia madre qualche anno prima, e le mie dita tremavano leggermente sui tasti del pianoforte mentre tentavo di suonare un intricato brano di Chopin. Divertente come, nonostante tutti i rumori presenti in quella casa, io riuscissi a sentire soltanto silenzio. Devastante silenzio, incolmabile vuoto, passi assenti, parole non dette. 

Premetti i palmi delle mani contro ai tasti in uno spasmo schizofrenico, trattenendo un grugnito frustrato. 

“Dannazione.” sibilai a denti stretti, attento a non farmi sentire. Presi a massaggiarmi le tempie lentamente, cercando di scacciare quella stressante sensazione di vuoto dalla mia testa. “Bambine, per favore, potreste tenere il volume della tivù un po’ più basso?” chiesi con il tono più gentile che potessi riservare alle dieci di un sabato sera piovoso trascorso a scervellarmi su un brano che non riuscivo ad eseguire, senza le mani esperte di mio marito a guidare le mie. 

Il mio cuore perse un battito al solo pensiero di Louis accanto a me, ma non potei fare a meno di continuare a fantasticare su di lui. Così mi persi in fretta nei miei pensieri, distaccandomi dalla realtà e dimenticandomi completamente di quello che stavo facendo. Immaginai che - per qualche assurdo motivo - avrebbe bussato alla porta da un momento all’altro. 

Bello come al solito, i capelli sistemati con quella sua classica precisione che ogni tanto lo portava a scatti di rabbia incontrollabili, gli occhi azzurri brillanti, l’ombra delle ciglia lunghe proiettata sui suoi zigomi sporgenti, la pelle perennemente abbronzata ed il suo sorriso ad ornare il tutto. Immaginai il suo profumo dolce, le sue dita intrecciate con le mie… Come sarebbe stato averlo per me un’altra volta? 

“Pa’, ti senti bene?” Sussultai sul posto  e iniziai a sfoderare dentro di me una lunga fila di imprecazioni, accorgendomi che Isabelle si era alzata dal divano per venire a sedersi accanto a me. Sembrava stanca quanto me, forse anche di più. 

“Certamente.” mentii spudoratamente, un sorriso sereno a mascherare tutta la tensione che sentivo scorrere nelle vene. La bambina mi guardò confusa, corrugando le sopracciglia ed arricciando il naso. Non era mia figlia, ma mi assomigliava in un modo terrificante. Era alta, slanciata, dalla pelle bianca e delicata, aveva labbra rosse e ben definite, occhi grigi circondati da folte ciglia castane, come i suoi lunghi capelli mossi. 

“Sei preoccupato per papà Louis?” chiese con quell’innocenza sconfinata, classica dei bambini e di suo padre. Mi scappò una risata, abbracciai Isabelle e posai un bacio sui suoi capelli spettinati. 

“Nah, lui ha detto che se la può cavare benissimo anche senza di me. Tu, invece? Tu sei preoccupata per papà?” il mio tono di voce suonò più triste di quanto avrei voluto. Lei premette qualche tasto del piano a caso, producendo note distaccate e poco melodiose. 

“Sono preoccupata per te.” socchiuse gli occhi e spostò le mani freneticamente, facendole volare sopra il freddo pallore del piano, e si mise a suonare una melodia semplice e ripetitiva. Era una vecchia canzoncina che aveva scritto Louis ancor prima che ci sposassimo: me la canticchiava quando stavo male o mi veniva un attacco di panico. Sentire le stesse note riprodotte da nostra figlia fece attorcigliare il mio stomaco su sé stesso. 

“Credi che papà tornerà per il mio compleanno?” chiese speranzosa, una scintilla le attraversò gli occhi velocemente, andandosene poi com’era venuta. Pensai a lungo a cosa dire, senza arrivare ad una vera conclusione. 

“Non lo so.” Era passato un mese da quando se n’era andato. Aveva fatto semplicemente le valige, davanti ai miei occhi, ed era tornato in Inghilterra senza nemmeno dirmi quando sarebbe tornato o se avesse avuto intenzione di farlo. Me lo ricordavo perfettamente, il suo sguardo che volava da me alla finestra ogni secondo che passava, le mani che tremavano, in volto un’espressione esasperata, come se avesse saputo fin dall’inizio che sarebbe arrivato il giorno in cui io l’avrei cacciato di casa. 

