-4-
TEST A SORPRESA
Era
accaduto che la faccenda della vernice fosse trapelata, diventando di pubblico
dominio, poiché purtroppo non era stato facile per Harlock levarsela dai
capelli e così per qualche giorno era dovuto andare in giro con un bell’alone
rossastro su una parte della chioma. La sua divisa invece, si era
irrimediabilmente rovinata e aveva dovuto procurarsene una nuova di zecca allo
spaccio, oltretutto dovendola ripagare di tasca propria.
Lee, che non aveva assolutamente gradito che si fosse fatto fregare così
facilmente, gli aveva fatto una bella lavata di testa e di conseguenza era
stato preso in giro dagli altri tre piloti che lo canzonavano di continuo.
“Toh! Ė
arrivato Falco Rosso!” lo apostrofò Devasto non appena oltrepassò la
porta dell’aula dove di solito facevano i test, che veniva usata anche come
punto di ritrovo per l’inizio delle mansioni giornaliere.
Harlock dette un’occhiata di sbieco al commilitone, poi abbozzò una specie di
sorriso. Era impossibile arrabbiarsi con Joe: era un tale casinaro e le sue
prese di giro alla fine erano sempre divertenti e mai cattive. Era fatto così,
avrebbe rotto l’anima anche alla sua ombra se avesse potuto.
“Si
vocifera che l’attivista che ti ha ridotto come un pomodoro, fosse una femmina…
hai forse perso il tuo tocco magico? Ella non si lasciò cadere tra le
tue braccia come la solita pera matura di turno?” lo punzecchiò ancora Devasto,
con fare teatrale e riverenza di rito, fare inchini era un’altra delle sue
folli peculiarità.
“Ebbene sì! Ella mi fregò! Capita anche ai migliori mio caro, devo
ammetterlo” rispose solenne Harlock, stando al gioco. Pensò che era meglio
dargli soddisfazione e fare in modo che quell’episodio increscioso finisse nel
dimenticatoio. Non era affatto fiero della figura che stava facendo, era
parecchio irritato con occhi blu che a dispetto di tutto, era sempre più
presente nei suoi pensieri. Si era come ritagliata un angolino tutto suo, nel
quale si era stabilita e non se ne voleva più andare. Lei, la sua pelle
diafana, i suoi capelli lucenti, le sue labbra piene e quegli occhi che
rivelavano, a chi sapeva leggervi dentro, un’anima pura, ma anche battagliera.
Quei due fari cobalto che l’ultima volta che li aveva incrociati per esortarla
alla fuga, avevano saputo accendersi di stupore. Da quando non vedeva più quel
sentimento riflesso nello sguardo di una donna, o di una ragazza? Erano quasi
sempre così spigliate, sfacciate e disponibili. Rendevano tutto troppo facile,
insipido, privo di quella magia e sottile mistero che rendeva tutto speciale, mettendo
addosso quell’ansia unita a quella specie di smania, che portava a desiderare
di cercare anche solo uno sguardo, o un sorriso, per essere appagato e sentirsi
leggero. Già, ma lui come mai stava facendo questo genere di riflessioni?
Perché si concedeva di darle spazio, di indugiare nel ricordo di quei sui
magnifici occhi, così che lei poi potesse prendersi tutta la sua mente e
rapirlo? Che diamine gli stava accadendo?
“Oh, ci sei? Sei connesso? Pronto?”.
“Che c’è, che vuoi?” chiese Harlock a Devasto come risvegliatosi bruscamente
dai suoi pensieri. Era indispettito da tutte queste scoperte che stava facendo.
Non gli piaceva avere la testa altrove, doveva concentrarsi su ciò che doveva
fare, la sua priorità era diventare il comandante dell’ammiraglia, Tochiro era
stato chiaro. Quindi non poteva perdersi dietro niente e nessuno, ma se la sua
mente per caso la metteva a fuoco, di colpo lui si estraniava e ciò non andava
affatto bene.
“Sembravi quasi in catalessi” commentò distrattamente il Freddo. A lui non importava molto delle figuracce di Harlock, non dava peso a queste cose, sapeva che tipo di soldato e che pilota straordinario fosse, tutto il resto non lo toccava, né lo interessava.
