Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Euridice100    04/10/2014    11 recensioni
"Mr. Gold ha tutto.
No, non è vero.
Mr. Gold ha tutto fuorché lei."
( Victorian!AU RumBelle )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Cora, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
 
XX – Castle of glass
 
 
 
 “Take me down to the river bend,
take me down to the fighting end.
 
 
 
- Non hai fame, Regina?
La voce dello zio la riscosse dai suoi pensieri. Fissò il piatto pieno dinanzi a sé e represse un sospirò cincischiando col porridge.
- No, zio, – ammise infine – Non mi va di mangiare.
- Sicura di sentirti bene?
Il tono solerte la costrinse ad alzare il capo.
Come ogni volta, Gold esitò per un istante, ma non distolse lo sguardo dalla bambina, che annuì sforzandosi d’ingoiare la cucchiaiata che aveva portato alle labbra. Sbocconcellò una fetta di pane tostato per sviare l’attenzione, impegnandosi per apparire serena come una Lady doveva sempre essere, secondo gli insegnamenti di Maman.
Il contenuto della tasca destra pesava come piombo: era una zavorra che la ancorava a terra, che dominava la sua mente impedendole quasi di respirare.
Con un simile peso sulla coscienza, fingere tranquillità era impossibile.
- Tu, – proseguì lo zio – Tu ti sei trovata bene in questi giorni?
- Sì, – rispose sincera. Come ogni volta, a Kensington era stata benissimo: anzi, avrebbe potuto affermare di aver trascorso una delle settimane più belle della sua vita, nonostante le mancassero Ronzinante e Daniel.
La ragione della sua ansia era ben diversa, e non avrebbe potuto confessarla tanto facilmente.
- E… Ti piacerebbe trascorrere più tempo qui?
Gold vide Regina spalancare le palpebre, come turbata dalle parole che – già se ne pentiva – aveva appena pronunciato.
Ci aveva pensato a lungo: negli ultimi tempi, quell’idea inizialmente vaga e indefinita era riuscita a soggiogarlo. Solo allora si stava rendendo conto di quanto potesse offrire alla bambina, di quanto affetto, quanto sostegno a lei sconosciuti potesse donarle più concretamente, senza chiedere nulla in cambio. Le aveva sempre voluto bene – come non volerle, considerati anche i suoi sospetti? –, certo; ma per quanto potesse accoglierla in casa e cercare di farla sentire a suo agio, Regina restava sempre un’ospite, e lui questo non l’avrebbe voluto.
Avrebbe voluto che la bambina considerasse Kensington un rifugio – un luogo in cui entrare senza dover chiedere il permesso, senza temere critiche e giudizi; un luogo in cui poter essere se stessi, cui desiderare tornare se lontana.
Una casa.
Aveva già accarezzato l’idea in passato, senza tuttavia tradurla in richieste e atti; e forse, anche sotto quel punto di vista si era rivelato decisivo l’intervento di Belle, l’ardore da lei dimostrato nel difendere la piccola sin dal loro primissimo incontro.
Inutile descrivere la gioia con cui la giovane aveva accolto la proposta: l’aveva condivisa appieno, sottolineandone l’opportunità e ricordando cheentro pochi mesi la loro situazione sarebbe variata, e che sarebbe pertanto stato opportuno che la piccola si abituasse gradualmente alle novità, anziché ritrovarvisi immersa all’improvviso.
Ma poi Regina li aveva scoperti insieme nello studio, e nell’arco di pochi minuti ogni cosa era variata.
Gold conosceva la ragazzina e sapeva quanto facilmente potesse essere persuasa – crescere con Cora non era certo l’ideale per sviluppare un carattere d’acciaio –, ed era ciò che aveva implicitamente provato a fare suggerendole di mantenere il segreto sulla disattenzione della servitù tutta, Belle compresa; ma sapeva anche che, ovviamente, tra lui e l’ex amante era quest’ultima a vincere quando era coinvolta Regina. Lei avrebbe seguito i dettami materni, non i suoi; e se i suoi tristi sospetti circa il ruolo interpretato dalla bambina si fossero rivelati esatti, allora tutto sarebbe stato perduto.
Nell’arco di poche ore Cora avrebbe saputo ogni cosa.
In simile mutato scenario, invitare nuovamente Regina a Kensington sarebbe stata pura follia; o almeno, così pareva a lui, dal momento che qualcuna non si professava d’accordo. Belle aveva sostenuto tenacemente la tesi dell’innocenza della ragazzina, ribadendo che – nonostante l’errore obiettivamente compiuto – incolparla per le azioni altrui sarebbe stato un atteggiamento non diverso da quello della Mills. Gold poteva anche comprendere il suo ragionamento, ma l’ingenuità di cui peccava era un aspetto su cui non poteva soprassedere; alla fine aveva deciso: avrebbe concesso una, una sola possibilità alla bambina. Nel corso delle sue future visite l’avrebbe tenuta sott’occhio e fatto presente alla sua promessa ogni atteggiamento sospetto; e se i suoi dubbi avessero trovato conferma, niente e nessuno avrebbe potuto salvare Cora dalla sua furia.
Neanche Belle.
- Ovviamente non devi sentirti obbligata a rispondere di sì, o a rispondere ora, – si affrettò l’uomo, concentrando la sua attenzione su un’alzatina come se non ne avesse mai vista una– Il mio era un semplice pensiero, sta solo a te decidere.
Lo zio chiedeva sempre la sua opinione, si disse Regina. Non prendeva decisioni in sua vece, non la costringeva a fare qualcosa che l’avrebbe poi fatta star male, come tradire gli amici. Lo zio le voleva bene, la considerava una figlia, come aveva sentito dire una volta dalle domestiche di casa; sarebbe stato bello vivere con lui, con Belle e gli altri: settimane come quella sarebbero divenute realtà, e non un’eccezione a una vita triste.
Ma come avrebbe reagito Maman alla notizia? Le si sarebbe spezzato il cuore, come diceva sempre, e Regina non voleva deludere né lei, né lo zio: per quanto facesse il vago, l’uomo sperava in una risposta affermativa, lo capiva persino lei…
Ancora una volta si ritrovava a carezzare l’oggettino riposto in tasca, aspettando un aiuto che non sarebbe giunto.
Non avrebbe voluto farlo. Qualcosa l’aveva fatta esitare fino all’ultimo, impedendole di riposare durante quella notte che era parsa infinita: si era dibattuta tra i dubbi, tra il giusto e l’ingiusto che mai prima di allora le era parsi tanto netti e tanto difficili da scegliere.
Scegliere, come se avesse avuto una simile facoltà: pur senza riuscire a esprimere il concetto, Regina sapeva – sentiva – che il suo margine di decisione, da sempre esiguo, era stato definitivamente annullato dagli eventi di poche ore prima.
No, lo zio e Belle non stavano parlando di camicie e lavandaie: era piccola, ma non certo stupida, e se pure fino ad allora non aveva avuto sentore di nulla, quella scena le aveva bruscamente aperto gli occhi. Stavano ballando, ma non erano a una festa, né c’era qualcun altro: erano soli, soli, e un’unica ragione poteva spiegare quel comportamento.
Regina aveva sentito parlare poche volte dell’amore. Maman criticava ferocemente chiunque si lasciasse distogliere dai propri intenti in nome di “sciocchezze degne di contadinelle con la testa tra le nuvole”, ma qualche volta aveva sentito le cameriere sospirare trasognate mentre si confidavano circa un loro pari; e, sullo sfondo, c’erano le fiabe che narravano di belle principesse prigioniere e audaci cavalieri pronti a tutto per salvarle e portarle all’altare.
Chi era nel giusto? Regina non se l’era mai chiesto e, pur sforzandosi, non riusciva a attribuire a Belle e allo zio alcun ruolo proprio delle contraddittorie rappresentazioni dell’amore che le tornavano in mente – quasi fossero un caso nuovo, degno di studio tanto appariva complesso; eppure l‘idea che fossero proprio innamorati l’aveva attraversata come un lampo nel momento in cui li aveva scorti insieme, e non l’aveva più abbandonata.
Non poteva averne certezza, ovvio; ma come spiegare altrimenti quegli sguardi, quei gesti tanto lievi quanto intensi, la delicatezza di quel gioco? Come giustificare il senso d’irrisolto, di detto e non detto che pure – come aveva fatto a non accorgersene prima? – dominava ciò che li circondava e che non veniva fugato dal distacco e dalla formalità che pure fingevano dinanzi agli altri, dinanzi a lei?
