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Autore: AsfodeloSpirito17662    13/10/2014    3 recensioni
Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.
Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.
Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.
Ed era tutta colpa sua.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
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SETTIMO CAPITOLO

7. Un Destino ciascuno


Bath Stone (Corsham-Combe Down), distretto di Bath, 23 luglio 2020

Pomeriggio


Quando Charles si ritrovò davanti all'ingresso della miniera, dovette esercitare tutto il suo autocontrollo per non intonare un inno alla gioia. Erano già tre giorni che camminavano senza sosta, fermandosi soltanto per ingurgitare qualcosa o per dormire; al sopraggiungere della mattina, si erano sempre alzati all'alba per approfittare di tutto il tempo di cui avrebbero potuto disporre per proseguire. La sua caviglia ferita era stata più o meno guarita da Alecto che, non avendo una perfetta padronanza delle proprie capacità, aveva fatto quel che aveva potuto. In condizioni normali ed in possesso di una macchina, sarebbero servite soltanto un paio di ore per raggiungere il distretto di Bath ma, mano a mano che si erano allontanati da Londra, Charles aveva potuto miseramente constatare che la furia cieca dei draghi non aveva devastato solo la capitale, ma anche tante altre zone al di fuori ed il disastro che avevano visto per le strade aveva creato loro qualche difficoltà di percorso.

Il sospetto che l'intera Gran Bretagna fosse stata bersagliata dagli attacchi delle bestie aveva attraversato velocemente la mente del giovane, che quella stessa mattina si era ripromesso di provare a far funzionare nuovamente la radio e vedere di cavarne qualcosa. Nel corso di quei tre giorni, Charles aveva notato un traffico sempre maggiore di elicotteri ed aerei appartenenti all'esercito della corona e si era chiesto se la milizia avesse finalmente trovato il modo di gestire quelle creature che fino ad una settimana prima aveva creduto frutto di sole favole e leggende.

Fermo davanti all'ingresso della miniera, Hester devastata dalla stanchezza alla sua destra ed Alecto trincerata nel suo caratteristico silenzio alla sua sinistra, piegò con una punta di amarezza gli angoli delle labbra verso l'alto.

Una settimana.

Era bastata una settimana per sconvolgere tutta la sua vita, chi aveva creduto di essere e cosa ne aveva pensato del mondo.

"Direi di dividerci" esordì Alecto, lo zaino in spalla ed il cappello blu di nuovo ben piantato sulla testa. "Questa miniera è stata abbandonata secoli fa ed è piena di gallerie. Se prendiamo strade diverse, avremo più possibilità di trovare la Diamar".

Hester la guardò, ma non disse niente; si era seduta su un masso nei pressi dell'ingresso e sembrava non avesse la forza di fare altro tranne che respirare. Charles distolse con stizza lo sguardo da lei, non potendo minimamente sopportare il modo in cui la donna gli sembrasse più invecchiata, affaticata com'era. Non poteva accettare una cosa del genere.

"Come le sai queste cose?" preferì domandare invece, attirando gli spenti occhi di Alecto su di sé; la ragazza gli indirizzò un sorrisetto derisorio, prima di indicare un cartello posto poco distante dall'ingresso. Perso com'era nei suoi pensieri, Charles non l'aveva nemmeno notato. Si avvicinò per leggere: proprietà e patrimonio dello stato d'Inghilterra. Per informazioni sugli orari ed i giorni delle visite guidate, contattare il seguente numero...

A quel messaggio, seguiva una breve descrizione di quanto si supponesse fosse realmente vecchia la miniera e di come i suoi cunicoli fossero abilmente intersecati tra loro. Alecto si era avvicinata all'entrata della miniera e ne stava sbirciando l'interno con uno strano sguardo apprensivo.

"Che cosa c'è?" le chiese Charles, studiando il buio nel quale il cunicolo affondava, lì dove la luce del giorno non riusciva ad arrivare; "Hai visto qualcosa?" aggiunse, in un sussurro.

La ragazza compì un paio di lenti passi indietro e lo guardò, come a volerlo soppesare attentamente. Charles arcuò le sopracciglia, confuso dal suo improvviso cambio di atteggiamento e vagamente a disagio, sotto l'esame di quegli occhi così spenti e pallidi.

"Ho sentito delle brutte storie, sulla Diamar" mormorò la ragazza, senza distogliere lo sguardo da lui, con aria greve.

"Del tipo?" le chiese allora Charles, corrugando la fronte.

"Del tipo che non ci si può fidare di lei. Che è una creatura che appare eterea, ma che nasconde sembianze demoniache. Ho sentito dire che cerca di ingannare chi la ascolta e che è molto pericolosa..."

La fragorosa risata di Hester si intromise tra di loro, spezzando quel principio di tensione che aveva iniziato a serpeggiare nell'aria. Il suo modo di fare le permise di guadagnarsi un paio di facce equamente stupite. Con ancora il sorriso a piegarle le labbra, Hester scosse lentamente la testa, come si fa quando si ripensa a qualcosa di divertente che non si crede possa essere successa per davvero.

"Mi stupisce che tu sia stata in grado di arrivare sino a qui solo per sentito dire" esclamò la donna, un luccichio di divertimento ad animare gli occhi verdi; "Considerata la quantità incredibile di sciocchezze che hai appreso nello stesso identico modo".

Alecto non fu minimamente turbata dal tono divertito appena riservatole e si limitò a corrugare la fronte. "Che cosa intendi dire?" chiese, non senza una certa diffidenza. Quella donna stava insinuando che Emrys le avesse mentito?

Hester sospirò e si alzò in piedi, ritenendo di essersi riposata abbastanza; in realtà era ben lungi dal sentirsi pronta per mettersi di nuovo in cammino, ma non c'era tempo per bighellonare: erano finalmente arrivati alla miniera e non poteva più aspettare, perché anche lei aveva bisogno di risposte, esattamente come Charles.