“In
effetti ti facevo più tosto Falco! Farsi gabbare così da una femmina…”
s’intromise Vipera che non si lasciava mai sfuggire l’occasione di
punzecchiarlo, né di sminuirlo. Era in competizione con lui e ogni mezzo che
gli capitava a disposizione per metterlo in difficoltà, lui lo usava senza
remore. Mors tua vita mea era il suo motto.
Harlock lo fissò severo dritto negli occhi “Dimmi, tu che avresti fatto?” Le
avresti forse sparato? L’avresti colpita con un pugno? Infondo stava solo
imbrattando un prototipo, non stava attentando alla vita di nessuno. Non amo la
violenza e mi piace risolvere le cose a parole quando è possibile, soprattutto
non è mia abitudine sopraffare fisicamente una donna. Mi ha fregato, lo
ammetto, ma solo perché non avrei mai pensato che mi spruzzasse con la bomboletta”
gli disse gelido, ma sincero. Cominciava ad essere stufo di tutta la faccenda,
già lui stesso non era fiero della figuraccia che aveva fatto, ma era pur vero
che sarebbe potuto capitare a chiunque. La ragazza era stata fulminea e molto
astuta; sotto, sotto, anche se gli doleva non poco ammetterlo, l’ammirava. La
bionda aveva avuto fegato, prontezza e spirito d’iniziativa, avrebbe potuto
essere un buon soldato. Ovviamente nessuno lo sapeva, ma lui l’aveva catturata
e l’avrebbe anche consegnata se non avesse istintivamente deciso di salvarla,
per questo sopportava stoicamente tutte le prese di giro ironiche, o
sarcastiche che fossero, perché era stata una sua decisione lasciarla andare.
Fu in quel momento che arrivò Tochiro tutto eccitato.
“Ragazzi
oggi farete la prima simulazione di guida e c’è una bella sorpresa, sono appena
atterrate le nibelunghe! Farete anche la loro conoscenza!” comunicò ai quattro
tutto giulivo.
Harlock sapeva quanto Tochiro fosse affascinato da quelle aliene e dalla loro
razza, che riteneva assai più evoluta e completa di quella umana.
Ne parlava molto con lui, per questo sapeva anche che stava facendo degli studi
in collaborazione con ingegneri genetici e antropologi: poiché si stavano
praticamente estinguendo lui coltivava il sogno inconfessabile di salvare il
loro retaggio e ripopolare Yura, il loro pianeta di provenienza, che verteva in
condizioni peggiori della stessa Terra.
Oyama era un idealista ed un uomo caparbio, oltre che un gradissimo sognatore ed un genio indiscusso. Vedeva sempre il lato buono delle cose e difficilmente si dava per vinto. Era forte, ma in modo differente da Harlock. La sua forza era un sentimento alimentato dalla speranza e dall’ottimismo incrollabile che lo caratterizzava. Non per questo era un ingenuo sprovveduto, o uno sciocco, era piuttosto uno che difficilmente si arrendeva e lo faceva solo davanti all’evidenza dell’impossibilità effettiva, mai prima. Per questo si adoperava con tutti i mezzi per raggiungere i suoi scopi, sempre molto nobili e per il bene comune.
Tutto
ciò alimentava l’ammirazione incondizionata di Harlock per quello che era il
suo più caro amico, era anche il motivo che lo portava sempre ad ascoltarlo e a
far tesoro dei suoi consigli.
“Aliene?
Uhmm… interessante!” fece Devasto accarezzandosi la barba, con uno sguardo
furbetto che era tutto un programma.
Tochiro scosse la testa e poi invitò gli altri a seguirlo negli hangar.
Una
volta sul posto, scoprirono con soddisfazione che quel giorno avrebbero
cominciato il primo test di guida sull’ammiraglia e naturalmente si sarebbero
dovuti cimentare, alternandosi con la navigazione manuale tramite il timone.
Era un test preliminare a sorpresa. Lee sapeva che erano quattro ottimi piloti
ma quello che gli interessava maggiormente era vedere il loro istinto in quel
particolare modo di manovrare la nave, in seguito avrebbe fatto far loro la
vera e propria scuola guida, ma prima di allora voleva capire chi tra loro
avesse il maggior feeling naturale con la ruota.