“Non preoccuparti troppo per me, starò benone. Me la caverò anche senza di voi.” aveva detto, poi si era sporto verso di me ed aveva lasciato un bacio a stampo sulle mie labbra, appena prima di uscire. Forse non ero scosso dal fatto che se ne stesse andando, ma da come io mi stessi comportando. Sembrava quasi che, in tutto ciò, la vittima fossi io, sembrava che fosse stato lui ad abbandonare me, non il contrario. Da quel giorno non ricevetti nessuna chiamata da parte sua, o dei suoi genitori, o di chiunque altro potesse venire a sapere qualcosa su di lui, ma probabilmente era perché nemmeno io avevo il coraggio di prendere il telefono e parlarne con qualcuno. 

Isabelle sembrò stancarsi presto della mia compagnia, infatti tornò da sua sorella senza degnarmi di una parola. Pochi minuti dopo si addormentarono entrambe, così dovetti portarle al piano di sopra in braccio per non dare loro alcun fastidio. 

Guardarle era in parte una tortura e in parte un piacere immenso. Se ne stavano là, raggomitolate sotto le coperte, inconsapevoli di tutto il casino che stava avvenendo al di fuori dei loro sogni tranquilli. Dovevo  ammettere che le invidiavo, e anche parecchio. Se solo avessi potuto, avrei dimenticato con facilità tutti gli spiacevoli avvenimenti dei precedenti trenta giorni infernali. Non passava un minuto, un secondo, senza che io pensassi a dove fosse finito Louis. E al solo pensiero del suo volto angelico, mi si muoveva qualcosa dentro, mi picchiava contro al petto con violenza. Era forse il mio cuore? Doveva esserlo… Correva all’impazzata, vivo e selvaggio, bramava il ritorno del suo eterno compagno di viaggio. Ma entrambi, io e il mio povero pazzo cuore, sapevamo che il nostro compagno non sarebbe tornato al solo nostro desiderio. E poi dovevo combattere anche contro il mio cervello, il mio dannatissimo e logorroico cervelletto da idiota. Era ancora un po’ bipolare, quello, non aveva capito che quella fase tortuosa della mia vita era passata. Non aveva capito che ero guarito, che stavo bene. No, lui si limitava a darmi sempre contro. Quando volevo Louis, era lui a mandarlo via, scacciando l’immagine sbiadita che mi creavo con tanta meticolosità, e rimpiazzandola con cose futili e noiose. Quando invece cercavo di pensare a tutto tranne che a lui, la mia mente portava a galla ricordi dolci e strazianti allo stesso tempo. Forse però faceva bene. Ogni ricordo era come un’ustione, come una ferita aperta in cui rigiravo il coltello. Ero sempre stato abbastanza masochista, lo diceva spesso anche Louis.

Da giovane avevo sempre avuto dei problemi con me stesso. Andando avanti a pillole, erano poi spariti, ma a volte tornavano indietro, giusto per ricordarmi che io non ero del tutto normale.

Il che, di solito, poteva essere risolto con una semplice tazza di tè, un buon libro e un marito rompiscatole che mi si addormentava addosso ogni due minuti. Louis era, in poche parole, ciò che mi manteneva sano di mente. Senza di lui, oltre a sentirmi come se mi avessero tolto le viscere e le avessero sbattute a terra, ero completamente perso. Era sempre stato lui a guidarmi, in ogni occasione. Non mi aveva mai lasciato andare per nessuno motivo. Ma poi, come in ogni matrimonio che si rispetti, abbiamo cominciato a litigare. E le cose col tempo sono degenerate: eravamo sempre più distanti, l’unica cosa che ci teneva incollati era un semplice capriccio da ragazzini. 

Quindi non mi sarei dovuto sorprendere poi così tanto, quando tutto è scoppiato e mi sono ritrovato da solo in mezzo ad una tempesta che non poteva assolutamente essere affrontata. 

Mi lasciai sfuggire un sospiro esasperato ed andai a dormire con la consapevolezza che, il giorno dopo, l’altro lato del letto sarebbe stato freddo come al solito.

 

Era una notte insonne. Pioveva incessantemente, faceva caldo, c’era silenzio, ed io me ne stavo sdraiato sul letto senza nulla da fare, se non piangere come un completo idiota. 

Non era la prima volta, quel giorno, che scoppiavo in un pianto isterico senza alcun apparente motivo. Non era per Louis, di questo ne ero sicuro. Forse era per le bambine, ero talmente preoccupato per loro… E se io e Louis avessimo divorziato? Loro come avrebbero reagito? Erano così piccole, non volevo che rimanessero traumatizzate a causa di uno stupido litigio. 