"Quello che intendo dire" iniziò lentamente, avvicinandosi all'ingresso dove già sostavano gli altri due, "È che nessuno sa davvero quale aspetto abbia la Diamar. Si dice che solo un paio di persone siano riuscite ad incontrarla e la mia paura è che noi, oggi, non rientreremo in questa ristretta cerchia di fortunati, anche se spero non sia così. Che abbia l'aspetto etereo o di una bestia è probabile, entrambi i casi hanno le stesse possibilità di essere veri, perché molte informazioni su di lei sono andate perdute durante il corso dei secoli. Ma la Diamar è un essere sacro, anche se non ha niente a che fare con l'antica religione. È una creatura neutrale, al di sopra delle cose. È osservatrice e conoscente di tutti i destini possibili, conosce quelli di tutte le persone venute al mondo, dal più irrilevante al più decisivo. Non è nei suoi interessi raggirare ed ingannare, ha più il ruolo di una guida che di un'incantatrice..."

Alecto era confusa ed arrabbiata. Confusa perché non capiva come mai la versione che Emrys le aveva dato fosse così differente da quella di Hester; arrabbiata perché non aveva possibilità di chiedere spiegazioni, non senza essere costretta a raccontare del bambino e di quello che le aveva detto. Se avesse nominato Emrys, naturalmente un'altra serie di inevitabili domande sarebbero sorte in conseguenza e la situazione sarebbe degenerata in qualcosa che Alecto non voleva far accadere. D'altro canto, se avesse chiamato il suo mentore per chiedere a lui, delle spiegazioni, avrebbe anche dovuto dirgli che non era sola, che si stava facendo accompagnare da un ragazzo ed un'altra persona con la magia. Non sapeva perché, ma l'istinto le suggeriva che non era necessario far sapere ad Emrys con chi stesse viaggiando.

In aggiunta, intendeva mantenere il silenzio anche per un pizzico di ripicca: il bambino aveva un sacco di segreti, perché lei non poteva averne di suoi? Al momento però, la domanda più importante era: di chi doveva fidarsi? Suppose che l'avrebbe presto scoperto da sola, una volta trovata la Diamar - perché,, trovarla era imperativo, come le aveva detto Emrys! Non poteva neanche contemplare l'opzione di un buco nell'acqua, non era nemmeno un'eventualità -.

Alecto continuò a restare in silenzio, limitandosi ad osservare Hester con un cipiglio meditabondo.

"La tua idea è buona, comunque" riprese quest'ultima, dopo qualche istante di silenzio "Dividiamoci. Io e Charles andremo verso sinistra, tu verso destra. Non ti spiace andare per conto tuo, vero?" Abbozzò un sorriso di circostanza. "Del resto, la tua magia è più forte della mia. Saprai difenderti da sola, in caso di necessità".

Alecto si limitò a fare un breve cenno d'assenso... d'altro canto, cosa avrebbe potuto dire? Indugiarono solo qualche altro secondo e poi entrarono nella miniera; anche se lei non lo notò, Charles le rivolse una lunga occhiata penetrante, prima di immettersi nel cunicolo con Hester.


*


"Perché la tratti così?" domandò Charles dopo cinque minuti buoni da che avevano iniziato ad esplorare la miniera. Hester teneva davanti a sé una torcia che riusciva ad illuminare ben poco oltre i loro piedi, a causa della fitta oscurità del cunicolo. Charles si sentiva irrequieto, il buio non gli era mai piaciuto e quando il rumore dei loro passi non era assordante, percepiva chiaramente una quantità di animaletti strisciare lungo le pareti rocciose della miniera. Con una punta di nera ironia, pensò che lì dentro erano loro gli intrusi, gli ospiti indesiderati. Il fascio di luce della torcia illuminò brevemente una serie di lampade rettangolari, con i bordi smussati, che avevano l'aspetto di luci d'emergenza; erano montante lungo le pareti dei cunicoli ed una robusta striscia di ferro le teneva ancorate in alto.

"Non puoi... che so, accendere quelle?" domandò Charles, sperando che almeno a quello Hester avesse voglia di rispondere. "Hai... hai la magia, no?"

"Neanche io posso fare miracoli, Charles. Siamo in pieno blackout elettrico. Non posso creare l'elettricità con la magia. Avrei potuto farla arrivare alle lampade, se ce ne fosse rimasta un po', ma così non è".

Hester svoltò a destra, sembrando totalmente a suo agio sul terreno dissestato della miniera. "E per quanto riguarda la sua nuova amica" continuò, la voce priva di qualsiasi inflessione, "La domanda che mi ha fatto è troppo generica. Com'è che la tratterei, di preciso? Se si riferisce alla diffidenza che giustamente le riservo, sappia che lo faccio anche a causa della sua ingenuità".

Charles sbatté le palpebre con perplessità, pensando di aver sentito male. "La mia ingenuità?" ripeté, realizzando che Hester l'aveva detto davvero. La governante fece un mezzo sorriso, senza mai distogliere gli occhi dal percorso.

"In buona fede, Charles, lei darebbe il beneficio del dubbio anche ad un terrorista. Non dico che la sua generosità e la sua fede nel prossimo siano sbagliate, ma bisogna saper essere preparati ad ogni eventualità. Dare fiducia a qualcuno non deve voler necessariamente dire fidarsi di quella persona, ma si può anche intendere come un lasciarle la possibilità di dimostrare qualcosa. Le persone vanno messe alla prova, non si può fare affidamento su chiunque".

"Perché mai dovrei mettere le persone alla prova? Che motivo avrebbero per tentare di imbrogliarmi?"