No, non c’era altra spiegazione.
E in un attimo quei mesi le erano diventati chiari, e con loro il piano materno, la sua rabbia, la missione che le aveva affidato.
Ciò che Belle voleva portar loro via non era una cosa, ma una persona.Maman doveva temere quel che lei per prima si stava ritrovando a temere: che a causa di Belle lo zio si allontanasse da loro, finisse per dimenticare che gli aveva sempre voluto bene e uscisse dalle loro vite.
Maman doveva essere gelosa, eper la prima voltaanche Regina si scopriva esserlo. Cosa sarebbe successo col tempo? Magari quei due se ne sarebbero andati, si sarebbero trasferiti lontano, o forse no, ma comunque avrebbero iniziato a non volerla più con loro, a trascurarla fino a dimenticarla.
In quel momento, mentre stringeva la mano di Belle che la riaccompagnava dal precettore, Regina ebbe la sua prima cognizione dell’odio. Sì: odiava lo zio che aveva tradito lei e sua madre, odiava la casa così diversa da quella di un tempo, odiava il mondo che si accaniva sempre contro di lei, portandole via quanto aveva di più caro.
Odiava ogni cosa, ogni persona; ma più di tutto odiava Belle, quella falsa intrigante – solo ora capiva il senso delle parole udite! – che andava eliminata. Maman aveva chiesto prove? Le avrebbe ottenute: quell’anello così bello tutto pareva meno che il ricordo di un genitore, su quello anche Regina ci avrebbe giurato: se la famiglia di Belle avesse potuto permettersi qualcosa di simile, certo lei non avrebbe mai dovuto lavorare, tanto più come cameriera – e l’esitazione mostrata non era stata che un’indiretta, ulteriore conferma.
E se anche si fosse sbagliata e il prezioso fosse realmente stato un’eredità, la Contessa non avrebbe comunque più potuto avere dubbi sulla lealtà della figlia: quel tentativo magari maldestro le avrebbe dimostrato chi lottava al suo fianco e con chi avrebbe riavuto ciò che spettava alle Mills.
Ma poi, al calore della rabbia, alla ragione ottenebrata dalla gelosia, si erano sostituitigli interrogativi della meditazione. Perché quanto univa gli oggetti del suo rancore non doveva essere un sentimento neonato, dal momento che sua madre la usava come spia da ottobre; e in quel periodo l’atteggiamento degli imputati era rimasto immutato: la ospitavano volentieri, si mostravano entrambi comprensivi e indulgenti, e nulla lasciava presagire un possibile, repentino mutamento.
Erano aspetti su cui non si poteva soprassedere: magari sì, lo zio e Belle erano innamorati e si sarebbero anche sposati –era possibile sposarsi tra serva e padrone?  E in tal caso, cosa sarebbe diventata Belle per lei, zia? –, ma i suoi timori si sarebbero rivelati infondati, e anche Maman l’avrebbe capito… E a proposito di Maman: come riferirle quelle ottimisticheprevisioni? Non ribadiva che di prestar attenzione a ogni segnale, di tenere gli occhi ben aperti e di non lasciarsi ingannare, di non tradirla…
Scegliere di sperare, di concedereuna possibilità alla nuova coppia non equivaleva forse a un tradimento?
Lo zio e Belle da una parte, sua madre dall’altra; e lei al centro per l’ennesima volta, tirata e sbatacchiata, lasciata senza tregua quando avrebbe desiderato solo la pace.
Nel suo cuore c’era spazio per tutti e tre, ma nella sua vita il posto doveva essere esclusivo; e la scelta spettava a lei.
Una scelta dalla quale – lo sapeva – non sarebbe mai più tornata indietro.
Era per questo che l’aveva fatto. Aveva inghiottito il senso di colpa, finto di non avvertire quella pressione tra il petto e lo stomaco e si era avventurata per i corridoi della villa quella stessa mattina. La giornata dei domestici iniziava alle cinque, e le primissime ore erano le più frenetiche: con un po’ di attenzione, nessuno l’avrebbe vista sgattaiolare all’ultimo piano e scivolare nella stanza di Belle, le cui pareti erano parse restringersi ulteriormente attorno a lei, mute accusatricidel gesto che stava per compiere.
Non sapeva dove fosse l’anello: la domestica l’aveva riaccompagnata a lezione prima di riporlo, e alcune rapide occhiate attorno a sé avevano dimostrato che la ragazza doveva averlo custodito in un cassetto, anziché lasciarlo in vista. Questo complicava le cose: il tempo stringeva e farsi cogliere con le mani nel sacco avrebbe scatenato il finimondo. Doveva iniziare a frugare con più accuratezza, e quel che era peggio, non doveva lasciar nulla in disordine per non essere scoperta.
Le veniva da piangere.
Aveva aperto il primo cassetto del comodino di fianco al letto e, per una volta, la fortuna si eramostrata dalla sua: l’attenzione le era caduta subito su un piccolo cofanetto di velluto molto somigliante ai tanti di proprietà di sua madre. Regina lo aveva aperto piano, pregando di trovare nulla e al tempo stesso tutto; ma era stata la seconda invocazione a trovar seguito: stringeva tra le mani lo scrigno di quanto cercava.
Aveva fissato l’anello per un lungo istante, incantata dai riflessi opalescenti della pietra incastonata; ma un rumore improvviso l’aveva ridestata, riportandola alla realtà. Aveva afferrato il monile con dita rapaci, riposto la scatolina ed era corsa verso la sua camera, affidando a se stessa il compito più difficile: non pensare.
Lo hai fatto per Maman. Le vuoi bene, anche lei te ne vuole, chi si ama si aiuta.
Lei saprà spiegarti.
Ma quanto le era appena stato proposto cambiava tutto. La parte di lei che, nonostante le esili rassicurazioni, era certa che quella sarebbe stata la sua ultima visita a Kensington fu costretta a ricredersi: lo zio non solo non si era pentito di averla ospitata per tanti giorni, ma addirittura la voleva ancora con sé, a prescindere da qualunque legame ci fosse tra lui e la sua dipendente!
Non poté fare a meno di chiedersi se lei e la Contessa non avessero sbagliato l’intero ragionamento e stessero perpetrando del male a due innocenti. In tal caso, lei non se lo sarebbe mai potuta perdonare.
In tal caso, il peso dell’anello sarebbe stato nulla rispetto a quello sulla coscienza…
Ma lo zio esigeva una risposta alla sua domanda quanto prima; rimanere in silenzio avrebbe solo destato preoccupazione.
- Io…, – esordì, ma venne interrotta dall’ingresso di Archie: la carrozza della contessa Mills la stava aspettando.
La posata che le scivolò di mano colpì le porcellane, producendo un rumore che attirò gli sguardi dei presenti facendole temere d’aver rotto qualcosa.
- Scusate, – pigolò, incapace di ricambiare le occhiate che le venivano rivolte.
- Di già? – l’attenzione dello zio era stata catturata dal maggiordomo – Pensavo le concedesse almeno il tempo di mangiare, dopo essersene scordata per una settimana.
L’altro alzò impercettibilmente le spalle in segno d’assenso.
- Riferisco di tornare più tardi?
- No, – Regina non seppe mai spiegarsi dove avesse trovato il coraggio per alzare la voce e, soprattutto, cosa in lei avesse scelto quell’alternativa – Ho mangiato a sufficienza, zio, non c’è bisogno di far attendere Maman. La seguirò subito. Solo… – aggiunse timida e speranzosa, sentendo il pugnale del rimorso penetrare ancor di più nel cuore – Mi piacerebbe salutare Belle.
Gold trasalì udendo la richiesta, ma non di sospetto o di rabbia, quanto di pentimento.
- Belle è uscita, – fu costretto a confessare – È a Covent Garden, ma dovrebbe essere di ritorno a breve. Vorresti aspettarla?
Regina scosse il capo celando la delusione. E così, anche l’ultima possibilità di restituirle il maltolto e metterla in guardia si perdeva come neve al sole, lasciando dietro di sé solo un’irriconoscibile pozza d’acqua sporca e grigiastra.
Una pozza d’acqua sporca in cui annegava, trascinata sul fondo da interrogativi troppo grandi per i suoi dieci anni, troppo oscuri per la sua innocenza.
Una pozza che ormai era la sua vita.
Quando montò in carrozza, gelidi occhi di pece la inchiodarono al suo destino.
- Buongiorno, Maman.
 
