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Autore: Jane Ale    06/10/2014    1 recensioni
Linnie vive con Lexi, sua cugina, e la ragazza di quest'ultima, Sadie, in un piccolo appartamento. Non accettando il fatto che Sadie sia stata buttata fuori di casa da suo fratello a causa della sua omosessualità, Linnie organizza uno strambo piano per aiutare la ragazza e per far capire al fratello che l'amore supera ogni barriera, anche quelle che appaiono più difficili.
Ma se Cupido avesse deciso di mescolare le carte in tavola e volgere il piano contro la sua ideatrice? Cosa potrebbe fare Linnie se, per caso, si fosse innamorata dell'intollerante fratello di Sadie?
Dal testo:
-Keith, tu non stai bene, quindi adesso ti distendi sul divano e dormi. Domattina risolveremo tutto.- gli dissi.
-No, ora risolviamo. Tu sei una…- fece una pausa, forse per scegliere l’insulto più adatto. -…ragazzina!- concluse con serietà.
Trattenni a stento una risata. –Oh, si hai ragione, sono abbastanza giovane.-
-No, peggio, tu sei troppo giovane!-
-Ti ringrazio, lo prendo come un complimento. Adesso però dormi!-
-Io non dormo in casa tua, mi hai detto che sono cattivo.- disse offeso.
-Ne parliamo domani..-
-No, perché io non sono cattivo. E poi tu hai un gran bel culo!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 1.Cattiveria


 

 

 

 


Mi ero cacciata da sola in quella pazza situazione e ne ero pienamente cosciente, ma il mio corpo non voleva muoversi dalla porta del bagno alla quale si era appoggiato ben venti minuti prima.

-Linnie, siamo tutti in salotto ad aspettare te.- mi urlò Lexi per farmi uscire.

-Arrivo!- gridai di rimando, ma senza pensare minimamente di muovermi.

Non sapevo perché, ma dopo aver visto Keith non ero più tanto sicura di riuscire a portare a termine il piano. Anzi, non ero nemmeno sicura di riuscire a parlargli! Quel fisico, gli occhi, la bocca…oddio, riuscivo solo a pensare a quanto avrei voluto buttarmi su di lui. Ma no, dovevo rimanere lucida, avevo fatto una promessa a Lexi e a Sadie, non potevo deluderle perché i miei ormoni stavano ballando il tango. Certo, avrei dovuto trovare una dose non indifferente di coraggio per parlare con Keith senza arrossire, sbavare o sbagliare la coniugazione verbale, ma era un rischio che avrei dovuto correre.

Mi aggiustai il tubino nero che mi ero messa ed indossai un paio di sandali rossi; presi la giacca dalla mia stanza e mi recai in salotto.

-Finalmente!- disse Sadie ridendo. –Pensavamo ci fossi caduta dentro.-

Lei e Lexie si alzarono dal divano e Keith le imitò, ma potevo notare il suo disagio.

-Prendiamo la mia auto, ok?- chiese Lexi.

Keith scosse la testa. –Prendo la mia, così non sarò costretto a tornare qui.-

Che bastardo! Va bene, avevo gli ormoni ballerini, ma anche i miei attacchi d’ira sapevano venir fuori abbastanza rapidamente. Lanciai un’occhiata a Sadie e notai lo sguardo triste che rivolse a mia cugina.

-Bene, dunque io vado con Keith.- annunciai sorridendo alle due ragazze.

-Sei sicura?- chiese Sadie.

-Non preoccuparti.- la rassicurai con la migliore espressione da complotto del mio repertorio. La testa di cavolo avrebbe imparato l’educazione!

Salimmo nelle rispettive auto e partimmo.

-Dunque tu sei Keith?- fu la mia prima domanda. Sì, una domanda di grande spessore, lo ammetto.

-Perspicace. Linnie, vero?- chiese.

-Sì.-

-Sarebbe il tuo vero nome?-

-Si tratta di un diminutivo, il mio nome è Madeline.- spiegai.

-Francese?-

-Mia nonna lo era. Tu di dove sei?-

-Di qui. I miei antenati sono nati e cresciuti nel paese, nessuno ha mai lasciato la patria.- rispose.

Ossignur! Neppure mio nonno faceva discorsi del genere!

-La patria?- domandai confusa.

-Sì, la nostra terra, il paese in cui sono nato e vissuto. Potrà sembrarti strano, ma sono molto attaccato a questo posto.- spiegò.

-Ho notato. Hai una mentalità…antica, ecco.- dissi.

