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Autore: LoonyZombiee    11/10/2014    2 recensioni
-Estratto dal Capitolo 9-
"Lo guardo, mi guarda e poi mi bacia con tutto l’amore che ha in corpo ma io non ricambio. Si stacca e guardandolo con gli occhi vitrei rispondo “non avevo bisogno di un bacio, avevo bisogno di un abbraccio” me ne sto andando ma lui mi stringe tra le sue grandi braccia e per un po’ sento che questo gesto basti per cancellare tutto quello che ho sofferto. Mi aggrappo a lui stringendolo forte come se non volessi farlo andare più via. E’ strano perché Thiago potrebbe ferirmi più di tutte le cicatrici aperte che ho ma in questo momento è l’unica cosa che può tenermi salva."
***
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Cris Morena; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Genere: Erotico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hija de la luna '
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Capitolo 9: Mi pasado, mi historia.

 

 

Nota dell’autrice: Preparate i fazzoletti perché la storia è molto triste, sul serio, rasenta la tragedia.

P.S. Le parti scritte in corsivo sono il flashback mentre quelle scritte normale sono il tempo presente.

 

 

Nacqui a Roma la capitale d’Italia. Lì vissi felicemente con mio padre Mauro e mia madre Julia, i cognomi non me li ricordo, in una bella villetta isolata dal resto della città fino all’età di tre anni.

Mia madre era una bella donna, dolce e piena di vita ma in una sola notte si spense.

Erano le tre del mattino del quattordici novembre, il mio compleanno era passato da poco, quando sentii una sensazione di freddo addosso.

Era mia madre che non mi stringeva più nonostante la sera prima mi fossi addormentata tra le sue braccia. Non percepivo più il calore provenire dal suo corpo pensavo fosse addormentata, ma mi sbagliavo. Provai a svegliarla ma lei non rispondeva così presa dal panico svegliai mio padre ma ormai era tardi.

Mia madre era morta.

Non mi avrebbe più sorriso, non mi avrebbe più abbracciata. E la sua voce, che a stento ricordo, non avrebbe più cantato per me.

"Fino a sta sera pensavo fosse morta per cause naturali ma ho avuto un flashback che mi ha reso chiaro tutto".

Nella casa ci faceva compagnia una cameriera il suo nome era Eris, come la dea greca della discordia, ed era la migliore amica di mia mamma.

Le preparava sempre il tè al gelsomino ma quella volta non ci mise solo lo zucchero per addolcirlo.

La vidi estrarre una fialetta e ne versò il contenuto nel tè. Ricordo ancora il suo ghigno malvagio stampato in volto, ora capisco perché.

Fu una morte voluta ma dolce tra le braccia di Morfeo.

Passarono altri tre anni, adesso ne avevo sei, e nonostante mio padre mi amasse percepivo in modo presente l’assenza di mia madre.

 

Faccio una pausa e passo ai ragazzi una mia foto con i miei genitori. Loro se la passano e sorridono Thiago nel tentativo di farmi stare meglio dice “ora capisco perché sei così bella” così sorrido anch’io. Appena finiscono di passarsela Cielo me la poggia delicatamente tra le mani ed io la stringo forte al petto poi riprendo il racconto.

 

Il giorno del terzo anniversario della morte di mia madre io e papà andavamo, com’era da tradizione, in giardino nel punto dove un salice piangente e un glicine si incrociavano e crescevano insieme: lì c'era la tomba mia madre.

Mi ero messa il vestito che mi aveva cucito lei era da principessa, principessa della luna.

Era bianco con molti veli e lustrini di colore argento con abbinata una coroncina del medesimo colore.

Mia madre diceva che avevo la pelle candida come la luna, i capelli scuri come la notte e gli occhi brillanti come le stelle perciò mi chiamava figlia della luna.

Avevo appena finito di preparare la mia sacca di velluto blu scuro, dove conservavo e conservo tutte le mie cose più preziose, quando sentii delle urla provenire dalla sala da pranzo. Mi avvicinai e spiai quel che succedeva dietro la porta. Vidi Eris poggiare una mano sulla spalla di mio padre che indossava il suo miglior completo di colore blu con una cravatta argento. Con la voce rotta dal pianto diceva “Non sei tu il problema! Sono io che sono ancora innamorato di Julia e non posso anzi non voglio stare con nessun’altra donna.”

Stavo per correre ad abbracciarlo quando un rumore mi fece rimanere paralizzata.

La porta era stata buttata a terra ed era entrato un uomo tarchiato, pieno d’anelli alle mani e vestito elegantemente. Si chiamava Carlos e avrà avuto all’incirca trent’anni.

