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Autore: Freeyourmind_x    04/10/2014    1 recensioni
Per Luke Hemmings e per Clover Paris è bastata una serata, una semplice serata di mezza estate. Una serata che ha cambiato la vita di entrambi e che si diverte a giocare con i propri destini.
Un patto viene stipulato ma se, casualmente, Luke Hemmings dovesse cambiare scuola? E se, i due, dovessero ancora incontrarsi?
Tratto dalla storia:
“Non ho nessun amico, sai? Tutti m'invidiano perché credono che la mia vita sia stupenda. Genitori ricchi, tante conoscenze, tante ragazze ai piedi… Ma sai cosa? Loro non sanno che la maggior parte di queste cose sono tutte finte. Non ho nemmeno un amico sincero per sfogarmi. Guarda come sono ridotto, alle undici di sera a confessare queste cose a una sconosciuta.”
“Non c’è niente di male. Prendila come una sorta di segreto fra me e te. Io non dirò a nessuno quello che mi stai dicendo, e tu farai lo stesso.”
“Affare fatto.”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo diciotto
-Speak of the devil-

“Stai meglio?” la voce di Luke arriva chiara dalla cornetta del mio telefono. Giocando con l’angolo della mia coperta, mi mordo nervosamente il labbro inferiore, all'insaputa che in questo momento lui non possa vedermi.
“Sì” ammetto, anche se, non è del tutto vero. Sono passati due giorni dalla festa, ma il ricordo di quelle parole, il ricordo della “discussione” avuta con Calum, è ancora vivo nella mia mente. Di andare a scuola, sia ieri sia oggi non ne ho voluto proprio sapere. I miei genitori non hanno fatto troppe domande: hanno accettato la mia proposta di prendermi due giorni di “pausa” e, il fatto che abbia finto di avere un terribile dolore alla pancia, li ha convinti a non pretendere delle spiegazioni. La mia scusa, però, non ha suscitato la stessa reazione nei confronti del mio ragazzo. Da quando mi ha salutato davanti al cancello di casa, asciugandomi quelle lacrime che hanno bagnato il mio viso per tutta la sera, non fa altro che chiedermi cosa sia successo e come io mi senta.
Inutile dire che, le mie risposte, si siano limitate a dei monosillabi. Non me la sono sentita di dire la verità e, nemmeno ora che sono al telefono con lui, ho il coraggio di confessargli  ciò che è davvero successo.
“Mi dirai mai la verità?” la sua domanda, susseguita da uno sbuffo, mi fa immaginare che ora sia intento a toccarsi i capelli dal nervoso. E forse, suppongo che la mia ipotesi non sia del tutto sbagliata. Dal suo tono di voce, capisco che non è tranquillo, ma d’altro canto non lo sarei nemmeno io.
“Forse” ammetto con un sussurro e mi sento quasi una stronza a rispondergli in questo modo, ma non credo che ci sia una risposta migliore.
Sinceramente, tutta questa situazione è insopportabile. Sono passate solo quarantotto ore, è vero, eppure il dolore che sento al petto mi sta lacerando. E sapere che domani dovrò di nuovo affrontare la realtà, non mi fa stare meglio.
“Clover” il suo rimprovero mi fa gelare sul posto, ma cerco di non far sentire il mio respiro pesante “Io… Io non capisco che diamine ti succede!” il tono è alto, ma so che sta cercando di mantenere la calma per non litigare.
“Non mi succede niente, Luke, te l’ho già detto” come a difendermi, subito cerco una risposta. Una risposta falsa, una risposta che mente. Perché non è vero che non è accaduto nulla. È successo abbastanza da farmi sentire così, è successo abbastanza da mettermi al tappeto in un solo secondo, è successo tutto… e non ero pronta.
“Piangere come se qualcuno ti avesse appena picchiato lo chiami niente? Andiamo, dimmi perché! Dammi una spiegazione” se prima il suo tono era alto, ora sono sicura che stia urlando contro il microfono del cellulare.  Stringendo le mani attorno al tessuto della coperta che mi riscalda, cerco di fermare ogni mio istinto di rivelare la verità. Stringo gli occhi e, frenando quel singhiozzo disperato che potrebbe dare inizio a una valanga di lacrime, sospiro.
