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Autore: Callie_Stephanides    05/10/2014    11 recensioni
[Kaijū!AU] Dopo la morte dell’amico e copilota Bucky, Steve Rogers ha abbandonato la divisione S.H.I.E.L.D. e il progetto Jaeger. Quando tuttavia la minaccia dei Kaijū, creature mostruose vomitate dalla faglia atlantica, insidia la baia di New York, il colonnello Fury non esita a richiamarlo: l’umanità decimata ha infatti bisogno di qualcuno che la protegga.
O che la vendichi.
(…) “Non posso guidare uno Jaeger senza Bucky.”
“No, non può farlo senza rabbia. Cosa pensa della vendetta, Capitano?”
“È solo un altro modo di chiamare la sconfitta.”
“Il colonnello Fury ritiene piuttosto che sia la giustizia, se la incoraggi con mano pesante. Il tempo delle carezze è finito. Fuggire è un lusso che non possiamo concederci.” (…)
[ATTENZIONE! Il contesto narrativo è mutuato dal film Pacific Rim, ma la collocazione geografica delle vicende e i protagonisti appartengono al MCU]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nick Fury, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: Incest
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Yet each man kills the thing he loves
By each let this be heard
Some do it with a bitter look
Some with a flattering word
The coward does it with a kiss
The brave man with a sword
― Oscar Wilde, The Ballad Of Reading Gaol

X.
Un giorno, altrove

È bello, l’autunno del fiordo: aria trasparente e sempre più fredda, un vento azzurro, per chi sa cogliere i colori delle cose oltre la banalità della prima impressione.
Le onde si frangono ferrose contro una costa tutta spigoli, sollevando spruzzi che ricadono in gocce mercuriali, molli e pesanti.
A settembre il cielo è lontano e ti lascia, dal basso, a contemplare il migrare di nubi sfilacciate, in fuga come folaghe. A ottobre, invece, è una coltre di cemento, che pesa sulle spalle, salsa e gonfia di pioggia. Annusi l’odore familiare di alghe e d’inverno; pregusti i giorni del maglione sotto le cerate e guanti morbidi e il silenzio chioccio della neve. Respiri sulla pelle l’odore della nostalgia, perché l’autunno è, tra tutte, la stagione più emotiva, quella che sussurra alla memoria e soffia sulla polvere dei sogni in soffitta.
 
Dell’anno, l’autunno era il momento che preferiva, prima. Poi, con le illusioni, sono cadute tutte le foglie e della sua anima è rimasto appena un tronco scheletrito.
 
“Partirai con il cargo delle sei e trenta.”
L’unghia tormenta un lembo della garza che gli copre il sopracciglio sinistro. Il caro fratello non si è risparmiato, ma non è un dettaglio rilevante: Loki sospetta che anche il dolore dia assuefazione; che esista una soglia, anzi, oltre la quale sei tu a cercarlo, per sincerarti d’essere vivo.
Fury avanza di un paio di passi. Il vetro blindato crea un’illusione di vicinanza, ma le maschere sono cadute e con esse la necessità di rispettare una forma vuota: non ama il guercio – non l’ha fatto mai. Chi rinuncia a un occhio spesso vede più lontano degli altri e Loki detesta chiunque riesca a coglierlo.
 
Come neve, vorrebbe essere inafferrabile.
Come acqua, la vita gli scivola tra le dita e lascia appena l’ombra traslucida del rimpianto.
 
