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Autore: DonnieTZ    12/10/2014    11 recensioni
Serena.
Un padre freddo e distante, una madre scomparsa nel nulla e una solitudine difficile da digerire. Proprio come il cibo che non riesce a mangiare o le parole che non riesce a dire.
Finché non finisce in un altro inferno e tutto perde contorno, sconvolgendo ogni cosa che dava per certa e facendole trovare conforto nel più inaspettato dei modi.
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Un grido esce dai miei polmoni senza che possa controllarlo.
In un istante vengo afferrata alle spalle. Mi agito, scalcio, non capisco cosa stia succedendo e cado al suolo, sbattendo con forza la testa. Una marea di puntini galleggiano davanti ai miei occhi, subito seguiti dal dolore pulsante nel punto in cui la superficie dura del pavimento ha incontrato la mia tempia. Non riesco ancora a mettere a fuoco ciò che ho davanti, ma un peso mi schiaccia al suolo e un’ombra nera si tende verso la mia faccia.
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È un'ombra gigantesca, si frappone fra me e il camino, oscurandomi. La sua mano raggiunge il mio viso e lo alza, perché possa guardarlo.

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Genere: Introspettivo, Malinconico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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1 - Il Ratto
 
Mio padre è seduto dietro la scrivania, le mani incrociate sulla superficie liscia e lucida. Alle sue spalle riposano libri dall’aspetto raffinato, qualche premio, foto con persone che penso dovrebbero significare meno di me, ma che ai suoi occhi valgono tutto. Valgono troppo.
Davanti a lui c’è un uomo che non riconosco, né posso vedere bene. Scorgo solo i capelli, tanto pallidi da sembrare bianchi, che ricadono disciplinati dietro la nuca. Resto a osservare quella scena per un attimo, colta da una tensione acuta e inspiegabile.
«Scusate» mormoro, intimidita.
«Dovresti bussare» risponde secco mio padre.
Ha ragione e taccio, torcendomi le mani per quell'evidente mancanza. Lo sconosciuto si volta appena e io abbasso gli occhi, fissandoli sulla pelle ormai arrossata delle mie dita. Non posso davvero vederlo, ma sento il suo esame scivolarmi addosso come acqua gelida. Solo quando sento il rumore scricchiolante della pelle della sedia – segno che l'uomo è tornato alla sua posizione originaria – rialzo il viso.
«Ormai sei qui, cosa vuoi?»
«Lisa vorrebbe… lei vuole andare a fare shopping» sussurro, inceppandomi nel tentativo di parlare in modo chiaro.
«E perché ci sei tu qui?»
«Per i soldi» ammetto.
Non ho idea del motivo per cui sono diventata un messaggero, non capisco né voglio capire. Mi vergogno per questa frase, in modo profondo e terribile. Sento l'imbarazzo strizzarmi i polmoni con la sua insistenza calda, lo sento aspirare l'aria insieme a ogni pensiero razionale. Vorrei scappare, vorrei solo uscire da questa stanza asfissiante e cupa per rifugiarmi in camera, al sicuro dalla delusione di mio padre e dallo sconosciuto che vi sta assistendo.
«Puoi dire a mia moglie che non le darò un centesimo. Ora vai.»
Si conclude così quell'inutile discussione. Non mi guardo indietro a quell’ordine, preferendo chiudermi velocemente la porta alle spalle. Fuori, Lisa mi guarda in attesa, il bicchiere stretto fra le mani e un braccio avvolto attorno al corpo scheletrico. Il vestito le pende addosso come stoffa bagnata su un mucchio d'ossa e il sapore acido della paura mi invade la bocca a quella visione.
«Allora, Serena?» domanda, scandendo il mio nome come un insulto.
«Ha detto che non ti darà un centesimo» provo a dirle, ignorando la sua espressione irritata.
«Ma tu hai detto che erano per te, vero?»
«Io…»
«Quanto puoi essere stupida?» sibila, senza farsi sentire oltre la porta. «E quanto puoi essere brutta? Dio… e dire che tuo padre non fa altro che parlarmi di quanto tua madre fosse bella.»
Con queste ultime considerazioni ancora fra le labbra, sparisce per il corridoio, traballando sui tacchi. Il timore lascia spazio a una consueta sensazione, un morso acuto e penetrante, un dolore pungente. Fame. La sento esplodere nella pancia, ma mi impongo calma, razionalità, logica. Non devo cedere all’enorme vuoto che mi si apre in corpo, non posso mangiare, non se voglio essere come mia madre.
Sto per avviarmi sul parquet immacolato, quando la porta dello studio si apre. Per un istante temo sia mio padre e sono pronta a scivolare via con le poche forze che mi restano, invece è l’uomo misterioso.
Ha la pelle chiara come il muro contro cui si staglia, occhi azzurri, pallidi, acquosi, e ciglia candide. Sembra una strana divinità, ma è solo albino, realizzo con più calma. Dopo un istante mi rendo conto di fissarlo in modo davvero maleducato e abbasso nuovamente lo sguardo sul pavimento.
La mia stanza è l'unico angolo di pace, quando mi ci rinchiudo dentro con sollievo.
 