“Non… non voglio, ok? Te lo dirò quando sarò pronta”  anche lui, come una sorta di risposta, sospira. Restiamo in silenzio e nessuno dei due ha realmente qualcosa da dire.
“Ci vediamo… Domani. Va bene?” così, stufa di sentirmi ancora più in colpa nel percepire il mio ragazzo in pena per me, decido di cessare la telefonata.
“Va bene ma promettimi che parleremo.” La sua esclamazione, mi fa deglutire a vuoto. E non so bene quale sia la ragione, se sia dovuto al suo tono di voce o se a quella promessa che mi inquieta paura, so solo che non me la sento di promettere qualcosa di cui non sono sicura.
“Luke…”
“Per favore, Clover, promettimelo” e quando sento che la sua è una vera implorazione, capisco che non ho vie di uscita. Portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e uscendo dall’ammasso di coperte da cui mi sono riparata, mi avvicino alla finestra della stanza. Guardo all’esterno e osservando il cielo capisco quanto io mia stia comportando male nei confronti del mio ragazzo.
Non merita non avere una spiegazione e, falsa o che essa in parte sia, domani affronterò con lui questo problema. Gli dirò le cose come stanno, magari tralasciando il punto in cui Calum mi ha confessato del suo segreto.
“Te lo prometto”

Una volta che sono fuori di casa, con metà del volto coperto dal cappuccio della felpa pesante che indosso, i miei piedi mi costringono ad andare all’origine del mio problema.
E non so se questa scelta sia giusta, se mi convenga, ma ora sento davvero il bisogno di parlare con Calum. Non so di preciso perché, infondo, non abbiamo molto da dirci, eppure non riesco a pensare ad altro.
I miei piedi sembrano andare da soli, hanno intrapreso loro questa iniziativa e adesso, che sono a qualche passo dalla dimora degli Hood, non hanno intenzione di andare oltre.
E’ come se mi stessero affliggendo anche loro una punizione, la quale non capisco a cosa sia dovuta.
E non so quanto tempo passi prima che, il coraggio, mi dia la forza di andare oltre a quel limite che mi sono segnata. Non so con quale forza, ma riesco ad attraversare la strada e a trovarmi a pochi passi dal cancello di casa.
Con convinzione, suono il campanello, ma un attimo dopo che il danno è stato fatto, sento l’ansia alleggiare dentro di me. Istintivamente, indietreggio e cerco di andarmene, ma proprio nello stesso momento in cui i miei piedi stanno per ripercorrere la stessa strada di prima, il cancello sembra aprirsi.
Quando, subito dopo, il viso di Calum mi compare davanti agli occhi, capisco che ormai non posso più scappare.
Come se avesse appena visto qualcosa di agghiacciante, la sua espressione s’incupisce. Il suo sguardo per qualche secondo mi scruta attentamente. Stringe le labbra in un sorriso, un sorriso che non si vede. Un sorriso forzato, che non ha colore.
“Ehi” il suo sussurro è freddo, ma allo stesso tempo anche timido. Un saluto che maschera del tutto il suo disagio.
“Ero venuta qui per… non lo so… io volevo solo…” in risposta, inizio a parlare a vanvera senza dare un senso compiuto alle mie parole. Non c’è un fine nel mio discorso e capisco che tutta quell’ansia accumulata pochi secondi fa, si sta facendo sentire proprio adesso.
I suoi occhi mostrano l’incomprensione e cercando di riacquistare la tranquillità, mi porto una mano sulla fronte. E il pensiero che, forse, ho commesso un errore a recarmi a casa sua, così, senza un vero motivo, inizia a farsi spazio nella mia mente.
“Senti… Scusami, lascia stare, ok?” e dicendo queste ultime parole, mostro le mie intenzioni. Mordendomi il labbro inferiore e portando gli occhi al cielo, come a darmi un freno, mi volto di spalle per andarmene. Un gesto veloce, impulsivo, ma che mi sta salvando da quest’agonia.