 
 
Wash the poison
from off my skin,
show me
how to be whole again.”
 
 
 
- Che fine hai fatto? – l’apostrofò brusco Robert non appena Belle mise piede nello studio – Sei stata fuori un’intera mattinata!
- Hai ragione, –la ragazza sfilò rapida per la stanza e gli si avvicinò – Ma al mercato le file erano interminabili, e poi ho deciso di approfittarne per passare dall’amica che mi ha ospitato prima di Natale, Tink. Te ne ho parlato, ricordi?
- La pecora nera dei Barrie, – commentò lui socchiudendo le palpebre.
- Io la definirei piuttosto una persona in gamba, – replicò storcendo la bocca in segno di disaccordo – Quante persone di buona famiglia sarebbero disposte a lasciare tutto per mettersi a servizio degli ultimi? Sta svolgendo un ottimo lavoro, dovresti proprio vederla.
- Mi fido del tuo parere. Ma, – continuò senza rilassarsi – Se l’hai vista significa che sei stata a CanaryWharf...
Belle arrossì appena.
- A dire il vero, non vive più lì. La sua associazione ha avuto delle difficoltà col proprietario del caseggiato che ospitava l’orfanotrofio ed è statacacciata, come mi ha recentemente scritto. Ora opera a Whitechapel.
- E tu sei andata a Whitechapel.
- Sì.
- Da sola.
Il tono pungente dell’affermazione la indispettì non poco.
- Esattamente. Ci sono andata da sola, ci sono tornata da sola, e come puoi vedere sono ancora in piedi e in salute.
- La tua fortuna non smette di stupirmi, Sweetheart.
- Non è fortuna, è intelligenza, – replicò a denti stretti per non perdere la calma – Ho vissuto in posti simili quando dovevo contare solo su me stessa, e ce l’ho fatta. Non ho bisogno di uno chaperon che mi segua passo passo, lo sai.
- Questo non mi impedisce di non temere per te. E se ti avessero aggredita?
- Il rischio sarebbe maggiore se mi recassi nella civilissima Belgravia, ma questo non mi sembra un buon motivo per negarmi la libertà, – replicò fiera, la fronte corrucciata in una smorfia di – Gold non poté fare a meno di notare – adorabile rabbia.
Sospirò. Quella ragazza sapeva sempre come averla vinta, in un modo o nell’altro. O forse era lui che le avrebbe consegnato il mondo nel palmo di una mano se solo gliel’avesse chiesto. L’avrebbe incoronata regina dell’universo, adornata dei diamanti più splendenti, di perle dai riflessi di luna e da rubini di fuoco; l’avrebbe vestita d’oro e le avrebbe cinto il capo di acquemarine – anche se nulla, nulla avrebbe mai potuto eguagliare la purezza dei suoi occhi.
Doveva aver fiducia in lei e nel loro amore, come gli ripeteva sempre; lasciarla libera di condurre la sua vita, di prendere le sue decisioni giorno dopo giorno, com’era abituata a fare. Belle non era un fiore delicato da proteggere, una camelia che rischiava la morte al primo gelo, no; l’avrebbe paragonata piuttosto all’erica che cresceva forte e rigogliosa e sapeva resistere alle intemperie nonostante l’aspetto minuto e fragile,manifestando sempre la sua presenza e mutando l’aspetto dei prati su cui attecchiva, rendendoli vivi nonostante tutto.
- Belle, – esordì piano, poggiando le mani sulle sue – Non voglio tenerti in gabbia, te lo ripeterò sempre. Io ho semplicemente paura che ti accada qualcosa. Se ti facessero del male, io non potrei sopportarlo.
- Ma non sono un’incosciente, lo sai. Ho sempre fatto attenzione, e ne farò ancora di più se la cosa può in qualche modo tranquillizzarti; ma sai anche che per essere felice devo pur far qualcosa, tenermi occupata. Sapere di avere uno scopo al mondo, insomma. E andare qualche volta da Tink e aiutarla me lo dà, – si levò sulle punte per posargli un bacio sulle labbra, un contatto che lui avrebbe voluto durasse di più, si rivelasse più intenso.
Non sei un’incosciente.
Non era nella posizione di pretendere, in quel momento.
Ma allora, perché ti fidi di me?
- Vado da Regina, – riprese raddolcita – È il suo ultimo giorno qui, e non l’ho nemmeno aiutata io stamani.
- Se n’è andata, – si crucciò l’uomo – Cora è venuta a prenderla prima di quanto immaginassimo, senza neanche permetterle di finire la colazione. La bambina ti ha cercata per salutarti.
Sul volto della giovane comparve una smorfia triste.
- Mi dispiace non esserci stata. Dopo tanti giorni assieme, sarà rimasta male…
- Ci saranno altre occasioni, Sweetheart, – le rivelò senza nascondere soddisfazione – Alla fine le ho chiesto se vuole fermarsi un po’ da noi.
- E cos’ha risposto?
- Tecnicamente non ha fatto in tempo a rispondere, ma la sua espressione è stata chiara.
- Sì! – Belle esultò gettandogli le braccia al collo – Oh, Robert, non immagini quanto sia felice! – gli rise all’orecchio.
- Frena l’entusiasmo, Darling, devo parlare con Cora e sta’ pure certa che non la lascerà venire tanto facilmente. E poi, – le carezzò la schiena, incerto della reazione – Se accettasse, ciò implicherebbe avere maggiori contatti con lei…
- Non m’interessa, – scosse il capo decisa – Potrei incontrarla anche ogni giorno, non mi fa paura. Non può farci niente. Niente. Voglio dire, – continuò ridendo – Cosa deve temere chi ha un amore come il nostro? Sconfiggeremmo i demoni dell’Inferno, se solo osassero attaccarci.
L’abbracciò tanto forte da strapparle un lieve ansito di sorpresa, ma non esitò nel ricambiare la stretta.
- Belle French, sei una pazza scatenata, – le mormorò baciandola piano.
- È anche per questo che mi ami, – rispose– Perché sono una pazza scatenata e cocciuta. Ora però vado, prima che anche gli altri mi prendano per dispersa!
 
 
 
“Fly me up on a silver wing,
past the black

where the sirens sing.”
 
 
 
Belle salì rapida in camera per riporre il mantello prima d’iniziare a lavorare. Le dispiaceva aver perso l’occasione per salutare Regina, ma non dubitava che l’avrebbe rivista presto: Gold avrebbe persuaso la Contessa, ne era certa. La bambina meritava di vivere in un ambiente in cui poter esprimersi e crescere protetta da influenze negative che le avrebbero impedito di sviluppare appieno le sue capacità.
Meritava di vivere in un ambiente in cui c’era amore.
Sebbene l’ansia di Robert la facesse innervosire, non poteva non dichiararsi, sotto un certo punto di vista, lusingata: da quando la situazione economica del padre era peggiorata inesorabilmente, Belle aveva dovuto dire addio ai capricci dell’infanzia e imparare a cavarsela da sola. Ciò era stato senza dubbio un bene, era la prima a sostenerlo, ma sapere che qualcuno si preoccupava per lei l’agitava e inorgogliva a un tempo, senza capire quale emozione prendesse il sopravvento. Sotto un certo punto di vista, si disse, era normale: malgrado tutto, la strada che avevano percorso assieme era nulla rispetto a quella che ancora li attendeva, e solo il tempo avrebbe smussato le spigolosità dei rispettivi caratteri migliorandoli.
Ripensò a Tink: vederla le aveva fatto bene. Sotto un certo punto di vista, lei era l’unica – eccetto Mary Margaret – cui confidare quando stessevivendo. Mentre l’aiutava a riorganizzare l’orfanotrofio, ridendo con una coetanea come non le capitava da molto, le aveva raccontato ciò che per lettera aveva potuto solo accennarle: la bionda le aveva fatto le sue congratulazioni, ma non aveva lesinato moniti, perché – quelle parole iniziavano a nausearla, tanto spesso le erano state ripetute – la sua era una situazione precaria e non aveva mezzi per difendersi.
- Almeno non è successo nulla di irreparabile, – aveva dichiarato, salvo poi bloccarsi dinanzi al rossore di Belle – No. Non dirmi anche questo, per favore. Pazza sconsiderata, non dirmi che avete anche… – La frase era stata interrotta dal provvidenziale arrivo del piccolo Henry, ma per tutto il restante tempo la volontaria aveva lanciato occhiate preoccupate alla giovane e, prima che andasse, l’aveva salutata con l’ennesima raccomandazione: – Non ti ha mandata via, anzi, ha promesso di sposarti, ma per l’amor di Dio non abbassare la guardia. Ovviamente spero che tutto vada per il meglio, – aveva concluso – Ma non farti accecare dalla passione, davvero. Lo dico per te. E se ti fa soffrire, dimmelo e gli sguinzaglio contro Peter.
Belle sapeva che Tink era nel giusto, e che se fosse stata al suo posto probabilmente avrebbe dato i medesimi consigli; ma lei non era al suo posto.
Era dall’altro lato della barricata per l’ennesima volta, e per l’ennesima volta era depositaria di segreti inimmaginabili.
Se, appena giunta a Kensington, qualcuno le avesse predetto una storia d’amore con Gold, avrebbe pensato di star parlando con un folle: lei, con quel cinico misantropo che le aveva stravolto la vita?
Mai!
Era stato il tempo a dimostrarle di aver sbagliato, a insegnarle come la prima impressione non fosse sempre corretta e come sotto il velo sporco della realtà potessero nascondersi verità incommensurabili.
Potesse nascondersi l’amore.
Era come la pepita d’oro in una terra brulla: invisibile, quasi inaccessibile, si mostra solo ai cercatori pazienti, che con tenacia setacciano senza farsi arrestare dalle prime difficoltà, finendo per essere ricompensati col cuore prezioso della terra.
Ma niente era paragonabile a ciò che lei aveva trovato, al tesoro che aveva scoperto andando oltre la sottile armatura della pelle, giungendo al cuore.
Quasi sovrappensiero, le mani le corsero al cassetto del comodino, per ammirare ancora una volta quella banda preziosa che le aveva consegnato con gli occhi lucidi.
Aprì il cofanetto e il sorriso le morì sulle labbra.
L’anello non c’era.
 
