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Autore: Baka_gemell    05/10/2014    10 recensioni
Percy Jackson, in una giornata di pioggia, vede una stana figura immobile sul muretto della strada.
Ignaro delle conseguenze della sua azione, e attratto da una forza a lui sconosciuta, si avvicina quel tanto che basta per guardarlo bene in volto, trovandosi inavvertitamente a fissare due occhi scuri come i profondi abissi del Tartaro.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ade, Altro personaggio, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Una macchina sfrecciava a grande velocità lungo l’autostrada.
“sei sicuro di non voler chiamare la polizia?” chiese la donna seduta al volante rivolta alla figura abbandonata sul sedile che guardava ammaliato le piccole gocce che scendevano lungo il finestrino.
Sembrava assorto nei suoi pensieri.
“Percy…” lei gli mise la mano sulla spalla e lui sussultò “Hai capito quello che ti ho chiesto?”
Scosse la testa in segno di diniego e lei ripeté la domanda.
“Sicurissimo, quando un mezzosangue scompare la polizia non può fare niente” rispose lui con sicurezza.
L’unico modo era chiedere aiuto ai suoi compagni d’armi.
La macchina si fermò e i due passeggeri scesero all’unisono sbattendo gli sportelli nel chiuderli.
Attraversarono di fretta il giardino parandosi davanti alla porta di casa Chase per poi suonare con insistenza il campanello.
La faccia scombussolata dal sonno e piuttosto irritata che della ragazza bionda che venne ad aprire ci mise ben poco a cambiare espressione per diventare sorpresa e in seguito allarmata.
Annabeth Chase viveva con la realtà dei Mezzosangue dalla tenera età di sette anni, e tutti al campo la rispettavano per la sua esperienza e per il fatto che lei sapeva sempre la cosa giusta fare in qualsiasi situazione.
Ergo, la persona più adatta per aiutarlo a gestire una situazione che, si rendeva conto, Percy non sarebbe riuscito neanche a capacitarsene.
Un’altra innata dote di Annabeth era senza dubbio la deduzione, quindi ci mise il tempo di un’occhiata alla faccia sconvolta del suo amico per capire quello che era successo e non ebbe bisogno di parole per invitarli ad entrare.
 
 
Il vento soffiava flebile.
Una brezza profumata gli carezzava i bellissimi capelli d’orati intrecciati in una treccia, proferendogli un’aria quasi femminile.
Lui l’avrebbe certo preferito, nascere donna…almeno non avrebbe sofferto il disprezzo dei suoi genitori, e avrebbe avuto maggiore forza per sopportare tutte le innumerevoli umiliazioni che le bestie nel suo letto si sentivano in obbligo di infliggergli.
Ma sopratutto…non si sarebbe sentito costretto ad amarla.
Se fosse stato una donna, non avrebbe certo badato troppo a quell’angelo armonico, venuto dal cielo come la neve cadeva quel giorno, non avrebbe mai sorriso con la consapevolezza dell’esistenza di una vera bellezza in un simile mondo, non avrebbe vissuto un solo giorno di più in balia del vuoto che, passando, aveva lasciato dietro di sé.
“La mia vita è una puttana peggio di me, mia bella” mormorò aprendo le palpebre, che aveva tenute chiuse come in un momento di eclissazione e portandosi una mano al prezioso orecchino che portava al orecchio sinistro.
Una prova che quell’angelo era reale.
“Ne hai anche altre di prove che quella puttana sia esistita veramente…”
Una voce calda, simile alla brezza primaverile, lo raggiunse in contrasto con il disprezzo con il quale aveva pronunciato quelle parole.
Stranamente non venne offesa dal fatto che lui continuava a guardare davanti a sé senza il minimo interesse per la sua presenza, conoscendo bene il vuoto e il disinteresse che abitavano il ragazzo oramai da molti anni.
Con una grazia innaturale si sedette accanto a lui, sul vecchio muretto che era l’unico ad essere rimasto tale e quale da quando il Regno degli Inferi esisteva.
Jack sembrava adorare quel muretto, aveva capito, proprio perché non era mai cambiato…infondendo in quell’uomo una staticità e un equilibrio che nel corso della sua vita aveva sempre agognato disperatamente, trovato per poi perderlo per sempre.
