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Autore: xitsgabs    03/10/2014    3 recensioni
STORIA IN FASE DI REVISIONE
«Ma io sono morta.» ribatté Gwen, insoddisfatta da quella risposta poco esauriente. «So di essere morta. È stato orribile. Ero così spaventata.»
[...]
Phil sorrise. [...] La cosa cominciava ad essere irritante e Gwen stava per rispondergli per le rime, quando l’uomo parlò: «Benvenuta nello S.H.I.E.L.D., Agente Stacy.»

What If? | Long!Fic | Crossover!S.H.I.E.L.D. ~ Peter/Gwen.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gwen Stacy, Peter Parker
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1997 – ?
Prologue.

I muri della stanza erano scuri, di un blu metallizzato molto tetro e freddo, tanto che Gwen si portò le mani alle braccia come per riscaldarsele. Il respiro era agitato a causa della paura, una paura che non le era mai davvero appartenuta: si era sempre dimostrata coraggiosa, anche per far capire a Peter che non era una bambina da proteggere. Peter. Dov’era lui?
Un singhiozzo fuoriuscì dalle sue labbra, quando nella sua mente si fece spazio l’immagine del suo ragazzo che la piangeva su una lapide bianca, che portava scritto in caratteri cubitali: “Gwendolyne Stacy. 1997 – 2014”. Il che aveva anche senso, dato che era tragicamente morta.
Ma se era morta, perché si trovava in quella stanza?
La porta si aprì lentamente, ma Gwen comunque si voltò allarmata. Una ragazza, non molto più grande di lei, varcò la soglia e le rivolse un sorriso incoraggiante e una parte del cuore di Gwen decise che avrebbe potuto fidarsi di lei.
Questa si andò a sedere di fronte a lei, sul tavolo cupo e freddo come il resto della stanza. «Ciao, io sono Skye.» si presentò, mantenendo sulle labbra quel sorriso pieno di calore.
Gwen provò senza successo a ricambiare il sorriso, poi abbassò di poco lo sguardo. «Mi chiamo Gwen.»
«Suppongo tu abbia delle domande. E hai il diritto di porle. Noi agenti, invece, abbiamo il dovere di risponderle.» annunciò meccanicamente, con voce solenne. Gwen immaginò che si fosse provata la frase decine di volte dinnanzi allo specchio della sua camera.
«Perché sono viva?» fu la prima domanda che uscì dalle labbra pallide e secche della giovane donna. Skye la guardò, come se stesse pensando a cosa dirle di preciso.
Doveva esserci una risposta a quella domanda, no? Sicuramente non poteva essere semplicemente tornata in vita! Doveva esserci una ragione logica, un motivo per cui era accaduto. Ma poteva semplicemente essere tornata in vita? Forse quel posto pieno d’agenti aveva lo staff giusto per far tornare indietro le persone dal mondo dei morti?
«Perché sei viva. Sei semplicemente viva.» rispose dopo poco l’agente, con una voce di chi vorrebbe dire di più ed è costretto a mantenersi.
«Ma io sono morta.» ribatté Gwen, insoddisfatta da quella risposta poco esauriente. «So di essere morta. È stato orribile. Ero così spaventata.» cominciò, ricordando con orrore il momento in cui la ragnatela di Spiderman si era spezzata, lasciandola cadere malamente nel vuoto. «Non riuscivo a pensare a niente. Se non al fatto che ...» le lacrime rigarono il viso della bionda, la cui voce aveva cominciato a spezzarsi e sulle cui labbra si fece spazio un piccolo singhiozzo. «Non volevo lasciare Peter da solo.» finì. L’agente Skye la guardò con uno sguardo pieno di solidarietà.
«Avevamo il compito di proteggerti e così abbiamo fatto, miss Stacy.»
Quella semplice frase creò milioni di domande nella mente di Gwen, che fissò l’altra incuriosita. Cosa voleva dire: “Avevamo il compito di proteggerla”? Chi glielo aveva chiesto? Perché dovevano proteggere lei?
Le domande persero importanza pochi secondi dopo, quando una nuova richiesta prese forma sulle labbra della bionda: «Quando tornerò a casa?»
«Tu non puoi tornare a casa.» la risposta arrivò più velocemente delle altre, e fece più male delle altre.
 