Hester sospirò con leggerezza, piena di pazienza. "Lo capisco, sa. Voglio dire, neanche a me verrebbe naturale pensare a me stessa come la Regina di un regno perduto, dopo aver vissuto venticinque anni convinta di essere qualcun altro. Ma se le posso dare un consiglio, dovrebbe cercare di abituarsi in fretta a ciò che è in realtà, Charles, perché tenteranno di imbrogliarla proprio a causa di questo. Lei è un pericolo".

"Frena, frena, frena" rispose il ragazzo, alzando le mani per aria come a volerla rallentare anche fisicamente. "Io non ho vissuto ventiquattro - sono ventiquattro, Hester! - anni convinto di essere qualcun altro. Io sono quel qualcun altro. Sono Charles, prima di essere... quello che dici tu. E non riuscirai a farmi cambiare idea neanche tra mille anni, non su questo! Potrò anche essere stato un Re nella mia vita precedente, ma non lo sono in questa vita! Non ho niente da spartire con il passato, se non qualche sporadico sogno strambo! E perché diavolo sarei un pericolo, adesso? Perché sono tra i primi dieci della nazione a detenere il record di Call of Duty?" concluse con una sferzante nota di sarcasmo.

Hester roteò gli occhi verso l'alto e scosse piano la testa.

"Lei è un pericolo, Charles, perché se la sua coscienza si è risvegliata, è solo per mettere i bastoni tra le ruote a coloro che intendono distruggere il regno di Albion. È destinato a salvarci tutti, non l'ha ancora capito?"

Charles pensò, con una dolorosa fitta di nostalgia, ai tempi in cui essere tra i primi dieci di tutta la nazione a COD lo faceva sentire un maledetto eroe. Avrebbe pagato oro per essere destinato a restare sui livelli di quel tipo di eroismo e basta. Fece per dire qualcosa, poi un bagliore in fondo al cunicolo distrasse entrambi.

"Cos'è?" domandò immediatamente il ragazzo, strizzando le palpebre per vederci meglio. "È bianca..."

"Resti dietro di me" sussurrò Hester, fermandosi poco dopo. La luce si stava muovendo verso di loro.


*


Alecto strinse ancora di più le ginocchia contro il petto e vi affondò la faccia. Buio, era tutto troppo buio e quella volta non c'era nessuno a distrarla, ad allontanarla dai suoi pensieri. Tutto si ripeteva, ancora una volta. La inseguiva come un'ombra, era una sorte inevitabile, ma stupidamente aveva sempre continuato a correre. A cosa le era servito?

Era di nuovo sola. Sapeva che sarebbe andata a finire così, non importava quante volte venisse salvata da se stessa o quante persone le promettessero che non sarebbe più stata allontanata o lasciata da parte... era di nuovo sola e quello, Emrys avrebbe dovuto prevederlo. Le aveva promesso che si sarebbe preso cura di lei, ma dov'era in quel momento? Dov'era quando il sudore le appiccicava la maglietta alla schiena, quando le vertigini le impedivano di stare in piedi e quando il groppo alla gola non le permetteva di respirare bene? Alla fine dei conti, le promesse erano esattamente quel che erano: parole, parole date all'aria, parole pronunciate senza intenzioni, parole che la lasciavano risalire di qualche metro dal fondo prima di rigettarla giù ancora più violentemente della volta precedente. Alecto non sapeva quante altre botte sarebbe riuscita a sopportare prima di spezzarsi. Sentiva le sue ossa scricchiolare.

Contro le palpebre serrate con forza, vide materializzarsi l'immagine di sua madre che la guardava come non l'avesse mai realmente conosciuta; vide lo sguardo pieno di orrore di Richard Smith e la barella su cui era stata adagiata Hanna Dixon, il collo piegato in una curva innaturale.

Il buio la teneva con tenaglie indistruttibili e la costringeva a rivivere ancora l'isolamento forzato cui i suoi amici, spaventati da lei, l'avevano costretta a scuola e rivisse in un veloce ma doloroso flash, il momento in cui era stata gettata in pasto alle suore del collegio dove sua madre l'aveva fatta rinchiudere. Ha il demonio in sé, aveva detto alla direttrice, con la voce che aveva tremato per il disgusto e con lacrime di rabbia ad inumidirgli gli occhi; salvate la mia bambina aveva concluso, stringendo il ciondolo a forma di croce nel pugno, come fosse stato un'ancora di salvezza. E la direttrice aveva accolto molto seriamente il suo disperato grido di aiuto.

Alecto ricordò, con un brivido guidato da un forte senso di nausea, come quelle religiosissime istitutrici avessero cercato in tutti i modi di farla sentire sbagliata. Di farla sentire cattiva e destinata alla dannazione. Apri le braccia a Dio, erano le classiche parole che precedevano la sua reclusione nella Gola: una stanza stretta, spaziosa quanto un ripostiglio delle scope, senza finestre, adibita all'unico scopo di far scontare punizioni di varia natura alle studentesse del collegio. Veniva chiamata la Gola non solo per le sue scarse dimensioni e la mancanza di luce, ma anche a causa del fatto che, ad un certo punto, si arrivava ad avere la sensazione di essere ingoiati dall'oscurità pressante.

Alecto credeva che una tortura fisica sarebbe stata meno peggiore e non lo pensava semplicemente perché soffriva di attacchi di panico, no: aveva visto ragazze piegarsi come fuscelli e cadere nel mutismo per giorni, dopo essere state dentro quella stanza. I pensieri potevano corrodere come acido, se veniva permesso loro di scivolare liberi nella mente come nuvole e le istitutrici erano sempre state troppo furbe per non poterlo capire. Tutte le ragazze che erano finite in quel collegio, a loro modo, avevano diversi demoni sulle spalle e peccati da espiare agli occhi delle loro famiglie: era semplicemente una tentazione troppo perfetta per non poterne approfittare.