“Sono meravigliosi…”
Lei lo guardò senza capire, e anche alquanto sorpresa che avesse parlato, oramai rassegnata ai suoi momenti di eclissazione.
“I fiori…” anticipò la richiesta di spiegazioni “Soprattutto quelle rose rosse…la mia bella amava le rose rosse”
Persefone fu combattuta tra lo sbuffare scocciata per poi chiedergli di non parlare con quel tono di adorazione della sua bella e prepararsi poi a essere bellamente ignorata, oppure evitare il tutto e andarsene.
Tuttavia alla fine si decise a non agire secondo nessuna delle due ipotesi, preferendo presentargli la questione che più la turbava.
“Il bastardo dov’è?”
Jack, come previsto, si limitò a fissare il tutto e il nulla davanti a sé, questo almeno fino a quanto Persefone non gli ricordò, con una serie di minacce e preghiere, che lei era la regina e lui era solo un suo servitore.
Quelle parole ebbero un qualche effetto su Jack, anche se non sarebbe saggio sbilanciarsi dicendo che fosse esattamente quello sperato da lei, che si girò a guardarla con quei suoi occhi color smeraldo che sembravano irradiare una luce che in realtà non possedevano, un sorriso gli illuminò il volto.
“Come comandi mia signora…” esclamò scendendo dal muretto e facendo un inchino baldanzoso che fece suo malgrado sorridere la stoica Regina.
“Così va molto meglio…” gli concesse lei con voce calda e gentile “Ricordati che sono disposta a darti quello che tanto desideri solo a condizione che tu mi aiuti in questa sgradevole soluzione”
“Il ragazzino si trova nella torre a Est del castello…lo fatto rinchiudere lì facendolo passare per un prigioniero” alla fine le concesse una risposta alla sua domanda.
Meglio tardi che mai…e poi Jack non finirà mai di stupirmi per la sua accortezza e furbizia…
“Senza alcun dubbio, è il luogo migliore che potessi scegliere, i miei complimenti caro Jack” lo elogiò la regina posando la sua bellissima mano dalle dita affusolate e smaltate con un caldo rosa carne sulla guancia del biondo “Mio marito non si sognerebbe mai di far visita a quella torre…e certo nessuno crederà a un ragazzino sporco e malconcio possa essere il Principe degli Spiriti”
“Non avrà neanche la possibilità di dire una cosa simile…né altre cose in generale ve lo assicuro!”
E Jack sorrise di nuovo, un’espressione da mettere i brividi…tanto bella quanto inquietante.
 
Si svegliò lentamente, quasi come se si rifiutasse di lasciare quel sonno privo di sogni, quell’annullamento da un mondo troppo bello per uno come lui e troppo brutto per uno come lui.
Lentamente le iridi nere come pozzi senza fine misero, loro malgrado, a fuoco le pareti di pietra grigia e tetra.
Lentamente le sue mani fredde toccarono la superficie ruvida della branda sul quale stava disteso.
A occhio e croce ciò che riusciva a vedere collegava la sua mente alle prigioni del regno di suo padre, il Dio Ade.
Le aveva già viste la prima volta che era venuto con l’intento di conoscere il, fino ad allora ignoto, genitore.
Un’esperienza che aveva cercato di rimuovere dalla sua mente con moltissima veemenza.
Anche adesso, stranamente non sentì dolore, così come non sentiva oramai il dolore fisico provocato dalla recente violenza, al pensiero che tutto quello che aveva passato era stato organizzato dal suo stesso genitore.
Suo padre lo odiava, questo oramai era un dato di fatto e come tale faceva meglio ad accettarlo –così come credeva di aver fatto-. Gli aveva tolto sua sorella, il suo passato, la sua spensieratezza, la sua voglia di vivere e, non da ultimo, ora gli toglieva anche quel poco di dignità e di equilibrio che gli restavano, che era riuscito a racimolare con l’aiuto di Percy.
Già…Percy…
“Cosa penserà di me?? Sopratutto…mi penserà più dopo quello che ho fatto?”