-Sono punti di vista. Tu mi reputi antico, mentre io penso che quelli come te non siano molto coerenti.-

Respirai profondamente e riordinai le idee: la calma era essenziale, avevo fatto una promessa a Sadie e l’avrei mantenuta. Non avrei ucciso il deficiente che si ritrovava come fratello e la avrei aiutata, ce l’avrei fatta.

-Spiegati meglio.- dissi con un sorriso tirato e falso.

-Perché vivi con mia sorella e la sua ragazza?- chiese lui.

-Perché la sua ragazza è mia cugina e viviamo insieme da un po’. Poi tu hai deciso di buttare fuori di casa tua sorella e così adesso siamo in tre sotto un tetto.- spiegai con ironia.

-Questo lo so, ma perché accetti la loro storia?- domandò serio.

Lo guardai e mi resi conto che non stava scherzando. Quando Lexi aveva definito Keith diverso, avevo pensato che fosse tutta questione di ignoranza: ciò che non si conosce ci spaventa, motivo per cui opponiamo resistenza. In quel momento, però, pensai seriamente ad un problema mentale, una malattia, una deficienza. Cosa significava “perché accetti la loro storia?”

Lui non accettava, forse, che uomini e donne si sposassero tutti i giorni?

-Keith, scusa se mi permetto, ma la domanda è un’altra: perché tu non l’accetti?-

-Perché è una cosa sbagliata e lo sai anche tu.- rispose.

-No, io non lo so. E se ti aspetti che capisca il tuo punto di vista solo perché sono eterosessuale, sei fuori strada.- sbottai.

Lui sorrise. –Perfetto, hai colto nel segno.-

-Che significa?- chiesi.

-Non è quello che stai facendo tu? Non stai cercando di farmi cambiare idea?-

Aprii bocca, la richiusi e la riaprii. –Non è la stessa cosa.-

-Perché mai?-

-Perché hai buttato fuori di casa tua sorella! Non è nemmeno una cosa legale!- urlai come una pazza.

Lui parcheggiò accanto a Lexi. Scese dall’auto, poi prima di chiudere lo sportello sogghignò e mi chiese: -Vuoi forse denunciarmi?-

Pezzo di merda!

 

Dopo aver ordinato nessuno parlava. In realtà era da quando ci eravamo seduti che nessuno apriva bocca, così mi decisi a sbloccare la situazione.

-Cosa fai nella vita, Keith?- chiesi sorridendo, almeno in apparenza, gentilmente.

-Sono un architetto. Al momento sto lavorando al nuovo Museo d’Arte Moderna sulla Nona Strada.- disse con tono orgoglioso.

-Interessante!- Bene, era pure capace ed intelligente.

-Tu, invece, cosa studi?- mi chiese.

No. Non glielo avrei mai detto. –Studio.-

-Cosa?- La curiosità uccise il gatto, Keith.

-Letteratura.- ammisi.

-Interessante.- disse con un sorriso beffardo. Sì, mi stava prendendo in giro.

-Linnie è molto intelligente. Non è mai rimasta indietro con gli esami e tra poco si laureerà.- disse Sadie venendo in mio aiuto.

Le sorrisi e mimai un grazie.

-Lexi, tu cosa studi?- chiese Keith.

-Politica ed economia.- rispose lei soddisfatta.

-Vorresti governare il nostro paese?-

-Già.-

-Beh, non c’è niente di male nell’avere sogni.- asserì lui prima di bere un po’ di vino.

Mi irrigidii. –Non è un sogno, Lexi potrebbe davvero essere il prossimo presidente del nostro paese.- dissi con foga.

-Non credo che potranno mai esserci politici, presidenti o medici- e guardò Sadie –omosessuali.- disse calcando sull’ultima parola.

Sadie chiuse gli occhi ed abbassò il volto, probabilmente per nascondere le lacrime, mentre Lexi le afferrò la mano.

-Tu.Sei.Una.Persona.Di.Merda!- dissi scandendo le parole ad una ad una. –Non me ne frega niente se sei un architetto, un pezzo grosso o il figlio del primo uomo che mise piede in questo paese, hai il cervello di un criceto! E siccome i criceti sono animali abbastanza stupidi e privi di personalità, lascia che ti dica una cosa per indirizzarti lungo la retta via: alza il sedere da quella sedie, cammina dritto fino alla tua auto e guida fino a quando non vai a fare in culo, chiaro? Non ti permetterò di discriminare nessuno, né mia cugina, né la sua fidanzata, né qualsiasi altro essere umano ti passi per la testa!-

Non respirai fino alla fine del mio delirante monologo. Quando ebbi finito, lasciai andare un respiro liberatorio e sentii il cuore rallentare il battito. La calma, però, durò solo qualche millesimo di secondo.