Desiderò l'oblio. Desiderò che quella particolare crisi, - era da molto che non ne aveva di così forti -, le togliesse talmente tanto il respiro da farle perdere i sensi. Desiderò così tanto l'incoscienza che ad un certo punto, forse per auto difesa, immaginò una luce, un tenue bagliore bianco. Si concentrò su quella luce più intensamente che poté e cercò di vederla aumentare sempre di più; tentò di intuire che cosa avrebbe potuto provare se quella luce l'avesse avvolta, se l'avesse abbracciata e cullata al di fuori dell'oscurità, ma niente l'avrebbe potuta preparare alla sensazione che avvertì quando la luce, letteralmente, la toccò.

Sussultò spaventata e spalancò definitivamente gli occhi. Dovette metterci qualche secondo, prima di decidere che cosa fare. Per la precisione, urlò. Urlò con voce piena di spavento e si appiattì contro la parete della miniera in modo così repentino che la luce - una creatura dall'aspetto indescrivibile -, sobbalzò e si ritrasse, come scottata. Alecto la fissò, i pallidi occhi sgranati ed il respiro accelerato.

La cosa che le stava davanti - dal sesso indefinibile, poiché priva di qualsiasi curva -, aveva la testa allungata e dalla forma ovale, mostrava guance incavate che mettevano in risalto un paio di alti zigomi, non aveva sopracciglia e neanche i capelli. La sua pelle sembrava traslucida, un reticolo di vene era infatti visibile sotto l'epidermide grigiastra e sottile, mentre i suoi grandi occhi, scuri come le profondità in cui poco prima si era persa, la stavano fissando in modo che non riuscì a decifrare; soltanto quando riuscì a riportare il respiro ad un ritmo normale, notò che il bagliore che aveva creduto di immaginare proveniva principalmente dalla sua testa a forma di uovo, oltre che dalle mani sottili e lunghe come quelle di uno scheletro.

"Alecto" soffiò la creatura, con un tono di voce roco - di chi non parlava mai - e dalla tonalità misteriosa. Se ne stava tutta piegata su se stessa ed uno strano mezzo sorriso le inclinava le labbra piene. Ad Alecto sembrò che non intendesse sorriderle veramente, ma che quello fosse solo il modo in cui teneva chiusa la bocca.

"Tu sei... sei la Diamar?" biascicò la ragazza, tenendosi una mano premuta all'altezza del cuore.

"Senza dubbio" soffiò quella in risposta, "E tu mi stavi cercando".

Chiaramente non era una domanda.

"Sì, io..." esitò. "Io vorrei sapere-"

"Non è quello, che vuoi sapere" la interruppe la Diamar, in modo suadente, nonostante lo sgradevole grattare della voce contro la gola. Alecto corrugò la fronte e restò in silenzio ad osservarla, non avendo la più pallida idea di cosa intendesse dire.

"Quello che realmente ti serve sapere" riprese la creatura, senza distogliere un attimo i profondi occhi da lei, "È che tutte le creature, nel momento in cui vengono al mondo, sono destinate a qualcosa. Non sempre è chiaro lo scopo od il significato di ciò che finiamo per essere o di ciò che arriviamo a compiere, ma la cosa importante non è la riposta. È trovarsi nel posto giusto al momento giusto, proprio quando così deve essere".

"Credo di non capire..." balbettò Alecto, sempre più confusa. Dove aveva intenzione di andare a parare? La curiosità era così opprimente che dimenticò tutti gli avvertimenti di Emrys; la Diamar non le sembrava pericolosa e neanche meschina. Piuttosto, Alecto si sentiva messa in soggezione dall'immensa aura di saggezza che la creatura sembrava aver incisa su ogni centimetro del suo fragile corpo sottile.

"Perché cerchi la risposta" ribatté la Diamar, dicendo tutto e non dicendo niente. "La cerchi nel modo sbagliato".

"Ti prego, sii più specifica, perché non riesco davvero a seguirti..." la pregò la ragazza, mollando la presa sulla maglia tutta spiegazzata.

"Credi di essere capitata qui per caso?" domandò per contro l'altra, senza sbilanciarsi. Alecto scrollò la testa.

"Ci sono venuta perché l'ho deciso e perché ho bisogno di informazioni".

"Sei qui perché dovevi essere qui, adesso, in questo momento".

"Cosa stai cercando di dirmi? Che hai visto questo momento? Sei una veggente?"

"Io sono la chiave della conoscenza, giovane Alecto. Conosco al di sopra dello scorrere del tempo, al di sopra della materia e delle energie sottili. Devi fidarti della mia parola, quando ti dico che il tuo destino è quello di rimanere al fianco dei tuoi attuali accompagnatori".

A quelle parole, la ragazza strabuzzò gli occhi: tutto si era aspettata, tranne che quella rivelazione.

"Ma li conosco appena!" replicò con incredulità, guardando la Diamar come fosse impazzita.

"Perché il tuo cammino è appena cominciato" le rispose la creatura, ancora con quello strano mezzo sorriso ad inclinarle le labbra.

"E con quale scusa dovrei ancora affiancarmi a loro? Se dicessi che ti ho incontrata e che me l'hai detto tu, di farlo, non mi crederebbero mai!"

Alecto fece una smorfia e pensò che, per essere precisi, probabilmente sarebbe stata la vecchia a rifiutarsi di crederle. "Forse potresti parlarci tu..." soggiunse, quasi speranzosa. Soltanto un secondo dopo, si rese conto della richiesta che aveva tentato di fare e rimase di stucco.