I piloti erano curiosi e qualcuno di loro anche un po’ perplesso. Sapevano che
c’era il timone perché l’avevano precedentemente visto, ma avevano creduto che
fosse uno strumento di comporto, forse più un vezzo, che facesse pendant con il
cassero di poppa, volutamente costruito identico a quello di un antico galeone
che conferiva alla nave un’aura elegante. La rendeva fascinosa ed evocativa,
simile in parte alle antiche navi che solcavano i mari terrestri, su cui
valorosi Ammiragli avevano difeso e conquistato nuove terre. Un particolare che
Harlock amava svisceratamente perché era un cultore di vecchie navi marine.
Oyama, che aveva costruito quella nave pensando proprio al suo amico, aveva
convinto il Plenipotenziario ad approvare questa bizzarra modifica alla nave.
L’ingegnere gliela aveva presentata in modo rassicurante, come se conferisse
alla corazzata una sorta d’aria da ambasciatrice di echi lontani che
rimandavano alla difesa, all’esplorazione, piuttosto che alla becera offesa.
Fu
Tochiro che, prima di iniziare i test, spiegò loro un po’ di cose.
“Il timone non è un capriccio che mi è passato per la testa” disse subito,
quasi leggendo nei loro pensieri “Questa è l’ammiraglia ed ha delle
caratteristiche particolari. Ė una nave speciale che non può e non deve essere
sopraffatta dal nemico, così ha questa opzione in più cioè la guida manuale:
le permette virate brusche ed improvvise che le consentono di essere più
agile in battaglia. La nave stessa può all’occorrenza, essere utilizzata come
arma di offesa ravvicinata, tramite speronamento. Inoltre la presenza del timone
fa sì che possa essere pilotata da un qualunque membro dell’equipaggio in caso
di inefficienza, malore, morte, o ferimento del Capitano”.
“Se è così facile guidarla, perché fare i test?” chiese subito il Freddo scettico.
“Ottima
domanda” rispose Tochiro “In realtà è molto facile farlo manualmente nella
modalità In-skip, ma non lo è affatto se il comandante, o chi per lui, deve
farla muovere nello Spazio, navigando e virando, soprattutto durante una
battaglia, o un attacco”.
Prese fiato e parlò ancora “Ė un
bestione di diverse tonnellate, è oltremodo difficoltoso, ma anche molto
faticoso, riuscire a manovrarla a mano”.
In seguito rispose alle domande tecniche che ognuno di loro gli pose, dopo di che ebbe finalmente inizio il test.
Il primo ad effettuarlo fu Devasto, a cui Tochiro ammise di essersi ispirato, nel volere il timone a bordo affinché si potesse appunto usare la nave per speronare il nemico. Era stato lui con la sua mania di schiantarsi contro gli avversari, quando non riusciva a bloccarli in altro modo, a dargli quell’idea.
Gli altri tre piloti vennero fatti uscire, nessuno di loro doveva avere vantaggi di sorta.
Una volta che uno di loro aveva terminato il test, veniva fatto accomodare in una stanza attigua, ma non nella stessa in cui si trovavano gli altri che dovevano ancora effettuarlo.
Harlock entrò per ultimo.
Il
simulatore 3D era già attivato e la postazione di Plancia era circondata a semi
cerchio da enormi schermi ultrapiatti: riproducevano fedelmente lo Spazio e
varie formazioni di attacco nemiche, pronte per essere azionate da Lee che
faceva da contraltare.
Il Falco si avvicinò alla ruota. A differenza degli altri tre prese ad
osservarla attentamente. Poi con la punta della dita toccò timone. Sembrò quasi
che volesse carezzarlo. Quindi afferrò una caviglia e si rese conto che pareva
bloccato, come fissato a terra.
Sospirò ed azionò la modalità di navigazione semplice, quindi provò a
manovrarlo. La cosa sembrava più facile del previsto; almeno procedendo in
avanti, la ruota, nelle sue mani pareva abbastanza fluida e docile.