“Sino a quel momento, considerati agli arresti.”
Loki solleva il capo e lo fissa. Il colonnello Fury non pare intimidito, né sorpreso. Un tempo è stato un pilota – anche lui. Prima ancora un soldato.
Ammazzare uomini gli dava, probabilmente, più soddisfazione della caccia ai Kaijū. Niente inebria quanto il potere che puoi esercitare sui tuoi simili: solo gli ingenui potrebbero sostenere il contrario – e Loki no, non è un ingenuo. Non lo è da tempo.
“Mi teme, colonnello?”
Sorride – un sorriso maligno, pesto, ma non sconfitto. Le ha suonate ai suoi cocchi, tanto per cominciare: è quasi l’abbia preso a calci nel culo.
“Non più di una zanzara.”
“Di malaria si muore persino adesso, da qualche parte. Non sottovaluti gli insetti: ci saranno ancora, quando l’umanità sarà polvere.”
Fury si avvicina al vetro. “Questo non m’impedisce di schiacciarli, se credono di potermi disturbare.”
Loki scuote il capo. Una ciocca arruffata gli vela il viso, ma non si preoccupa di soffiarla via.
“Dunque è vero: mi teme. E cosa, in particolare? La circostanza che sia poco incline a recitare il suo deludente copione o…”
“Stammi bene a sentire, Odinson: non sei mai stato la mia prima scelta. Gli unici numeri che contino, per me, sono quelli che riesco a salvare. Il tuo brillante Q.I. è un gingillo accademico buono a illudere burocrati che vivono al caldo e pontificano ex cathedra quello che a me tocca ex merda. Chiaro? Tu sei marcio e, credimi: non basta un vetro come questo a nascondere la puzza.”
“Se fossi morto là fuori, non avrei un odore migliore.”
“Se fossi morto, sarebbe stato preferibile per tutti. Per tuo fratello, in particolare.”
“Conosco Thor meglio di quanto voi possiate anche solo pensare.”
“Lo so, per questo sarà mia cura tenervi lontani.”
Loki abbandona la panca su cui se n’è stato allungato sino a quel momento e posa i palmi sul vetro. La superficie non è fredda come immaginava o forse è la sua pelle ad aver perso calore.
“Non può.”
“No, tu non puoi. Sono io che comando, se te lo fossi dimenticato.”
“Siamo i poli opposti di un magnete; non le consiglio di piazzarsi nel mezzo. Non a lei, non al resto della sua patetica squadra di Vendicatori.”

*

Ozono, ammoniaca, fosforo.
E una punta di cloro, sì: abbastanza acuta da farti lacrimare gli occhi.
 
Tony strofina le palpebre e cerca una mascherina protettiva, mentre Bruce, indifferente alla sua epifania, fascicola con attenzione un plico di fogli millimetrati.
“Te ne sei andato presto.”
“Le simulazioni sono un affare da piloti. Io devo rendermi utile in altro modo.”
“Ti sei perso uno spettacolo, comunque. Caino e Abele se le sono date di santa ragione.”
Banner raddrizza la stanghetta degli occhiali, immune, almeno in apparenza, al lezzo del cervello di Kaijū appena estratto dalla sua bara chimica.
“Se quello era il pezzo forte, sono contento d’essermi dedicato ad altro; non avrò una gran fantasia, ma non riesco a trovare nulla di rassicurante in una coppia di fratelli che si pesta.”
“Io sì, soprattutto perché Rock of Ages in isolamento assicura la pace della squadra.”
“Se lo credi…”
Tony fa spallucce e torna a esaminare la gommosa massa rosata che riposa sul piano di lavoro.
A parole è facile scommettere, ostentare la sicurezza dei vincenti; nei fatti sa che il fascino della roulette russa muore sulle battute di un film mediocre, perché di vita ne hai una sola, come la palla che potrebbe spegnerla.
“Dal tuo sguardo deduco che sei davvero determinato a farlo.”
“Intravedi altre possibilità?”
Banner sospira e lo affianca.
Una volta credeva che gli uomini miti fossero fardelli inutili e, l’amicizia, un lusso da deboli. Ora sente d’essere cresciuto e la sensazione di tiepida fiducia che gli comunica l’altro vale ogni rassicurazione.
“Ci sono gli Jaeger e la barriera. Non siamo del tutto privi di alternative.”
“Ma lo diventeremo prima che sia possibile interrogarsi sulla bontà delle nostre scelte, lo sai anche tu. Per sconfiggere un cancro non basta bombardarlo: a volte devi tagliare.”
“Perché tu, però?”
La voce di Banner trema un poco: gliene è grato, poiché verbalizza sentimenti che l’orgoglio mette a tacere – ma ci sono. E pesano.
“Perché no?” replica. “Qualcuno deve pur cominciare.”
“Allora, forse, dovrei essere io.”
Tony scuote il capo. “Tu cerchi il martirio, io sono curioso: temo proprio d’essere al momento il più qualificato.”
“E Pepper? A lei l’hai detto?”
“Non c’è bisogno che lo sappia; non approverebbe e…”
“Direi che questa sia una valida obiezione al tuo piano, no?”
Tony comincia a sfogliare i pannelli dell’interfaccia digitale. La dura madre del Kaijū è ora una sequenza di reticolati olografici. Dati, impulsi, sequenze binarie: un futuro sterile e controllabile.
“Pepper è la donna che amo, per questo devo rischiare.”
 
