Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: Kalbalakrab    08/10/2014    8 recensioni
Dopo lo scontro con Gea, Nico ha finalmente trovato la sua strada. Deciso a rimanere per almeno un anno al Campo Mezzo-Sangue, deve iniziare a lavorare sul suo rapporto con gli altri semidei, specie con un certo biondino figlio di Apollo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash | Personaggi: Nico di Angelo, Will Solace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ATTENZIONE!
Storia più adatta a chi ha letto l'ultimo libro degli Eroi dell'Olimpo (BOO). Evito di scrivere spoilers enormi, ovviamente, ma siete lo stesso avvisati :)



 

NICO


“Non hai idea di quanto sia difficile mandare via la puzza di quei dannati uomini-cane dai vestiti.  Forse è a causa della loro saliva, hai presente? Si appiccica ovunque, dico sul serio e-“
E bla bla bla.
Nico si domandò quanta aria nei polmoni avesse Will per riuscire a parlare così tanto e così velocemente. Certo, l’aveva visto correre inseguito dai soldati romani per metri senza avere mai il fiatone, ma… era da quando gli aveva imposto di andare in infermeria – e restarci per tre giorni – che non smetteva di dare aria alla bocca. A un certo punto Nico aveva semplicemente smesso di ascoltare.
Si era appena confessato a Percy, era stato abbracciato rischiando di rompersi le costole da Jason, e aveva salutato Hazel prima che partisse per il campo Giove. Era tutto troppo per una mattinata. Ed erano appena le sette.
“Facciamo colazione, vero?” Will nemmeno attese la sua risposta. “Sto MORENDO di fame!”.
“Um, certo…”
Qualsiasi cosa per tenergli la bocca occupata.
Il padiglione del pranzo era rimasto intatto nonostante la battaglia con Gea. Le colonne in stile greco che ne delimitavano la zona sulla collina erano senza un graffio. L’unica crepa apparteneva al pavimento di marmo, dove Nico aveva evocato degli scheletri guerrieri anni prima. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, ma il ricordo lo rattristava e basta. Lì era dove Percy gli aveva detto della morte di sua sorella Bianca.
“Tutto bene?” Will lo riscosse dai suoi pensieri.
“Sì”gli rispose in fretta. “Sì, sto bene. Allora… a dopo?”
“Stai cercando di filartela di nuovo, Di Angelo?”
“Cosa?” Nico ancora non riusciva a credere che gli parlasse a quel modo. C’era qualcosa che faceva paura a Will? Se nemmeno un figlio di Ade riusciva a metterlo in soggezione, o era pazzo o solo molto stupido. “Intendevo dire che dobbiamo salutarci per ora. Ognuno ai propri tavoli, hai presente?”
Will fece un verso a metà tra l’infastidito e l’ironico.
“C’è stata una battaglia tre giorni fa! A chi importa di chi siede con chi?”
Nico si guardò attorno. I figli di Ermes erano al tavolo dedicato a Ermes. Quelli di Afrodite seduti nelle rispettive panche. Forse era solo un’abitudine, ma tant’è…
Con una mano Nico gesticolò verso il padiglione.
“A tutti?”
Will si strinse nelle spalle.
“Come vuoi. Ma sappi che ti osservo, non riuscirai a liberarti di me tanto facilmente.”
Per un attimo Nico sentì una morsa allo stomaco, ma s’impose di mantenere la calma e un’espressione impassibile in volto.
“Fai pure, Solace.”
Con un ultimo gesto alla ti tengo d’occhio, Will raggiunse i propri fratelli della casa di Apollo. Nel vederlo allontanarsi fu come se tutta la fatica fosse scivolata via di dosso da Nico. Rilassò le spalle e sospirò fra sé e sé.
Se il buongiorno si vede dal mattino, sono fritto.
Raggiunse il proprio tavolo dove ordinò un espresso e un sandwich al formaggio. Non esattamente la combinazione perfetta, ma a volte faticava a decidere fra la sua parte italiana e quella americana. Non bastava essere per metà un dio, doveva avere dei dubbi persino sul suo lato mortale.
Assaggiò il caffè e fece una smorfia. Troppo amaro, ma decise di buttarlo giù comunque tutto d’un sorso, come avrebbe fatto un adulto. Non c’entrava niente il fatto che Will lo stesse guardando dal proprio tavolo, tenendo fede alla sua “minaccia”.