Lee lo lasciò fare per un po' poi, a sorpresa, azionò una delle opzioni di
disturbo a sua disposizione. Dagli schermi 3D pareva che una nave, sbucata dal
nulla, stesse per andargli addosso frontalmente. Harlock, preso alla sprovvista,
cercò di girare il timone, facendo leva sulle caviglie più in alto, in modo da
poter far virare, seppur minimamente la
nave, ma si rese conto che quello era durissimo, bloccato, si rese conto che
così a freddo non ce l’avrebbe mai fatta. Infatti di lì a poco, il simulatore
fece tremare e sobbalzare tutto il prototipo, proprio come se fosse andato in
collisione con la nave in 3D e lui perse quasi l’equilibrio, finendo malamente
addosso alla ruota. Nel frattempo, sugli schermi, che riproducevano l’impatto,
fu fedelmente raffigurato un fitto fiorire di detriti che sembrarono proprio danzare
mollemente nello Spazio. Pareva tutto maledettamente reale. Si dette mentalmente
dello sciocco. Non era una navicella di poco conto che si poteva pilotare con
superficialità. Era una nave titanica, enorme e pesante, non poteva certo
guidarla dando una giratina lieve al timone.
“Voglio riprovare” disse subito molto serio Harlock, guardando verso la
consolle dei comandi del simulatore, con la fronte aggrottata
“Sì certo. La prima volta tutti hanno fallito è normale, perché non puoi sapere quanto sia ostica la ruota, lo capisci solo quando l’hai tra le mani. Stai in guardia, la minaccia ovviamente non arriverà dalla stessa parte” gli disse Lee. “Rimetti la modalità navigazione semplice e ricomincia da capo, sarò io, quando non te l’aspetti, a far sbucare un’altra nave” comunicò infine.
Harlock
fece un cenno di assenso con la testa.
Si concentrò sgombrando la mente, cercando di porre tutta la sua attenzione
alla ruota, alla nave e a come poteva fare per dominarla. Di nuovo toccò le
caviglie del timone. Inclinò la testa e chiuse gli occhi, come per mettersi in
ascolto. Passò il palmo della mano su di loro sfiorandole e questa volta a
Tochiro parve quasi che stesse come accarezzando i fianchi di una donna. Come
se volesse sentirla, quasi che la nave fosse una creatura viva. Harlock si
prese il suo tempo e si concentrò ancora più intensamente. Era serio ed
incupito, quasi severo nello sguardo, quindi afferrò saldamente e con più
decisione la ruota, e restò ancora in ascolto della nave, poi puntò i piedi e
si protrasse appena in avanti, quasi come se stesse attirando a sé con possesso
una compagna immaginaria, con cui fosse scoppiata improvvisa la passione.
Tochiro era affascinato; azionò nuovamente i comandi e fece ripartire il
simulatore.
Harlock era molto concentrato, tanto che il suo sguardo era ancora più
accigliato ed austero di prima. Aveva le gambe appena divaricate e con
naturalezza assecondava impercettibilmente con il corpo i lievi movimenti della
ruota, che teneva sempre salda, con una certa eleganza e sicura padronanza.
Questa volta sembrava essere in sincrono con la nave.
D’improvviso dalla parte laterale destra, sbucò nuovamente un’astronave che
minacciosa si stava avvicinando a gran velocità per entrare in collisione con
il fianco del prototipo. La simulazione era come sempre più che realistica.
Harlock questa volta fu davvero fulmineo. Si piegò con agile eleganza sulle gambe e si sporse in avanti, poi afferrò la caviglia più in basso della ruota e, facendo leva su di essa, dette una spinta vigorosa al timone e sterzò fino in fondo, tenendola poi bloccata con tutta la forza che aveva in corpo, il suo viso era contratto in una smorfia per la caparbietà dello sforzo. Con questa mossa rapida e decisa, la nave restò ferma a prua, mentre la poppa fece una mezza virata, così da allargarsi a ventaglio e far passare l’astronave che arrivava in velocità; lasciò poi andare di botto il timone, cosicché quello girò velocissimo, facendo compiere al prototipo ancora un’altra rapida mezza virata. Quindi lo riafferrò saldamente, a metà della ruota, per le caviglie; lo bloccò di nuovo e rimise la nave in linea retta. Così facendo si ritrovò in perfetto asse, dietro la nave che aveva fatto apparire il sergente.