L’amore è una seconda palla, in fondo: l’unica che accogli a braccia aperte e con il sorriso sulle labbra. La vita stessa – i suoi colpi bassi – è solo un danno collaterale.
 
“Avanti, Bruce: è proprio tempo di cominciare.”

*

A nord l’autunno è breve, odora di mare e di pioggia, di muschio e di vento. Oro e ruggine imbiondiscono le strade, barbagli di luce che resistono alle notti sempre più lunghe e fredde.
È tempo di birra scura in locali fumosi, camini accesi, falò improvvisati.
Tempo di ritorni e di partenze annunciate.
 
Allungato sulle pelli di lupo che coprono il cotto del salone, Loki tende il braccio e reclama la bottiglia di stravecchio. Ha ventitré anni, è ormai alto quasi quanto lui, ma i suoi occhi faticano a registrare il tempo che scorre, a sovrapporre l’uomo al gattino piagnucoloso giunto in dono per un compleanno di troppi anni prima.
“L’hai detto al vecchio e a mamma?”
Loki non risponde: passa la lingua sui bordi umidi dell’imboccatura, poi ingolla un sorso abbondante, quasi fosse acqua.
Thor gli si sdraia accanto, affondando il viso nella pelliccia fino a ritrovarsi la bocca piena di peli. È una bella sensazione; è davvero il sapore dell’infanzia.
“Non vedo perché dovrebbero saperlo. È una scelta mia, no?”
La voce di Loki ricorda le onde lente dell’inverno: sommesse, freddissime, bugiarde.
A specchiarti nel ritmo pacato delle acque del fiordo, non indovineresti mai l’insidia mortale dei gorghi o delle rocce appuntite che la schiuma nasconde.
Thor si puntella sul gomito. Nel camino un ciocco si spezza, lacrimando scintille. “Hai lavorato tanto per vincere quella borsa di dottorato e ora vuoi abbandonare tutto… Per cosa, poi?”
Loki sospira. “Non mi pare che l’istruzione sia mai stata il primo dei tuoi interessi… A cosa si deve, ora, tanta pena per il mio futuro accademico?”
Thor gli strofina la guancia, come quando, da bambino, tentava di consolarne le interminabili lagne.
“Perché sei intelligente e perché sono fiero di avere un fratello cervellone.”
“Ti prego…”
“Forse non sono sempre stato in grado di dimostrartelo, ma è così. Mi sono arruolato a diciotto anni perché non avrei saputo che altro fare. Sono grosso e so menare le mani, tutto qui. Tu, invece? Tu hai tutto un futuro davanti.”
Loki chiude gli occhi. Le ombre proiettate dalle braci gli induriscono il profilo, eppure c’è qualcosa di fragile, in lui. Qualcosa di prezioso, che Thor vorrebbe difendere.
“E se non lo volessi?”
“Intendi?”
Loki lo guarda e i suoi occhi sono laghetti d’ambra. “Tu moriresti per me. Non hai mai pensato che potrei fare altrettanto?”
 
 
No, non l’ho mai pensato e ora non lo credo più.
 
