Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: RidleyGreen    04/10/2014    2 recensioni
– A che pensi?– gli fece Alessio.
– Nulla.– scattò subito lui fingendo di pulirsi gli occhiali.
Valentina si alzò lasciando andare per la prima volta la valigia.
– Io vado a vedere. –
– Aspetta!– la fermò Alessio. – Andiamo insieme. Lasciamo qui le valigie, almeno. –
Provarono a chiamarli, rompendo il silenzio della foresta, ma nessuno rispose.
Dopo un po', si trovarono di fronte a una voragine. Sembrava naturale, ma era molto sospetta: sembrava un buco fatto con un enorme cilindro da pasticcere.
Il fondo era pressoché invisibile. Tentarono di lanciarci un sasso all'interno, ma non udirono rumori di eco.
– E se fossero caduti qui dentro? – chiese Alberto genericamente.
Nessuno rispose.
Alessandro tentò di avvicinarsi ma scattò subito indietro.
Fu Giorgia la prima a notarlo. Ma era tardi. Fu la prima a girarsi, per sua sfortuna.
Una fortissima ondata di vento li investì tutti, nessuno escluso. La terra si sgretolò sotto i loro i piedi; prima che qualcuno potesse aprire bocca per dire qualsiasi cosa, caddero tutti ne vuoto.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1: "Il mio amato e detestato campeggio"



Il terzo conato fu il più violento di tutti, tanto da riempire il resto del sacchetto di carta.
– Sei verde... – disse la ragazza abbastanza disgustata.
– Vorrei vedere te al mio posto. – replicò il ragazzo.
 
Alberto aveva da sempre patito l'autobus, sopratutto quando le curve erano strette e continue.
Esattamente come allora.
Il ragazzo si spostò i capelli castani dagli occhi e fissò la sorella con uno sguardo tra il torvo e il sofferente. Lei sapeva benissimo come si potesse sentire in quel momento, non era la prima volta che stava così male; l'ultima volta stava percorrendo esattamente la stessa strada.
La sorella, Sofia, sorrise e ribatté – A differenza tua, visto che io sono più furba, ho preso le pastiglie e ho mangiato poco a colazione. Cosa che tu di sicuro non hai mai fatto. –
Alberto iniziò a pensare a quello che aveva effettivamente mangiato quella mattina: uova, bacon e una tazza di tè verde. Ok, forse aveva esagerato un pochino, contando che lei aveva preso solo un pezzo di mela e un bicchiere d'acqua. E pensare che in quel momento quella roba era lì, nelle sue mani... e non emanava esattamente l'odore che avevano quella mattina. Lo stomaco si rigirò di nuovo come un calzino in lavatrice, proprio all'ennesima curva, ma ormai Alberto aveva rigettato il cuore, il fegato, i polmoni e anche un pezzo d'anima.
Sofia gli prese un nuovo sacchetto. I suoi occhi azzurri brillavano come il cielo, benché fossero messi in ombra dagli occhiali da sole troppo grandi.
– Prendi, ne hai sicuramente bisogno. –
Alberto pensò se insultarla o ringraziarla, quando il bus frenò di colpo.
La testa partì di scatto, come una molla e colpì il durissimo sedile in plastica davanti a lui. Gli occhiali volarono dalle orecchie e atterrarono per terra. Con la mano li cercò a tentoni e li inforcò di nuovo. Non era giornata.
Sofia prese uno zaino posto nel ripiano sopra i loro sedili e disse semplicemente – Dobbiamo scendere. –
Il bus aprì le porte e i due fratelli scesero. Alberto teneva ben stretto il suo zaino azzurro e verde, come se qualcuno potesse rubarglielo, mentre Sofia pareva tranquilla e solare.
Fece due passi in avanti con la sua camminata che Alberto definiva "alla top model" e si gurdò intorno.
– Mi sa che non sono ancora arrivati. –
Sofia sperò vivamente che i loro amici non arrivassero tardi. Stare a quel campo estivo era già una tortura più che sufficiente, se non fossero neppure venuti , probabilmente si sarebbe gettata nel lago. Con una pietra al collo.
Si scostò i capelli castani degli occhi e li lasciò fluttuare nell'aria calda di metà Agosto, sotto lo sguardo ancora poco convinto di Alberto, ancora sofferente dall'autobus.
Attraversarono l'ingresso del campo con passo deciso, ma tranquillo.
La strada in terra battuta gialla era secca e screpolata dal sole; il vento sollevava ancora polvere e qualche pietrolina, ma nulla più. Sarebbe stato anche piacevole se non fosse stata aria calda come un phoon.
Non c'era nessuno in giro, nè istruttori, nè ragazzi. Era tutto deserto.
– È ancora presto... – disse Alberto. Guardò l'ora: le 10:30.