Che cosa stava succedendo? Non poteva restare al fianco di quei due, lei ed Emrys avevano una missione, doveva aiutarlo a riportare la magia alla luce e doveva aiutare tutti quelli come lei a conquistare il giusto posto nel mondo. Niente più nascondigli, niente più fughe, basta con la paura e con i sotterfugi; avere la magia non voleva dire essere pericolosi, lei ed Emrys l'avrebbero dimostrato in larga scala. Il loro progetto era ambizioso ed una volta realizzato non sarebbe stata mai, mai più sola. Corrugò la fronte e stavolta guardò la Diamar con sospetto.

"Che cosa mi stai facendo?" soffiò, guardinga. "Stai tentando di manipolare la mia mente?"

La Diamar, che fino a quel punto era rimasta in silenzio ad osservarla, allungò una mano verso di lei e prima che Alecto glie lo potesse impedire, le sue dita le toccarono la fronte; la ragazza sussultò ed il suo intero corpo fu pervaso da una freschezza pura ed indescrivibile, come se avesse insieme la primavera e l'autunno a scorrerle nelle vene. Con quel contatto, ebbe modo di toccare l'assoluto disinteresse che quella creatura aveva nel mentire. Tramite quel contatto, sentì sulla pelle la sua sincerità. Non la stava aiutando. Non la stava nemmeno ostacolando. Stava soltanto esponendo dei fatti ed i fatti erano inconfutabili, quando a propinarli era la Chiave di tutta la conoscenza.

Scossa da un profondo brivido, Alecto mise di nuovo a fuoco il volto della Diamar, notando che quella aveva ritirato la mano; si toccò la fronte con circospezione ed il cuore ancora le batteva a ritmo dei piacevoli strascichi che quell'esperienza le aveva fatto provare.

"Perdonami" mormorò, sentendosi incredibilmente sciocca per aver dubitato di lei. Emrys le aveva detto che la Diamar avrebbe tentato di ammaliarla, ma dopo quello... era certa che il bambino avesse avuto torto - per una volta, aggiunse una piccola parte di lei, con meschina soddisfazione -.

"Il tuo Destino è affar tuo soltanto, Alecto" tornò a parlare la creatura, con cautela. "Sta' accanto a loro e tutto ti sarà più chiaro. Scegli un'altra via e ciò che temi di più, finirà per avverarsi".


*


Nello stesso momento...


"Quali prove?" la interrogò Hester, senza però osare avvicinarlesi di un passo di troppo. La Diamar stava accucciata davanti a loro, le lunghe dita accarezzavano il terriccio della miniera e la sua candida luminescenza si infrangeva sulle pareti rocciose in un modo che rivelava, di quando in quando, i piccoli e numerosi insetti che le popolavano. Charles stava poco dietro di lei e ancora non aveva deciso se prendersi a schiaffi da solo per capire se stesse sognando oppure mettersi a ridere istericamente. Quella cosa aveva tutto l'aspetto di un alieno, solo che al posto del classico colorito verdognolo, ce n'era uno grigiastro.

La Diamar scosse piano la testa ovale e disse: "La natura delle difficili prove che vi troverete ad affrontare lungo il cammino, non è rilevante al fine della salvezza di Albion, nonostante dobbiate superarle ad ogni costo. Se vorrete avere successo, vi occorrerà il giusto... aiuto".

Hester corrugò la fronte, gli occhi verdi si muovevano veloci sul volto della Diamar come in cerca di una risposta.

"Stai... stai parlando della magia?" tentennò, ipotizzando nel modo più logico possibile. La creatura piegò la testa da un lato e sembrò che le sue labbra si inclinassero ancora di più.

"In un certo senso..." rispose, con un baluginio particolarmente intenso ad attraversale le lunghe dita spettrali. "Sto parlando di ciò che anticamente rese Re Arthur degno del suo titolo e protagonista di immortali leggende..."

"Excalibur..." mormorò allora Hester con una certa reverenza, lo sguardo lontano e perso in luoghi remoti della sua mente.

Charles fissò i suoi lunghi capelli biondi striati di grigio e sgranò gli occhi: aveva sentito bene? Excalibur?

"Esiste davvero?" si ritrovò a domandare a voce bassa, quasi temesse di essere preso in giro solo per averlo chiesto. Ma certo che no, sciocco! gli avrebbero sicuramente risposto, prima di ridere di lui. Hester si girò e lo guardò, quasi avesse notato la sua presenza solo in quel momento. La sua occhiata fu davvero indecifrabile.

"Le avevo detto che le avrei dimostrato tutto, Charles. Non se lo ricorda più?" e senza aspettare risposta, tornò a rivolgersi alla Diamar: "Sono vere, le leggende? E' ancora che la troveremo?"

La Diamar annuì.

"E magari in omaggio troveremo anche la tavola rotonda..." borbottò Charles, mascherando il suo scetticismo con un colpo di tosse. Venne elegantemente ignorato. La Diamar si mosse verso di loro, come volesse rendere ancora più reali le sue stesse parole.

"Recuperate la spada e salvate il regno di Albion. È questo, il destino che deve essere compiuto. In caso contrario..." i suoi enormi occhi, scuri come pozzi interminabili, agganciarono con forza lo sguardo di Charles. "In caso contrario, sarà la fine di tutto ciò che conosciamo".


*


"Che ansia" sputò fuori Charles, non appena mise piede al di fuori della miniera; strizzò le palpebre alla luce grigiastra del giorno, non riuscendo a tenerli aperti per più di due secondi. Dopo tutto quel buio, il minimo che i suoi occhi potessero fare era protestare con vivacità a quel cambio di luminosità e palpitare dolorosamente. Quando si fu abituato all'ambiente circostante, notò che Alecto li stava già aspettando, seduta su una sporgenza distante una decina di metri. I pallidi occhi della ragazza li stavano osservando, ma studiando il suo volto, Charles ebbe l'impressione che fosse turbata da qualcosa.

"Tutto bene?" le domandò, avvicinandosi con Hester alle calcagna. La donna si era tutta irrigidita e fissava l'altra con circospezione.