Era di nuovo in piedi, dritto, imponente e maestoso; decisamente in posizione di vantaggio.
Lee rimase stupito, si rese conto che se fosse stato realmente nello Spazio e quella fosse stata una minaccia, da quella posizione avrebbe potuto tranquillamente far fuoco ed abbatterla senza alcun problema.
“Porca vacca!” esclamò sinceramente ammirato.
Anche Tochiro era rimasto rapito dai movimenti eleganti e calibrati del suo amico. Sembrava quasi che avesse danzato con la ruota del timone, proprio come avrebbe potuto fare con una donna durante un ipotetico passo a due. Lui e la nave: la dama ed il suo cavaliere. Era strabiliante come solo al secondo tentativo avesse domato quella corazzata, rendendola arrendevole ed ubbidente al suo tocco. Vederglielo fare era stato affascinate ed allo stesso tempo esaltante. Oyama non aveva mai avuto dubbi su chi dovesse essere il Capitano di quella nave speciale e come sempre i fatti gli stavano dando ragione, Harlock era stato l’unico tra tutti che aveva piegato la nave al suo volere, rendendola sottomessa e docile ai suoi comandi.
A dire il vero anche Lee aveva sempre pensato a lui come comandante dell’ammiraglia e quel giorno il Falco aveva messo una bella ipoteca su quell’incarico, sorpassando di una spanna Vipera, il suo più diretto concorrente al ruolo.
Naturalmente
a lui non dissero niente, neppure si complimentarono, e si spostarono subito
dove si trovavano gli altri.
Una volta riunitisi, tutti insieme andarono a fare la conoscenza delle
nibelunghe: ospiti nella riproduzione della sala del Computer Centrale.
Le aliene erano quattro, Tochiro comunicò ai piloti i loro nomi: La Mine,
Meeme, Met e Clio*1.
Gli uomini presero ad osservarle e notarono che avevano un aspetto vagamente
umanoide. Il loro corpo, sebbene con proporzioni decisamente alterate rispetto
a quello di una femmina di razza umana, era abbastanza simile a quello di una
donna. Il busto però risultava essere più lungo, molto esile e con il punto
vita insolitamente strettissimo. Avevano gambe molto lunghe, cosce piuttosto
tornite e braccia che risultavano sproporzionate rispetto al tronco, con mani
eccessivamente grandi, se rapportate a quelle della razza umana. La testa era
leggermente oblunga, mentre il viso era piccolo e delicato nei lineamenti,
molto piacevole. Gli occhi erano decisamente più grandi rispetto a naso e
bocca, ricordavano vagamente quelli di un rettile, anche per via delle pupille
dalla forma allungata in senso verticale e delle doppie palpebre che le quattro
aliene sbattevano, chiudendole e riaprendole piuttosto spesso. Il loro sguardo sembrava fisso e
imperscrutabile. Nell’insieme avevano anche qualcosa di simile ad un felino,
forse per via delle orecchie, a punta come quelle di una lince, la bocca ed il
naso estremamente piccoli, ma soprattutto per il modo fluido ed elegante di
muoversi. Si capiva chiaramente che non fossero umane ma il loro fascino era
comunque prepotente, in un certo senso ammaliante ed incuriosì tutti. Erano
creature piuttosto silenziose e dai modi gentili, la loro pelle quasi
trasparente, costellata di venuzze azzurre, verteva sul color verde, così come
i capelli, o quelli che sembravano essere tali, che erano proprio color verde
acqua. Apparivano molto più fini ed eterei di quelli umani, danzavano come
mossi da un’invisibile brezza perpetua, come se fossero immersi nell’acqua,
forse erano eccessivamente elettrostatici. Due di loro li avevano molto lunghi
e coreografici, ad una arrivavano addirittura quasi fino ai polpacci, mentre le
altre due avevano una specie di caschetto più sbarazzino. Si somigliavano molto
ma non erano identiche.
La grande sorpresa di tutti fu scoprire che parlavano perfettamente la loro
lingua. Erano dotate di voci melodiose e pacate, sembravano sirene che
sapessero come incantare gli interlocutori.