Se c’era una sicurezza che restava al piccolo Nico di Angelo era che Percy lo aveva aiutato, oltre che non lo aveva mai odiato davvero per la morte di sua sorella…aveva ragione, non era colpa sua.
“È colpa mia”
Aveva lasciato andare sua sorella senza fare nient’altro che lagnarsi come un bambino di tre anni e non aveva perso occasione per scaricare la responsabilità sulle spalle di Percy, un bravo ragazzo che non rinuncerebbe per nulla al mondo ad aiutare qualcuno.
Sapeva che lei non sarebbe tornata…in un certo senso l’aveva sempre avvertito: era come se la morte, da quel maledetto giorno in cui le eravate sfuggiti, li seguisse ovunque andavano e alla fine aveva raggiunto Bianca.
“Bianca…e perché non io?”
Un sorriso gli incurvò le labbra, il tipico sorrisetto compiaciuto di chi ha appena risolto un dubbio che gli pervadeva la mente da tempo.
Troppo sollevato per essere riuscito a capire la verità per poterla temere in tutto il suo significato.
“Certo…anche io sono arrivato al capolinea…Bianca era buona e coraggiosa, ha sacrificato tutto per stare dietro al fratellino rompiscatole, lei ha fatto una fine eroica, combattendo con coraggio e salvando i suoi amici e il mondo intero…io invece non ho fatto niente, sono sempre rimasto lì…ancorato al passato come una pianta alla terra, ho odiato e disprezzato tutto ciò che mi veniva offerto…e questa è la fine che merito: Marcire lentamente in una cella, dimenticato da tutti”
 
“Ahahah….allora il bell’addormentato si è finalmente svegliato…è un vero peccato, avrei tanto voluto recitare la parte del tuo principe azzurro e darti il bacio del vero amore….beh peccato!”
Stonava…
Fu la sola cosa che gli venne da pensare.
Tra tantissime cose che avrebbe potuto sembrargli strane o fastidiose…come ad esempio chi diavolo era quel biondino effemminato che lo fissava con tanta intensità e con tanta superficialità allo stesso tempo e come diavolo aveva potuto non notare che era lì fin da subito.
E invece…percepiva solo lo sgradevole divario tra l’oscurità e il silenzio dominanti in quella cella e la voce allegra, scherzosa e l’aspetto luminoso del giovane misterioso.
Voleva che sparisse…
Voleva che almeno quel perfetto abbandono e silenzio restassero immacolati.
Non voleva che un signor sconosciuto gli parlasse con voce amichevole…come avrebbe fatto solo Percy, perché lui non era Percy.
“Vattene”
Mentre collegava tra loro quei pensieri che gli fluttuavano in testa, Nico non aveva pensato neanche per un istante che sarebbe riuscito a dar loro voce.
Lo sconosciuto biondino lo guardo piegando di lato la testa, come a simulare un bambino confuso e anche incuriosito.
“Eh?”
Fu troppo…
Davvero troppo…
L’avevano chiamato a sopportare le pene del Tartaro più e più volte, e lui le aveva accettate tutte, una volta superata una…si preparava a sopportare la seguente…e poi ricominciava…sempre la stessa storia
Ma non voleva sopportare un affronto simile da quel (finto)tonto che credeva di poterlo prendere in giro.
“Vattene…VATTENE SUBITO IDIOTA!!”
Non si rese conto di aver davvero urlato, così come non sentì subito il bruciore improvviso al viso, mentre la sua testa veniva voltata da un lato per la potenza del ceffone.
“Shhhh…non devi gridare, io le ho promesso che non avresti gridato, e non sarai certo tu a farmi diventare un bugiardo”
Lo schiaffo lo aveva fatto ricadere sulla branda e lui non si preoccupò neanche di tirarsi su, tanto occupato da altri pensieri:
Quel tipo, qualunque cosa fosse, non era umano, questo almeno gli era chiaro.
E non era neanche un mostro, si rese conto Nico: in genere i mostri odiavano gli inferi…gli ricordavano troppo il posto da cui venivano.
“Sei una divinità?” sussurrò appena andando ad asciugarsi il sangue dal labbro.
“Un mezzosangue…esattamente come te” rispose lui offrendogli la mano per tirarsi su e passandogli un pezzo di stoffa sul labbro.