Il mio tragitto non sembra durare a lungo, la mano di Calum si ferma sul mio polso mettendo fine a ogni movimento.
Con il timore di voltarmi, resto di spalle. Chiudo per un secondo gli occhi e cercando di ritornare a respirare in modo regolare, mi do forza. Forza nell’affrontare Calum, forza nel voltarmi, forza nel guardarlo negli occhi senza scoppiare a piangere.
Il mio istinto, però, sembra avere la meglio. Lentamente, mi volto verso di lui. Restiamo in silenzio, entrambi, a fissarci uno negli occhi dell’altro. Senza dire niente perché, sì, è come se i nostri occhi ora stessero dicendo tutto. Si stanno scusando, sia i miei sia i suoi, si stanno dando un’altra possibilità. E non so se è solo una mia impressione, ma voglio credere che sia così. Voglio credere che fra noi ci sia ancora speranza, che ci sia ancora qualcosa.
“Mi... Mi dispiace” il suo sussurro è una vera pugnalata e soprattutto perché il suo tono ha mostrato la sua fragilità. Ha tremato per qualche secondo, ha rivelato il suo dolore. E i suoi occhi sono diventati lucidi.
E non so bene per quale ragione si stia scusando, ma non credo che ora abbia davvero importanza.
Come un riflesso, allungo la mia mano alla sua. La stringo e alzandogli il braccio di poco, mi avvicino al suo corpo.
“No…” subito mi ferma “Non farlo… io…” ma non gli do ascolto. Perché ho aspettato abbastanza, ho resistito fin troppo per i miei gusti e ora non voglio nessuna scusa. Senza esitazione, mi butto fra le sue braccia e lo abbraccio. Lo stringo forte perché, cavolo, se questo è il nostro ultimo abbraccio, allora voglio che sia indimenticabile. Non voglio dimenticarmi il suo profumo e nemmeno della sensazione che si prova a essere fra le sue braccia.  Calum non ricambia subito il mio gesto d’affetto, forse perché nemmeno lui sa come comportarsi. Ma quando io incomincio ad essere insistente, le sua braccia corrono subito a stringermi al suo petto. E la sua presa mi uccide, mi fa annegare nella sua essenza. Il suo respiro è pesante e quasi mi meraviglio di sentire il suo cuore battere veloce.
Cerco di non farmi devastare da tutte queste sensazioni, però. Respirando con fatica, chiudo gli occhi.
“Mi dispiace” ripete ancora ma stavolta non ci crede nemmeno lui alle sue parole.

“Non dovresti essere qui” afferma Calum una volta che siamo sdraiati sul suo letto, uno affianco dell’altro. Con lo sguardo al soffitto, entrambi non sappiamo come iniziare quel discorso che, inconsciamente, stiamo evitando da quando abbiamo varcato la porta di casa sua. Non osiamo guardarci negli occhi perché e lì che sono nascoste tutte le nostre debolezze.
“Lo so” ammetto e stavolta capisco bene a cosa si riferisce. Non è giusto che io sia qui, né per lui né per Luke. Soprattutto per quest’ultimo che si fida di me e che, senza volere, sto tradendo nel modo più leggero che ci sia.
“Ma, pensandoci, non dovrei nemmeno parlarti eppure…” gli faccio notare e avvicinandomi, porto il mio viso sulla sua spalla. Lui non sembra ritrarsi al mio gesto ma non sembra nemmeno accettare tale vicinanza. Ed io so che, in un certo senso, sto giocando sporco. So che standogli vicino, alimento solo di più quel sentimento che lui prova per me, ma so anche che non posso permettermi in questo momento di farmelo scappare. Io voglio che la nostra amicizia continui perché, come io sono riuscita a metterci una pietra sopra, sono certa che anche lui ce la farà.
“Non te l’ho mai chiesto, Clover” affermando la sua costatazione, abbassa lo sguardo e i nostri occhi s’incontrano. Deglutisco sentendomi osservata da quelle pozze marroni. Il suo volto è molto vicino al mio e so che devo prendere le distanze, perché non voglio cadere nel peccato con lui.
