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Autore: Louis_Pan    07/10/2014    1 recensioni
"Lei era una sognatrice, adorava scrivere ed evitava di pensare a quanto fosse dannatamente timida."
Questa è Shyness. Una sedicenne alle prese con l'adolescenza, una madre rompiscatole, una migliore amica fantastica e una travolgente passione che scoprirà di provare solo dopo qualche mese da un incontro speciale sotto la pioggia, che tanto odiava...
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gennaio
 
Era un lunedì pomeriggio qualunque. Ero salita in pullman per tornare a casa da scuola e, come ogni volta, avevo tirato fuori dal mio zaino blu la mia trilogia preferita. L’avevo letta una decina di volte, se non di più, ma non riuscivo a smettere di divorare le avventure della protagonista che tanto mi rispecchiava. Lei era una sognatrice, adorava scrivere ed evitava di pensare a quanto fosse dannatamente timida, eravamo così uguali che a volte mi chiedevo se la scrittrice, in un’altra vita, mi avesse conosciuto e promesso che in una sua nuova esistenza avrebbe scritto un libro in cui la protagonista sarei stata io... Era incredibile quanto mi ritrovassi in quel libro. Non appena finii di leggere il terzo capitolo del secondo volume, alzai la testa e guardai la vetrata davanti a me: rabbia, pioveva! Avevo odiato la pioggia fin da quando ero una fanciulla, non la sopportavo come non si sopporta la compagna lecchina con i professori, ed era anche per questo che non avevo mai avuto l’intenzione di comprarmi un ombrello; ignoravo così disperatamente la pioggia che non pensavo a come non bagnarmi nell’eventualità che lei ci fosse stata. Un lato positivo c’era però, mancavano ancora quattro fermate prima della mia e se il buon Dio stava vegliando su di me magari avrebbe fatto smettere l’acqua di cadere, anche perché arrivata a casa ci sarebbe stata la ramanzina di una mamma preoccupata che la propria figlia si prendesse una bella influenza, saltando così giorni sacri di scuola, come lei diceva. Avevo preso più volte in considerazione l’idea di rimanere sotto il diluvio per una mezz’ora, così mi sarei potuta risparmiare ore di studio inutili e certi compagni antipatici che erano segnati sul mio diario nero, come la pioggia del resto... ma odiavo così tanto quell’acqua che non sarei potuta rimanere in sua compagnia per più di due minuti. Mancava un semaforo alla mia fermata e il tempo non era migliorato, anzi, aveva peggiorato sempre di più quindi mi misi il cuore in pace: mi sarei coperta con il cappuccio della mia felpa e avrei subìto la sgridata di mia madre non appena mi avrebbe vista fradicia. Il pullman si fermò, mi alzai, misi lo zaino in spalla ed infine uscii. In quel momento stavo amando quell’autoveicolo più del solito e lasciarlo si rivelò stupido, come la mia ostilità a non comprarmi un benedetto ombrello. Misi le mani in tasca e camminai a testa bassa e a passo svelto, se avessi potuto sarei volata a casa mia, sarei entrata dalla finestra della mia camera e in fretta mi sarei cambiata cosicché da evitare mia madre e, per quanto possibile, la pioggia. Le gocce si abbattevano su di me irate, come se avessi fatto a loro qualcosa di meschino e il mal di testa si stava facendo sempre più vivo, non tolleravo il rumore monotono della pioggia. Ormai le gocce scendevano lungo il mio viso bagnandolo e di conseguenza sottolineandolo, avevo freddo e l’arrivo a casa mia prevedeva ancora due stop abbastanza lunghi da farmi congelare prima, dovevo sedermi per riprendere fiato e riscaldarmi quel poco che potevo ma la mia solita fortuna non prevedeva una scalinata coperta bensì solo alti palazzi senza un minimo di tettoia, cazzo. Boccheggiavo, speravo solamente che non mi stessi ammalando sul serio altrimenti sarebbero stati guai: i professori avrebbero pensato che fossi rimasta a casa per la valanga di interrogazioni e compiti in classe, la mia migliore amica, Charlotte, perché non volevo partecipare alle audizioni per la recita di fine anno e mia madre avrebbe detto che lo avevo fatto apposta per non andare a scuola. Rallentai notevolmente il passo, le gambe tremavano, mannaggia a quella stupida divisa di scuola che non riscaldava niente!
«Ehi, stai bene?» mi venne incontro un ragazzo forse poco più grande di me, preoccupato nel vedermi in quelle condizioni, con un bellissimo ombrello in mano. Lo guardai per qualche istante e sorrisi rispondendo che era tutto a posto, ma lui continuò accorgendosi di quanto fossi bagnata, obbiettai ancora di stare bene ma replicò domandandomi dove abitassi affrettandosi a dire che, se solo avessi voluto, mi avrebbe portata fin sotto casa coperta dal suo ombrello e dal suo giubbotto in pelle imbottito. Egli non doveva di certo essere originario dell’Inghilterra perché nessun inglese sarebbe stato così cordiale e altruista per qualcun altro. Alzai lo sguardo imbarazzata e decisi di accettare, almeno non mi sarei bagnata ancor più di quanto già fossi. Si riparò sotto ad un albero, si levò il giubbotto e me lo porse, mi accorsi che indossava la mia stessa divisa perciò mi venne spontaneo accertarmi se frequentasse la mia scuola, ed infatti era così sebbene lui seguiva l’indirizzo linguistico e non come me che facevo l’umanistico. Indossai il suo giubbino che mi arrivava poco più in alto delle ginocchia e una piacevole ondata di calore mi pervase le ossa facendomi venire i brividi lungo la spina dorsale.
«Credo che così vada meglio, no?» mi sorrise dolcemente invitandomi sotto il suo ombrello e proseguire verso il mio ritorno a casa. Annuii semplicemente arrossendo ma non ci badai più di tanto in quanto le mie guance stavano giù buttando fuoco per il troppo freddo.
«Come ti chiami?» domandò in seguito spezzando quell’imbarazzante silenzio che aveva contagiato entrambi.
«Shyness.» dichiarai fiera del mio nome così strano, come mi dicevano molti.
«Particolare.» si limitò a dire sfoggiandomi un altro sorriso. «Io invece sono Liam.» si presentò. Non glielo avevo chiesto e con sincerità non mi interessava molto sapere il suo nome ma trovai curioso il fatto che me lo avesse detto comunque.
Arrivati davanti al palazzo in cui abitavo, ringraziai Liam con un sorriso e gli porsi il giubbotto sperimentando una battutina che non sembrò dispiacergli, poi lo salutai educatamente e prima che io suonassi al citofono il ragazzo mi diede, indirettamente, appuntamento a scuola l’indomani, aveva detto:«Ci vediamo domani a scuola
Shyness!» ma non lo presi come niente di speciale, forse l’avrei rivisto o forse no, non mi interessava anche se si era rivelato discretamente simpatico.
Il giorno dopo, con mio lieve disappunto, non vidi né Charlotte, né verifiche di matematica e sociologia e né Liam, anzi mi fecero compagnia coperte, tè caldi e antidolorifici. Mi ero presa una splendida influenza.
 
 
Attenzione!
I capitoli di questa storia non saranno lunghi
in quanto è un misto tra una fanfiction e una One Shot,
se proprio devo dare una definizione direi che è una One Shot a capitoli.
Spero vi piaccia! 
(:


 

 
  
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