Fury non ha formulato un ordine preciso ma Thor non è tanto ingenuo da ignorarne i desideri: se Loki è in stato d’arresto, non è di sicuro perché possa riposarsi nell’attesa di una visita di cortesia.
Non può fare altrimenti, tuttavia, perché qualunque sia il veleno che scorre nelle vene del fratello, Thor deve averne una parte e trovare l’antidoto.
Il corridoio deserto, illuminato dalla luce fredda e ronzante di lampade al neon, ha qualcosa di spettrale. Gli ricorda la stazione di polizia in cui l’ha recuperato Selvig, dopo un paio di risse alcoliche, o un obitorio. Gli ricorda, soprattutto, che dovrà affrontare un discorso penoso con qualcuno che non è davvero sangue suo, ma resta un peso sul cuore.
Loki se ne sta sdraiato su una panca dall’aspetto poco confortevole – è un fachiro, se vuole. La sua capacità di resistere a tutto è pari alla determinazione con cui può distruggere o distruggersi.
A proteggerlo c’è ora solo un vetro blindato. Troppo, pensa, e insieme troppo poco.
Non fa nulla per annunciarsi, tanto sarà l’altro a scegliere quando parlare: Thor deve giocare in difesa e augurarsi che non faccia troppo male. Solo quello.
Lo guarda a distanza e aspetta, sperando che l’onda di troppi ricordi non monti impetuosa e lo travolga – lo soffochi.
Loki com’era a cinque, sei anni, curioso di tutto e pieno d’ammirazione per il fratello grande.
Loki adolescente – le prime birre insieme, il giorno in cui gli ha insegnato a guidare e hanno distrutto l’hummer di Odin.
Loki pilota – le albe in riva al fiordo, l’illusione di un’intesa perfetta.
Loki dopo.
Loki come buio e basta.
“Ti ha mandato Fury?”
Sussulta e non vorrebbe. È nel mirino di quegli occhi, anche se in apparenza l’altro non ha mosso un muscolo.
“No, sono qui di mia iniziativa; non credo che il colonnello approverebbe.”
Una risatina – gelida. “Già. Temo che non gli farebbe molto piacere.”
Silenzio. Di nuovo.
Thor è sempre più stato un tipo da fatti che da discorsi, ma quando da fare non resta più niente?
Ruota i palmi, quasi a cercare il suggerimento che non troverà mai, perché la vita è cicatrici e calli, un alfabeto di fatica che decifri sempre troppo tardi.
“Che vuoi?”
“Capire, credo.”
Loki si puntella sui gomiti e si volge, infine, a guardarlo. L’ha pestato sul serio, ma non riesce a pentirsene e quel pensiero basta a inoculargli una nausea feroce.
Capire?”
“Sì. Voglio sapere perché hai ferito Natasha e Clint e…”
Loki sogghigna per l’ennesima volta – un suono stridulo, colmo d’ironia cattiva. “Facciamo così, Thor: parlo io e tu ti sforzi di evitare le osservazioni stupide. Non sono una femmina adorante: preferirei non dovermi confrontare con l’evidenza della tua stupidità.”
 
Sono parole – parole, parole.
Chi più morde, meno affonda: e la verità appartiene prima di tutto ai bugiardi.
 
“Ti ascolto,” mormora.
A testa alta, come un soldato.

*

XI.
Calamite

Se il led digitale è degno di fede – e Bruce non ha ragione di dubitarne – il drift di Tony è durato due minuti e trentasette secondi. Dal punto di vista emotivo, tuttavia, due secoli gli sarebbero parsi un intervallo meno rilevante e, soprattutto, meno doloroso. Lo guarda, ora, tamponare una rovinosa epistassi e borbottare tra sé parole che lo riempiono di terrore, perché il mondo non può concedersi il lusso di perdere un cervello come quello di Stark, né Bruce l’unico amico gli sia rimasto.
“Dio, che botta… Era almeno dal duemiladieci non sperimentassi un trip del genere.”
Bruce gli offre un bicchier d’acqua, pur anticipandone la prevedibile replica.
“E no, non ascoltavo i pupazzi monodirezionali, né… Qualcosa di più forte, magari?”
Sorride d’istinto: è ancora Tony, per fortuna. Un osso durissimo e non solo per ragioni anagrafiche (1).
“Non guardarmi come la pastorella di Lourdes, Brucie: quando dico che andrà tutto bene, parlo da supereroe, non da politico.”
“Be’, ne sono compiaciuto, Batman, ma ti assicuro che non hai una bella cera.”
“Non Batman: Ironman. I topi con le ali fanno schifo,” borbotta Tony, mentre lotta con una ragnatela di elettrodi. Il cervello del Kaijū è ora una massa inerte, sebbene residui una debole luminescenza in corrispondenza dei lobi frontali. Dallo sguardo che gli rivolge Stark, per altro, non è il solo ad averlo realizzato.
“Si chiama Thanos.”
“Chi?”
“Il gran burattinaio. È l’avanguardia di una civiltà aliena originaria di Saturno.”
“Ma lassù non c’è… Un momento…”
“Titano (2), bravo: lo sapevo che ci saresti arrivato. Ora immagina il metano al posto dell’idrogeno (3) e avrai la tua bucolica età dell’oro.”
“Questo spiegherebbe il residuo di ammoniaca presente in tutti i Kaijū.”
“E l’idiozia della N.A.S.A., che ha bruciato decenni e milioni per cercare una vita che aveva superato da un bel pezzo il desiderio di un telefono a disco (4).”
Banner sfila gli occhiali e si massaggia la radice del naso. “Continua…”
“Il buon vecchio francobollo ha fatto il suo lavoro: se mi ha sentito, non ha capito cosa fossi. In compenso il sottoscritto ricorda abbastanza da confermare le più tetre profezie di Monocolo: siamo a un passo da un nuovo sbarco in Normandia… E ci toccherebbe la costa sbagliata.”
“Ma esiste un modo per…”
C’è. Abbiamo ancora due o tre piloti interi, oppure possiamo annunciare la fine del mondo per K.O. tecnico?”