“Ti ho solo chiesto di dimenticare quello che ti ho detto, e tu mi hai dichiarato che lo avresti fatto”
“Ma sai che, conoscendomi, non lo farò…” rispondo e, alzandomi con il gomiti, cerco di sedermi sul letto così che, standogli davanti, possa vederlo negli occhi.
Alle mie parole sembra zittirsi di un colpo. Il suo sguardo vaga per la stanza ed evita il mio. Sospirando, capisco che è arrivato il momento decisivo, il momento del parlare.
“Calum…”
“No, non dire niente” come di conseguenza, i suoi occhi sono subito puntati nei miei. La sua espressione è seria e capisco quanto gli faccia male affrontare tutta questa situazione. Ma, non posso ascoltarlo. Non posso tacere davanti ad un “tutto”.
“Mi manchi” “Non dirlo” di nuovo, di nuovo la sua voce taglia il silenzio. Fredda, forte, ma allo stesso tempo tremante. Quella stessa voce che, ascoltandola, mi fa stare meglio.
“E sto di merda…Di merda nel vederti così. E no, non posso stare in silenzio.” Prima che possa parlare, porto una mano a coprirgli la bocca, così che non abbia possibilità di emettere alcun suono.
“Non posso fingere che tutto vada bene quando tu sei il primo a stare di merda.” Sospiro “Sai, capisco alla perfezione come ti senti e credo che non ci sia nessuno che possa capirti al meglio al di fuori di me” le mie parole sono vere, perché sono a conoscenza di tutte le emozioni provate quando anch’io ero incastrata nel suo ruolo. Quando ero io a vederlo in compagnia di tante ragazze e nessuna di quelle ero io. Quando passavo la notte a piangere perché trovavo questo mio sentimento nei suoi confronti ingiusto, ma allo stesso tempo anche così reale.
“E sai, fattelo dire, non si sta per niente bene. Vedere la persona che vuoi davanti agli occhi eppure non poterla avere perché magari appartiene a qualcun altro, o perché, magari, non ricambia i tuoi sentimenti… Fa schifo.”
“Fa schifo sentirsi così, sentirsi dei traditori, sentirsi dei bugiardi sia con se stessi sia con chi ti sta affianco, ma sai cosa? Va bene così.” E lo è davvero. Non importa cosa succederà, le conseguenze non dovrebbero essere un nostro problema.
“Va bene sentirsi così, va bene che anche tu sia caduto nella trappola. Non fartene una colpa perché beh… qui non c’è nessuno da incolpare, se non l’universo e il destino stesso” senza accorgermene, la voce sta iniziando a tremare. Le lacrime puntano agli occhi, ma il freno che sto tirando arduamente mi sta aiutando a trattenermi. Calum sembra assolto dalle mie parole e, i suoi occhi lucidi, mi fanno comprendere che le mie parole sono tanto vere quanto dolorose per lui.
“Ma, per favore, te lo chiedo in ginocchio se è questo quello che vuoi: non provare ad allontanarti da me.” Alle mie parole, i suoi occhi di nuovo cercano la via più facile per non crollare. Trovando il loro punto di fuga, scappano dai miei. Con uno scatto veloce, si alza dal letto e si mette davanti alla finestra, mostrandomi le spalle. Non so perché abbia reagito così, ma sono sicura che le mie parole abbiano colpito nel centro.
“Due giorni fa, alla festa, mi hai detto che non vuoi vedermi piangere. Che non vuoi vedermi stare male ma… Inconsciamente lo stai facendo, lo stai facendo ad entrambi. Allontanarti da me, ti porterà solo a volermi di più e, soprattutto, distrugge me” mi alzo anche io dal suo letto e, attraversando la stanza a passi lenti, gli arrivo alle spalle. Appoggio una mia mano sulla sua spalla, e facendo pressione, lo volto di quel poco che basta per guardarlo negli occhi. Quelle pozze scure che sono rosse, rosse dal trattenersi ad un pianto.