 
– Andiamo in segreteria. Almeno ci togliamo il peso di portare i documenti. Li hai i tuoi? –
Alberto si toccò due volte la tasca dei pantaloncini, segno che li aveva ancora. Raggiunsero la capanna principale sotto il sole cocente che sembrava scaldarsi a ogni loro passo.
Non appena entrarono una ventata di aria fredda penetrò nei loro occhi e tra i capelli.
– Che... cosa.. bellissima... – biascicò Alberto con la lingua in fuori come un cane che ha messo la testa al di là del finestrino.
L'aria condizionata al massimo fu il miglior segno di benvenuto mai ricevuto dopo anni di partecipazioni.
– Clara? – chiamò Sofia. Nessuna risposta.
– Clara? Signora Trevisa? – chiamò di nuovo.
Questa volta qualcuno rispose.
Fu una voce gracchiante a dare la risposta, come se un rospo avesse gracidato per l'ennesima volta.
– Un momento, prego! –
Un rumore di battitura a macchina riempì la stanza come un ticchettio d'orologio, solo più frenetico e impaziente.
– Avvicinatevi, prego...– si udì.
I due si avvicinarono allo sportello in legno: una signora di mezz'età dai capelli ricci e neri li scrutò dall'alto in basso con in suoi occhi piccoli e scuri.
Indossava una camicia di flanella rosa e masticava a bocca aperta, una gomma dall'aroma dolciastro, che per poco non provocò ad Alberto un altro conato. Si sistemò degli occhiali di plastica bianca ampi come ali di farfalla e li fissò di nuovo.
– Nome prego...– disse facendo una bolla.
– Clara, ci conosci da tre anni...– replicò Sofia.
– Non ricordarmelo, cara. Ho degli incubi ricorrenti a proposito. – replicò quella fissandosi un unghia.
– La cosa è reciproca. – tagliò corto Alberto.
Lei smise di fissarsi le mani e scoccò uno sguardo velenoso. Mostrò i denti gialli in un espressione di disgusto e sputò in un fazzoletto.
– Una perfetta Lady! – pensò Sofia cercando lo sguardo del fratello, che probabilmente aveva avuto lo stesso pensiero. Era una caratteristica di famiglia: quando si pensava male, i pensieri erano sempre identici. Lo avevano riscontrato più volte nella loro vita, benché lui avesse 17 anni e lei 15.
– Allora, testine di burro, che volete dalla mia impegnatissima vita? – domandò svogliata.
– Ecco i documenti. Abbiamo bisogno dei permessi e delle chiavi della capanna. – disse Sofia facendo un respiro profondo.
Clara girò la sedia e afferrò da un riquadro un mazzo i chiavi d'ottone con il portachiavi in sughero; vi era impresso in nero il numero 7. Quindi, riprese a battere freneticamente a macchina e infine consegnò finalmente le chiavi.
Afferrò con le mani ossute i documenti e li gettò in malo modo in un cassetto di metallo, sbottando qualcosa di sicuramente poco carino nei loro confronti.
Allungò con l'altra mano il foglio battuto a macchina e sputò la gomma nel cestino lì vicino.
– Vi serve altro? –
– No, grazie, siamo a posto. –
– Sparite, allora. I cani in teoria non ammessi in segreteria. L'apertura del campo è prevista per le 11 in punto, vedete di essere puntuali. –
Alberto appoggiò il gomito al bordo dello sportello con fare tranquillo e iniziò a giochicchiare con la penna nera legata da un banalissimo spago a un porta matite.
– Sai se per caso è già arrivato qualcuno? –
– Grazie al cielo siete i primi esseri che si presentano oggi... e se non sbaglio vi avevo detto di uscire. –
– E se non sbaglio avevi detto che i cani non posso entrare, ma tu sei ancora qui. – replicò Sofia.
Senza aspettare la sua risposta, girò i tacchi e uscì, prendendo il fratello per la spalla, il quale, quasi faceva cadere i documenti.
Non appena misero un piede fuori dalla capanna il caldo li investì di nuovo come se un gigante di fuoco li avesse abbracciati.
– Clara diventa più simpatica ogni anno. – commentò Alberto.
– Già. Ti ricordi? L'anno scorso ci aveva anche dato regalo! Un campanellino... – disse Sofia con sguardo sognante.
– Eccome! Aveva detto "mettetelo al collo, il rumore mi avvertirà che delle pesti insignificanti stanno arrivando e io potrò allontanarmi in tempo". Uno zuccherino...– commentò Alberto.
– Dovremmo andare nella capanna, almeno a posare gli zaini. –
Sofia annuì e fece strada, anche se entrambi sapevano bene dove andare. In fondo, era il terzo anno che andavano al campo “Girasole azzurro” e la capanna era sempre lì, a pochi passi dalle latrine e dalla mensa.
La capanna 7 non aveva niente di speciale; era una normalissima costruzione di pali in legno piena di polvere e tarme. Esattamente come tutte le altre dieci.
Alberto ci mise un po' ad aprire la porta, probabilmente a casa della ruggine sulla maniglia, ma alla fine (dopo una serie di sforzi pressoché inutili) ci riuscì.