Infondo non è difficile capire un matto: è semplicemente matto.
“Tu sei matto”
Ancora una volta la lingua dava sfogo a pensieri che avrebbero dovuto rimanere tali.
Per un attimo penso che l’avrebbe colpito ancora –in pochi minuti aveva capito che quel tizio era imprevedibile come il tempo a marzo- invece si limitò a sorridere affabile.
“Jack” disse stringendogli la mano.
“Senti….non so se te ne sei accorto ma…” fece per prendere in mano la situazione Nico.
Era tutto talmente assurdo…lui era lì per morire e non per conversare con un effemminato bipolare che aveva bisogno urgente di essere internato in un manicomio.
“Ci stiamo presentando…come ti chiami?” insistette colui che si era presentato come “Jack” imperterrito.
“Nico di Angelo” cedette alla fine.
Ai pazzi bisogna solo dargli ragione.
Fulmineo si ritrovò di nuovo con il volto urtato contro la branda e l’altra guancia in fiamme.
“No…” un sussurro appena udibile nell’orecchio destro lo fece rabbrividire, tanto era carico di rabbia e follia pura “Solo Nico”
“Solo Nico” ripeté lui rimanendo immobile e sperando che la sua follia si fermasse alla bipolarità e non raggiungesse i confini della perversione.
“Che nome buffo…mi piace, bene Nico!” saltò giù dalla branda e aiutò ancora il ragazzino che un attimo prima aveva colpito a mettersi seduto “Allora…di che cosa vogliamo parlare?”
Parlare?
Per tutti gli dei..NO!
Lui voleva solo morire!
Ma era pure vero che non moriva dalla voglia di fare arrabbiare un tipo tanto instabile e imprevedibile.
“devo sopportare…mi merito tutto il peggio, anche questo”
Pensò mentre, espirando tutto con un pesante sospiro, si metteva seduto con le spalle chiuse in un chiaro segno di rassegnazione.
“Di quello che ti pare…”
 
Avanzava con l’andatura e il portamento leggiadro di un fiore troppo delicato che viene trascinato dal vento.
Fin da quando aveva memoria, sua madre le aveva sempre parlato dell’importanza dei fiori.
Bastava mettersi quelli giusti per confondere e illudere gli uomini sulle emozioni e i sentimenti più nascosti che può celare una donna.
O, meglio ancora, una Dea.
Era sempre stata la sua salvezza far pronunciare ai suoi amati fiori pensieri e parole che, pur molto motivata, non sarebbe mai stata capace di fingere…tanto erano lontani dalla realtà.
Quel giorno era il fatidico giorno in cui aveva più bisogno di rose rosse intrecciate perfettamente ai lunghi capelli castani, accuratamente acconciati in una cascata morbidi boccoli che ricadevano a coprirle la schiena lasciata, lascivamente, scoperta dal vestito aderente, anch’esso di un rosso acceso, che le avviluppava il fisico marmoreo.
Le magnifiche rose rosse, che lei stessa curava per poi cogliere e adornarsene in occasione delle noiosissime e umilianti cene con quell’arrogante e prepotente con cui era costretta a stare ogni dannatissimo mezzo anno, come sempre l’avrebbero aiutata a fingere amore quando, solo Zeus suo padre sapeva, il disprezzo e l’odio albeggiavano dentro di lei.
“Davvero meravigliosa Persefone…”
A parlare era stata una donna, visibilmente più matura ma non per questo meno bella, che doveva essere la madre della meravigliosa fanciulla a giudicare dalla palese somiglianza tra le due.
La giovane Persefone fermò i suoi passi e si voltò indietro a guardare la madre con visibile biasimo e anche una leggera esasperazione.
“Non girate il coltello nella piaga…è sufficientemente dolorosa così com’è!” rispose con voce sferzante.
“Stai tranquilla mia cara…ricorda chi sei” con voce e passo sicuro si avvicinò alla figlia prendendole il mento con una mano affinché si guardassero.
“Sei Persefone, sei la figlia di Zeus e Demetra, la prima figlia di Crono e Rea, sei la regina degli Inferi” recitò la regina con voce monotona e annoiata.
Evidentemente quella non era la prima volta che facevano un discorso simile.