Alecto si strinse nelle spalle, sospirando.

"Potrebbe andare meglio" rispose con un velo di delusione; "Se solo fossi riuscita ad incontrare la Diamar. Voi siete stati più fortunati?"

"No" intervenne rapidamente Hester, scavalcando Charles con poca grazia. Aveva usato un tono fermo ed autoritario, non lasciando neanche intendere risposte che fossero diverse da una negazione più assoluta. "Non l'abbiamo vista anche noi".

Calò il silenzio. Per un paio di minuti il trio stette lì a ciondolare, a scambiarsi sguardi non ben interpretabili ed a cercare di fare chiarezza. Avevano tutti parecchie cose su cui riflettere. Alla fine, la prima a parlare fu Hester.

"Direi che a questo punto possiamo-"

"Continuare il viaggio insieme" la interruppe Alecto, che aveva alzato velocemente gli occhi su di lei. Le due si studiarono a lungo, occhi negli occhi: la più giovane fremeva di aspettativa, mentre mordeva il labbro inferiore e la più anziana sembrava essere stata appena insultata in modo pesante.

"Bé, pensateci un attimo" riprese la ragazza, coinvolgendo con forza anche Charles nella discussione, che sembrava averla presa molto più in simpatia di quella bisbetica di una governante. "Il nostro obiettivo è comune, cerchiamo tutti delle risposte qui. Potrei... potrei aiutarvi con la mia magia, tra l'altro. Sai, nel caso in cui..." guardò il ragazzo con un pizzico di titubanza, "...cioè, se dovesse spuntare fuori qualche altro grifone, ecco, credo che potrei aiutare".

"Charles" iniziò a quel punto Hester, tentanto di risultare persuasiva, ma il ragazzo alzò una mano e la interruppe; continuò a guardare Alecto negli occhi, cercando di cogliere qualsiasi indizio che potesse indurlo a non fidarsi di lei.

Da quando si era unita a loro, Hester non aveva fatto altro che trattarla come un'appestata, ma non si sentiva nella posizione di poterla biasimare del tutto, perché si stava finalmente rendendo conto dei reali rischi che stavano correndo. Eppure... eppure c'era qualcosa di quella ragazza, quando la osservava, che lo spingeva a non volerla allontanare da sé; aveva come la sensazione che fosse lei, quella ad avere bisogno della loro vicinanza, e non il contrario. Gli sembrava semplicemente qualcuno che si era perso e aveva come l'istinto di volerle tenere la mano per non farla perdere ancora di più.

Pensò ad Excalibur ed all'imperativo di segretezza che Hester tentava in tutti i modi di fargli rispettare, ma si disse che, una volta arrivati dove sarebbero dovuti arrivare, avrebbe pensato al da farsi ed a come allontanare Alecto per un breve lasso di tempo, per tenerla all'oscuro delle loro intenzioni. Un problema alla volta, si disse.

Quando ad alta voce informò le due che avrebbero continuato il viaggio tutti insieme, Hester tentò di opporsi senza darlo troppo a vedere, ma Charles la conosceva troppo bene per non accorgersene e le lanciò un'occhiata; gli bastò una singola, veemente occhiata per far comprendere alla sua governante che tornare sull'argomento sarebbe stato del tutto inutile. Alecto sarebbe andata con loro, fine della storia.

Camminando qualche passo dietro di loro, Alecto si crogiolò nell'improvvisa vampata di calore che le aveva invaso il petto: occhi bassi, un sorriso che non voleva saperne di abbandonare le sue pallide labbra e la consapevolezza che, davanti ad una scelta, qualcuno aveva deciso di non lasciarla sola.


*


Hayes wood, distretto di Bath, 23 luglio 2020

Sera



"[...] inviati ci comunicano che la situazione è la stessa, da Londra a Gloucester, arrivando fino a Portsmouth e Weymouth, il grado di devastazione non pare avere risparmiato neanche i fzzfzz più piccoli. Fzzfzz militari presiedute da fzzfzz conferenza ad uno dei centri di accoglienza allestiti in varie zone del paese. Per chiunque fosse in ascolto, ricordiamo che potrete trovare socc-fzz a Wimbledon, Camden Town, Stanfo-fzzfzz, Bethnal Gr-fzzfzz, Oxford, Cambridge-"


Hester guardò Alecto tornare a stendersi nel fondo della grotta, dopo aver spento la radio. La osservò dare loro le spalle per provare a dormire e non protestò. Charles aveva aperto gli occhi per osservare la scena, poi li aveva richiusi, restando appoggiato contro la parete rocciosa del loro rifugio d'emergenza. Gli dolevano tutti i muscoli del collo e la schiena cominciava a non essere da meno; in quel momento pensò che avrebbe anche potuto dare via un braccio, per un letto vero. Due braccia per un letto ed un pasto decente. Due braccia ed una gamba per un letto, un pasto decente ed una doccia calda. Arricciò la punta del naso, l'odore di sudore misto a terra a stuzzicargli le narici; aveva pensato che ci avrebbe fatto l'abitudine, con il passare dei giorni, ma così non era stato.

"Non lo capiranno mai..." sussurrò ad un certo punto Hester, con gli occhi fissi sulla parete di fronte.

Il fuoco si era spento, ma le braci brillavano ancora nel buio, regalando un fioco senso di sollievo. I barattoli di quella che era stata la loro cena, giacevano vicino le ceneri. Charles voltò la testa verso di lei ed aprì piano gli occhi, riuscendo a distinguere solo i contorni del suo viso.

