chapter 2:
take care of you
Poi, alle volte, a metà notte si svegliavano. Si svegliavano ritrovandosi stretti in un mosaico di pelle e arti da disintrecciare pezzo per pezzo, così da poterne costruirne un altro, nuovo, ancora più elaborato del precedente.
Sam
aprì pigramente gli occhi. Aveva sollevato un po' il mento
per poter
osservare il viso del fratello, che in qualche maniera era arrivato a
stendersi a pancia sotto al suo fianco.
Sam era supino e stavolta
il braccio di Dean era abbandonato sul suo petto, la mano ampia e
callosa di quest'ultimo che era riuscita a raggiungere il lato del
suo collo, su cui ora era posata. E la gamba di Dean, anche quella
era distesa sulle sue, schiacciandole così contro al
materasso.
Ed
a conti fatti, per Sam non era la migliore delle posizioni,
perché a
quel punto poteva tranquillamente dire di essere rimasto
semi-schiacciato dal corpo di Dean, che proprio non era un giunco,
con tutti i muscoli che aveva e gli hamburger che ingurgitava.
Semi-schiacciato, immobile sotto Dean, e per di più
quest'ultimo
pareva dormire come un bambino, dato il lieve russare e le labbra
dischiuse e lucide di saliva che il minore poteva intravvedere nella
penombra confortevole della stanza.
Se non altro la spalla colpita
da quella puttana di Bela non gli dava troppo fastidio, per il
momento, ma sapeva che perseguendo l'immobilità sicuramente
il
giorno dopo avrebbe avuto bisogno di qualche
bell'antidolorifico.
Poteva comunque ritenersi soddisfatto. Pelle
su pelle, a casa.
Sam sospirò pesantemente, mentre le labbra si
tiravano in un sorriso.
Osservare Dean dormire pacificamente lo
calmava. A maggior ragione in quel periodo, in cui tutte le sue
energie erano concentrate nel cercare una soluzione per sciogliere il
patto e nel quale, quindi, gli risultava impossibile riposare
correttamente. Era ansioso; lo guardava e temeva che da un momento
all'altro avrebbero potuto portarglielo via. Stava male, Sam,
fuorché
in quei momenti, quando poteva vedere le pallide lentiggini di Dean e
le rughe d'espressione intorno agli occhi così distese.
Non
importava se non dormiva, in quei momenti, perché tutto
ciò di cui
aveva bisogno per riacchiappare il filo del suo controllo lo aveva
Dean. Com'era sempre stato in passato e come sempre sarebbe stato in
futuro.
La simbiosi nella quale vivevano – e da cui erano
dipendenti – era talmente importante e totalizzante, talmente
determinante nelle loro vite che ciò che provavano, spesso,
era per
conseguenza dello stato d'animo dell'altro. E non erano certi che
potesse essere considerata solamente una profondissima empatia... che
la cosa fosse sana o meno, era diventata ormai inevitabile e nessuno
dei due fratelli pareva intenzionato ad eluderla.
E quando Sam lo
vedeva e poi lo guardava e lasciava che l'immagine di Dean gli si
imprimesse nelle retine, gli sorgeva spontanea una domanda che spesso
si poneva, mutamente quando il maggiore ammiccava con le sopracciglia
o cantava un qualcosa dei Led Zeppelin stonando fino a diventare
molesto, e sussurrandola quando invece si trovava così,
accanto a
lui, da soli.
Si chiedeva come diavolo avrebbe fatto dopo. Si
chiedeva dove avrebbe trovato la forza di affrontare le giornate, di
scendere dal letto, di mangiare. Si chiedeva dove diamine sarebbe
andata a finire la sua umanità e tutta la sua
felicità – che
forse felicità vera e propria non era, perché i
cacciatori si
diceva non erano mai veramente felici, ma qualcosa era. Si
chiedeva come avrebbe fatto sapendo il suo corpo sotto terra e la sua
anima all'Inferno.
«Come faccio io se tu muori, mh?»
E
lo mormorò, piano che quasi non venne recepito dalle sue
stesse
orecchie, i pensieri che si traducevano in parole rivolte al nulla e
senza pretendere alcuna risposta.
Se solo Dean si fosse dato un
decimo della considerazione che dava a Sam, avrebbe capito quanto in
realtà valesse e quale spreco per il mondo sarebbe stato
quel
sacrificio.
Il problema di Dean era che si metteva nei panni
altrui, ma nessuno mai si provava a mettere nei suoi e Sam lo sapeva.