“Lo so bene madre…ho avuto molto tempo per rendermi conto di essere la sposa del dio dell’inferno durante tutti quei metà anno che sono stata costretta a vivere qui” si guardò intorno, arricciando il nasino delicato con fare sprezzante.
“Beh avresti potuto darmi retta…Ade è mio fratello e, conoscendolo come lo conosco, io ti avevo messa in guardia su che tipo di uomo è…ma tu NO! Ti sei lasciata affascinare come una sciocca dal suo grande “amore” per te e hai voluto sfidare la sorte mangiando quella melagrana!”
“LUI MI AMAVA!” la compostezza che si era promessa, non l’avrebbe mai abbandonata, stava vacillando. “Ci siamo amati molto madre…lui era così diverso da tutti quei deficienti che credevano che avrei mai potuto guardare la loro galanteria vuota. Lui mi ha scelta, ha scelto ME, come sua unica consorte e è arrivato a rapirmi dal tanto desiderio!”
Sua madre la fissò per qualche istante e poi sorrise.
“Sei davvero splendida figlia mia…non c’è da sorprendersi che persino uno come Ade abbia perso la testa per te…in questi anni vi siete allontanati ma ora è il momento di ravvivare quella passione, sono certa che quando ti vedrà in tutto il tuo splendore dimenticherà tutto…sarai al centro del suo mondo!”
Le accarezzò una guancia sorridendo fiduciosa all’espressione poco convinta della figlia e poi si allontanò lasciandola sola.
 “Sei splendida…mia adorata moglie”
La solita accoglienza che le riservava oramai da molti anni, convenevole, fredda e priva di qualsiasi lasciva passione come era suonata quando aveva osato sfidare gli dei pur di averla accanto.
“Altrettanto, caro marito…aspettavo questo momento con ansia”
Aspettava con ansia l’arrivo del periodo che passava lontano da quell’inferno, e solo un sorriso enigmatico riuscì a impedire al consorte di accorgersene.
Queste poche parole di costretta cortesia si scambiarono per tutta la durata della cena, che si svolse al solito in quell’enorme sala che amplificava la tensione e il silenzio rotto solo dal rumore dei bocconi e delle posate d’argento che facevano una pausa nei piatti.
Fu solo quando ebbero finito di mangiare che il Ade posò i suoi perforanti occhi scuri sulla figura di sua moglie.
Persefone…
In genere si è propensi a sperare che per chi gode di una vita immortale come gli dei, non è soggetto a cambiamenti…e per la maggior parte degli dei era davvero così.
Zeus che si lasciava andare alla lussuria con miliardi di donne diverse, tant’è vero che si pensava che per eccitare il dio del Cielo bastava che una donna respirasse, per grande disgrazia di sua moglie Era che, gelosa come sempre, non si scordava mai di vendicare neanche una delle tante offese.
Poseidone era rimasto il solito permaloso e dubitavano fortemente potesse mai cambiare.
Ares che considerava la Lite e la Discordia come amanti al pari, se non addirittura più importanti di Afrodite, bella e frivola che metteva anche lei le corna al marito Efesto.
Nessuno meglio di Apollo sarebbe potuto essere più adatto a essere il dio del sole e meno adatto a essere il dio della musica – il ricordo dei sui momenti di ispirazione erano venuti a tormentarlo fin giù negl’Inferi-  allegro, solare e spontaneo anche se molto infantile, al quale piaceva vedere l’amore come un gioco, offendendo l’eterna vergine Artemide che non avrebbe MAI e poi mai guardato un uomo.
Ripensandoci Ade capì che tutto era rimasto uguale per loro.
Solo lei era cambiata.
Persefone non era più quella ragazza allegra che gli piaceva guardare mentre giocava con le sue compagne, la stessa ragazza che lo aveva spinto a rapirla e che aveva poi reagito come se tutto questo fosse eccitante e romantico.
Con quegli stessi occhi con cui aveva ammirato quella giovane bellissima e indomita, ora stava guardando una donna fredda e composta, che si stava sforzando di non far vedere che odiava tutto quello che la circondava.