Jason Grace sbucò dal nulla, mettendosi fra lui e la traiettoria visiva con il figlio di Apollo. Nico fu tentato dal spingerlo via in un gesto istintivo. Poi si maledì per averlo anche solo pensato.
“Ho parlato con Chirone” Jason sembrava entusiasta. “Ci ha dato il permesso di condividere il tavolo.”
Non poteva essere serio. Poco prima gli aveva detto che aveva intenzione di cenare con lui, fare coppia nella caccia alla bandiera o ai contest di canto attorno al falò, ma di nuovo, non poteva essere serio.
“Dubito sia capace di negare un favore a chiunque in questo momento.” constatò Nico.
Jason si sedette davanti a lui con una torre di brioche nel piatto.
“Non ti dispiace, vero?”
Nico ci pensò su. Non gli dispiaceva veramente, ma era comunque strano. Loro due assieme erano strani, l’opposto l’uno dell’altro. E c’era anche un’altra persona che messa vicino a lui risaltava per la propria diversità: Will. Che lo stava ancora fissando dall’altro lato del padiglione.
“No, figurati.” brontolò sovrappensiero.
Perché continuava a guardare verso di lui? Non aveva abbastanza da fare con gli altri figli di Apollo? Era snervante.
“Hai una faccia…” Jason si tradì. “Voglio dire, sicuro di esserti ripreso del tutto? Il Coach Hedge mi ha detto dei viaggi nell’ombra.”
 “Sto bene, mi sono ripreso.” tagliò corto. “E poi Solace ha intenzione di confinarmi in infermeria per tre giorni, perciò non hai motivo di impensierirti per me.”
“Solace?” Jason si corrucciò. “Will Solace, figlio di Apollo?”
Nico quasi riuscì a vedere gli ingranaggi nella testa di Grace andare a tutta velocità. Sicuramente ricordava di averlo visto sparire con lui per il campo durante la battaglia contro le forze di Gea, quando Will lo aveva avvisato di Ottaviano.
“Sì, lui.” disse. “Si è eletto a mio medico personale, o una cosa del genere.”
Jason tentennò e azzardò un sorriso.
“Mi fa piacere.” disse, confondendo Nico.
“Perché?”
“Be’… ti meriti qualcuno come Piper per me o Annabeth per Percy. Capisci cosa voglio dire?”
Nico si sentì la bocca asciutta. Poi sbottò.
“Stai forse insinuando che solo perché sono… così” ancora non riusciva a dire gay. “E’ automatico che mi piaccia qualsiasi ragazzo che si dimostra carino nei miei confronti?”
“Cosa?” Jason sbiancò. “Amico, non intendevo-”
“O forse stai dicendo che un figlio di Ade non può avere amici senza dei doppi fini alle spalle?”
“Nico non-” Jason scosse la testa. “Non intendevo nulla di tutto questo, e lo sai.”
“Certo, sicuro. Sono così abituato ai fraintendimenti.”
“Dico sul serio! Credevo ci fosse qualcosa, ma se mi dici che siete solo amici ti credo.”
“Perché mai dovrebbe esserci qualcosa?” Nico era allibito. Cosa poteva avergli dato l’idea che fra lui e Will…?
“Continua a fissarti. Non te la sei data?”
Il figlio di Ade voltò la testa giusto in tempo per vedere Will Solace alzarsi dal proprio tavolo, dove aveva finito la colazione, e incamminarsi verso di lui.
“Sta venendo qua.” rispose con un filo di voce a Jason. “Comportati normalmente!”
“Ehi Grace!” Nico s’impose di non alzare lo sguardo su Will. Non doveva capire che avevano parlato di lui fino a pochi secondi prima. “Buone le brioche…?”
Jason rispose con un verso incomprensibile. Nico tirò su la testa.
Per tutti gli dei, Grace! Ficcarsi due brioche in bocca era la sua idea di normale?!
“Lo prendo per un sì.” Will fece un cenno verso di lui. “Ti spiace se ti rubo il piccolo mietitore qui presente?
“Il piccolo mietitore?” ripeté Nico, allibito.
“Non c’è problema…” rispose Jason, incerto.
“Perfetto!” disse Will, afferrandolo per un polso e trascinandolo via dal padiglione del pranzo.