"Che cos'è che non capiranno?" mormorò a sua volta, per non disturbare Alecto; nonostante non riuscisse a vederla bene a causa dell'oscurità, il suo respiro profondo era segno inequivocabile del fatto che si fosse appena addormentata. Hester si girò verso la ragazza a sua volta, traendo la sua stessa conclusione. Fu forse a causa di quello, che si sentì finalmente libera di rilassare le spalle; un mugolio di sollievo le sfuggì dalle labbra e la donna allungò le gambe davanti a sé, dando sollievo alle articolazioni indolenzite. Non era mai stata così stanca in vita sua.

"Non se n'è accorto, Charles?" domandò a quel punto la donna, con un sospiro lieve. "I draghi non hanno attaccato tutta la Gran Bretagna. Non hanno attaccato nemmeno tutta l'Inghilterra, ma solo alcune zone. Questo non le sembra strano?"

Charles corrugò la fronte, realizzando che Hester aveva ragione. Fu solo a quel punto, che quella cosa gli risultò strana.

"Tu sai perché?" chiese, mantenendo un tono così basso e morbido che anche da sveglia, Alecto avrebbe fatto probabilmente fatica a distinguerne le parole. Hester inumidì le labbra secche con la punta della lingua ed accarezzò la stoffa della gonna con le mani, distrattamente.

"È Albion" rivelò con una sorta di timore ed a quel punto, il buio sembrò vibrare di elettricità. "Durante il passare dei secoli, le mappe con la precisa estensione di Albion sono andate perdute e sono rimasti in pochi a ricordare fin dove arrivassero i suoi effettivi domini".

"E tu sei tra quelle persone" commentò Charles, scoprendo di non esserne poi tanto sorpreso. La donna annuì, un movimento che il ragazzo poté solo intuire.

"A quanto pare, anche i draghi lo sanno - o chi per loro. Stanno distruggendo soltanto Albion e le calamità naturali dei mesi precedenti sono state solo l'inizio. Deve essere per forza così, non posso più credere che siano state una casualità. Non dopo la violenza con cui si sono manifestate".

"Hester, senti... come fai a sapere tutte queste cose? Da quando la nostra casa è stata attaccata, ho come la sensazione di non sapere più chi sei".

Nel buio, Charles scorse il debole bagliore delle braci morenti riflettersi negli occhi verdi della donna, che aveva girato la testa verso di lui. Lei allungò una mano, cercando a tentoni la sua e quando la trovò, la strinse forte. Sembrava combattuta tra il desiderio di parlare e quello di tacere. Charles ricambiò con affetto la sua stretta.

"Si ricorda quando ho ammesso che l'essere diventata governante in casa sua non è stato un caso?" trovò il coraggio di dire ad un certo punto, parlando ancora più piano di prima. Charles dovette avvicinarsi di più, per poterla sentire.

"In realtà, prima della sua nascita, avevo preso in affitto una casa nei pressi della sua per osservare sua madre, Charles. Prima di me l'aveva fatto mia madre e mia madre aveva osservato anche suo nonno. E mia nonna, oltre suo nonno, aveva vegliato sul suo bisnonno".

"Aspetta, fammi capire" la interruppe il ragazzo, che nella testa aveva già dato il via ad un via vai frenetico di pensieri e considerazioni. "Tu hai osservato mia madre e dopo che sono nato, sei rimasta per me. Tua madre ha osservato la mia e mio nonno. E tua nonna ha osservato mio nonno ed il mio bisnonno..." si interruppe, come aspettandosi di essere corretto, ma non avvenne. Allora continuò: "Ti rendi conto di quanto tutto questo suoni... malato?"

"No" rispose Hester, bisbigliando. "È semplicemente compiere il proprio destino. La mia famiglia è a guardia della discendenza Pendragon dai tempi di Camelot, Charles. È stata designata dalle Disir, che lei può conoscere forse con il nome di veggenti. Le donne della mia famiglia, di secolo in secolo, si sono tramandate il compito di vegliare sulla linea di sangue reale, in attesa del ritorno di Re Arthur e dei tempi in cui Albion ne avrebbe avuto più bisogno".

Si zittì all'improvviso e si voltò verso Alecto, ma quella aveva iniziato a respirare pesantemente, come fosse un po' raffreddata. Nell'oscurità della grotta, per un breve istante gli occhi di Hester brillarono di una tonalità dorata: avrebbe dovuto verificare prima di dire certe cose, se Alecto stesse veramente dormendo oppure no; quello che l'incantesimo rivelò, tuttavia, la fece rilassare. Non si trattava di una farsa.

"Di generazione in generazione, anche se il sangue è andato mischiandosi ed il cognome Pendragon è andato perduto" continuò rassicurata, "La famiglia Carrow non è mai venuta meno ai suoi doveri. Stavamo tutte aspettando lei, Charles. Per me è un onore, essere quella a cui è toccato il compito di guidarla verso la salvezza di Albion".

Charles aveva uno sguardo indecifrabile e l'espressione di chi fosse stato appena messo sotto un treno, ma il buio si era intensificato ed Hester non ebbe occasione di notare alcunché; lei gli strinse di nuovo la mano, quando avvertì la sua stretta vacillare.

"È stato un errore da parte mia, quello di entrare a far parte della sua famiglia. Nessuna di noi era mai entrata in contatto con voi sangue reale, ma quando sua madre è morta..." la sua voce si incrinò e Charles avvertì la pelle della mano cedere sotto le unghie di lei, "... non ho potuto farne a meno. Lei era così piccolo, Charles... così piccolo... come avrei potuto...?"

Hester si piegò in avanti e premette una mano sulla bocca con forza, gli occhi verdi inondati dalle lacrime. Attraverso la mano che lo stringeva ancora, Charles la sentì tremare, scossa dai singhiozzi che stava cercando di reprimere in tutti i modi. Avrebbe voluto consolarla, davvero, ma anche lui era umano; era umano e le continue, nuove informazioni che stava ricevendo, sembravano via via renderlo sempre più incapace di reagire con scaltrezza. Rimase lì, avvolto da un buio che gli era infinitamente caro, a lasciarsi stringere la mano dalla donna che l'aveva cresciuto come una madre e che, come la sua famiglia prima di lei, aveva sempre vegliato sulla sua.