 
 
“Warm me up
in the novice glow,
and drop me down

to the dream below.
 
 
 
Aveva voglia di piangere. L’unico suo desiderio in quel momento era prendere a calci qualunque cosa incontrasse sul suo cammino, prendersi a schiaffi per la propria idiozia e lasciar correre lacrime tanto furiose quanto liberatorie – se mai un semplice pianto potesse affrancarla da un simile peso.
L’istante in cui lo stupore e il panico le avevano annebbiato la vista e respirare era diventato difficile le si ripresentava all’infinito: era rimasta lì, a fissare la scatoletta vuota per lunghi istanti prima di ridestarsi dall’incubo a occhi aperti e cercare di diradare il caos che si era impadronito della sua testa.
L’anello non era dove l’aveva riposto quella mattina: era sicura di averlo conservato a dovere? Sebbene lo fosse, aveva messo a soqquadro il mobiletto nella vana speranza che l’astuccio mal chiuso avesse lasciato scivolare fuori il contenuto. Il modo in cui la mente sa illudersi quando non vuole accettare la realtà è sorprendente, e Belle ne stava avendo un primo, sgradito assaggio.
Era rimasta lì, seduta sul letto e con la testa tra le mani: non poteva aver perso il suo anello di fidanzamento, no! Non poteva essere stata talmente distratta, era qualcosa di inaccettabile persino per lei! Come avrebbe detto a Robert? “Scusa, ricordi l’anello che mi hai regalato? Sai, non lo trovo più, spero non ti dispiaccia!
Proprio quando le cose stavano andando bene!
Aveva cercato di respirare a fondo per calmarsi e dedicarsi alla ricerca senza apprensioni che non l’avrebbero certo aiutata; ma niente da fare: l’anello sembrava essersi volatilizzato, essere stato inghiottito da quella stanza così piccola, eppure tanto vorace.
Che fosse uscita col gioiello al dito e l’avesse perso al mercato o, più probabilmente, che gliel’avessero rubato lì? I quartieri che aveva visitato erano tutto fuorché sicuri, e non era difficile distrarre una persona per sottrarle qualcosa; ma lei ricordava benissimo di averlo tolto prima di uscire! Eppure, nessuno pareva essere entrato in camera… Dubitare della sua nuova famiglia le dava il voltastomaco, ma a un certo punto non doveva escludere alcuna eventualità.
Tuttavia, a pensarci bene, nessuno sapeva dell’anello: come gliel’avrebbero mai potuto sottrarre? Erano in pochissimi a esserne al corrente: lei, Robert e…
Le si era mozzato il fiato in gola, mentre l’ansia della realizzazione le premeva sul petto.
Un’altra persona sapeva dell’anello, una persona che non avrebbe mai dovuto scoprirlo in quel modo e che pure da meno di ventiquattro ore ne era a conoscenza. Una persona insospettabile e, anche per questo, pericolosissima.
Regina.
L’idea che fosse stata lei a prendere l’anello l’aveva colpita come un pugno allo stomaco, mentre il sapore amaro del disgusto le si riversava in bocca. No, non poteva essere: quando era entrata in camera? Non conosceva la collocazione esatta del gioiello, e per quanto potesse star attenta, era pur sempre una bambina, doveva aver seminato almeno un errore… E poi, perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
Quest’ultima domanda, purtroppo, aveva una risposta che Belle poteva solo fingere di ignorare.
I moniti di Robert le erano cadutiaddosso con la violenza di una grandinata estiva: e se l’uomo avesse avuto ragione sin dall’inizio? Cora non aveva dimostrato scrupoli nell’ingannarla durante i preparativi per la festa a dicembre, forse non aveva esitato a usare la propria stessa figlia… Se Regina avesse agito come spia, se avesse studiato ogni sua mossa per riferirla alla rivale?
Dubitare di una bambina era un gesto assai poco nobile, ne era ben conscia; tuttavia, quel pensiero non le dava tregua.
Se ci fosse stata anche solo una minima parte di verità, allora lei e Gold si sarebbero presto trovati a fronteggiare a viso apertola Mills: nel momento stesso in cui l’anello fosse giunto nelle sue mani, la nobildonna avrebbe capito ogni cosa e non avrebbe esitato a vendicarsi.
Regina, aveva ripensato Belle, sentendosi gli occhi pungerle. Non poteva essere: si era fidata di lei, le aveva voluto bene dall’istante stesso in cui l’aveva vista, fatto di tutto pertutelarla dalle angherie materne, e ora non poteva escludere di essere stata pugnalata alle spalle proprio da lei. Alla giovane pareva ancora impossibile: se solo avesse potuto, si sarebbe volentieri strappata quel sospetto dalla mente, allontanandolo da sé nei modi più bruschi. Aveva confidato, ancora confidava nella lealtà del cuore scevro di disincanti della ragazzina; eppure, quell’eventualità non le concedeva tregua alcuna…
Cresci, Belle. Questo non è il mondo delle fiabe, non esistono buoni o cattivi.
Le cose non sono mai nette e non tutti sono forti, non tutti sanno resistere.
Non chi è fragile come lei.
Doveva parlarne a Robert quanto prima; ma magari, aveva cercato di rincuorarsi ancora, i suoi erano sciocchi sospetti frutto di suggestione e l’anello si trovava lì. In tal caso sarebbe rispuntato, a costo di mettere sottosopra la camera – cosa che, a dirla tutta, era tentata di fare all’istante; ma altri ritardi avrebbero ingenerato nuovi sospetti…
Uscì dalla stanza a malincuore, gettando un’ultima occhiata nella vana speranza di cogliere un luccichio turchese o dorato; rassegnata, si rimise in cammino meditabonda, finendo per sbattere contro qualcuno.
-E sta’ un po’ attenta! – il tono seccato che udì la sorprese relativamente; sperò solo che Emma non avesse intenzione di sfruttare il pretesto per l’ennesimo litigio, perché al momento discutere era l’ultimo dei suoi desideri.
- Non ti ho vista, – cercò di far suonare la propria voce incolore, limitandosi ad alzare appena le spalle; rimase di stucco nel constatare che la bionda la stava fissando con un cipiglio sì severo, ma non disgustato come quello che le riservava ormai da tempo.
- Cos’hai?
Strabuzzò gli occhi alla domanda: come aveva fatto ad intuire? Che fosse davvero un libro aperto, come Robert la prendeva in giro, che tutti potessero leggere senza difficoltà ciò che le passava per la testa?
- Niente, – mentì – Va tutto bene.
- Sicura? Guarda che io capisco quando la gente dice bugie. Ho una sorta di potere, come dice mia madre.
Un potere a tempo determinato, commentò amara, visto che a Greg e a Tamara hai creduto subito e a me no.
Ma non era certo il caso di esprimere ad alta voce il pensiero e rovinare la loro prima conversazione a suo modo civile dopo tanto tempo.
- Certo che sappiamo essere crudeli con noi stesse, eh? Scegliamo sempre i peggiori… Avanti, che ha combinato il Coccodrillo?
- Lui non c’entra, non c’entra assolutamente,– sorrise stancamente sentendo ripetere il vecchio soprannome affibbiato a Gold – E comunque, Emma, l’amore non si sceglie. Se così fosse, avremmo tutti un’anima gemella ritagliata a nostro piacimento. Sarebbe più semplice, sì, ma anche un po’ noioso, non trovi?
L’interlocutrice alzò un angolo della bocca in una smorfia perplessa.
- Sarà, ma a me sembra solo una gran fregatura. Non ho intenzione di rimbambirmi dietro nessuno.
- Ma a volte vale la pena perdere la testa, sai? Non si può avere il controllo di ogni cosa, e rinunciare a qualcosa che può essere bellissimo per paura non è poi tanto intelligente, – osservò, memore del discorso di Mary Margaret sulla figlia.
Emma parve riflettere prima di rispondere.
- Non ne ho idea, – ammise con un mezzo sospiro – Kill… Qualcuno, – si corresse in fretta, ma già troppo tardi perché il riferimento rimanesse un mistero – Me l’ha detto, ma io non lo so.
Belle annuì.
- Sono cose che si capiscono lentamente, – fu l’unico commento che le parve opportuno.
Piombarono in un silenzio rotto solo da passettini e rumori attutiti in lontananza.
- Emma… – riprese infine, dando voce al dubbio sottile causato dalla strana piega assunta dalla conversazione – Perché hai ricominciato a parlarmi?
- Non credevo che ti infastidisse, – non diede alla collega il tempo di riaprir bocca, limitandosi a uno sguardo ironico – Se fosse stato solo per… Peraltro, non saresti più qui. E Ariel non avrebbe mai voluto vederci così.
- Già, – Belle concordò triste – Ariel non avrebbe mai voluto molte cose.
Entrambe si persero nel ricordo dell’amica perduta e del breve, meraviglioso periodo condiviso.
Conta più la qualità che la quantità del tempo trascorso con un caro, vero, ma certi distacchi, certe separazioni nettissime e irreversibili bruciano per sempre; e con loro, brucia il semplice pensiero del come sarebbero andate le cose se quella persona non se ne fosse andata, o avesse almeno dato un’avvisaglia del suo addio, per permettere al mondo di prepararsi a un distacco che comunque nulla avrebbe mai potuto far accettare.
Chissà cosa avresti detto tu di questa situazione.
Avresti intuito tutto ancora una volta, o anche tu saresti stata ingannata?
Tutte domande senza risposta.
Fu la bionda a riaversi per prima. Sospirò rialzando il capo e dedicò un’ultima, assorta occhiata alla collega più grande prima di mormorare un: – Andiamo? – che a Belle suonò più sincero di ogni altra richiesta di perdono.
 