“Non voglio perdere il mio migliore amico” la mia frase, sembra essere il colpo finale. Preso dallo sconforto, Calum si appoggia alla parete e si lascia cadere. Arrivando con il sedere per terra e le ginocchia davanti agli occhi, si chiude in se stesso. Porta le mani davanti al suo volto e, in questo momento, vederlo così vulnerabile davanti ai miei occhi, mi distrugge completamente. Rimango incantata, ferma, mentre sento il cuore spezzarsi in mille pezzi. Perché so che sono io la causa di tutto il suo dolore e non c’è notizia peggiore di questa. Perché io vorrei essere la ragione del suo sorriso, della sua felicità. Eppure…
“Vai via Clover” le sue parole, dette con freddezza, spezzano il mio stato di trans. Spalancando gli occhi, mi accovaccio al suo fianco, ma le sue mani mi allontanano subito dal suo corpo.
“Vattene Clover, per favore” e quando fissa i suoi occhi nei miei, capisco quanto sia serio. Quanto il suo non sia un ordine, ma più una supplica. E rimango stupefatta dal suo modo di guardarmi, perché mai nessuno mi ha guardata così. E mai niente ha mai fatto male come le sue parole. E non so con quale forza, ma riesco ad alzarmi da terra. Quattro sono i passi che compio per arrivare alla porta e quando sono a un passo dall’uscire dalla sua stanza, non trovo il coraggio di andare via. Non sta piangendo, il suo sguardo è solo perso. E forse, penso, non c’è cosa peggiore che essere intrappolati nelle proprie emozioni. Non avere il coraggio di piangere e incassare tutte quelle cose che ti fanno stare male, ti porta solo a stare peggio. E ora, guardandolo per l’ultima volta negli occhi, capisco quale sia la sua postazione.
“Dispiace anche a me, tanto. Da morire” e ciò che dico prima di abbandonare quella stanza. E solo quando esco da casa Hood, mentre cammino per strada, che do libera uscita alle mie lacrime.

Il giorno seguente, durante l’ora di pranzo, a scuola non riesco a starmene in compagnia di tutte quelle persone. Perciò, l’idea di pranzare all’interno della mensa, non alimenta per niente la mia fame.
Così, mettendo il pacchetto del pranzo nella mia borsa, mi avvio verso l’unica aula in cui sono convinta che troverò Luke. Il mio ragazzo che, ancora, non ho avuto la possibilità di vedere a causa del mio nascondermi.
Camminando lentamente osservo il corridoio vuoto della scuola e, stando da sola con i miei pensieri, credo che non ci sia posto migliore in cui ora preferirei stare. L’unica cosa che manca, e la sua assenza inizia a farsi sentire, è Luke.
Con la voglia di vederlo, mi affretto a superare la penultima porta che mi separa di lui. Una volta che sono davanti alla sala musica della scuola e, il suono di una chitarra, sembra disturbare il silenzio, capisco che la mia supposizione era giusta.
Aprendo lentamente la porta per non farmi sentire, entro nella stanza.
I miei occhi lo cercano subito. Quando scorgo il suo volto coperto da un berretto, le sue braccia scoperte da quella canotta, ormai troppo leggera per il freddo autunnale, e le sue mani impegnate a creare quella sinfonia che mi manda del tutto in panne il cervello, rimango incantata a osservarlo. E avendolo lì, a pochi centimetri di distanza, mi accorgo di quanto potere abbia su di me. E’ da tre giorni che non ci vediamo eppure, per me, sembra passato un’infinità di tempo. Un tempo così lungo che mi devasta.
Forse, sentendosi osservato, si accorge della mia presenza. Alzando lo sguardo, punta i suoi occhi nei miei e quelle pozze azzurre, sono la ciliegina sulla torta. Quella piccola scintilla che mi porta del tutto a impazzire.
“Ehi, sei qui” e dicendo queste parole con un sorriso fra le labbra, appoggia la sua chitarra nella custodia. Alzandosi dallo sgabello, pian piano si avvicina sempre di più, ma non gli do il tempo di compiere altri movimenti. Prima che possa essere lui ad avanzare verso di me, allaccio le braccia attorno al suo collo e lo stringo in un abbraccio. Un abbraccio che sa di casa, che mi riempie il cuore di gioia.
