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Autore: NickQuasiSenzaTesta    09/10/2014    1 recensioni
Sirius Black ad Azkaban. I pensieri che si muovono nella mente di Sirius. Il significato di un rumore di passi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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◀ Sirɪus Ɓlack - Azkaban - Տteps ▶

Le pareti della cella rimbombavano, ogni notte, del rumore dei suoi passi. Suonavano ovattati poiché raccolti tra due strati di mura, lontani poiché distanti due pareti dai nostri orecchi: si muovevano nella testa del ragazzo e si propagavano, rimbalzando, lungo la dura roccia di Azkaban. Erano anni che percepiva quel crepitare, quel perpetuo suonare di ricordi. Immagini perse durante il giorno venivano riconquistate la notte su desiderio di un ignoto messaggero e del suo muovere di passi. Per quanto i Dissennatori si prodigassero nei propri intenti, nulla potevano nei confronti di quella sconosciuta figura. 
Sirius si portò le mani alle orecchie e strinse i denti: basta. Era giunto il tempo che tutto quello finisse. Che quelle immagini se ne andassero, che i Dissennatori se le prendessero. Non provava nessun desiderio di tenere con sé quelle figure, di allungare verso di loro mani annerite dal tempo.
Il capo che poggiava su quella fredda roccia si mosse a disagio, mentre il primo passo cadeva e schioccava. Cadeva e schioccava.
Una immagine. Eccola scaturire dal puro suono, come se ne fosse stata, in qualche modo, custodita; come se il solo battere sul terreno avesse potuto liberarla. 
Vide una tribuna rosso e oro: esultante, frenetica. Doveva essere seduto, Sirius, poiché non riusciva a vedere il terreno al di sotto del parapetto. La sua figura si mosse, autonoma poiché semplice memoria, e voltò il capo, in modo da poggiare lo sguardo sul ragazzo che gli stava accanto. Gli occhi di questo erano puntati, con stupore, sul campo e sulle sagome che lo attraversavano frettolosamente.  La bocca leggermente spalancata in una “O” di sorpresa, le mani sollevate in un applauso incompiuto. 
Sirius si sentì sorridere; non poteva vedersi, ovviamente, ma percepì il movimento. Il sorriso non si interruppe nemmeno nel momento in cui la figura si voltò. Fu il se stesso che poggiava il capo sulla roccia, il se stesso che vestiva la sudicia divisa di Azkaban, a sussultare. Fu un muovere davvero inaccettabile. La propria figura, seduta pigramente sugli spalti, si mosse a disagio. Le labbra si socchiusero e ne uscì una pacata voce da ragazzo: « Cosa succede, Sirius? Non lo riconosci? È Peter. È nostro amico » 
Le mani vennero premute sulle orecchie con forza. Produsse un suono sommesso, sofferente: lo lasciò filtrare tra le labbra fredde e asciutte. Stava tremando: le dita battevano sulle tempie e i denti accompagnavano con simil frequenza il muovere dei passi. 
Cadeva e schioccava.
I suoi occhi posavano sulla sagoma di una ragazza. Una figura le cingeva dolcemente il collo da dietro le spalle. Vi era un forte contrasto tra i due: la capigliatura scura del ragazzo poggiava su quella fulva di lei, mentre i loro occhi  - allo stesso modo discordanti – erano posati su colui che li osservava.
« Non fare il difficile, Sirius. Come se per te fosse un peso! Muori dalla voglia di dire di sì » Nel momento in cui il suo sguardo scivolò sulla ragazza, le sue labbra si piegarono in un sorriso « E Lily la pensa come me. Fossi in te, ne sarei o-n-o-r-a-t-o » 
« Allora, sarai il padrino di Harry? » La voce di lei risuonò lungo le pareti della stanza, attenuando il rimbombare dei passi « Possiamo sempre cambiare idea...»
Cadeva e schioccava.
« Non possiamo più essere amici » Ora era lui stesso a parlare; un angolo della bocca sollevato, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni « Lo capisci, Remus, sarebbe controproducente. Io e James non abbiamo più compiti da copiare, suggerimenti da cogliere...Che senso avrebbe la nostra amicizia? Il nostro tempo ad Hogwarts è terminato »
« Sei un cretino, Felpato » Il viso di Lunastorta si mosse nella stessa posa di celato divertimento che aveva assunto, anni prima, quando avevano minacciato di rivelare la sua natura di lupo mannaro se non li avesse aiutati con gli esami, quando Peter era caduto vittima di un proprio incantesimo, quando James era rimasto incastrato tra le mura della Stamberga Strillante.
La mano sinistra di Sirius corse sul gelido pavimento della cella per poi posarsi sulla propria fronte. Non vi era differenza di temperatura, quasi non ne percepì il peso. Rimase immobile, tentando di allontanare quel suono, tentando di impedire il presentarsi di quelle immagini. 
Cadeva e schioccava. Cadeva e schioccava. Cadeva e schioccava. 
Figure scorrevano, ora, troppo velocemente per esser colte nella propria interezza. Un vecchio cappello color terra, una spilla da caposcuola, un ritratto bruciato, un ragazzino seduto, tristemente, vicino ad un elfo domestico. 
I passi stavano aumentando di intensità. E come ogni notte, come ogni notte dal suo primo giorno ad Azkaban, ne comprese la natura solo quando fu troppo tardi. Solo quando non poté più impedire a quella finale immagine di corrergli incontro. 
Stava correndo. Le strade di Godric's Hollow rimbombavano di quel solo muovere di passi. Una serie di interrogativi batteva nel suo cranio, lo costringeva verso pensieri che avrebbe preferito allontanare, verso la cupa immagine del vuoto appartamento di Codaliscia. 
Trovò le risposte che cercava in una porta spalancata. In una via ora priva di passi, priva di respiro. Non respirava Sirius Black, non osava muoversi. Non vi era stato un momento nel quale avesse percepito una tale sensazione di paralisi. Rimase fermo così a lungo che il freddo gli aderì alla pelle. Non aveva mai percepito un gelo simile e mai lo avrebbe percepito. Nemmeno tra le mura di Azkaban.
Quando si mosse, i suoi passi risuonarono nella cella. Si portò le mani agli occhi e premette i pollici sulle palpebre. Premette con più forza quando vide la figura di James, abbandonata sulle scale. Premette con più forza quando venne assalito dalla rabbia. Era una rabbia disperata e contenuta; correva sottopelle, ma non trovava via di sfogo. Tentava di sopprimere la logica, di impedirsi di comprendere ciò che doveva essere successo. Digrignava i denti, denti che parevano, in quel momento, molto più simili a quelli di un cane. Non sapeva, in quel momento, che quello non fosse il limite estremo. Non sapeva che sarebbe riuscito a contenere la propria sete di vendetta, ad attendere immobile l'arrivo di Hagrid. Non sapeva che sarebbero dovuti passare dodici anni. Non sapeva che per dodici anni avrebbe vissuto quel singolo giorno; e che i passi verso quella casa inabitata sarebbero stati gli unici veri passi che avrebbe posato, ogni notte, tra le mura di Azkaban.
  
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