 
 
Bring me home
in a blinding dream
through the secrets
that I have seen.
 
 
 
Si maledisse ancora una volta, pur sapendo che ciò non avrebbe cambiato le cose.
Aveva cercato ovunque, ma senza alcun risultato: l’anello era perduto,nella peggiore delle ipotesi – che, inutile negarlo, appariva la più probabile – rubato, quell’ idea non le dava tregua e doveva dirlo a Robert.
Non sapeva come fare; né sapeva come avrebbe reagito l’uomo, se avesse sospirato e chiuso la questione con un laconico “Te l’avevo detto” o se si fosse arrabbiato per non essere stato creduto in una situazione in cui tutto depositava a favore delle sue supposizioni.
Di sicuro non avrebbe fatto i salti di gioia.
Dio, per quale motivo era stata tanto stupida da non dargli retta? Le aveva ripetuto fino allo spasimo di non fidarsi di Cora, di non lasciarsi intenerire da Regina e di mostrarsi più distante! Tutti avvertimenti che fino a poche ore prima le erano sembrati privi di fondamento,e che ora rifulgevano beffardi nella sua mente. Il danno era fatto, tornare indietro impossibile: si poteva solo guardare oltre e prepararsi a una nuova battaglia. Riflettendo, forse neanche Regina aveva colpe: le probabilità che fosse stata plagiata dalla madre, costretta a gesti inspiegabili per la sua mente di bimba, erano elevatissime. Era una vittima anche lei, di questo Belle non dubitava.
Eppure, quel tradimento, quegli inganni bruciavano come fuoco.
Sempre se fosse stata Regina la colpevole, ovviamente.
Dopo cena, in attesa che Robert tornasse a casa, si era rifugiata in biblioteca: il tempo in compagnia dei libri era balsamo per la sua anima, e non dubitava che trascorrere qualche minuto tra le pagine di un romanzo le avrebbe giovato, permettendole di schiarirsi le idee. Ma le righe le si confondevano dinanzi agli occhi, e la mente ottenebrata da foschi pensieri rendeva impossibile distrarsi con vicende di fantasia…
- Ecco perché le luci qui sono ancora accese! Avrei dovuto immaginare ci fosse il tuo zampino…La solita Belle!
Sobbalzò sentendosi chiamare. Si voltò di scattò, le mani ancora strette attorno al volume; ma si rilassò appena vide l’ultimo arrivato. Rispose al saluto di Killian con un sorriso ben poco allegro, nella speranza che l’uomo non lo notasse; speranza vana, perché il giovane corrugò la fronte, afferrò una sedia e le si sedette vicino.
- Che faccia, love! È successo qualcosa?
- No… Non ancora, almeno… – non poteva certo confessare il motivo della sua tristezza, ma fingere serenità in quel frangente era un’impresa destinata a fallire; tanto valeva non mentire più del dovuto.
- Devo andare a picchiarlo? – chiese con una tale, inedita serietà che Belle non poté trattenere il fantasma di una risata – Non sto scherzando, – continuò imperterrito – Se ti ha torto un capello, lo rispedisco in Scozia a calci in…
- Oh, Killian, – sospirò – Nessuno ha fatto male a nessuno, e anche se fosse saprei difendermi da sola. E soprattutto, – puntualizzò severa – Non c’è bisogno di rispedire nessuno in Scozia. Nessuno.
Fu lui a sghignazzare quella volta.
- Mio Dio, Belle, – riprese dopo essersi calmato – Sei una pessima bugiarda! Dovrebbe darti ripetizioni in merito, ne hai davvero bisogno!
- Nessuno deve darmi ripetizioni di niente, – la cameriera stava iniziando a innervosirsi. A volte, nella sua baldanza Killian si rivelava incredibilmente irritante, e – quel che era peggio – non sembrava rendersene conto – Perché non c’è niente. Niente.
- Va bene, va bene, va bene! – il valletto alzò le mani in segno di resa, ma l’espressione sul viso la diceva lunga circa le sue reali convinzioni – Se dici che non c’è niente ti credo, non c’è niente. Però, anche se – e dico se, eh! – ci fosse qualcosa, ricorda che io sono stato tra i pochi a non voltarti le spalle dopo quelle voci. Non ti avrò difesa a spada tratta, vero, ma capiscimi, ero tra due fuochi e se mi fossi schierato apertamente ora non sarei qui a raccontartelo, ma sai perché ho continuato a rivolgerti parola? – s’interruppe e la guardò dritta negli occhi prima di proseguire – Perché mi fido di te. Non so cosa stia – o non stia, – si corresse in fretta – Succedendo tra te e Gold, ma conosco te, e so che hai rispetto per te stessa. Non sei una che si svende perciò, se c’è del vero in quei pettegolezzi, non è per la ragione che si può immaginare.
Belle si torturò il labbro inferiore tra pollice e indice. Il discorso di Killian l’aveva colpita: in effetti, l’uomo non le aveva mai esplicitamente né criticata, né difesa, mantenendo un atteggiamento ambiguo sul quale non si era interrogata a fondo. Aveva concentrato la sua attenzioni su quanti manifestavano apertamente il loro disprezzo o il loro favore, lasciando nella zona d’ombra le situazioni incerte; ma la riflessione appena rivoltale non poteva che farla tornare sulle proprie posizioni. Il legame col valletto era fatto di scherzi e risate, più che di confidenze e segreti: le serate un tempo trascorse in cucina erano state dominate da una festosa allegria, che però non gli aveva impedito di comprenderla più a fondo di quanto avessero fatto altri dipendenti con cui aveva condiviso confronti magari più impegnati.
Quelle semplici parole la rincuorarono, impresa quasi sovrumana stante il contesto.
- Dimmi solo una cosa, – le domandò all’improvviso, grattando il pannello di cuoio che rivestiva la scrivania – In questi giorni Emma è venuta da te?
- Emma? – gli fece eco stupita – Oggi abbiamo parlato per qualche minuto… Perché?
Sul volto dell’uomo apparve una smorfia soddisfatta.
- Finalmente, – commentò con un ghigno – Per una buona volta ha seguito un consiglio.
- Sei stato tu a costringerla?
- Love, – sbuffò divertito – Se Emma si lasciasse costringere a fare o non fare qualcosa, non sarebbe Emma, e io mi preoccuperei parecchio. Perciò, no – non l’ho costretta. Le ho solo spiegato che non sei una sprovveduta, né scendi a compromessi, e che pertanto certi suoi atteggiamenti sono insensati.
- L’hai aiutata a ragionare, – commentò Belle facendo scorrere le dita sul dorso del tomo.
- Se vogliamo metterla in questi termini…
Aveva immaginato che la scelta della piccola di casa non fosse stata del tutto autonoma: come qualsiasi persona che ancora si affaccia alla vita, che la vuole affrontare mordendola, appropriandosi di ogni istante fino a consumarlo, Emma era troppo cocciuta, troppo convinta delle proprie posizioni per ritrattarle o almeno ripensarle senza che qualcun altro l’accompagnasse nel processo; tuttavia, Belle non dubitava della bontà del suo pentimento. Le poche parole che avevano scambiato le erano parse sincere, frutto di una riflessione sofferta di cui Killian poteva essere stato solo ispiratore, non di certo fautore; era stata Emma a decidere, e non il giovane che le aveva appena spiegato la situazione, di questo non aveva dubbi.
- Piuttosto, – riprese il bruno, guardandola grave – Dimmi la verità: cosa stai combinando?
La ragazza rimase sorpresa dall’inaspettato cambiamento di tono del collega.
- In che senso, scusa?
- Nel senso che un conto è non giudicarti, un altro non preoccuparmi per te, – prese un profondo respiro prima di andare avanti – Sono tuo amico e ti voglio bene, e per questo la situazione sta iniziando a impensierirmi: capirei se fossero solo schermaglie, ma le cose stanno diversamente, si vede… E tu devi stare attenta.