♦⸎♦
 
È uno strano rumore quello che mi sveglia durante una notte agitata. Le lenzuola appiccicate alla pelle mi ricordano un sudario, così le scosto con gesto deciso e lascio che il freddo della stanza si infranga sulle mie gambe nude. È tutto troppo buio, troppo scuro, troppo impenetrabile. Mi avvio veloce verso l’interruttore, con la paura stretta addosso, sbattendo contro qualcosa che mi graffia la gamba. Una volta che la luce scoppia nella stanza tutto mi sembra in ordine. Non riesco neanche a capire cosa mi abbia svegliata.
Poi lo sento.
Nuovamente.
Un gemito.
Il rumore che mi ha svegliata non era parte dei miei incubi, ma della realtà della casa.
Mio padre è in viaggio da una settimana, un lavoro importante di cui non ho capito il senso, e io non dovrei neanche essere a casa. Avrei dovuto dormire da un’amica, ma l'idea di fermarmi a cena da qualcuno che potrebbe notare il mio digiuno mi ha nauseata. Ho inventato una scusa e sono tornata a casa nel pomeriggio, dopo scuola, trovandola vuota e stranamente pacifica. Ho sentito rientrare Lisa tardi, ma non ho voluto imporle la mia compagnia per salutarla, preferendo restare in camera a fingere di non esserci. Per la prima volta dopo molto tempo, l'enorme casa si è dimostrata utile.
Adesso, però, l'assenza di mio padre diventa incredibilmente spaventosa.
Un gemito impercettibile segue il precedente.
Qualche altro rumore ovattato mi tende sull'attenti.
Che Lisa abbia portato a casa un amante? Forse dovrei solo tornare a letto, mi dico.
Eppure c’è qualcosa di inquietante in quel rumore, qualcosa di sinistro, di strisciante. Qualcosa di malsano che non vuole abbandonare il mio istinto. Forse è solo la notte a rendere tutto più macabro.
Sono quasi voltata, rivolta nuovamente alle lenzuola che mi aspettano, quando qualcosa si infrange in un fragore di vetro. Il suono spezza il silenzio facendomi sobbalzare.
Immobile, paralizzata dal terrore per qualche istante – tutto sangue gelido nelle vene e fiato trattenuto –, finisco per decidermi, aprire la porta e correre verso la stanza dei miei.
Busso agitata, immersa nel buio del corridoio che non ho illuminato per la fretta.
«Lisa?» chiedo, titubante.
Uno strano suono attutito si interrompe immediatamente, come sorpreso dalla mia voce.
«Lisa, tutto bene?»
Niente, nessun assenso, nessuna risposta.
Premo sulla maniglia e la porta si apre lentamente al mio tocco. Cigola, violando il silenzio.
«Lisa?» ripeto, avanzando nella camera per accendere la luce.
Quando lo faccio e tutto si illumina, capisco che Lisa non può rispondermi. Che non potrà mai più. Che non c’è risposta che si possa dare dal regno dei morti.
È riversa sul letto, con il braccio che penzola nel vuoto e sembra quasi indicare una lampada infranta in miliardi di pezzi sul pavimento. Il suo viso mi guarda di uno sguardo vitreo e spalancato, arrossato in modo inquietante. La lingua è fuori dalla bocca, in una smorfia grottesca, i segni sul collo sono strisce irritate e scarlatte.