Erano tutti molto affascinati, specialmente Devasto e Vipera, che erano proprio
rapiti. Il Freddo come suo solito era distaccato, le trovava interessanti, ma
più da un punto di vista scientifico, mentre Harlock era molto curioso di
capire che ruolo avrebbero potuto avere all’interno delle navi, sebbene già
sapesse che erano macchiniste addette ai famosi motori a dark matter.
Devasto invece le guardava in modo che lasciava ben poco all’immaginazione.
Fu allora che Tochiro gli si avvicinò.
“Toglietelo dalla testa” gli disse sorridendo.
“Perché?”.
“Perché non siamo fisicamente compatibili”.
“Ma se sono come le donne, anzi sono praticamente delle donne, hanno anche le
tette!” brontolò contrariato.
Tochiro ridacchiò divertito dell’ingenuità di Joe “Intanto non sono affatto
donne, e chiamarle così è antropologicamente sbagliato. Sono piuttosto femmine
di un’altra razza. L’appellativo donna lo si può riservare solo ad una femmina
della razza umana. Se fossero donne sarebbero umane e non aliene”
puntualizzò subito Tochiro, con la precisione puntigliosa tipica dello
scienziato.
Devasto
fece una smorfia di disappunto, arricciando il labbro superiore.
“E quelle per la cronaca, non sono affatto delle tette. Il fatto che
somiglino a ghiandole mammarie non significa che lo siano” sorrise sempre più
divertito Oyama, che aveva a lungo studiato
quella razza in via d’estinzione.
“E che
diamine sono allora?”.
“Sono sempre delle ghiandole, ma di riserva. Per farti meglio capire, sono
assai simili in tutto e per tutto alle gobbe del dromedario. Le Yurane hanno un
sistema linfatico decisamente diverso dal nostro, un DNA completamente
differente ed una struttura fisica simile, ma non uguale a noi. Per esempio si
nutrono solo di alcool. Hanno il cuore nel basso ventre*2 e i polmoni appena sotto quelle che tu credi
essere mammelle, che invece sono ghiandole scorta, in cui si deposita
parte dell’acool che ingeriscono e che viene via via rilasciato a piccole dosi
per mantenere attivo il loro sistema linfatico che necessita di nutrimento
continuo e costante, come fosse appunto linfa” poi sorrise e aggiunse “E mi
dispiace per te, ma non hanno organi sessuali esterni compatibili con i nostri.
Quindi accoppiarti con loro sarebbe fisicamente impossibile!” gli confessò,
facendo cadere ogni sua fantasia più sfrenata nel più profondo oblio.
Devasto rimase malissimo, le cose strane e fuori dal comune lo avevano sempre
attratto, avere un interludio con un’aliena era il suo grande sogno erotico
proibito, ma questa volta gli era andata male, c’era ben poco da fare se non
rassegnarsi all’evidenza. Eppure ci aveva sperato, ma Tochiro gli aveva appena
fatto capire che l’apparenza inganna e che similari non significa uguali, né
tanto meno compatibili.
Oyama aveva studiato a fondo quella razza aliena perché tentava disperatamente di isolare il loro DNA e ricreare in laboratorio un maschio per poter impedire che si estinguessero. Rischio ormai certo, dato che quelle erano le uniche quattro rimaste di tutta la razza e che non potevano accoppiarsi con nessuna specie umana ed aliena sino ad allora conosciuta, perché incompatibili fisicamente. Forse sarebbe stato possibile ibridare un umano e una Yurana in laboratorio*3, ma le differenze genetiche tra le due razze erano enormi, c’era il rischio quasi certo che non sarebbe sopravvissuto. Ovviamente come suo solito non si dava per vinto e le stava tentando tutte. *4
Alla
fine anche gli altri avevano ascoltato con curiosità le spiegazioni di Tochiro,
che erano state comunque interessanti. Le aliene invece erano rimaste
silenziose ed impassibili, come se non fossero coinvolte da questo genere di
discorsi, come se la cosa non le toccasse minimamente.
