Mi svegliai di soprassalto, per colpa della sveglia impostata alle 6.30, che suonava i Nirvana a tutto volume. Mi alzai con controvoglia, e i miei piedi nudi, al contatto con il pavimento freddo, mi fecero rabbrividire. Andai in bagno, e mi feci una doccia calda, asciugai i miei lunghi capelli castani, e mi guardai allo specchio. Eccoli la, tutti quei difetti, non finivano mai. Ero consapevole della mia magrezza, ma continuavo a vedermi grassa. Sempre grassa. Anche se riuscivo a circondarmi le coscie con le mani, mi vedevo improponibile. Ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di uscire a quella vista, e tornai in camera. Misi un paio di jeans neri, e un maglione che era di mio padre, che mi arrivava a metà coscia, e le mie amate Vans nere. Presi lo zaino, che avevo preparato la sera prima, e scesi le scale di quell'enorme casa. Entrai in cucina per salutare Jennifer:
-"Ciao Jen" le dissi.
-"Ciao, Lucy. Non mangi nulla?" mi chiese.
-"Oh, no grazie lo stesso" la salutai con un cenno della mano e uscì di casa. 
Era il primo giorno di scuola, e non mi aspettavo proprio nulla dalla terza superiore. Anzi ero fermamente convinta che non sarebbe cambiato nulla. Misi le cuffiette, e partì a tutto volume una canzone dei miei amati Ramones. Arrivai appena in tempo, dopo 15 minuti di strada. Entrai subito a scuola quando suonó la campanella, entrai in segreteria, presi il numero e la combinazione dell'armadietto, più gli orari. Avevo filosofia alla prima ora. Andai verso la classe, entrai e mi sedetti nell'ultimo banco accanto alla finestra. Entrarono tutti, e come al solito nessuno si mise accanto a me. Tanto meglio. Non volevo rotture di maroni durante l'anno. Passarono le 5 ore velocemente, ricevendo sempre le occhiate e ascoltando i sussuri delle troie della mia classe. Appena suono la quinta ora, presi il mio zaino di jeans, e uscì velocemente da quel posto orrendo. Appena fuori dal cancello, sentì tirami per il polso. Mi voltai. Non di nuovo lui. Mi guardava ghignando, con il suo solito sorriso maligno:
-"Ciao Bambolina" disse lui.
-"Lasciami, ti prego Harry, mi fai male" lo implorai.
-"Oh, no, no. Credi di passare quest'anno senza preoccupazioni?" minacció lui.
Poi prese i miei lunghi capelli, e mi trascinó dietro alla scuola, dove ci apesettavano i suoi 4 amici. Mi picchiavano da 2 anni ormai. Non so perché. Iniziarono a colpirmi ripetutamente, con dei calci, e dei pugni molto forti. Poi soddisfatti se ne andarono. Ricoperta di lividi e dolorante tornai a casa. Jennifer era a lavoro, e suo marito anche, così mi fiondai con le lacrime agli occhi, in camera mia. Accesi la musica e piansi due ore abbondanti. Ma perché a me? Cosa avevo fatto io per vivere così. Prima l'incidente. Poi il trasferimento, i bulli, il fisico. Poi ebbi come un' illuminazione. Corsi in bagno e cercai nei casseti imprecando mentalmente. Poi le trovai. Mi rigiravo fra le dita la lametta luccicante. Con un momento quasi meccanico, l'appoggiai sul mio polso. Spingi e trascinai quell' oggettino affilato sulla mia pelle candida. Vidi una gocciolina di sangue gonfiarsi come un palloncino e scivolare sul palmo della mano. Continua così per un po'. Poi mi bendai i polsi e tornai in camera.