-Come ti permetti? Sei solo una ragazzina viziata, maleducata e altamente ignorante! Difendi queste due lesbiche come se fosse normale, ma non capisci che sono la cosa più sbagliata che esista. Ma sono quelle come te il problema, persone che non capiscono quanto la nostra società sia in pericolo! Un branco di inutili essere umani, ecco cosa sono quelli come voi! Non starò qui a farmi insultare un minuto di più!- tuonò Keith.

Si alzò e prese la giacca per andarsene, ma io fui più veloce e afferrai il bicchiere colmo di vino prima che potesse vestirsi e trasformai il bianco splendente della sua camicia in un rosso carminio molto vicino al sangue.

Stava per sputarmi addosso qualche altra offesa, ne ero certo, ma lo precedetti. –Non osare parlare ancora. Che tu fossi un bigotto l’avevo capito, ma se avessi immaginato la quantità di cattiveria che c’è in te non avrei mai organizzato questo incontro. Spero che la vita ti vada sempre bene, Keith, perché quelli come te rischiano sempre di finire male.-

Notai la sua occhiata e parlai prima che potesse farlo. –Non ti sto minacciando, è solo un dato di fatto: sei un razzista, Keith, e il razzismo, come ogni malattia, uccide.-

-Io non sono malato!-

-Sì, lo sei. Cattiveria, intolleranza, razzismo…sono tutte malattie dell’anima. E fidati, sono quasi peggiori di quelle fisiche.- dissi.

-Sei solo una stupida ragazzina!- sentenziò prima di girarsi ed andarsene.

Quando mi voltai, notai che Sadie era scoppiata in lacrime.

-Mi dispiace, tesoro.- le dissi avvicinandomi. –Non volevo creare tutto questo scompiglio.-

Lei scosse la testa, ma non parlò.

-Cosa pensavi di risolvere?- mi chiese Lexi.

-Non lo so.- ammisi.

-Linnie, il mondo non cambia solo perché tu vuoi che lo faccia. Devi capire che non siamo dentro ad un grande romanzo e le cose, molto spesso, non si aggiustano.- mi disse amareggiata.

-Speravo solo di potervi aiutare. Volevo che Keith accettasse Sadie, volevo che si rendesse conto che il suo modo di vedere le cose è quello sbagliato.-

Lexi scosse la testa. –Andiamo a casa che è meglio.-

Mentre ci dirigevamo alla macchina sentii una mano stringere la mia. Era Sadie che, silenziosamente, mi ringraziava per il tentativo.

Durante il viaggio verso casa riflettei sulla serata. Sì, era stata un mastodontico disastro, non c’era dubbio, ma qualcosa mi diceva che da qualche parte c’era un errore.

Io avevo commesso un errore.

Avevo fatto una promessa a Sadie, ma non avevo fatto tutto ciò che era in mio potere per mantenerla, anzi, mi ero infuriata e avevo rovinato tutto.

Mia madre me lo aveva sempre detto: è la presunzione che rovina tutto.

Ero stata troppo sicura e avevo sottovalutato il potere che ha sulla mente un’idea ben radicata, ma, soprattutto, avevo dimenticato una cosa importante: non si fa mai la guerra per affermare un’opinione, ma si cammina passo dopo passo fino ad arrivare ad un compromesso.

Ed eccolo lì il mio errore di presunzione. La grande predicatrice Linnie si era dimenticata che il potere della pace e delle parole è più forte di ogni combattimento armato.

Mi ero presentata a Keith come un guerriero armato e lui aveva risposto al fuoco. Era più che ovvio che avessi fallito!

Una cosa mi era chiara, però: potevo ancora mantenere la mia promessa.

 

Erano le tre e mezzo, ma non riuscivo ad addormentarmi. La parte razionale di me la chiamava “coscienza pullulante di sensi di colpa”, mentre la parte incosciente e immatura riteneva che fossero le mie idee geniali a tenermi sveglia. Nelle ultime ore avevo elaborato almeno trenta piani diversi per riuscire a parlare con Keith e convincerlo ad accettare la relazione tra Lexi e Sadie, ma nessuno di questi aveva superato l’esame finale a cui il mio cervello li aveva sottoposti.

Mi recai in cucina e mi versai un bicchiere d’acqua. Stavo per tornare nella mia stanza, ma sentii qualcuno battere alla porta di casa. Sussultai e spalancai gli occhi. Chi poteva essere a quell’ora?

Mi avvicinai alla finestra e sbirciai senza farmi vedere. Era un uomo alto, ma non riuscivo a vedergli il volto; sembrava una figura conosciuta, poi quella macchia rossa sul davanti…Keith!