Lei ci mise un po’ a sentirsi a disagio sotto lo sguardo intenso del marito che non perse occasione per farle notare che l’aveva capito.
“Sei a disagio mia cara” non era una domanda, era una mera costatazione della realtà, per questo Persefone non si prese neanche la briga di negare, preferendo usare l’arma dell’indifferenza, ignorandolo nella speranza che lasciasse stare.
Ma non fu così.
Infatti Ade non perse tempo per tirare un colpo basso alla moglie.
“Un disagio con il proprio consorte non è una cosa naturale…hai forse qualcosa da nascondere mia cara?”
Il cuore di Persefone perse un battito, così come il suo viso perse colore talmente repentinamente che sembrava sul punto di svenire.
“Lo sa…”
La consapevolezza e l’orgogliosa superbia le negavano di accettare che Ade avesse capito cosa aveva fatto…aveva progettato tutto in modo troppo perfetto perché ora potesse prendere in considerazione un’eventualità simile.
Eppure quello sguardo indagatore le lasciavano ben pochi dubbi a riguardo, e ancor meno le lasciava speranze.
“Dunque è davvero così…nn mi sbagliavo…” si rispose da solo il dio degl’Inferi passandosi un dito magro tra le labbra.
“Perché mai dovrei nasconderti qualcosa?”
Sperò che la sua voce, a dispetto del suo effettivo stato d’animo, non tradisse alcuna paura, perché altrimenti sarebbe davvero finita.
“Perché, anche se in questi ultimi anni ti sei fatta di certo una pessima idea su di me, sai perfettamente che non sono così spietato da permetterti di far del male al mio stesso figlio” rispose lui con una tale ovvietà che Persefone si sentì offesa e terrorizzata allo stesso tempo.
Anche se ora aveva scoperto le sue carte, non significava che il gioco era finito.
“Da quando hai cominciato a preoccuparti di quel moccioso?” chiese lei con finta tranquillità ma lasciando intendere chiaramente che le supposizioni del marito erano fondate.
“È mio figlio…e anche il suo…” le ultime parole Ade le pronunciò con fatica, come se fosse un insulto pronunciare il nome di quella donna nel Regno dei Morti, regno in cui era stata gettata in maniera ingiusta e brutale.
Fu l’ultima goccia…quella che fece traboccare il vaso oramai strapieno da circa ottant’anni.
Persefone si alzò in piedi con un impeto tale che la poltrona di rovesciò all’indietro e fissò suo marito con gli occhi colmi di odio, rancore e…un’infinità tristezza.
“Non voglio più sentire il nome di quella puttana…è morta!! Quella puttana è morta! E anche sua figlia…per Bianca non hai fatto nulla no? Evita quindi di farmi credere che te ne frega di quel moccioso!” gridò come una pazza mandando a rovesciarsi, sulla preziosa tovaglia di seta, il vino rosso pregiato.
“Questo non cambia nulla: è mio figlio…” Ade la guardava senza battere ciglio.
“È un insulto! È solo un oltraggio a tutto ciò per cui IO ho rinunciato a tutto!!” continuava a gettare tutto a terra cercando di sfogare la sua ira, che le rimaneva attaccata la corpo al pari del vestito scoperto ma che comunque sembrava soffocarla..
“E cosa ti darebbe la morte del ragazzo?” le chiese Ade alzandosi lentamente per mettersi di fronte a lei.
“Sono tutti morti…tutti i tuoi figli sono morti, perché salvare solo i suoi? Forse hai creduto che sarebbe stato divertente calpestare le mie aspettative e i progetti che avevo per noi due? Io ho lasciato tutto per te, per quel povero pazzo che mi aveva sequestrata per il tanto amore! E tu mi hai abbandonato per una lurida puttana umana!”
“MARIA NON ERA UNA PUTTANA!”
Una mano si chiuse intorno al suo collo bianco, come per soffocarla, senza però stringere.
“Tu l’ami” un sussurro lieve gli arrivò, e la tristezza che gli pervase il cuore fu tale da cancellare la rabbia ceca di un istante prima e fargli ritrarre la mano.
Persefone riprese a respirare più liberamente portandosi una mano sul petto e continuando a guardare il consorte che, da parte sua, non riusciva più a sopportare di guardarla.