 
L’infermeria non era come Nico la ricordava.
I lettini erano sempre uguali, le ninfe e i satiri che si davano da fare con i figli di Apollo erano normale amministrazione, ma i semidei feriti… erano circa il doppio di quelli della battaglia di Manhattan. Adesso capiva perché Will avesse passato due giorni confinato lì dentro.
“Non credevo…” sussurrò Nico.
“Tranquillo, nessuno è ferito gravemente, e sono così numerosi perché ci sono ancora dei semidei romani.” disse Will. “Vieni, cerchiamo un lettino anche per te.”
“Will, non ho bisogno di un lettino, sto-”
“Pensavo di darti il mio. Cioè, non è proprio il mio, è quello riservato ai figli di Apollo. A volte dopo le cure siamo così stanchi che collassiamo sul posto!”
Lo stava almeno ascoltando? Nico sospirò, imponendosi la calma.
La zona privata per i medici era un semplice triangolo di spazio nascosto da una fila di tendine verdi in fondo all’infermeria. C’era un lettino, un piccolo sgabello e un mobiletto. Per il resto era spoglia e asettica come una camera d’ospedale.
“Forza, Sali su e togliti tutto.”
Nico quasi si strozzò con la saliva.
“Come, scusa?”
Pronto? Devo darti una controllata. Puoi tenerti pantaloni e scarpe se proprio t’imbarazza tanto farti vedere nudo da un altro ragazzo, per di più medico.”
Con quelle ultime parole l’aveva fatto sentire un idiota.
“Non m’imbarazza.” ribatté Nico infastidito.
Will si limitò a lanciargli un sorrisetto indecifrabile.
Non era la prima volta che rimaneva a petto nudo davanti a qualcuno. Persino Reyna e il Coach Hedge l’avevano visto in quello stato, ma con Solace-
“E’ ghiacciato.” Nico sussultò a contatto con lo stetoscopio.
“Oh, per favore. Sei un bambino di tre anni, per caso?”
“Dovresti essere più gentile con i pazienti. Non è un requisito obbligatorio per un dottore?”
Will alzò le spalle e gli sorrise, appoggiandogli all’improvviso lo strumento medico su un’altra parte del corpo. Nico rabbrividì e lo maledì sottovoce, perché di sicuro l’aveva fatto apposta.
“Se vuoi dopo ti do un lecca-lecca, Di Angelo.”
“Io ancora non capisco come puoi trattarmi così. Se avessi un briciolo di autoconservazione capiresti che stai giocando col fuoco. Sei stupido o-”
“Il battito è regolare.” Will tranciò il discorso senza tanti complimenti, frustrandolo ancora di più. Poi scese con lo sguardo sui suoi avambracci. “E queste?” fece passare i pollici sulle cicatrici lunghe fino al polso. Nico sentì una scarica elettrica attraversargli tutto il corpo e si ritrasse bruscamente.
“Vecchie ferite che hanno a che fare con artigli, lupi e un’idea molto stupida.” Non aveva voglia di spiegare per filo e per segno come se le era procurate.
“Sembra che tu ne abbia spesso.”
“Di cosa?”
“Idee molto stupide.”
Nico lo guardò male, ma non disse nulla. In parte gli dava persino ragione. La sua vita era un insieme di scelte sbagliate e piani ridicoli.
“Va bene.” Will si allontanò. “E’ tutto a posto, tranne per il fatto che sei troppo magro. Ti si vedono le costole, devi mangiare di più.”
“Sono fatto così, non mangio poco.” Mentì.
“Ah, no? Un sandwich e un caffè – che per altro doveva fare veramente schifo visto la faccia che hai fatto – la consideri una colazione adatta a un quattordicenne?”
Nico sgranò gli occhi.
“Come fai a sapere del caffè-”
“E poi il Coach Hedge me l’ha detto. Avete mangiato poco o nulla durante la missione. Non va bene.”
Nico sbuffò e roteò gli occhi. Era inutile obiettare, Will nemmeno lo ascoltava.
“Per prima cosa, comunque, devi riposare. Voglio che dormi almeno sei ore questo pomeriggio, a cominciare da adesso.”
“Da adesso? Ma mi sono svegliato due ore fa!”
“Ordini del dottore.”