*

È rimasto sdraiato sulla propria branda finché Fury non l’ha mandato a chiamare. Se l’aspettava, eppure, al contempo, non riesce mai davvero ad anticipare le intenzioni del colonnello. Sebbene sia forte il desiderio di fidarsi, non è più un innocente e fiducioso orfano di Brooklyn; quando stringe tra le dita la piastrina di Bucky, soprattutto, ricorda perché abbia smesso di credere all’invulnerabilità degli eroi.
Non è facile essere Superman: lassù sei sempre solo.
“Accomodati Steve.”
Asseconda l’invito, perché un buon soldato esegue sempre gli ordini. A volte, tuttavia, il seme della ribellione preme sotto la pelle e prude da impazzire.
“Non ti tratterrò a lungo, voglio solo sapere se ti senti pronto a copilotare Mjolnir.”
“È uno Jaeger più pesante di quello con cui ho combattuto in passato, ma l’interfaccia è intuitiva e mi sembra maneggevole.”
“Ma?”
“Cosa?”
“C’è un ma, vero? Anni passati a distribuire ruoli e consegne mi hanno reso piuttosto sensibile alle perplessità individuali.”
Steve strofina i palmi sulle cosce – su e giù, come a imprimere un ritmo anche ai pensieri.
“Thor Odinson mi piace e credo che potremmo lavorare bene insieme, se…”
Se?”
“Non so cosa incontreremo durante il drift. Quello che è successo l’ha turbato, è inutile negarlo, e non mi pare un buon presupposto per affrontare una connessione neuronale.”
“Il rapporto dei fratelli Odinson non è nulla di cui tu debba preoccuparti: ho preso le mie precauzioni e Thor non è ingenuo come pare. Forse potrà sembrare un po’ stralunato, ma là fuori è un veterano e non permetterebbe mai alle proprie emozioni di pregiudicare la salvezza dei cieli o di un compagno di squadra.”
“Il drift non è razionale. È pancia, istinto, anima, o comunque si voglia chiamare quel qualcosa. Che capiterebbe, se cadesse nella buca del coniglio?”
“È per questo che ti ho voluto, Steve: sei il mio cane da punta.”