Era accompagnato da altri sei uomini di cui non si vedevano le facce perché erano coperte da un passamontagna nero, avevano una canotta e gli anfibi del medesimo colore mentre i pantaloni erano una tuta militare. Ognuno di loro aveva una fondina nera con la pistola dentro.

Il pelato si avvicinò con fare minaccioso a mio padre e gli si piantò davanti.

“Eris la bambina” disse papà girandosi verso la cameriera e fu in quel momento che mi vide “andrà tutto bene” mi disse e accompagnò il tutto con un sorriso. Non fece il tempo a girarsi che il pelato aveva tirato fuori una pistola e gliel’aveva piantata sulla fronte e senza troppe cerimonie aveva premuto il grilletto.

Mio padre cadde prima in ginocchio e poi completamente con tonfo sordo. Corsi da lui urlando “Papà!” mentre lo scuotevo, mi macchiai il vestitino con il suo sangue.

 

Tiro fuori la mia sacca di velluto blu notte e ne estraggo il vestitino “E’ ancora macchiato come potete vedere, non l’ho mai fatto lavare perché cancellando questa macchia mi sembra di cancellare anche il suo ricordo” dico facendo vedere la chiazza rossa ormai incostrata.

Cielo accarezza i veli dicendomi “penso che ti stava d’incanto” le sorrido, so che me lo dice per tirarmi un po’ su il morale purtroppo però la mia storia non è ancora finita anzi adesso diventa ancora più violenta.

Carlos rise di cuore, una risata sadica che ancora sento nei miei incubi peggiori.

Mi puntò la pistola addosso ed io desiderai veramente di morire perché volevo abbracciare ancora una volta la mia mamma e il mio papà. Piansi silenziosamente mentre l’uomo si preparava ad uccidermi.

Mi guardò negli occhi, io pensai che era arrivato il mio momento, invece il suo ghigno malefico si spense.

“Prendetela! La bambina viene con noi” disse.

“Ma signore!” protestò uno dei suoi uomini.

“Zitto e obbedisci!” lo liquidò lanciandogli uno sguardo d’odio puro.

L’uomo mi afferrò ed io scalpitai e mi divincolai come un cavallo impazzito, ma nulla gli fece rallentare la presa.

Mentre mi portavano fuori dalla casa fissai il corpo morto di mio padre con la consapevolezza che non avrei visto né più lui, né quella casa.

Continuai a strillare e a chiamare il nome dei miei genitori fino a che non mi addormentarono.

Al mio risveglio non ero più in Italia ma in Argentina.

Cielo si siede sul letto vicino a me stringendomi tra le sue braccia e baciandomi la testa, do un rapido sguardo a tutti gli altri e hanno gli occhi lucidi e si vede che sono abbastanza turbati da quello che sto raccontando ma purtroppo non è finita qui.

Carlos era un magnaccia.

Aveva il suo giro e gestiva il suo bordello un po’ fuori Bueno Aires.

E lì che crebbi, nello squallore e nella violenza di vedere donne rapite che erano obbligate a soddisfare i piaceri di tutti quegli zozzi clienti del giro.

Le prostitute con me erano amorevoli  e le si stringeva il cuore al pensiero che una bimba così piccola dovesse vivere tutto questo. Così nelle pause mi raccontavano storie e mi insegnavano lingue diverse e altre cose che le interessavano. Alcune amavano le stelle, altre la mitologia e tutto ciò che sapevano diventata il mio sapere. Mi crebbero con tanto amore e al mio compleanno mi facevano sempre trovare una torta, un peluche e dei libri da leggere. Erano tanto buone e il fatto che mi potevano crescere le faceva evadere per un po’ dall’incubo in cui si trovavano, o meglio, ci trovavamo.

“Tu..sei..voglio dire Carlos ti ha stuprata?” mi domanda quasi terrorizzato Thiago.

“No” lo rassicuro poi continuo il racconto.

Carlos mi trattava piuttosto bene, c’erano clienti malati che chiedevano di me, ma lui non permetteva a nessuno di toccarmi.

Lì c’era un ragazzo di tre anni in più di me con cui passavo la maggior parte del tempo, lì lavoravamo come schiavi, dovevamo pulire e lucidare il locale tuttavia trovavamo il tempo per giocare insieme. Ma guai a lui se mi ci avvicinava troppo, Carlos era estremamente geloso per fino di lui. Non si faceva scrupoli e lo picchiava a volte anche a sangue non solo per me ma anche se faceva qualche graffio ai vetri che lucidava o se per sbaglio faceva cadere qualche bottiglia di vodka o qualche bicchiere.

Jaz mi si avvicina “Lui…lui picchiava anche te?”

Il mio sguardo si incupisce e lei annuisce mestamente poi mi stringe proprio come Cielo.