“Ma-”
“Buonanotte!” Will si sfilò lo stetoscopio dal collo e sparì dietro le tendine con un rapido ciao-ciao della mano. Nico rimase a fissare nella sua direzione senza saper cosa fare.
Era… era assurdo! Solace era completamente pazzo! Come aveva fatto a credere che fosse un ragazzo facile con cui rapportarsi? Il figlio di Apollo era un uragano.
“Fantastico…” grugnì a bassa voce. Tanto valeva mettersi comodi. Si sdraiò sul lettino – stranamente più morbido di quello nella propria capanna – e chiuse gli occhi, cercando di fare mente locale.
A discapito di quanto pensasse, si addormentò quasi subito. Doveva essere la sua giornata fortunata, perché nessun sogno decise di fargli visita, e dopo mesi riuscì a godersi un vero e proprio sonno ristoratore.
 
Quando Nico riaprì gli occhi, diverse ore dopo, per un attimo si sorprese di non essere accolto dall’oscurità della capanna di Ade. Poi ricordò.
“Will?” chiamò ad alta voce, odiandosi quasi subito per aver pensato come prima cosa al figlio di Apollo.
Scese dal lettino e scostò le tende. L’infermeria si era svuotata per metà; il sole stava iniziando a calare. Quante ore aveva dormito? La tensione nei muscoli era sparita, e le ossa gli facevano meno male. Forse aveva davvero bisogno di riposarsi.
Fece per uscire quando una ragazzina poco più bassa di lui gli si parò davanti, i grandi occhi verdi che lo guardavano con decisione.
“Fermo lì!” esclamò. “Dove pensi di andare?”
Nico la fissò disorientato.
“Lou Ellen… ?” azzardò. La figlia di Ecate annuì con la testa, arrossendo lievemente. Aveva i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo, e portava la stessa maglietta verde da medico di Will, con jeans chiari e scarpe da ginnastica bianche. Evidentemente le infradito erano un particolare del figlio di Apollo.
Nico si maledì per averci fatto caso.
“Mi dispiace, ma fino a nuovo ordine non posso farti lasciare l’infermeria.”
“E chi li dà gli ordini?” Nico aveva il sentore di conoscere già la risposta.
Lou Ellen sogghignò, come se fosse ovvio.
“Will, naturalmente.”
Naturalmente.
“E dove si trova adesso?”
“E’ occupato con un paziente. Ti conviene aspettare qui, fossi in te non mi metterei contro Will quando è nella sua modalità dottore.
Nico si domandò quando non fosse in modalità dottore, dato come l’aveva trattato fino a quel momento.
“Penso che proverò lo stesso.”
“Ma-”
“Grazie dell’avvertimento, ma so cavarmela da solo.”
Lou Ellen fece spallucce, imbarazzata.
“Come vuoi.”
Fin da quando si erano conosciuti, pochi minuti prima della battaglia contro i romani, Nico aveva avuto la sensazione che la ragazzina fosse un po’ troppo gentile con lui, e che arrossisse un po’ troppo spesso alle sue parole. Era un peccato, perché era carina, ma a lui le femmine non interessavano.
Non fu difficile trovare il “reparto chirurgia”. Nico dubitava si fosse mai realmente operato qualcuno al Campo Mezzo-Sangue, con tutta l’ambrosia e il nettare a disposizione, e ipotizzava che quella fosse più una zona privata per evitare di far vedere ai semidei più sensibili scene degne di un film splatter, come la nascita del figlio del Coach Hedge, per esempio.
A un figlio di Ade, comunque, quelle cose non facevano né caldo né freddo.
Si affacciò oltre le tendine e cercò con lo sguardo la testa bionda di Solace.
“Will-” s’interruppe nel vedere l’altro all’opera. Steso sul lettino c’era Mark della casa di Ares. Aveva gli occhi chiusi, probabilmente sedato, e un vistoso taglio su un fianco. Will era chino su di lui, intento a estrarre schegge di oro imperiale dalla ferita sanguinante. Tutt'attorno altri due figli di Apollo nutrivano di ambrosia il semidio privo di sensi. Nico li notò a malapena, intento com’era a fissare Will al lavoro. Era la prima volta che lo vedeva così concentrato e con un’espressione tanto seria in viso. Faticava a credere che avesse solo due anni più di lui.
Spinto dal rimorso, richiuse le tende e tornò indietro, passando accanto a Lou Ellen che gli lanciò un’occhiata alla “te l’avevo detto!”.