Eppure io ero lì e Louis non c’era, era finito chissà dove con chissà chi, e magari aveva già contattato un avvocato e pensato a tutto senza nemmeno dirmelo. Magari sarebbe tornato solo per darmi le carte da firmare e mi avrebbe trattato come uno sconosciuto. Ma la mia paura principale era che lui dimenticasse, e che lo facessi anche io. Dimenticare voleva dire cancellare tutto quello che lui aveva fatto per me negli anni precedenti, voleva dire essere senza protezione, voleva dire che sarei stato di nuovo travolto dal mio passato. Ed il mio passato era l’unica cosa che avevo dimenticato con così tanta felicità. Non il mio passato assieme a Louis, quello di certo no, bensì quello che c’era stato prima. Tutti quegli anni trascorsi con il cuore in gola e la pelle segnata da lividi così carichi di colore… Il mio passato era fatto di paura, rabbia e lacrime represse. Il mio passato era fatto di sgabuzzini in cui nascondersi, schiaffi così forti che facevano sanguinare il naso e cinghiate. 

Nella mia mente era ancora impresso il timbro della voce tonante di mio padre, sempre ubriaco, sempre arrabbiato con qualcuno, sempre frustrato per colpa di un figlio che non era cresciuto a modo suo, che aveva deciso di intraprendere una strada diversa da quella che gli era stata imposta. 

E a volte sognavo l’aula di tribunale, dove mia madre piangeva accanto a me, stretta a mia sorella. 

Ed in quel caso non ci sarebbe stato alcun problema, mi sarei svegliato di soprassalto, Louis mi avrebbe stretto e mi avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene, che ormai quel periodo della mia vita era passato e che non ci avrei dovuto pensare. Ma questa volta non stavo sognando, non mi sarei svegliato, tutti quei pensieri mi attraversavano la mente troppo velocemente per ignorarli. La mia mente, inoltre, si stava di nuovo ribellando e mi stava giocando brutti, bruttissimi scherzi. 

Cos’era quel rumore? Una macchina che parcheggiava? Una portiera che veniva chiusa?

Non ne ero certo. Anzi, probabilmente stavo soltanto impazzendo. Mi rigirai più volte sotto le lenzuola, le gambe schiacciate contro il petto, il respiro corto, le lacrime che rimanevano intrappolate tra le ciglia e che, dopo una lunga lotta, scendevano lungo il mio viso. Decisi che sarebbe stato meglio, per me ed il mio povero cervello, se fossi andato a farmi una sana doccia fredda.

 

Era una mattina pietosa. Pioveva ancora a dirotto, avevo così tanto caldo da non prestare nemmeno attenzione al fatto che me ne ero tornato a letto completamente nudo e… Mi stava suonando il cellulare? 

Va bene che in quel momento ero un po’ rintronato, ma il cellulare stava davvero vibrando sul comodino, provocando quel suo fastidioso ronzio interrotto da bervi pause. Lo guardai per un po’, assorto e sbalordito allo stesso tempo, chiedendomi se dovessi rispondere o no.

Una parte di me, la più masochista e bipolare, quella che non aveva ancora capito che ero guarito, mi diceva che non meritavo di sentire la sua voce. L’altra, quella sana e razionale, mi incitava a rispondere e sparare la più lunga fila di insulti che mi venisse in mente sul momento. 

Non ascoltai nessuna delle due, caddi semplicemente dal letto sbattendo la faccia sul pavimento come un emerito deficiente.  

“Oh, sì, dev’essere per forza quello stronzo di Louis.” mi dissi, tentando di rialzarmi nel modo più impacciato di sempre. Mi sentivo come a diciotto anni, uno stupido innamorato che non sapeva mettere un piede davanti all’altro senza inciampare, in presenza della sua cotta. 

Nell’eccitazione del momento, non mi chiesi nemmeno il perché di una telefonata a quell’orario assurdo, forse perché in fondo sapevo benissimo che era ad otto ore di fuso orario da me, in Inghilterra, probabilmente. 

“P-Pronto?” mi tremava la voce, rischiavo di scoppiare a piangere nuovamente. 

Dio santo, Harry, sono qua fuori da un’ora! Non l’hai sentito il campanello? E si può sapere perché la luce della cucina è di nuovo accesa? Guarda che non è mica gratis! E poi potevi almeno degnarti di affacciarti alla finestra, santo Cielo! Allora, vieni ad aprirmi, sì o no? Sono completamente bagnato, ed è tutta colpa tua, idiota!” 

Non feci in tempo a ribattere a soltanto una delle sue sentenze, che lui aveva già messo giù il telefono. Rimasi seduto per terra per quella che mi sembrò un’eternità, col cellulare ancora stretto in mano, vicino all’orecchio. 