Quando era sobrio il massimo che faceva era qualche carezza o una pacca sul sedere ma il problema era quando era ubriaco. A volte mi picchiava, altre…

“Mar. Cosa ti faceva?” mi chiede Rama guardandomi con quegli occhioni da cucciolo spaventato.

“Non è tanto quello che faceva lui a me…è più quello che io dovevo fare a lui…Sai lui voleva aspettare che crescessi per toccarmi…” rispondo ricordandomi alcune scene orribili, un tremolio mi colpisce ma Jaz e Cielo fortunatamente mi stringono forte.

Vedo Thiago che ingoia un nodo alla gola mentre Rama, Tacho e Nico sono senza parole. Io mi faccio coraggio e cerco di finire il racconto.

Dopo questi abusi le donne che stavano lì  organizzarono un piano per farmi scappare. Il mio amico aveva degli agganci, conosceva delle persone che potevano portarmi in qualche istituto o fondazione e lì sarei stata al sicuro. Così un bel giorno, ormai a 9 anni compiuti, riuscii a scappare. L’ultima cosa che vidi fu il mio amico che mi salutava con la promessa che dopo qualche giorno mi avrebbe raggiunta, non lo rividi mai più.

“C’è una cosa che non capisco…” comincia Nico “cosa gli ha fatto cambiare idea? Perché non ti ha più uccisa ma ti ha voluta portare via con sé?”

“Era innamorato, anzi no, ossessionato da mia madre. Quando mi ha guardato negli occhi probabilmente le ho ricordato lei, ha sempre pensato che da grande sarei diventata proprio come lei se non più bella. Per questo voleva tenermi solo per sé e per questo adesso che sono cresciuta mi rivuole indietro”

“E' per questo che ha ucciso tuo padre? Per vendetta?” continua lui.

Annuisco poi aggiungo “Ha ucciso anche Eris…ora capisco perché…credo che abbia scoperto che lei aveva avvelenato mia madre. Mamma nonostante fosse di origine italiana è nata e cresciuta in Argentina è lì che ha conosciuto Carlos. Quando si è accorta che era pazzo è scappata in Italia senza lasciare più tracce di sé cambiando addirittura nome e cognome, lui ci ha impiegato sette anni per ritrovarla. Quel che è successo dopo ormai lo sapete”

Nessuno di loro sa cosa dire.

Io in testa ho una serie di ricordi tristi che si susseguono senza darmi tregua, ma non voglio rivivere una seconda volta nell’arco della giornata quell’incubo. Così mi alzo corro verso il pianoforte che è sistemato ad un angolo del cortiletto ed inizio a suonare la canzone che in quel momento più salvarmi la vita.

La strofa sta per cominciare ma prima che io possa aprire bocca Thiago mi precede.

"Come up to meet you, tell you i’m sorry you don’t know how lovely you are I had to find you, tell you I need you tell you I set you apart tell me your secrets and ask me your questions oh, let’s go back to the start running in circles, coming up tail heads on a science apart."

Faccio un respiro profondo e insieme cantiamo il ritornello.

Nobody said it was easy it’s such a shame for us tu part nobody said it was easy no one ever said it would be this hard oh, take me back to the start.”

Faccio un altro respiro profondo e lascio che tutto il dolore che ho dentro esca sotto forma di musica

“I was just guessing at numbers and figures I was pulling the puzzles apart questions of science, science and progress do not speak as loud as my heart and tell me you love me, come back and haunt me oh when I rush to start. Running in circles, chasing tails coming back as we are”

Thiago piange e in quel momento non siamo due persone, siamo due anime che volano sulla scala di una canzone scritta per noi, scritta per ritrovarci, per salvarci.

“Nobody said it was easy it’s such a shame for us to part nobody said it was easy no one ever said it would be so hard, I’m going back to the start.”

Suono con mani tremanti le ultime note poi resto seduta senza proferire parola. Le dita che accarezzano ancora  i tasti bianchi ma resta solo il silenzio assordante di quando una canzone è finita .

Non lo sopporto così mi alzo ma probabilmente lo faccio troppo in fretta perché ho un giramento di testa ma non cado perché Thiago mi stringe molto forte, come quando si ha paura che quel qualcosa che stringiamo può scapparci dalle mani e così perderlo per sempre.