Passò le restanti due ore a fissare il soffitto sdraiato sul lettino. Will sbucò nella stanza all’inoltrarsi della sera, quando Nico ormai si era rassegnato a restare a stomaco vuoto.
“Sei ancora qui!” esclamò. “Da non crederci.”
“Falla finita. Mi hai messo tu il cane da guardia lì fuori.”
“Lou Ellen? Vedo che ha funzionato. Le avevo detto di trattenerti con ogni mezzo possibile, ma dal momento che non sei un porcellino d’india devo dedurre che non ha dovuto usare i mezzi forti.”
Nico storse il naso. Solo in quel momento notò l’aspetto di Will. I capelli biondi erano flosci, sudati e appiccicati alla fronte. Era più pallido del solito e aveva la maglietta medica stropicciata.
“Non sei stanco?”
Will lo guardò, sorpreso.
“E’ davvero Di Angelo quello qui davanti che si preoccupa per me?”
“Scordati che ti abbia parlato.”
Solace sogghignò.
“Ah, Nico, sono distrutto! Odio le ferite provocate dall’oro imperiale. Tu invece mi sembri in forma, anoressia a parte. Hai fatto bei sogni?”
“Sì, ho dormito, e no, non ho intenzione di passare la sera qui dentro.”
“Mmm.”
“Che vuol dire Mmm?”
“D’accordo, mi sembra giusto. Anche gli altri dormono nelle loro capanne, se non hanno ferite gravi. Puoi andare.” Oh. Nico quasi si sentì deluso per la facilità con cui Will aveva accettato a liberarsi di lui. “Ma mi aspetto di vederti a cena!”
 
Nico si richiuse la porta della capanna di Ade alle spalle. Ci si appoggiò con la schiena e lasciò andare a un sospiro. Con lo sguardo vagò per l’interno buio della casa. Il lato della stanza che aveva condiviso con Hazel era stato ripulito da tutte le sue cose, e il singolo letto dalle lenzuola nere sembrava ancora più deprimente nella sua solitudine.
D’accordo, niente di nuovo. Era abituato a stare per i fatti suoi. Si diresse in bagno e si cacciò sotto la doccia. I vestiti con cui aveva dormito erano finiti ammassati in un angolo in una pila stropicciata. Dovrò prenderne di nuovi, pensò. Poi si chiese da quando gli importava qualcosa del suo aspetto.
Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte contro la parete. Il freddo delle piastrelle in netto contrasto con l’acqua calda lo riscosse.
Ancora poche ore e quella giornata sarebbe finalmente giunta al termine. Erano successe così tante cose che faticava a elaborarle. Aveva salutato sua sorella, rassodato la sua amicizia con Jason, e soprattutto si era tolto un peso dallo stomaco nel confessarsi a Percy.
Già, Percy. Non era la prima volta che Nico pensava a lui mentre era da solo, specie sotto la doccia. Lasciò scorrere lo sguardo sul proprio corpo, sulla pancia piatta e le costole in rilievo. Doveva mangiare di più, eppure era consapevole che se fosse rimasto ancora un po’ sotto il getto d’acqua avrebbe perso la cena.
Fece scivolare una mano verso il basso e si morse il labbro per non lasciarsi scappare alcun tipo di suono, nonostante fosse da solo. Avvertì la stessa sensazione di sempre, come se fosse sbagliato che si concedesse certe attenzioni con in mente il ragazzo di Annabeth. Eppure questa volta c’era qualcosa di diverso. Nico non si era mai sentito tanto scosso internamente. Non sentiva alcuna soddisfazione, aveva la mente invasa dal rimorso e basta.
Si maledì sottovoce. Per la prima volta dopo anni si sentiva parte di una famiglia, e il suo stupido cervello doveva rovinare tutto. Si era fatto degli amici, qualcuno che teneva veramente a lui, eppure non riusciva a lasciarsi andare. Aveva persino dato retta a Will, tenendo a freno il proprio carattere, e non era servito a nulla.
Nico rabbrividì quando il volto del figlio di Apollo gli tornò in mente. Affondò di più i canini nel labbro e chinò la testa. Conosceva quella sensazione.
Non di nuovo, si disse. Ti prego.
Il suo corpo s’irrigidì, per poi essere scosso da uno spasmo.