Mi alzai lentamente, e sempre lentamente mi misi addosso un paio di boxer ed una T-shirt bianca, poi mi precipitai al piano di sotto, rischiando di inciampare nei miei stessi piedi una ventina di volte. Aprii la porta di scatto e, per una frazione di secondo, non capii. 

Il punto è che, alle tre del mattino, con la pioggia che si riversava in modo continuato nelle grondaie provocando un rumore fastidiosissimo, con la mente offuscata dall’afa californiana, quasi non mi accorsi della figura minuta che mi stava davanti. 

“Ciao, Haz.” mormorò Louis, la voce quasi sovrastata dallo scrosciare assordante dell’acqua piovana che si infrangeva a terra.

Rimasi a guardarlo senza dire nulla, senza veramente realizzare che era lì davanti a me, con bagagli e tutto. 

Era conciato malissimo, questo lo riuscivo a capire, almeno. I capelli troppo lunghi erano appiattiti sulla sua fronte per via dell’acqua, alcune ciocche castane gli ricadevano davanti agli occhi circondati da profonde occhiaie. Gocce di pioggia continuavano a scorrergli sul viso devastato, soffermandosi sulle labbra sottili e screpolate, dischiuse in un sorriso appena accennato. I suoi vestiti - una felpa rossa col cappuccio tirato sulla testa, una canotta grigia e dei pantaloni blu da tuta - erano completamente zuppi di acqua e sudore. 

Non ebbi il tempo di aprire bocca, ero piuttosto occupato a farmi baciare. Non avevo mai notato, prima, quanto fosse piacevole riferirmi allo stesso ragazzo che mi aveva portato via da un padre violento ed una vita piena di tristezze e delusioni, come mio marito. E quel bacio, poi, era davvero stupendo. Non solo perché non avevo avuto l’occasione di toccare Louis nel corso di tutto il mese precedente, ma perché era completamente diverso rispetto a tutti quelli che erano venuti prima. Quel bacio era una combinazione perfetta di rimorso e rabbia repressa, le due emozioni si rincorrevano tra le nostre labbra affamate, allo stesso ritmo delle nostre lingue, e non c’era sensazione più bella di quella. Quel bacio era unico, stupendo, qualcosa di irripetibile che sarebbe rimasto marchiato a fuoco nella mia memoria. Quel bacio era il segno che c’era ancora una speranza, nonostante tutto, era il segno che Louis non aveva intenzione di dimenticare me o le cose buone che per me aveva fatto.

“Perché adesso?” provai a chiedere, ma Louis sembrava avere in mente altre cose, oltre al discorso che avrebbe dovuto prepararsi mentalmente per giustificare quel ritorno inaspettato. Infatti mi ignorò e mi tappò di nuovo la bocca con un bacio aggressivo, anche se a me sembrava la cosa più dolce al mondo. Le sue mani si intrufolarono sotto la mia maglia, carezzando con delicatezza la pelle sensibile ed ancora umida per via della doccia. 

In un batter d’occhio mi ritrovai schiacciato contro il muro dell’ingresso. Louis chiuse la porta con un calcio, lasciando le sue valige in veranda con noncuranza. 

“Credevo che non saresti più tornato…” mi sfuggì dalle labbra in un sussurro lamentoso.  Louis mi strinse e, inaspettatamente, si lasciò cadere a terra, trascinandosi me dietro. 

“Harry Styles, sono stato a Los Angeles per un fottutissimo mese, senza poterti vedere, senza avere nemmeno il coraggio di prendere in mano il telefono, senza sapere se le  bambine stavano bene e senza poterti fottere, se vogliamo proprio essere sinceri… Se fossi restato a casa di quei due hippie per un’altra frazione di secondo sarei esploso, davvero. Zayn non sa fare il tè e Niall lascia i vestiti dappertutto, e poi non la smettevano mai di pomiciare. Non credo che quegli idioti abbiano capito di non essere più due cavolo di adolescenti.” 

Sul momento mi disinteressai completamente a tutto quello che avevo pensato prima. Il divorzio, le bambine, Chopin, le valige in veranda e tutte quelle cavolate le tenevo chiuse in un angolo remoto della mia coscienza. 

In quel momento ero interessato a Louis e soltanto Louis, al suo sorriso complice, al suo respiro che si posava piano sul mio collo, ai suoi occhi i piantati violentemente nei miei.

“Bene, e perché siamo per terra?” lui, per tutta risposta, mi costrinse a prendere il suo posto sul pavimento freddo. 