“Tutto questo…” non gli do nemmeno il tempo di parlare perché, allontanandomi di quel poco che basta per averlo a pochi centimetri dal mio viso, porto le mie labbra vicino alle sue. E guardandolo negli occhi, spazzo via tutti i miei pensieri  e dedico le mie attenzioni solo a lui. Ci baciamo, o meglio sono io a baciarlo.
La mia lingua si muove in sintonia con la sua e lentamente, le mie mani iniziano a giocare con il suo berretto.
Luke, un po’ sorpreso dai miei movimenti, ricambia con la stessa moneta la mia passione. Allacciando le sue mani ai miei fianchi, mi spinge verso di lui. I nostri bacini si sfiorano e, il contatto con la sua pelle, fa nascere in me una serie di brividi. Il suo tocco è leggero, puro, come le attenzioni che ora mi sta riservando. Stando con lui, di nuovo, non riesco a dare importanza più a niente, niente al di fuori del suo corpo, dei suoi baci e delle sue emozioni.
Entrambi presi dal nostro incastro, indietreggiamo. Bastano pochi passi e subito, il metallo freddo del banco, mi da un chiaro segno del limite che abbiamo superato. E non so di preciso come, e con quale istinto, riesco a portare le mie mani sulla sua canotta. Tracciando una linea invisibile, tocco il suo petto. Una volta arrivata all’orlo, sento il bisogno di sfiorare un’altra porzione della sue pelle. E mentre lui stacca le labbra dalle mie per prendere aria, lascio intrufolare le mie dita al di sotto della sua maglia. Il mio gesto non sembra stupire solo me, ma anche lui. I suoi occhi si spalancano, ma non si allontana da me. Il suo respiro diventa pesante, e non riesco a frenare le mie mani. Come risposta, le sue labbra sfiorano ancora le mie prima che si allontanino per intraprendere un percorso più lungo. Volano lì, in quel punto critico, nel mio punto debole: il collo. E lasciando tanti piccoli baci a stampo, le mie labbra si stringono in un sorriso. Un sorriso a cui non saprei dare una causa, ma che rispecchia  alla perfezione il mio stato d’animo.
“Credo che…” avvicina la sua bocca al mio orecchio “Dovremmo darci un freno…” e riesco a sentire quanto sia contrario alle sue parole, quanto si stia sforzando di dire qualcosa che non pensa. Eppure, mi sento in dovere di ascoltarlo. Ritraendo le mie mani, mi allontano quel poco che basta per far ritornare la mia temperatura al normale.
Alzo il viso e quando scorgo i suoi occhi guardarmi, mi sento maledettamente in imbarazzo. E mi chiedo perché, pochi secondi fa, non lo ero. Perché, quando ho compiuto quel gesto azzardato mi sentivo sicura di me, quando ora, invece, sento di essere andata oltre a qualcosa di concesso.
“Per la cronaca,” sorridendo e stringendo subito una mia mano nella sua “Mi sei mancata anche tu” Luke scherza. Le sue parole mi fanno ridere perché, pur non avendo detto niente da quando ho messo piede in questa stanza, ha capito alla perfezione ciò che avrei voluto dire. Ha interpretato i miei gesti e mi fa piacere, davvero.
“Smettila.” Lo rimprovero, quando, tirandomi verso di lui, continua ancora a osservarmi con quel ghigno. Un ghigno provocatore.
“Di far cosa?” “Di guardarmi così” quasi urlo ridendo e lui, ricambiando la mia risata, mi abbraccia lasciandomi un bacio sulla fronte.
Mi stacco subito dopo e stringendo la mia mano ancora di più alla sua, mi perdo nel vedere quanto questo contatto sia così dannatamente speciale per me. Mi rende felice come lo potrebbe essere una bambina nel giorno di Natale davanti al proprio regalo.
“Allora… Hai pranzato?” Luke, forse accorgendosi del mio silenzio, trova subito una scusa per iniziare un discorso. Staccandomi da lui, afferro la mia tracolla aprendola. Con le mani, prendo il pacchetto del pranzo e, sorridendogli, glielo sventolo davanti agli occhi.