Belle sospirò sentendo gli occhi azzurri del servitore piantati addosso, ma non distolse lo sguardo, anzi: lo ricambiò con fermezza.
- Lo so, – esordì dolcemente – Ma non è come sembra. Potrebbe sembrare un cliché da feuilleton, l’uomo adulto e potente che insidia la giovane ingenua, ma non è così. Lui… – come tutti gli altri, l’amico innegabilmente sapeva. Negare a oltranza sarebbe stato solo controproducente, e a maggio la verità sarebbe comunque emersa; continuare a fingere un rapporto esclusivamente lavorativo, oramai, non avrebbe neanche più salvato le apparenze. L’unica cosa da fare era lasciar intendere senza dire e riporre fede nella discrezione dell’uomo: Killian poteva sembrare vanesio ed egocentrico, ma in più occasioni – anche proprio nei suoi confronti, come a dicembre – aveva dimostrato una lealtà e una correttezza encomiabili. Sentiva so poter fidarsi di lui, nella speranza di non star compiendo l’ennesimo tragico sbaglio – Lui non è come sembra. Ero la prima a considerarlo una bestia insensibile, ma quando l’ho conosciuto meglio ho scoperto che interpreta un ruolo. Nasconde una personalità complessa, contraddittoria, a tratti anche insopportabile, te lo concedo, ma non cattiva. Lo capisci da te, – tagliò corto – Me ne sono innamorata. E non ho saputo, né voluto resistere a questo. E per lui vale lo stesso, sai? Anzi, è lui ad avere più paura. Anche se non sempre lo dice, io so che non ha idea di come comportarsi, teme che possa andarmene da un momento all’altro… Ma non accadrà. Non c’è stato un colpo di fulmine: ci siamo innamorati lentamente, conoscendoci col tempo, e quando ciò che ci lega si è manifestato non è stato possibile lottare. Farlo ci avrebbe uccisi dentro.
L’uomo l’ascoltava attento.
- Certo che ci sai fare con le parole, eh? – ridacchiò per un istante – Seriamente, Belle: sono felice di vederti così – su di lui non mi esprimo, far arrabbiare una donna cotta a puntino in una biblioteca piena di libroni pesanti non è certo nei miei piani –, ma cerca di ragionare: ti sei mai chiesta cosa possa offrirti lui? Dove ti porterà questa storia?
- Dove ci porterà questa storia, – precisò senza esitazioni – Non lo sappiamo. Non sappiamo cosa succederà domani o dopodomani, se saremo in grado di vincere le sfide che ci attendono, se avremo un lieto fine – il pensiero dell’anello e delle sue implicazioni le offuscò lo sguardo per un istante – Ma possiamo offrirci comprensione. Possiamo offrirci sostegno, possiamo sostenerci a vicenda e lottare dallo stesso lato della barricata senza arrenderci. In una parola, possiamo offrirci amore.
Killian alzò le spalle poco convinto.
- Sarà, – borbottò – Ma resto del parere che sia una mezza follia. Non sarebbe meglio un irlandese giovane e forte, che sarebbe lietissimo di invecchiare al tuo fianco?
- La provenienza è chiaramente casuale…
- Devo pur far propaganda ai miei conterranei!– si unì alla risata dell’amica – Scherzi a parte, mio fratello Liam sbarca tra un mese. È un bel ragazzo, gran lavoratore, molto più serio e posato di me, un uomo da sposare, garantisco. Nel caso fossi interessata… Sarei lieto di averti come cognata, Milady.
- Ti ringrazio per l’offerta, ma sto bene così, davvero.
Lo sguardo del valletto s’illuminò di colpo,come se avesse colto il tassello mancante.
- È l’accento! – ammiccò – Ecco il problema, Liam non ha l’accento scozzese! Ma non temere, Dearie, – proseguì in un’imitazione decisamente riuscita di Gold – Lo spedisco due mesi al Nord e vedrai come cambierai subito idea!
- Ma non è l’accento! – a Belle doleva la mascella dal gran ridere – O almeno, non è solo quello!
- Lo convincerò a crescersi i capelli. Certo, il mio povero fratellone è ricciolino, ma in qualche modo provvederemo… Farò sparire le forbici dalla sua vita, sì, sì.
- Killian, sei senza pudore! – gli tirò una pacca su un braccio – Ti ho detto che non è solo questo, ma tutto questo, anche questo. È qualcosa di molto, molto più complesso.
- Ma almeno tu hai a che fare solo con lui. A me sembra di dover conquistare due donne opposte, tanto sono diverse tra loro madre e figlia.
Il riferimento era troppo palese perché si dovessero far nomi.
- E l’interessata che dice?
- Con l’interessata mi sembra di essere su un’altalena. Un giorno è tutta sorridente, appena ne ha occasione mi cerca e chiacchiera serena; il giorno dopo mi evita come se fossi un appestato. La solita storia da due anni a questa parte, insomma; e da quando Mary Margaret si è convinta che voglia ingannare la sua bambina, è anche peggio. Ma seriamente, – ribadì sconvolto, un sopracciglio alzato in segno di palese sconcerto – Potrei mai ingannare Emma? Ammetto di essere stato esuberante in gioventù, ma non sono più un ragazzino spericolato, sono cambiato. Tengo davvero alla mia biondina. La difenderei a mani nude da un assalto di pirati, se me ne capitasse l’occasione… O forse dovrei difendere loro da lei, – si corresse dopo qualche secondo.
- È questo ciò che dovresti far capire a Mary. Per te sua figlia non è un giocattolo, hai intenzioni serie con lei, e non aspetti che occasione per dimostrarlo. Parti dalle piccole cose, dalla quotidianità – in tutta sincerità, dubito ti ritroverai mai a dover fronteggiare orde di bucanieri in casa Gold…
- Conoscendone il proprietario, non escludo se ne sia inimicato un paio...
Belle finse di non aver udito.
- …E quanto a Emma… Quanto a Emma non si può far molto. Continua a essere presente, non lasciarti vincere dal suo carattere lunatico, e piano piano capirà quanto le vuoi bene… E quanto te ne vuole lei. Sai, – decise di incoraggiarlo – Stamattina ti ha nominato, – sorrise dinanzi all’occhiata speranzosa del valletto – Mi ha detto che hai cercato di farle capire che al cuor non si comanda.
Sembrava che Killian stesse assistendo a un’apparizione celeste.
- Lo ha detto davvero?
- Più o meno…È per questo che non devi demordere. Sono sicura che col tempo riuscirai ad abbattere il muro che la divide dal resto del mondo e sarete felici. Me lo sento.
- Vorrei tanto avessi ragione. Anche Ariel mi diceva sempre di andare avanti.
In meno di un giorno, la danese tornava a presentarsi nei suoi pensieri.
- Mi manca tanto,– ammise triste la donna – In pochi mesi si è ritagliata un posto speciale nel mio cuore.
- Era il suo potere, – il bruno evitò il suo sguardo, come a nascondere il dolore che gli aveva attraversato il volto – Sapeva farsi amare. Strappava a tutti una risata, coi suoi modi allegri, con la sua curiosità. Era una persona così luminosa…
Belle gli carezzò una spalla senza parlare. Ogni parola sarebbe stata vana per descrivere il vuoto che Ariel aveva lasciato dentro di loro.
- Un giorno di questi andiamo a trovarla? – propose dolcemente – È da un po’ che non passiamo…
- Sì, – concordò piano – Sarebbe bello farlo.
- Belle?
Il sangue defluì dal viso di Killian, che allontanò bruscamente la mano dell’amica e si voltò con una lentezza impressionante. Belle fu molto più rapida: appena udì la voce familiare si girò e dedicò al nuovo arrivato un sorriso caldo che non trovò seguito.
- Mr. Gold, – il valletto si alzò in segno d’ossequio – Miss French e io stavamo…
- Oh, – lo interruppe con un pacato cenno della mano, continuando a fissarli – Non c’è bisogno di spiegazioni, Jones. Immagino cosa stavate facendo tu e… Miss French.
Il mood in cui la chiamò non le piacque.