La loro intelligenza spiccatamente superiore le rendeva molto distanti e forse,
ad un esame superficiale, anche algide, ma in realtà erano solo ad un livello
più alto di sensibilità. Sebbene fossero emotivamente toccate dalla dolorosa
questione dell’estinzione, sapevano controllare il loro sentire interiore, non
lasciando trapelare nulla dei loro pensieri e delle loro emozioni. La loro
capacità intellettiva, che esse sfruttavano al settanta per cento in più
rispetto agli umani, le rendeva empaticamente diverse e controllate.
Tra
tutti i piloti, Harlock fu l’unico che si parò davanti a loro a braccia
conserte e che andò oltre il loro aspetto fisico che non lo interessava
minimamente. Le fissò, cercando di sondare in quei loro grandi e strani occhi
dalle doppie palpebre; voleva un punto di contatto, voleva carpire qualcosa da
quelle creature così silenziose e soavi che però avevano un retaggio immenso,
da cui era certo che avrebbe potuto imparare un sacco di cose utili per essere
un buon Comandante.
Tutte e quattro le aliene gli sorrisero gentilmente, e lo osservarono a loro
volta, si era subito creata tra loro una connessione mentale. Il Falco aveva
riconosciuto la potenza delle loro menti superiori, mentre loro nella mente di
quell’umano così riflessivo e indagatore, avevano percepito chiaramente
qualcosa di particolare e di diverso dalla media della sua razza, che le aveva
incuriosite.
Era l’unico di quella specie inferiore, oltre a Oyama, ad aver destato in loro
un interesse di tipo mentale.
Note
esplicative:
Nella
mia fanfic, ma anche nella mia testa, Meeme le sue compagne sono aliene al 100%
per questo per me sono geneticamente e sessualmente incompatibili con la razza
umana, poiché sono totalmente differenti, seppur apparentemente similari. La
cosa è per me abbastanza plausibile dato che parliamo di alieni in via
d’estinzione, se potessero riprodursi, non si estinguerebbero. Nessuno mi vieta
di immaginare ciò che ho descritto dato che nel film non viene spiegato niente
in proposito di questa razza aliena né tanto meno sulla sua sessualità, ma a
dire il vero neppure nell’anime si spiega nulla, salvo il fatto che è appunto in
via di estinzione e che si nutre di alcool. Quindi la mente e la fantasia può
spaziare come e dove vuole, ovviamente ognuno è libero di farsi la sua idea: questa
è la mia :)
Consiglio di buttare un occhio all’angolo thè, caffè e pasticcini per guardare
una bella sceen caps delle 4 aliene e un bel primo piano di Meeme.
Glossario:
1 LA
MINE, MEEME, MET E CLIO: Per un mio vezzo personale ho voluto chiamare le 4
nibelunghe con tutti i nomi dati nelle serie, anime e film a Meeme. Clio è il
nome usato dai nostri cuginastri francesi
che hanno così ribattezzato l’aliena.
2 CUORE NEL BASSO VENTRE: Idea ripresa e rielaborata da i vulcaniani
di Star Trek che hanno il cuore al posto del fegato.
3 IBRIDARE
IN LABORATORIO UMANI E ALIENI : velato riferimento a Star Trek in cui ciò è
stato fatto per dare la vita al Signor Spook alieno ibridato con umano tramite
fecondazione avvenuta in laboratorio. Ho pensato a questa cosa perché la logica
mi fa supporre che Meeme, ma anche la Met dell’anime non sarebbe stata l’ultima
della sua specie se avesse potuto accoppiarsi con una razza diversa, avrebbe
proseguito la sua discendenza, sebbene incrociata con un’altra razza. Poi
ognuno la pensa come e meglio crede, questo il mio di pensiero! :)
[fonte trekkiana: http://it.memory-alpha.org/wiki/Pagina_principale]
-Long life and prosperity!- (tanto per restare in tema Trekkiano!)
Ciao Mondo! =D
Questo Capitolo è dedicato a Lovespace e a Lady Five ♥
→ Grazie alla mia Azubeta(detta anche Azumina la sartina) ♥
→ Devasto Ringrazia e vi invita a fare
un giro sulla sua corazzata a vedere la sua
c collezione di tappini di birra!!!
xD
––––••••.••••––––
Per oggi è tutto.
Buona notte, o Buon giorno a voi!
Passo e chiudo.
Che la pace sia sempre con voi! Alla prossima volta! =D