“Sinceramente speravo di farlo con te” ammetto e lui, apprezzando il mio gesto, mi sorride in modo tenero. Si guarda intorno e riportando gli occhi sui miei, fa spallucce.
“Non credo che, però, possiamo pranzare qui…” afferma.
“E perché? Cosa ce lo vieta?” ridendo, appoggio il pranzo sul banco di metallo. Continuando a cercare dentro la mia borsa, estraggo una custodia. Svelta, mi avvio verso il lettore e posizionando il cd all’interno dello spazio incavato, premo il piccolo pulsante facendo così partire la musica. Mi rigiro verso di Luke e mi stupisco a vederlo appoggiato al banco con un sopracciglio alzato. Con i denti si morde il labbro inferiore, trattenendo un sorriso.
“Sum 41?” mi chiede riferendosi alla musica e annuendo, scoppia in una risata.
“Allora, che ne dici, vuoi ancora pranzare con me?”

“Questa come s’intitola?” appoggiata con la testa sulle gambe di Luke, chiudo gli occhi godendomi la sinfonia che esce dallo stereo. Abbiamo finito di mangiare da una decina di minuti e ce ne restano ancora quindici prima che la campanella suoni.
Seduti per terra, o meglio io sono sdraiata su di lui, cerchiamo di goderci gli ultimi minuti di pausa che ci rimangono. I Sum 41 sono ancora in play e, ascoltando la voce del cantante, non riesco a essere più tranquilla di così. E dopo giorni, sento di stare davvero bene. Bene come non mai, è tutto si allaccia a Luke. Lui è la mia cura.
“Speak of the devil.” Rispondo. “E’ la mia preferita” ammetto continuando a giocare con la sua mano. Non emette altro suono e continuando ad accarezzarmi i capelli con l’altra mano, restiamo per quasi tutta la durata della canzone a goderci l’uno le attenzioni dell’altro.
“Clover” quando mi richiama, spalanco gli occhi. Guardandolo a testa in giù, lo osservo aspettando che continui a parlare.
“Dobbiamo parlare” la sua frase, molto a effetto, cancella del tutto la tranquillità. Di colpo, mi sollevo dalle sue gambe e voltandomi verso di lui, ritrovo il suo viso difronte al mio.
“Non ti preoccupare” forse capendo la mia preoccupazione, cerca di rassicurarmi. “Voglio solo parlare di quello che ti è successo alla festa. Avevi promesso che ne avremmo parlato” e quando chiarisce a cosa sia dovuto il suo bisogno di parlare, abbasso lo sguardo. La sensazione che da giorni mi affliggeva, ritorna di nuovo a farsi sentire. Deglutendo, cerco di schivare la sua trappola.
Mi alzo dal pavimento e bloccando la ripetizione del disco, afferro tutto ciò che è mio. Gli volto le spalle e so che non è corretto, perché è patetico che io stia evitando il problema.
“Clover” quando il suo tono è alto, segno di un rimprovero, capisco che non posso continuare a rimandare il momento della verità. Restando ancora di spalle, butto la mia borsa sul banco.
“Ho… litigato con Calum” la mia voce trema e non capisco perché proprio ora, sento gli occhi farsi lucidi. Non ce n’è motivo, ma sta succedendo lo stesso.
“Cosa?” sento un fruscio, segno che si sia alzato da terra.
“La notte della festa, ho litigato con Calum.” Ripeto, anche se credo che abbia capito appieno ciò che pochi secondi fa ho detto. Arrivando al mio fianco, sposta una ciocca di capelli dal mio viso, così da guardarmi negli occhi.
“E’ stato diverso dalle altre volte, abbiamo discusso… pesantemente” e mi sento una bugiarda, perché non è vero. Non è vero che abbiamo discusso, è stato solo lui a parlare. Solo lui a devastarmi.