Si odiava. Non ne poteva più di soffrire per qualcuno.
 
Erano appena passati tre giorni da quando aveva fatto ritorno al Campo, e Nico aveva già marinato la cena.
Mentre tutti gli altri semidei erano riuniti attorno al falò per passare il tempo con canzoni e racconti di ogni tipo – andavano di moda quelli della battaglia contro Gea, ovviamente – lui aveva deciso di ripiegare per il laghetto delle canoe. Diverse naiadi avevano cercato di attirare la sua attenzione al suo arrivo, per poi rinunciare e tornare sul fondale non appena capito con chi avevano a che fare.
Nico credeva di aver superato la fase asociale della sua vita, ma evidentemente si sbagliava. Avrebbe dovuto essere attorno al fuoco con Jason, Percy e tutti gli altri, non seduto ai piedi di un albero a fissare il nulla.
Reclinò la testa contro il tronco e chiuse gli occhi. Sperò di riuscire a evitare il terzo grado di Jason l’indomani mattina, o quello di Will in infermeria.
Già, Will. Era tutta colpa sua. Perché aveva dovuto dargli tante attenzioni? Andavano d’accordo quando si limitavano a incontrarsi durante le riunioni dei rappresentanti. E invece il figlio di Apollo aveva iniziato a trattarlo con un occhio di riguardo, e lui era finito con il mettersi in testa idee senza capo né coda.
“Finalmente! Ti ho cercato ovunque, Di Angelo!” la voce di Will lo fece sussultare. Era sbucato dal nulla, vestito con pantaloncini beige e una maglietta azzurra di qualche marca sportiva. Ai piedi, neanche a dirlo, infradito. Nico lo guardò avvicinarsi, confuso.
“Che ci fai tu qui?!”
“Che ci faccio io qui? Che ci fai tu qui! Hai saltato la cena e non ti sei fatto vivo al falò. Quando ho chiesto a Grace che fine avessi fatto, lui ha risposto che credeva fossi con me. Che ti è preso?”
Nico roteò gli occhi e distolse lo sguardo. L’ultima persona con cui voleva parlare era Will, e ovviamente la dea Tyche sorrideva sempre ai figli di Ade.
“Senti, sto bene. Hai appurato che sono ancora vivo, perciò puoi tornare dagli altri a divertirti.”
“Solo se vieni con me, depresso cronico.”
Nico fece del suo meglio per ignorare il soprannome e mantenere la calma.
“Sto dicendo sul serio, Solace. Non ho voglia di stare in mezzo alla gente.”
“Oh, finiscila! Ancora con questa storia? Ti ho detto che nessuno ha intenzione di respingerti! Se solo ti lasciassi avvicinare-”
“Non sono gli altri.” Nico si alzò, ma mantenne le distanze rimanendo accanto all’albero. “E’ una cosa mia, va bene?”
“Senti-”
“No, basta!” sbottò. L’erba accanto ai suoi piedi iniziò ad appassire. “Non mi va di vedere nessuno in questo momento, specialmente te.”
“Cosa?” Will sembrò risentito. “Che ti ho fatto?”
“Nulla, ma-”
“Non ti ho fatto nulla, ma non hai voglia di vedermi?”
“Esatto!” perché doveva rendere tutto più difficile? “Non so cosa ti sei messo in testa con la storia del medico e tutto quanto, ma non ho bisogno di qualcuno che mi faccia da balia. E soprattutto non ho bisogno che tu mi stia appiccicato.”
Nico si pentì di averlo detto nel momento stesso in cui le parole gli uscirono di bocca.
“Non ti sto appiccicato, sto solo cercando di essere tuo amico.”
“E’ proprio questo il problema! Io non ti voglio come amico!”
Di nuovo, si maledì di aver parlato. Il silenzio di Will gli fece più male di una qualsiasi risposta piccata.
“Capisco.”
“Will-”
“Non importa, Di Angelo. Non pensavo che per starti vicino bisognasse essere figlio di uno dei Tre Pezzi Grossi come Jackson e Grace. Quantomeno l’ho scoperto prima che fosse troppo tardi.”
Will non aggiunse altro. Si voltò e tornò da dove era venuto.
Nico chiuse gli occhi e diede un pugno all’albero, sbucciandosi le nocche.
Stupido.
Sono così stupido.
 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Kalbalakrab