***

 
«State parlando con la segreteria telefonica di Peter Parker. Io sono Gwen Stacy, la sua ragazza. Peter è troppo pigro per personalizzare la segreteria. Comunque, vi richiamerà al più presto. Nel frattempo, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico!»
Quando a Peter veniva voglia di riascoltare la voce di Gwen – e non si trovava a casa propria per mettere ‘play’ al tanto ambito video del discorso del diploma – prendeva il telefono e faceva partire la registrazione. La fidanzata aveva deciso di personalizzarla perché quella con la voce meccanica del telefono era “troppo triste” a sentirla parlare, così aveva scelto di trasformarla radicalmente. E mentre parlava non riusciva a trattenere le risate. E Gwen quando rideva ... era il sole.
E nessuno poteva dimenticare il sole, no? Quel raggio di calore nei momenti freddi, bello abbastanza di accecarti. Lo stesso sole il cui ricordo, però, cominciava ad affievolire dopo tanti mesi di buio. Per questo le foto di Gwen erano ordinatamente attaccate al muro della camera di Peter, oppure appostate sul suo comodino, o impostate come sfondo del suo smartphone. Per questo guardava il video del discorso del diploma fino allo sfinimento e ascoltava più di una quarantina di volte al giorno la segreteria telefonica personalizzata.
Peter Parker – il supereroe di New York: quello impavido, scherzoso e senza paura – aveva il terrore di non riuscire più a focalizzare nella sua mente le labbra dolci di Gwen piegate in un sorriso, il naso teneramente arricciato, gli occhi perennemente entusiasti e di non riuscire a ricordare il suono della sua voce, quella melodia che col tempo era sul serio diventata la sua canzone preferita. Perché, Peter lo sapeva, il giorno in cui avrebbe dimenticato tutte queste cose, Gwen sarebbe morta davvero. Per colpa sua, ancora una volta.
Non poteva accettarlo. Se lo ripeteva assiduamente fra se e se, mentre fissava la lapide di Gwen con le lacrime agli occhi. C’era solo una cosa peggiore del leggere il nome della sua amata lì, ed era leggere la data di nascita sotto: 1997 – 2014. Diciassette anni. Solo diciassette anni di vita.
A volte Peter provava ad essere ottimista, pensando di essere stato comunque il più fortunato: diciassette anni sulla Terra per un angelo sono davvero tanti, potevo mai aspettarmi di invecchiare con lei? Era il suo pensiero fisso, in un certo senso reale, ma comunque poco confortevole.
Si era sempre immaginato che sarebbe stata Gwen a piangere sulla sua lapide, un giorno. Magari con qualche ruga sul viso, stringendo dolcemente la mano di un bambino con i capelli biondi e gli occhi marroni da cerbiatto. Perché lui era Spiderman, rischiava la vita ogni giorno. Poteva morire ogni giorno. Eppure era ancora vivo. Ma lui era Spiderman, salvava la vita di persone che non conosceva, vite di cui non poteva importargli davvero troppo. Eppure non era riuscito a salvare la vita più importante di tutte.
E non importava se ci aveva provato davvero, se Harry era uno psicopatico vendicatore, se qualunque cosa sarebbe stata inutile davanti all’imminente morte di Gwen: Peter doveva fare l’impossibile per salvarla, e non c’era riuscito.