Aprii la porta e feci per cominciare a parlare, ma qualcosa nella sua espressione mi bloccò: aveva lo sguardo fisso su di me, ma era come se non mi stesse guardando, sembrava un fantasma.

-Keith, stai bene?- gli chiesi.

-Mai stato meglio.- biascicò.

-Cosa ci fai qui?-

-Mmm..io qui, bella domanda!- mi disse ridendo. Non ero un’esperta, ma la sua risata puzzolente mi aiutò  a capire il problema: il ragazzo era ubriaco.

-Keith, perché diavolo hai bevuto così tanto?- sbraitati prendendolo per un braccio e trascinandolo a fatica verso il divano.

-Non ho bevuto, ho preso un bicchiere di vino a tavola, ma una stronza me lo ha versato addosso, quindi la tequila mi è venuta a prendere.- mi spiegò.

Perché mi dovevo sempre cacciare nei guai? Cosa avevo fatto di male per ritrovarmi nel bel mezzo della notte insieme ad un tizio che era stato “preso” dalla tequila?

-Keith, tu non stai bene, quindi adesso ti distendi sul divano e dormi. Domattina risolveremo tutto.- gli dissi.

-No, ora risolviamo. Tu sei una…- fece una pausa, forse per scegliere l’insulto più adatto. -…ragazzina!- concluse con serietà.

Trattenni a stento una risata. –Oh, si hai ragione, sono abbastanza giovane.-

-No, peggio, tu sei troppo giovane!-

-Ti ringrazio, lo prendo come un complimento. Adesso però dormi!-

-Io non dormo in casa tua, mi hai detto che sono cattivo.- disse facendo un espressione offesa.

-Ne parliamo domani..-

-No, perché io non sono cattivo. E poi tu hai un gran bel culo, sai?-

E questa da dove veniva fuori? Ossignur!

-Beh, sì, ti ringrazio, ma non capisco cosa c’entri adesso.- dissi cercando di non arrossire. Mi mancava solo di arrossire di fronte ai complimenti di un ubriaco!

-Perché sei giovane, hai un bel culo, ma non capisci niente. Sei strana e vivi con le lesbiche!- disse per poi coprirsi la bocca con le mani come se avesse detto qualcosa di sbagliato (da ubriaco sembrava essere molto più intelligente, a quanto pareva!).

-Mi spieghi qual è il tuo problema con gli omosessuali?- sbottai.

-Sono tutti cattivi, mi hanno portato via la mia Joy. Era mia!- disse lamentandosi come un bambino.

Joy? Chi era Joy? Non ci stavo capendo niente.

-Senti Keith, non so chi sia questa Joy di cui parli, ma non credo che sia colpa dei gay se Joy se ne è andata. Forse hai solo interpretato male la cosa.- tentai, ma non sapevo neppure di cosa stessi parlando.

Lui si distese sul divano e affondò il volto nel cuscino.

-No, lei se ne è davvero andata.-

Non sapevo cosa dire, così allungai la mano e gli accarezzai i capelli come si fa con i bambini.

-Vedrai che Joy tornerà.- gli dissi.

Ma lui non poteva sentirmi. Il suo respiro si era fatto regolare e capii che il sonno aveva ormai preso il sopravvento.

Lo coprii con una coperta e mi sedetti in fondo al divano in caso avesse avuto bisogno di aiuto durante il resto della notte. Chissà cosa si sarebbe ricordato la mattina seguente.

Appoggiai la testa sul bracciolo del divano e, poco dopo, mi addormentai anch’io.


 

 

 

 

 



Note dell'autrice:

Salve a tutti! :)

Eccomi qui con un nuovo capitolo. Lo so, è una delle storie più sconclusionate e senza senso che abbiate mai letto, ma questa volta la mia ispirazione è impazzita. In fin dei conti, però, non sempre le cose sono logiche e sensate, anzi, a volte è proprio il non-senso a rendere tutto più interessante...tutto questo per chiedervi di accettare questo mio momento di pazzia! :D

Come avrete notato, Keith è un tipo mooolto particolare con idee non proprio "gentili", per così dire; Linnie, invece, è il suo esatto opposto. So che può sembrare strano che tra questi due personaggi possa nascere qualcosa, ma, come ho già detto, non tutto deve per forza avere senso...soprattutto in amore.

Spero che il capitolo sia di vostro gradimento. Come sempre ringrazio coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite, mi rendete tanto felice. Un grazie particolare va a fabisweetheart che riesce sempre a farmi venire gli occhi a cuoricino con le sue recensioni.

A presto.

Baci,

Jane

  
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