*

Sulla pelle color carta, le ecchimosi dipingono isole frastagliate che gli ricordano le indimenticabili gite delle vacanze. Allora, mentre la breve e tiepida estate norvegese arrossava loro i visi, giocavano agli esploratori tra muschi bruciacchiati e rocce coperte da una tigna salmastra.
Negli occhi di Loki, tuttavia, non c’è traccia di quei giorni – di quella complicità – solo un odio affilato e muto.
“Mi hai abbandonato.”
“Sei stato tu a chiedermelo! Tu a dirmi di starti lontano, perché…”
“Ero fuori di me, inutile idiota! Ho perso più di due litri di sangue, lassù, e non sapevo nemmeno se mi avrebbero salvato il braccio. Come puoi credere che parlassi sul serio?”
Thor stira le labbra, ma non è un vero sorriso. Conosce Loki: la dolcezza e la follia, la tenerezza e la crudeltà. Loki che cancella ogni colore e ti costringe ad annegare nel grigio, perché è lì che si nasconde e morde forte.
“No, no… Loki, no. Tu sapevi alla perfezione quel che stavi dicendo e ora non riuscirai a distruggermi con il senso di colpa. Mi hai allontanato ed io ho obbedito, perché non volevo interferire con la tua guarigione. Che altro ti saresti aspettato?”
I pugni dell’altro si schiantano contro il vetro; lo vede arricciare il labbro superiore e scoprire i denti come un lupo. È quasi brutto, ora: non somiglia più al fratello che ama.
Tu volevi divertirti. Hai trovato una stupida con cui sostituirmi, un nuovo pilota, una vita in cui non sarei mai stato il benvenuto.”
“Stai delirando. Jane è tutto fuorché stupida, Steve è uno di noi, uno che rischia la pelle anche per te, e la mia vita non ti è mai stata preclusa. Non ho avuto bisogno di cancellarti: l’hai fatto da solo.”
“Bugie… Solo un mucchio di comode bugie. Ma tu sei il figlio vero, in fondo. Perché dovrei stupirmi del dono che hai ereditato?”
“Non esiste un modo diverso d’essere figli, Loki, quando te ne renderai conto? Per nostro padre e nostra madre, tu…”
Tuo padre e tua madre! Non sono un Odinson: io sono un Laufeyson e nessuno mi voleva comunque.”
Un rivolo di sangue gli corre al lato delle labbra, come un nostro rosso o una lacrima esausta.
“Loki… Quello che credi di aver visto non è la verità. Sai cosa accade durante il drift: leggi le emozioni, non la storia. Chi può veramente dire come sarebbe andata, se la tua famiglia fosse sopravvissuta?”
“Non importerebbe comunque a nessuno: non di sicuro a te.”
Loki scivola a terra, il capo tra le mani e il corpo raccolto in un improbabile nodo.
Sono arrivati a un punto di stallo, perché le parole raccontano i sentimenti come uno schizzo malfatto. Davanti alla verità del cuore, sono i poligoni essenziali di un disegno infantile: la complessità delle ombre, la morbidezza dell’affetto non è mai rappresentata.
“Non posso lasciarti così,” sussurra, poi si avvicina al pannello che regala l’accesso a una bara di vetro. “Non è giusto.”
Alle sue spalle, gli occhi di Loki brillano di nuovo: e non sono lacrime.

*
 
XII.
La zona morta

“La faglia è il loro cavallo di Troia. Un’invasione come quelle descritte al cinema sarebbe stata troppo dispendiosa e, soprattutto, intercettabile. Volevano l’effetto sorpresa, scegliere per primi il campo di battaglia e il verso della moneta che avrebbe aggiudicato la metà migliore.”
Fury annuisce. Per la prima volta da che è cominciata una collaborazione tutt’altro che pacifica, non prova nemmeno a interromperlo.
“Questo Thanos è una specie di autocrate, a capo di una milizia che somiglia a un formicaio. Li chiamano Chitauri e operano secondo una volontà collettiva.”
“Cioè?”
“Non sono individui, non nell’accezione che noi diamo al termine. Selezionato il capo, il loro sistema nervoso ne diventa un ideale prolungamento. Più che obbedire, reagiscono agli ordini come farebbero un braccio o una gamba.”
“E tutto questo…”
“L’ho imparato driftando, ma c’è di più: Thanos si è stancato di giocare e ha programmato nientemeno che l’invasione di New York. Dalla faglia uscirà l’avanguardia dei Kaijū, mentre i Chitauri sciameranno sulla baia dell’Hudson.”
“Sempre che qualcuno non li rispedisca indietro.”
Tony annuisce.
“Esiste un modo per chiudere definitivamente il portale?”
“Una testata nucleare basterebbe a farlo collassare,” dice Bruce, “Tuttavia…”
“Abbiamo già tentato, se ricordate, e il confetto è sempre stato sputato fuori come una caramella al rabarbaro.”
“Bella metafora, colonnello: rende bene l’idea. La buona notizia, comunque, è che ora so dove abbiamo sempre sbagliato e come risolvere la questione. La faglia legge il DNA dei Kaijū quasi fosse un codice a barre, di conseguenza permette solo a loro di penetrare sino al livello più interno del ponte. Per minare i pilastri, dobbiamo trascinarne uno con noi. Vivo o morto non conta: l’essenziale è che la sua puzza ci copra e… Non è l’allarme?”