Come si supponeva avrebbe dovuto reagire una persona normale a scoperte del genere?

Charles non lo sapeva. Si sentiva spettatore della sua stessa vita, aveva come la sensazione che tutto quello non stesse accadendo davvero a lui. Era assurdo. Ogni cosa era assurda e l'assurdità rendeva la situazione ancora più irreale. Come sarebbe potuto mai scendere a patti con quelle informazioni? Era impossibile. Fece per sottrarsi alla stretta di Hester, ma all'improvviso una forte fitta di dolore gli attraversò la testa e si ritrovò a gemere di dolore senza neanche accorgersene.

La governante si irrigidì immediatamente e mettendo con una facilità disarmante i suoi sentimenti in un cantuccio, si tese verso di lui con espressione tirata.

"Ancora quelle fitte, Charles?" domandò apprensiva.

Il ragazzo annuì, sperando che bastasse quello, perché di parlare proprio non ne aveva voglia; i suoi brevi ma intensi mal di testa erano iniziati nel momento in cui aveva cominciato a fare dei sogni strani, tra cui quell'unico che aveva condiviso con Hester. La donna gli scostò la frangia dalla fronte e gli chiese di raccontare il suo ultimo sogno; Charles fece una smorfia e scacciò il senso di nausea che lo aveva assalito.

"C'era di nuovo lui..." mormorò, tenendo gli occhi chiusi, perché tanto sarebbe stato uguale al tenerli aperti. "Il ragazzo con i capelli scuri e le orecchie a sventola. Lo sogno quasi sempre, è una persecuzione..." sospirò pesantemente, passando le mani sulla faccia sudata. Dentro la grotta faceva un caldo terribile.

"(1)Mi trovavo in una stanza e... ed avevo una spada in mano. Una spada di quelle vere, Hester! E poi è entrato lui e non mi ricordo bene... so solo che abbiamo iniziato a litigare, lui non voleva che facessi una cosa... parlava di dimostrare saggezza, che non c'era più bisogno di coraggio ed io continuavo a dire che no, lui non capiva, io dovevo farlo... dovevo farlo... c'era qualcuno che dovevo affrontare e mi stava aspettando nel cortile... abbiamo continuato a discutere sempre di più e ad un certo punto, quando per la rabbia gli ho puntato la spada alla gola per spaventarlo e farlo smettere di parlare, mi sono svegliato".

Charles tenne le mani sul volto, come a voler allontanare quella sensazione di senso di colpa che non gli apparteneva; non era stato mica lui a puntare contro quel ragazzo la spada alla gola, era stato l'altro, quello del sogno. Perché diavolo doveva sentirsi così? Stropicciò gli occhi con forza e sentì Hester muoversi accanto lui, probabilmente cercando una posizione più comoda.

"Da ciò che la mia famiglia si tramanda riguardo quella dei Pendragon e dalla descrizione che lei mi ha fatto di questo ragazzo, è possibile che si tratti del servo che le ha fatto da valletto. Merlin, era il suo nome. Le dice niente?"

Charles fissò intensamente l'oscurità che gli premeva sulle palpebre.

"No..." si risolse a dire. "Non mi dice niente".

Ed era vero. Sentire quel nome non aveva avuto nessun effetto su di lui. Neanche il minimo. Nonostante questo, era maledettamente certo di aver avuto un trascorso con quel ragazzo, di essere legato a lui da qualcosa di profondo.

"Credo che questo Merlin e... ed il me del sogno, siano stati davvero molto uniti. Lo posso percepire, non so spiegartelo, ma... credo che Merlin fosse il suo migliore amico".

Hester mugugnò un assenso e gli accarezzò il dorso della mano che ancora stava stringendo tra le sue.

"Le è stato accanto fino alla fine, da quanto ne so. E l'ha aiutata in più di un'occasione, con la magia. Anche lui era un mago, sa? Aveva il compito di proteggerla".

A quell'affermazione, Charles si sottrasse bruscamente dal suo tocco.

"Perché avete tutti quanti la fissa di proteggermi? Non sono un ragazzino e non ho alcun potere magico! Non c'è niente che mi renda diverso da un altro Charles qualsiasi, perciò smettila di trattarmi come una sorta di Sacro Graal, Hester, od una mattina potresti svegliarti da sola, ti avverto!"

Il ragazzo si coricò e le diede le spalle, muovendosi a scatti furiosi. "Ne ho abbastanza di diavolerie per oggi, non disturbarmi più! Buona notte".

Hester restò con le mani a mezz'aria, guardando fisso il punto in cui, bene o male, riusciva a scorgere la sagoma scura di Charles; unì le labbra in una linea sottile e morse l'interno della guancia, ricacciando indietro la frustrazione.

"Buona notte" pronunciò debolmente, ma non si sdraiò. Restò seduta, la schiena contro la parete fredda e rocciosa, e fissò l'oscurità appiccicosa ed umida della grotta. Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare egli stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te(2), disse qualcuno nella sua testa che aveva la stessa voce di sua madre.










NOTE DELL'AUTORE: un altro lunedì è giunto. Zan zan zaaan. Come sempre, grazie a chi commenta, legge e segue e grazie anche a Mimiwitch perché è una beta fantasmagorica. Le cose si complicano, ma d'altro canto in questo capitolo sono presenti anche delle piccole chiarificazioni... Asfo dà, Asfo nega. È l'equilibrio cosmico ù_ù

Capitolo bello corposo. Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate :)



(1) Il sogno descritto da Charles rende fede al nono episodio della prima stagione di Merlin.

(2) Friedrich Nietzsche


Asfo

   
 
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