Le implicazioni della frase le piacquero ancor di meno.
Era ormai abituata alla gentilezza, alla smorfia dolce che gli distendeva i tratti quando pronunciava il suo cognome, ormai solo per gioco; ma quello non era uno scherzo tra fidanzati, una burla che si sarebbe risolta con un ennesimo bacio.
Quella volta, nella voce dell’uomo Belle percepì solo ghiaccio.
Un gelo che le penetrò pelle e muscoli, giungendo alle ossa e rendendo impossibile ogni movimento.
Non era difficile capire il perché di quella reazione: con ogni probabilità, l’uomo era salito dalla domestica e, non trovandola, aveva immaginato si fosse nuovamente soffermata nell’amata biblioteca fino a perdere la cognizione del tempo; ma quella volta non era stata un’avventura di carta e inchiostro a tenerla lontana da lui, ma un altro uomo con cui l’aveva sorpresa chiacchierare complice e sola.
Robert doveva essere arrivato alla conclusione più immediata, ma allo stesso tempo più errata che ci fosse.
- Ci stavamo organizzando per far visita alla tomba di Ariel, – chiarì forte della verità che la guidava, affrontando quel mezzo sorriso affilato come il filo di un rasoio.
- Un progetto che certo non poteva attendere la luce del sole. Capisco.
- Un progetto cui abbiamo pensato ora.
Non replicò direttamente, limitandosi a guardarla impassibile.
- Jones, – si rivolse al dipendente senza distogliere l’attenzione dalla donna – Torna nella tua stanza. Subito, – precisò dinanzi alla lieve esitazione del ragazzo.
Il valletto non se lo fece ripetere un’altra volta: rivolse un’occhiata sgomenta alla collega, biascicò un saluto e si allontanò in fretta e furia, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando soli Gold e Belle.
I due continuarono a studiarsi in un silenzio quasi perfetto, spezzato solo dal ritmico tamburellare delle dita dell’industriale sul tavolo, mentre la cameriera s’imponeva calma dinanzi a quel rumore che tanto la infastidiva e che pure l’altro non pareva aver intenzione di interrompere.
- Trovi normale irrompere in una stanza e spaventare a morte i presenti? – chiese sarcastica quando anche l’ultima vestigia di finta serenità l’ebbe definitivamente abbandonata.
- Lo trovo normale tanto quanto sparire per la seconda volta in una giornata. Anche se presumo di dovermi scusare per aver interrotto il vostro amichevole convegno,– l’accento calcato sull’aggettivo la indispettì non poco; e sebbene fosse proprio il fine di Gold, ancora una volta l’impulsività ebbe la meglio.
- Amichevole, sì. E te lo dico subito, questa tua gelosia non mi va bene. Stavo parlando con un amico, una delle poche persone che non mi è andato contro quando è scoppiato il putiferio, e tu non avevi alcun diritto di…
- Se non ti è andato contro ci sarà un motivo, proprio non lo riesci a capire? Nessuno fa niente per niente!– Robert non urlava mai. Non ne aveva bisogno: erano sufficienti un’inflessione nella voce, una smorfia sghemba o un’occhiata per ricondurre l’interlocutore a ragione e abbatterne ogni resistenza. Il tono acuto indicava solo una cosa: era arrabbiato come mai lo era stato prima – Una ragazza di cui si vocifera tanto, non più irraggiungibile come un tempo… Qual è lo scopo di Jones, secondo te? Se sei tanto cieca da non vederlo, o da fingere di non vederlo, evidentemente l’idea non dispiace neanche a te!
- Cosa stai dicendo? – ringhiò in risposta, sconvolta dall’offesa implicitamente rivoltale – Se non vedo alcun secondo fine, è semplicemente perché non esiste alcun secondo fine nel comportamento di Killian!
- Siamo passati a chiamarlo per nome, ora, Dearie?
- Sì! Lo chiamo per nome come ho sempre fatto, come sempre farò, perché è mio amico! –fremette inspirando attraverso gli incisivi – E se a te questo non va, se vuoi nascondermi sotto una campana di vetro per timore che gli altri mi portino via, se mi sottovaluti a tal punto da prendere anche solo in considerazione quest’eventualità, allora non hai capito niente di me, niente! Non hai capito che io non sono uno dei tuoi soprammobili, che sono io a decidere della mia vita, e se io ho deciso di stare con te, con te e con nessun altro, allora dovrà pur esserci un motivo!
Dovette fermarsi per riprendere fiato. Le faceva male la gola, tanto aveva gridato, e i polmoni parevano urlare, desiderosi di aria; non seppe mai come riuscì a reprimere l’impulso di girare i tacchi e andarsene senza mostrar pietà. Il petto le si alzava e sollevava per la furia che la mordeva, i palmi delle mani le dolevano per la forza con cui li serrava, incurante di piantarsi le unghie nella carne.
Nell’aria immobile, l’energia che crepitava tra loro era fuoco vivo: la sentivano scorrere sotto pelle, ondate di calore che acceleravano il battito, il rombo del cuore nelle orecchie e quel nodo alla gola, quella rabbia che ancora attendeva di essere espressa.
Odio e amore sono due facce della stessa medaglia, aveva letto una volta.
Ma mai aveva sperimentato sulla sua pelle l’impeto di emozioni così violente avvinte in una morsa da cui liberarsi era follia.
Successe tutto nell’istante in cui Belle fece per voltarsi: l’uomo le si avvicinò a grandi falcate e l’afferrò per la vita.
Le sue braccia le passarono attorno ai fianchi, intrecciandosi sul ventre.
- Non tradirmi, Belle – le sussurrò all'orecchio – Non tradirmi per alcun motivo al mondo. Se lo fai, io... Oh, non temere, – continuò incurante dello scatto che lei ebbe per liberarsi – A te non farei mai male. Ma lui... Lui lo ammazzerei con le mie mani. E ne sarei felice.
Provò a rispondere, a replicare che questo non bastava certo a rassicurarla e che erano il suo sospetto, la sua nuova brama di vendetta a farla infuriare; e gliel'avrebbe detto, se solo un brivido ben noto non le avesse percorso la schiena sentendo le mani dell'uomo vagare sul corpo, soffermarsi sui seni, sui fianchi, sollevarle le gonne, farle perdere il filo dei pensieri.
- Sai che non ti tradirei, – ribadì –Mai. Ma non voglio tu ripeta certe cose.
- Quali cose?– Le sue labbra erano così vicine che le sentì aprirsi in un sorriso, la voce un sussurro roco, l'accento sempre più stretto, quasi incomprensibile – Che sei mia?
- Non sono un oggetto, – ripeté a denti stretti. Non era possibile, non era umanamente possibile condurre una discussione col ronzio del sangue padrone delle orecchie, il suo respiro sul collo che non smetteva di baciare, e le sue dita, oddio, le sue dita... – E n-non è solo questo...
- E cos'altro è? – domandò quasi indolente.
- La vendetta. Sai che ti amo, e…
La voltò bruscamente, facendola trasalire, e s'impadronì della sua bocca in un bacio che aveva ben poco di romantico. Un bacio di rabbia e di possesso, di foga e furore, un bacio cui seguì un altro, e un altro ancora, mentre le mani si cercavano in gesti dominati dal desideri, mentre Belle si riscopriva a ricambiare senza paura quel temporale di baci, a imprimervi un desiderio di cui ebbe percezione solo in quell’istante e che pure la divorava – era una fiamma, una fiamma che non voleva spegnere. Baci che erano risposte, risposte che forse non erano una vendetta, o ne erano una da poco, ma in cui urlava la sua ribellione, la sua volontà di resistere e cedere a un tempo.
- Lo so, – Gold si staccò appena dalle sue labbra, strappandole un gemito di protesta – Io lo so. Ma gli altri non lo sanno.
Fu il suo ultimo ghigno tronfio prima di spingerla sul tavolo.
 