“Sì”
Si diede della sciocca.
Per quale ragione fargli ammettere quanto avesse amato, quanto ancora amasse, quella donna?
L’avrebbe solo fatta soffrire, ancora una volta.
“Sei innamorato di lei” affermò lei ferita. Poi, a dispetto di tutto, le sue labbra s’incurvarono in un sorriso “Non sei il solo…”
“No…” disse solo questo.
Si stava riferendo al fatto di non essere l’unico stolto che si era dannato d’amore per quella donna?
“Come?” gli chiese, questa volta davvero confusa.
“Non ero innamorato di lei…” si spiegò Ade con tristezza mista anche alla consapevolezza delle sue parole “Io l’amavo, ma non potevo averla”
Anche se fosse sopravvissuta, non avrebbe mai potuto tenerla con sé e questo lei lo aveva capito subito.
Lei era un umana e lui era un dio…le loro vite si erano incrociata per un istante e ancora ora quel sentimento di amore era rimato con lui, ma non poteva essere concesso loro più di questo: un istante.
“Una volta per te provavo qualcosa…qualcosa di unico ma…”
“Io per te provo ancora qualcosa” ammise Ade lasciandola del tutto spiazzata.
Persefone ebbe una vertigine, il suo cure appassito in assenza di amore come un fiore in assenza di acqua ora si vedeva messo i fronte a queste parole.
“Mi ami?” gli chiese con esitazione.
“Sì…”
“Sei innamorato di me?”
“Sì”
Furono uniti solo pochi istanti, ma in quell’unione delle loro labbra misero tutti i loro sentimenti più reconditi, di odio e rancore…ma anche di quell’amore perduto ma che ancora non li aveva abbandonati.
“Io…” sussurrò lei appena si fu sciolto quel bacio.
“Lascia stare mio figlio Perfefone…non rovinare quel poco che ci resta del nostro amore” la pregò lui, mentre restavano ancora l’uno tra le braccia dell’altro
“Non posso…io…non lo posso sopportare”
Non era più una fanciulla sciocca e innamorata.
Un bacio non avrebbe risolto nulla…non sarebbero più stati uniti se quel ragazzino avesse continuato a vivere, tenendo in vita il ricordo di Maria di Angelo.
“Sei una donna forte, è una dei motivi per cui ti ho scelta…saprai sopportare anche questo” le disse con convinzione, facendole perdere ogni dubbio che quello che provava per lei non poteva essere distrutto da un amore, perché non era solo amore: c’era anche ammirazione, affetto, rancore, rabbia e rimorso.
“Beh…anche se volessi non potrei…ho fatto un patto con qualcuno, l’ho giurato sullo Stige e non posso romperlo…Mi dispiace”
 “Con chi?”
Lei lo guardò con gli occhi da cerbiatta di nuovo bui.
“Qualcuno che odia il figlio di Maria Di Angelo tanto quanto me..”
E poi se ne andò con passo svelto…lanciandolo solo con un terribile dubbio che gli premeva la mente.



ANGOLO DELLA RITARDATARIA:
Per questa volta non vi starò ad annoiare con le scuse per un ritardo clamoroso, giustificato solo dalla mancanza di tempo e da un blocco dello scrittore che fortunatamente sembra essersi affievolito.
Passerò dunque a parlare del capitolo in sé, che vi avviso essere uno degli ultimi di questa fanfiction, in cui ho cercato di mettere tutti i personaggi in contemporanea e non sono del tutto sicura che sia stata una buona mossa...voi che ne pensate?
inoltre ho attraversato una coppia che sinceramente mi affascina molto, quella di Ade e Persefone (fin da piccola amavo il mito sul loro amore, che per me è uno dei più sinceri e profondi) e il personaggio di Maria mi è sempre interessato e quindi ho voluto metterle a confronto...facendo fare questo bilancio proprio ad Ade.
Mi rendo conto però che alcuni personaggi possano sembrare OCC, questo credo che sia il mio tallone d'Achille, quindi se qualche personaggio vi ha scontentato, in questo capitolo o negli altri, sappiate che non è stato fatto apposta :)
Detto questo vi lascio e ci vediamo alla prossima volta!
  
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