*

Ha aspettato che fosse abbastanza vicino per agire: un colpo secco alla gola, poi uno altrettanto energico alla nuca. Thor è crollato a terra come un grosso orso esausto. Un altro paio di calci gli ha dato la rassicurazione che cercava: ha imparato a mordere. Non è più il cucciolo di nessuno.
Si muove furtivo lungo il corridoio, a testa bassa e con l’aria frettolosa di chi conosca la propria meta. È la verità, del resto: il presente è un palloncino nero che ha consegnato alle correnti ascensionali della vendetta.
 
Sì, ma contro chi? Contro cosa?
 
Contro tutto.
 
Il settore H è deserto – ancora un’evidenza a suo favore.
La postazione per l’allodrift (5) è operativa; le dita scivolano sicure sulla plancia di controllo. Gli occhi, fissi al cervello del Kaijū, non tradiscono emozioni.
È dall’altra parte che stanno i vincenti: è ora d’incontrarli.
È il momento di saltare il fosso e volare.

*

“Qualcuno si è introdotto nell’area dei laboratori.”
Coulson gli offre il palmare, sintonizzato sul circuito interno di sorveglianza.
Fury cerca rabbioso quel rettangolo: la risposta ai suoi peggiori sospetti non tarda ad arrivare.
“Loki è evaso,” dice. “Il corpo nella gabbia è troppo grosso per essere il suo.”
L’agente annuisce, prima di controllare che il gun nella fondina d’ordinanza sia carico. “Procedo al recupero, signore?”
Fury sospira e porta lo sguardo al soffitto mal intonacato del cubicolo che chiama ‘ufficio’. “Sì. E fagli male.”

*

Dunque hai compreso, Loki Laufeyson?
 
Sì.
 
Agirai secondo i nostri accordi?
 
Sì.
 
Combatterai per la gloria di Thanos e dei suoi figli?
 
Sì.
 
Allora siederai alla mia destra, nuovo re del mondo.
 
Il naso non smette di colare.
La manica della brutta divisa dello S.H.I.E.L.D. è un florilegio di muco e sangue, ma non importa. Presto non indosserà più alcuna uniforme o sarà lui a dettarne i colori.
Scuote il capo, stordito. La voce di Thanos è un artiglio piantato nel cranio, eppure è un dolore che lo lascia quasi grato, perché per la prima volta, dopo mesi, sa cosa fare, come muoversi, in che direzione allungare la mano.
Il Tesseract brilla nell’oscurità del laboratorio di fisica, un lucore azzurrino che gli riporta alla mente gli elfi e le fate delle favole con cui Frigga lo consegnava al sonno. Nessuna di quelle creature gli ha mai offerto la chiave della felicità: Loki ha dovuto procurarsele da solo.
 
“Fossi in te, porterei le braccia in alto ed eviterei di fare un altro passo.”
Una voce nota lo sorprende alle spalle.
Sogghigna, perché tutto gli pare all’improvviso tanto grottesco da sfiorare il ridicolo: Fury con i suoi ordini, i mille tirapiedi, l’ottimismo d’ingiunzioni che intimidiscono solo pecorelle affezionate al gregge.
“Loki, sappiamo che hai bisogno di cure e nessuno, qui, intende procedere contro di te, salvo che tu…”
Loki si volge con uno scatto repentino, afferra l’altro alla gola e lo rovescia a terra senza incontrare resistenza. “Purché non faccia cosa, agente Coulson?”
Afferra il gun e gli sfonda gli incisivi per raggiungerne la lingua.
“Sogni d’oro: questa volta vinceranno i cattivi.”
Poi schiaccia il grilletto con tutta la propria forza.
 
Note:
 
(1) Stark, in tedesco, vuol dire duro.
(2) Nell’universo Marvel (Earth-616), Thanos è uno dei due figli di Mentore e Sui-San, i primi Eterni a colonizzare Titano, la luna di Saturno.
(3) Dalle rilevazioni della sonda Cassini risulta confermata la teoria secondo la quale su Titano sarebbe presente un ciclo idrologico basato sul metano, analogo a quello terrestre basato sull’acqua. Sono stati trovati, infatti, indizi consistenti di fenomeni di evaporazione, piogge e canali naturali scavati da fluidi.
(4) Qui cito il famoso: ‘Telefono casa’ di E.T.
(5) Chiamo così il drift stabilito tra organismi che non appartengono allo stesso sistema biologico.

   
 
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