Un grido esce dai miei polmoni senza che possa controllarlo.
In un istante vengo afferrata alle spalle. Mi agito, scalcio, non capisco cosa stia succedendo e cado al suolo, sbattendo con forza la testa. Una marea di puntini galleggiano davanti ai miei occhi, subito seguiti dal dolore pulsante nel punto in cui la superficie dura del pavimento ha incontrato la mia tempia. Non riesco ancora a mettere a fuoco ciò che ho davanti, ma un peso mi schiaccia al suolo e un’ombra nera si tende verso la mia faccia.
«Non dovresti essere qui» scandisce una voce profonda, un timbro che sembra uscire dalle oscurità dell’oltretomba.
Cerco di urlare aiuto, cerco di dimenarmi, ma nessuno dei miei tentativi va a buon fine. Sono stordita e non ho idea di cosa stia accadendo. Per la prima volta della mia vita, nonostante io stia morendo un poco ogni giorno, ho davvero paura di andarmene, di smettere di vivere, anche se la mia vita non è mai stata più di una pacata sopravvivenza.
«Ora io ho un problema.»
La voce che mi parla è estremamente calma e mi increspa la pelle di brividi. Finalmente, i miei occhi decidono di collaborare e posso vedere l’uomo che mi sta parlando: ha un cappuccio tirato sul capo, ma riconoscerei i suoi tratti fra milioni di sconosciuti.
L’albino.
«Capisci cosa sto dicendo?» chiede.
Scuoto la testa in segno di diniego. Non capisco nulla, né di quello che cerca di dirmi, né di quello che è appena successo. Tento nuovamente di alzarmi, ma resto immobile, al suolo, schiacciata sotto il peso del suo corpo.
«Che dovrei fare con te?» domanda – forse più a se stesso – con tono concentrato.
La testa imprime scosse dolorose al cervello, il corpo non collabora nei suoi tremori incontrollabili, tutto è così insensato e terrificante.
«Io…» ingoio la paura e provo nuovamente a formulare una frase, «io non parlerò con nessuno.»
«Ma sei qui e lei è morta. Ti domanderanno e tu risponderai, come tutti. Questo è un problema per me, lo capisci?»
Le sue domande sembrano rivolte a una bambina particolarmente lenta, ostinata nel suo non voler capire qualcosa di elementare, così annuisco senza sapere neanche perché. Sono pietrificata dalla paura, sono annichilita dal terrore, voglio solo chiudermi nella mia stanza, portare indietro il tempo, voglio soltanto…
Alla fine l'oscurità vince su tutto, calando sui miei occhi, risucchiandomi, pesante e impietosa.


 
Ciao!
Questa storia è arrivata seconda a un contest che mi ha davvero ispirata... spero sia divertente leggerla quanto per me è stato scriverla. Come dice l'introduzione è ispirata al mito di Ade e Persefone. Ho cercato di comprendere nella storia le parti più salienti e “fantasiose” del mito.
EDIT: la storia è revisionata e un epub gratuito può essere scaricato dal mio sito (nel caso vogliate leggerla senza essere online)!
Fatemi sapere!
A presto...
DonnieTZ
   
 
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