 

***


Quando Gwen riaprì gli occhi, le mura scure della stanza piccola dove si trovava le sembrarono offuscate, come se si fosse trovata in un sogno. Faticava un po’ a tenere le palpebre alzate e si sentiva troppo pigra anche solo per muovere un muscolo.
Mugugnò qualcosa di incomprensibile, mentre riconosceva l’effetto di un tranquillante. L’avevano sedata. Perché?
Aveva qualche mezzo ricordo che le girava per la testa, non ancora ben definita. Sentiva la sua voce come se fosse in lontananza mentre urlava qualcosa come: «Non potete tenermi qui! Devo tornare a casa! Devo dire alla mia famiglia che sono viva, devo partire con il mio ragazzo. Ho una vita a New York, non potete impedirmi di riprenderla!» e ricordava anche delle lacrime, dei singhiozzi e delle urla insensate, realizzate solo per infastidire le persone che si trovavano nei paraggi. Gwen non era il tipo di ragazza che perdeva così facilmente il controllo, ma non era neanche il tipo di ragazza che poteva tornare in vita senza pensare di star impazzendo.
Per quanto tempo sarebbe rimasta lì? Per quanto tempo la sua famiglia e Peter avrebbero pianto la sua falsa morte? Peter. Quando avrebbe rivisto Peter? E se non l’avesse rincontrato più? Avrebbe dimenticato il suo viso, negli anni? Avrebbe dimenticato il suono della sua voce? La morbidezza delle sue labbra? La sicurezza che soggiornava in lei solo quando si trovava fra le sue braccia?
Lui si sarebbe rifatto una vita o l’avrebbe amata per sempre, come le aveva promesso? Una parte di Gwen sperava che si innamorasse ancora, che smettesse di star male. Un’altra parte, più egoista, non riusciva ad accettare l’idea di Peter che baciava un’altra ragazza, che accarezzava un altro viso, che infilava una mano in altri capelli, che fissava altri due occhi. Era lei il suo binario, lo sarebbe stata per sempre. Ma se nel frattempo il suo treno avesse cambiato ferrovia?
«Signorina Stacy?» la voce di un uomo interruppe i suoi pensieri. La bionda si voltò verso l’uomo, che si prese tranquillamente la libertà di entrare in quella stanza.
Gwen si mise a mezzo busto sul letto, un po’ faticosamente, e guardò l’uomo con aria sospetta. Non sembrava malvagio, ma si era appena risvegliata dopo essere stata sedata. La cosa non gli aveva dato punti a favore. «Chi mi cerca?»
«Phil Coulson.» rispose l’uomo, appoggiandosi al muro davanti alla ragazza e guardandola, serio in volto. Gwen provò subito rispetto nei suoi confronti, pur non sapendone la ragione. Era semplicemente un uomo da rispettare. «Ti senti meglio? Dopo la scenata di prima siamo stati costretti a sedarti.»
«Sì, l’ho notato. Ho notato anche che vi piace comandare le vite degli altri.» bofonchiò Gwen, la voce dolce come sempre aveva preso una nota tagliente. «Mi avete ridato la vita, ma io non ve l’ho chiesto.»
«Preferivi essere morta?»
«Sempre meglio che essere viva e sapere che la tua famiglia soffre la tua perdita.»
Phil sorrise. Un sorriso divertito, compiaciuto. Per un secondo, nella mente di Gwen si fece spazio un sorriso timido, nervoso, di chi sorride perché pensa che fare qualunque altra cosa avrebbe portato brutte conseguenze. Una morsa allo stomaco le fece perdere la sicurezza sul volto. Era felice di poter ancora raffigurare il sorriso che l’aveva fatta follemente innamorare. Ma avrebbe non potuto vederlo più dal vivo, a causa di quell’uomo che la guardava divertito.
Perché sorrideva, poi? La cosa cominciava ad essere irritante e Gwen stava per rispondergli per le rime, quando l’uomo parlò: «Benvenuta nello S.H.I.E.L.D., Agente Stacy.»

 

Paths.
L’idea di un crossover con la serie Agents of S.H.I.E.L.D. mi girava in mente da un po’. La mia serie tv preferita mescolata al mio film preferito, il risultato non poteva che essere ottimo! Finalmente ho trovato il tempo di scrivere, anche grazie al pc riavuto. Ovviamente è una Peter/Gwen e lo sarà fino alla fine.
Spero vi piaccia, ovviamente una recensione per sapere cosa ne pensate non fa mai male! Ammetto di non aver riletto, alle dieci di sera sono poco lucida, quindi passatemi gli errori, domani correggerò :3
Buona serata!

  
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