 
Wash the sorrow
from off my skin,
and show me
how to be whole again."
 
 
 
Doveva tornare in camera.
Doveva assolutamente tornare in camera prima che qualcuno particolarmente mattiniero la sorprendesse in giro per le stanze del padrone, i capelli scarmigliati e i segni di quella notte ancora sulla pelle.
Rifuggire il caldo abbraccio delle coperte e tornare nella sua cameretta le pareva una bestemmia; ma più di ogni altra cosa, le doleva il cuore al pensiero di dover lasciare la stretta di Robert.
Sospirò: per una volta, le parole e i pensieri non l’avrebbero aiutata. Nonostante tutto, amarlo si rivelava più semplice che riuscire a farglielo capire; l’unica cosa da fare era seguire lo stesso consiglio dato a Killian, attendere paziente e dimostrare tutta la vicinanza, tutto l’amore di cui era capace, a quest’uomo che, dopo le urla e le recriminazioni, dopo aver lasciato vincere la passione, le dormiva accanto, il volto nell’incavo della spalla e un braccio poggiato sul suo ventre, come se si aggrappasse a lei, come se la considerasse un’ancora e temesse che potesse sparire per sempre.
E poi c’era il pensiero che non le dava tregua. Avrebbe desiderato parlargliene subito, perché mantenere quel segreto andava al di là delle sue capacità e, soprattutto, contraddiceva la fiducia che voleva alla base della sua relazione; ma poi c’era stata la lite, e quel che era seguito, e poi i baci e le scuse, il far la pace e l’addormentarsi insieme… Non poteva svegliarlo ora e dirgli tutto in quel barbaro modo: un conto era la sincerità, anche la schiettezza, un altro essere inopportuni.
L’indomani mattina avrebbe confessato ogni cosa. Lo avrebbe messo a parte di quanto successo e dei suoi sospetti, ne avrebbero discusso e stabilito una strategia comune trovando un modo per risolvere quel guaio.
Ma ora doveva assolutamente andarsene.
Lo scostò con delicatezza e si sedette sul bordo del letto, dando agli occhi il tempo per abituarsi al buio della stanza. Il tocco improvviso di una mano sulla schiena non la stupì: non avrebbe voluto svegliarlo, ma l’abitudine li aveva resi sensibili ai reciproci movimenti.
- Che succede? – lo sentì chiedere.                                                             
La voce impastata di sonno la intenerì; sorrise alla vista di quei capelli spettinati tra i quali tanto amava passare le dita. Nonostante il volto semiaffondato nel cuscino, la fissava con un’intensità antica.
- Torno su. È già tardi rispetto al solito… – fece per alzarsi, ma la mano scivolò verso il braccio, cingendole il polso in una stretta dolce e decisa a un tempo.
- Resta.
Quell’unica parola la paralizzò nell’istante stesso in cui raggiunse le sue orecchie. Lo guardò col cuore in tumulto, conscia dei sottintesi di un’affermazione solo apparentemente insignificante e incredula di quanto stesse realmente accadendo.
- Resta, per favore.
Non fu difficile obbedire. Non fu difficile lasciarsi ricadere sul letto, stringersi d’istinto al suo petto e inspirarne il profumo, perdendosi nella delizia dei loro corpi intrecciate, di quella piccola, grande follia. Al riparo da ogni nemico, da ogni pensiero negativo e da ogni preoccupazione: solo loro due in quella stanza, lontani da tutto e tutti.
- Non aspettiamo maggio, – mormorò baciandole la testa, carezzandole la nuca.
Rialzò il capo e sgranò gli occhi, incerta di aver capito.
- In che senso?
- Sposiamoci prima. Partiamo domani, non aspettiamo maggio. Solo noi, un prete e due testimoni a caso. Ti va?
Una domanda improvvisa, una proposta ancora più inaspettata della prima. Poche parole per esprimere un amore che non aveva più intenzione di negare la propria esistenza. Frasi dirette, coincise come sempre; frasi non per questo prive della capacità di toglierle coscienza del proprio corpo per un istante, prive del potere di scatenarle un terremoto nel cuore.
Lo guardò in silenzio per un interminabile momento.
 
- Sì, – rispose infine – Mi va.
 
 
 
Because I’m only a crack
in this castle of glass,
hardly anything left
for you to see,
for you to see.
“Castle of glass” - Linkin Park
 
 
 
 
N. d. A. : Hello! :)
Chiamatela follia d’inizio autunno o come volete voi, la situazione non cambia: alla fine ho ceduto e ho aggiunto una scena a rating un pochino più alto.
L’ho scritta alcune settimane fa, ma l’ho ripresa e mi sono convinta a non eliminarla solo negli ultimi giorni – è inutile ribadire il mio imbarazzo nel trattare certi temi!Ringrazio V. per aver letto in anteprima le righe incriminate, non aver battuto ciglio dinanzi alle mie remore e avermi invitata a inserirle senza far troppe storie. ♥
L’amicizia tra Belle e Killian è un tema cui tenevo e che ho voluto sviluppare, sebbene nella serie sia inesistente per motivi abbastanza ovvi – anche se, se facessero scusare per bene il pirata, sarebbe un tema interessante!
Stavolta consigli e critiche sono ancora più ben accetti del solito: temo eventuali OOC e che alcuni passaggi sianoaffrettati. Rimettoa voi il giudizio: siate inclementi come sempre e fatemi sapere cosa ne pensate! :)
SPOILER 4x01: Ho trovato Elsa e Anna divine, simili alle originali, e non vedo l’ora di scoprirne di più, mentre Emma è insopportabile come sempre – povero Killian! – e Regina una cucciolina – qualcuno parli a Robin del divorzio! Ma i RumBelle… Non avendo voluto vedere lo sneak peek, mi sono commossa per il ballo istante per istante, nonostante i vestiti egli schiocchi di dita trashissimi. E la musica… Awww! ♥_♥ Bellissimo il discorso di Rumpel sulla tomba del figlio, ma quel cappello non lascia presagire nulla di buono... Le cattive abitudini sono fin troppo dure a morire quando si tratta dell’Oscuro!
Grazie di vero cuore a chi ha recensito il precedente capitolo, ha aggiunto la storia alla lista delle preferite/ricordate/seguite e a chiunque la legga; ricordo infine la mia pagina Facebook “Euridice’s World” per anticipazioni, spoiler e simili. :)
Salvo imprevisti, a sabato 18 ottobre col penultimo capitolo, Dearies! ♥
Euridice100
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Euridice100