L'interno non era diverso dall'esterno: polveroso e pieno di tarme.
Non che fosse cambiato qualcosa dagli ultimi anni, ormai vi erano abituati.
– Benvenuti nella nostra casa per le prossime due settimane... – disse genericamente Alberto.
– Bleah. – commentò la sorella.
Si, quella parola esprimeva alla perfezione la situazione. Un autentico schifo. Gli strati di polvere che risiedevano sui quattro letti a castello erano monumentali, come se fossero state altre coperte grigie, poste su quelle già presenti.
Il pavimento in vecchie assi era pieno di trucioli e vecchie cartacce di provenienza sconosciuta, mentre le pareti erano bucate e rosicchiate. Solo una finestra sul retro dava un po' di luce visto che l'unica fonte luminosa era una candela consumata a metà buttata su quello che un tempo poteva essere definito un comò.
– Definirla catapecchia è un complimento. – disse Alberto. – Dovremmo dare una pulita... almeno prima che arrivino gli altri. Devi ancora spiegarmi come hai fatto a convincerli a venire in un posto del genere. –
– Beh – disse Sofia con un sorriso malizioso. – Convincere Giorgia e Valentina è stato semplice: sono le mie migliori amiche, non mi avrebbero mai lasciato con te per due settimane intere. –
– Clara ti ha contagiato, in fatto di complimenti? – commentò il ragazzo frustrato spostandosi gli occhiali.
– Alessio e Jessica mi dovevano un favore e Alessandro... beh, sai... tra lo studiare e venire qui, sai bene che non aveva molta scelta. – concluse la ragazza.
– Qualcuno di nuovo finalmente! – commentò qualcuno.
La porta si aprì ed entrò un ragazzo dalla pelle scura e i capelli neri sparati in su, a mo' di ciuffo. Indossava una maglia rossa e dei pantaloncini blu, mentre al collo portava un ciondolo con un anellino di metallo. Allargò le braccia aspettando un abbraccio che Sofia non esitò a dare.
– TENNY! – esclamò.
I due si cinsero in un abbracciò stretto stretto e solo quando si lasciarono anche Alberto lo venne a salutare.
– Tennesis, quanto tempo. – commentò Alberto battendogli il pugno.
– Ehi, l'ultima volta quando sarà stato? Due mesi? Tre? – replicò il ragazzo con un sorriso idiota.
– Dettagli. È sempre bello rivedersi tutti! No? –
Tennesis annuì.
– Io sto nella capanna 8 con il gruppo di fuori... sai che fortuna...–
– Sono sicuro che saranno simpatici. – tentò Sofia mordendosi il labbro poco convinta.
– Come no! Un gruppo di viziati smodati che urlano come pazzi per un ragno! E non vi dico le ragazze...–
Alberto e Sofia scoppiarono a ridere, per quanto sapessero che era vero. Il “gruppo di fuori” corrispondeva ai ragazzi e ragazze non provenienti dalla periferia dove loro tre abitavano, ma dal dentro città e che quindi, non avevano alcun tipo d'esperienza con il campo o in generale con la natura.
Tennesis stava a quel campo da cinque anni oramai, da quando ne aveva 14. I tre si erano conosciuti esattamente tre anni prima (il primo campo dei due fratelli) e avevano subito stretto amicizia, tentando di sopravvivere insieme e vivere qualche avventura, che ovviamente, portava loro in qualche sorta guaio.
C'era un motivo se Clara Trevisa non li poteva vedere: oltre che segretaria, era una delle responsabili del campo e spesso era proprio lei a (tentare) di risolvere i casini che facevano quei tre. Come quando avevano portato i fuochi d'artificio e uno era scoppiato in segreteria. O come quando avevano allagato la sala mensa e avevano mangiato nel prato per quattro giorni, benchè fosse vietato dal regolamento del parco.
A pensarci bene, erano sempre Sofia e Tenny a compiere il fatto, Alberto era il tipo che cercava ci contenere la loro pazzia esplosiva. Era più la mente, mentre gli altri due erano le braccia, una più casinista dell'altra.
– Dicevate che ci saranno altri ragazzi? Che tipi sono? – chiese Tenny con curiosità.
– Tipi a posto, tranquillo. – disse Alberto. – Sono nostri amici, non sono mica come “quelli di fuori”. –
– Ci speravo proprio. Ho portato un bel po' di roba per far impazzire la Trevisa. Quest'anno ci divertiremo un mondo. – sottolineò Tenny.
Alberto fece una faccia non del tutto convinta, anche se non era a causa dello stomaco, che nel frattempo si era riassestato; al contrario, Sofia fece un lungo sorriso maligno e pazzerello.
– Guarda te! Sono già le 11. Dovremmo andare. – disse Alberto mostrando ai due l'orologio.
Quello fu l'inizio di un avventura molto particolare.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: RidleyGreen