“Perché è dove ho dormito per un mese…” disse, poi mi baciò di nuovo. Quella volta le sue mani non si limitarono a sfiorare con delicatezza la mia palle, ma cominciarono ad esplorarla con decisione, ispezionandone ogni centimetro quadrato. Prima assaggiarono il mio torace, poi arpionarono i miei fianchi ed infine le sue dita presero a muoversi morbide sulle ossa sporgenti del mio bacino. 

Quando poi si infilarono oltre l’elastico dei miei boxer non potei fare a meno di gemere sulle sue labbra.

“Non vorrai farlo qui, sul pavimento?” protestai a bassa voce, l’improvviso terrore che le bambine potessero sentirci si fece strada attraverso le mie terminazioni nervose, provocandomi spiacevoli brividi congelati. 

“E che c’è di male?” ribatté lui con un sorriso sfacciato ad illuminargli il viso. Lo afferrai alla base del collo e mi misi a sedere, in modo da non poter essere più sotto il suo controllo. Non che la cosa mi dispiacesse, ma ero pienamente consapevole del fatto che Louis mi influenzasse fin troppo facilmente. 

“C’è di male che non ho voglia di spaccarmi la colonna vertebrale perché tu non hai voglia di salire le scale e che…” esitai. In fondo le bambine avrebbero potuto sentirci sia che fossimo rimasti lì o che fossimo andati in camera da letto. 

“Harry, sono abbastanza sicuro del fatto che le bambine stiano dormendo. E poi non è vero che non ho voglia di salire le scale, è che mi rovini il momento se mi fai aspettare troppo, lo sai.” sussurrò dolcemente, a pochi centimetri dal mio viso. Le sue dita si intrufolarono trai i miei capelli umidi, iniziò ad accarezzarmi gli zigomi con i pollici, compiendo movimenti lenti e circolari. 

“E poi non è la prima volta che succede.” aggiunse convinto. Sospirai e annullai i centimetri che dividevano le nostre labbra con un bacio leggero, più lento dei precedenti. 

“Un’altra volta, ok? Sei appena arrivato, e la tua valigia è ancora fuori.” bisbigliai accarezzandogli i capelli, mi strinse a mo’ di piovra ed emise un sonoro grugnito. 

“Mmh, ti odio.” protestò strofinando il naso sul mio collo scoperto, cercando di non farsi scoprire mentre inspirava profondamente per sentire il mio profumo. 

“Se avessi cinque centesimi per ogni volta che me l’hai detto a quest’ora sarei più ricco di Kim Kardashian.”

“Zitto.” 

 

 

Era una mattina rumorosa. La teiera fischiava sul fornello, Louis non la smetteva di parlare e fuori di casa continuava a piovere. 

Avevo caldo, ma non mi importava. Ero seduto in cucina accanto a Louis, che si era cambiato i vestiti e fatto una doccia, ed ora sembrava molto più riposato e felice. Anche io mi sentivo felice e riposato, ora che lui era accanto a me. La sua mano sinistra era chiusa nella mia destra e non la lasciava mai, nemmeno quando mi alzavo dal tavolo. 

Erano le quattro del mattino, fuori era buio e non c’era nemmeno una macchina, mentre in casa nostra le luci del piano inferiore erano tutte accese. 

Non ricordo di preciso quando mi sono ricordato del brano che non riuscivo a eseguire senza Louis, ma so che quando mi è venuto in mente gliel’ho detto, e siamo rimasti a parlare del pezzo per più di un ora. 

Mi ricordavo, in quel momento più che mai, che ero sempre stato innamorato di Louis e che Louis era sempre stato innamorato di me, anche nei momenti peggiori. Come avevo potuto pensare che avesse intenzione di lasciarmi? Di lasciare la vita che c’eravamo costruiti assieme? Le nostre figlie, la nostra casa, il suo lavoro, me… Non sarebbe mai stato capace di abbandonare tutto ciò. 

Mi ricordavo, sopratutto, che avevo sempre avuto paura delle persone, che non mi ero mai fidato. Per questo, quella sera di un mese prima, quando Louis tirò un leggero schiaffo ad Isabelle, senza nemmeno avere cattive intenzioni, ero andato nel panico. Perché in quel piccolo gesto avevo rivisto tutte le mie paure e le mie ansie, tutti gli anni che avevo passato scappando da mio padre. Però Louis non era come mio padre, non lo sarebbe mai stato. Louis era mille volte meglio, perché Louis mi amava, ed amava le nostre bellissime bambine, per questo non avrebbe mai potuto diventare come l’uomo che mi aveva condannato ad una vita piena di angoscia. 

Louis era buono. Mio padre non lo era mai stato. 

Louis era l’unico capace di far piangere perfino il cielo della California quando tornava da me. 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: tomlindoll