“E non credo che questa volta tutto ritornerà alla normalità.” Pronunciando queste ultime parole, Luke sembra percepire appieno il colpo che mi è stato inflitto. Le sue sopracciglia si sollevano e i suoi si spalcano di poco. Come a volermi consolare, porta entrambe le sue mani sul mio viso. Con i pollici mi accarezza le guance e, obbligata ad avere gli occhi fissi su di lui, vedo un chiaro segno del suo nervosismo: si sta torturando il piercing.
“Ma… perché? Sì, insomma, perché avete litigato?” la sua domanda è innocua, ma detta ora, in questo contesto, mi spaventa del tutto. Perché non so cosa inventarmi, non so cosa dire di tanto reale che possa avvicinarsi alla verità. Una cosa è sicura: non posso rivelargli la vera causa del nostro litigio. Luke potrebbe reagire male se sapesse ciò che Calum prova nei miei confronti, e so che non lo guarderebbe più con gli stessi occhi di sempre.
“Sai… Lui ultimamente si sta allontanando da me ed io… Io ci sto di merda…” la mia non è proprio una spiegazione, ma è pur sempre qualcosa. Luke annuisce serio e il mio breve racconto sembra bastargli.
“Ci parlerò io, non ti preoccupare.” La sua rassicurazione mi spaventa più del dovuto. “No” e scuoto la testa “Per favore, non farlo” e i suoi occhi si stringono in due fessure.
“Perché non…”
“Calum odia quando qualcuno si mette in mezzo alle sue faccende e… reagirebbe solo male. Le cose andrebbero solo a peggiorare e ora… Ora non è ciò di cui ho bisogno” mi sento male a continuare a mentire, ma so che la mia è una giusta causa. Il mio modo di mentire non è dei migliori, ma almeno basta per mettere a tacere la curiosità di Luke. “E’ per questo?” si avvicina al mio viso “E’ per questo che non volevi dirmi niente? Ti ha pregato di non parlare con nessuno?” anche se la risposta è negativa, mi ritrovo ad annuire. Luke sembra davvero dispiaciuto per tutto ciò che gli ho raccontato. E vederlo così, distrutto per me, aumenta solo di più il mio senso di colpa. MI fa stare solo peggio e mi fa desirare di non mentire più.
E ancora una volta, mi accorgo di quanto un nostro magnifico momento sia stato rovinato da Calum. Lui è la causa di tutto il mio dolore e ora mi chiedo davvero se sia giusto o no prendere in considerazione la sua idea di stare lontano. Forse è quello di cui abbiamo davvero bisogno, forse è la scelta migliore ma… perché continuo a pensare che non sia così?
Delle lacrime mute bagnano il mio viso e Luke, accorgendosene, si affretta ad asciugarle.
Di colpo, mi stringe fra le sue braccia. “Mi dispiace, Clover” e inizio a odiare quelle due parole, quelle parole che da giorni sembrano essere nel menù della giornata.
“Tutto si risolverà, tranquilla” e lo spero sul serio, davvero, perché non sto per niente bene. 

Spazio autrice!
Ehilààààà! Eccomi, in ritardo, ma ci sono! Ho deciso una cosa, da ora in poi non darò una data precisa per aggiornare, così evito di creare finte speranze a tutti lol
Che dire... Sono molto felice! La storia ha raggiunto finalmente i 100 lettori! Sono pochi rispetto alle altre storie, è vero, ma per me è molto!
Come potete vedere, questo è un capito triste ma... Ehi, almeno siamo entrati nel vivo della storia!
Scusatemi se sto aggiornando meno frequentemente ma fra scuola, salute e problemi personali al quanto gravi, non riesco mai ad aveere del tempo libero per scrivere. Come sempre ringrazio chi segue la storia e vi prego di lasciare una recensione. Ho notato che sono diminuite e non capisco se la causa sta in quello che pubblico, o semplicemente non avete tempo! :/
Mi scuso se non ho ancora risposto alle due recensioni, appena finisco di scrivere questo spazio autrice, corro a rispondervi :)
Che dire... Spero che vi piaccia! 
Se volete contattarmi, su twitter sono @freeyourmind_x
Ciau, alla prossima!

P.s. SCUSATE PER GLI EVENTUALI ERRORI, NON HO RILETTO LOL 

 
  
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