Lo guardo, mi guarda e poi mi bacia con tutto l’amore che ha in corpo ma io non ricambio. Si stacca e guardandolo con gli occhi vitrei rispondo “non avevo bisogno di un bacio, avevo bisogno di un abbraccio” me ne sto andando ma lui mi stringe tra le sue grandi braccia e per un po’ sento che questo gesto basti per cancellare tutto quello che ho sofferto. Mi aggrappo a lui stringendolo forte come se non volessi farlo andare più via. E’ strano perché Thiago potrebbe ferirmi più di tutte le cicatrici aperte che ho ma in questo momento è l’unica cosa che può tenermi salva. Dopo un po’ sento altre braccia che si stringono a noi Jaz, Rama, Tacho, Cielo e Nico sono lì ad assicurarmi e a farmi capire che non sono più sola, da oggi in poi quando dovrò rialzarmi non conterò solo sulle mie forze ma potrò stringere le loro mani e se mai dovessi rompermi e diventare più fragile ci saranno loro a farmi da scudo.

Ma Rama parlando rovina questo bel momento “Ci saremo sempre per te” tutti i castelli in aria di belle parole che avevo fatto in quell’istante si sgretolano, io mi sgretolo.

“Stronzate!” urlo staccandomi dall’abbraccio mi guardano allibiti ma io sono troppo arrabbiata e ferita per fermarmi “Sono solo stronzate! Pure mia mamma e mio papà hanno detto noi per te ci saremo sempre e poi sono morti! E l’unica cosa che rimarrà con me per sempre è il ricordo dei loro corpi freddi! Anche il mio migliore amico e la mia migliore amica hanno detto per sempre e poi? Il primo è sparito e la seconda è morta. La vita mi ha tolto una ad una le persone che amavo di più! Il per sempre è un illusione, come lo è la felicità. L’unica cosa reale in questo momento è il senso di vuoto che mi sta divorando viva! E’ per questo che sono fredda. E’ per questo che ho paura d’affezionarmi. Non voglio piangere la perdita di nessun altro!. E sapete perché non riesco a piangere? Perché non volevo sentire più tutto quel dolore, perché non ero in grado di sopportarlo da sola così sono diventata APATICA. Ma sapete cosa significa non provare una cazzo d’emozione?”

Era da tanto che non mi sfogavo ed oggi ho buttato tutto fuori, ho condiviso parte del mio dolore con gli altri forse è per questo che mi sento più leggera.

Mi calmo e solo ora mi accorgo che stanno piangendo. Tutti.

“Perchè piangete? Vi faccio pena?” chiedo arrabbiata ma questa volta è Nico a rispondermi.

“No Mar, non ci fai pena. Piangiamo perché quello che ti è successo è ingiusto. Piangiamo perché hai sofferto tutto questo da sola. Piangiamo perché siamo felici che tu sia aperta, che ti sia fidata. E piangiamo perché non abbiamo potuto fare niente per impedirlo.”

Sento gli occhi inumidirsi ma tanto come al solito le lacrime non scendono, con la voce rotta come me urlo “Che avresti fatto?”

Lui si avvicina e dice “questo” abbracciandomi con le sue braccia muscolose.

“Non lo voglio il tuo abbraccio! Non lo voglio!” continuo a divincolarmi e urlare fino a che le grida non mi muoiono in gola e incapace di fare altra resistenza mi lascio stringere.

Ci sediamo a terra ancora abbracciati perché stare in piedi in questi momenti fa troppa fatica.

Con la mente ripercorro tutte le persone che ho amato e perso con la poca voce che mi è rimasta in corpo urlo nella mia lingua i loro nomi

“Mamma! Papà! Luca! Lali!” per ogni nome nella mia testa ho una scena dolorosa, un’ultima parola e un ultimo sguardo dedicato a me.

E poi collasso sotto il peso del mio stesso dolore.

 

 

Hola people!

Tranquilli anch’io sono sconvolta per ciò che ha partorito la mia mente contorta però hay lo que hay e quindi vi siete dovuti subire questa tragedia degna di Sheakespeare (per la sua tragicità perché lui non avrebbe mai scritto una cosa simile) sooo nel prossimo capitolo mi farò perdonare perché come avevo già promesso ho una bella sorpresa di inciuci amorosi e cose mucho calienti :’) .  Cooomunque come avete visto ho fatto un breve accenno sul perché la storia si chiama Hija de la Luna ma mi scoprirà bene nei sequel.

Okay ora vi lascio e spero vivamente che nonostante sia stato un capitolo “pesante” vi sia piaciuto lo stesso. Non abbandonatemi anche se per la storia triste che ho creato a Mar me lo meriterei but ci vediamo al prossimo aggiornamento di giovedì 16 ottobre.  

La canzone di cui ho scritto il testo è "The Scientist" dei Coldplay .                                                                

 

Colgo l'occasione per ringraziare cettadefaziopablizza e dreamlaliter che hanno aggiunto la mia storia alle seguite e che recensiscono sempre i miei capitoli. grazie di cuore :) Un grazie anche a tutti voi lettori silenziosi.

Un beso

Loonyzombiee.

 

  
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