Era per questo che spesso non controbatteva quando parlavano del
patto; perché sapeva quanto per il maggiore sarebbe stato
complicato
andare avanti senza di lui. Probabilmente rischiava di attribuirsi
un'importanza che in realtà non aveva, ma provando a
mettersi nei
panni di Dean, lui avrebbe fatto la stessa identica cosa. In un mondo
in cui ogni refolo di vento sembrava tramare qualcosa contro di te,
era impensabile sostenere un cammino in solitaria. Ed infatti Sam non
aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo se non
fosse
riuscito a salvare il fratello. Non voleva restare solo, né
voleva
che Dean restasse solo. Non lo voleva costringere ad un'ennesima
perdita, perché con tutta probabilità si sarebbe
stroncato. Se il
minore fosse sopravvissuto e l'altro fosse morto, Sam avrebbe
conservato la capacità di camminare. Non di vivere,
figurarsi, solo
di continuare a respirare per pure necessità biologiche. Non
avrebbe
cercato di uccidersi, rendendo vano il sacrificio di Dean, non
avrebbe evitato la sua ora quando quella sarebbe arrivata. Si sarebbe
solamente messo ad aspettare la fine di quel viaggio, emulando per
contro il sacrificio del maggiore e lasciandosi trascinare dagli
eventi da solo al suo posto. Avrebbe atteso che finisse tutto,
perché
quel tutto era senza senso senza Dean. Avrebbe aspettato
finché non
sarebbe giunto il momento di raggiungerlo all'Inferno.
Lì, che
diavolo!, si sarebbero divertiti a sventrare quei figli di puttana di
demoni.
In realtà Sam non sapeva se sarebbe stata possibile una
cosa del genere, ma gli piaceva pensarla a quel modo. Perché
con
Dean perfino gli Inferi sarebbero diventati insensatamente
piacevoli.
«Mmmh... Sammy?»
Quelle parole biascicate
catalizzarono all'istante l'attenzione di Sam, che fino a quel
momento era rimasto a cullarsi nel torpore del calore che i loro
corpi stretti avevano provocato sotto le coperte. Si ritrovò
a
sorridere quando il materasso si smosse per riflesso dei pigri gesti
di Dean, che si ritirava dal corpo del fratello e si sistemava su un
fianco, le labbra ora premute contro il collo del minore.
«Sì?»
Mormorò Sam, la voce arrochita.
Lasciato libero dal corpo di
Dean, ne approfittò per cambiare posizione, imitando quella
del
fratello e facendo pressione sulla spalla sana. Si lasciò
sfuggire
un lieve sibilo di dolore mentre si muoveva, prontamente arginato da
un lieve bacio che il maggiore depositò sulle sue labbra,
sempre
attento ai suoi movimenti.
«Ti fa molto male?»
Domandò Dean
con voce strascicata, mentre un suo braccio si legava attorno alla
vita del più piccolo.
Sam sapeva perché il maggiore avesse
l'abitudine di cercare un contatto fisico costante quando erano
insieme nel solito letto. Non gliel'aveva chiesto, semplicemente
l'aveva osservato ed era arrivato a capire che serviva a Dean come
calmante, come appoggio per sapere che suo fratello era lì e
gli era
accanto. Lo teneva d'occhio anche quando, di fatto, gli occhi
restavano chiusi.
«Sopportabile. Prenderò degli antidolorifici
domattina.»
Rispose Sam, socchiudendo le palpebre e godendosi il
respiro di Dean che gli solleticava le labbra.
«Mmh, okay. Vedi
di ricordarteli, allora.
Comunque, Sam, ehy, ti ricordi quand'eri
ragazzino? C'è stato un periodo che non c'era notte che non
volevi
dormirmi appiccicato!»
Esordì Dean, cambiando discorso.
La
realtà era che tenere stretto Sam a quella maniera gli
portava
sempre alla mente i ricordi di quando a dividere la stanza del motel
erano in tre, gli uomini Winchester al completo. A quel tempo,
necessitando di tre letti, a volte capitava che le stanze libere ne
possedessero solamente due e così i ragazzi erano costretti
a
dividere il materasso. Non era mai stato un problema, né
imbarazzante per loro due.
In realtà i problemi sorgevano quando
John non c'era e Sam cominciava ad avere quindici/sedici anni.
C'erano volte nelle quali Dean si trovava davvero in
difficoltà a
causa dell'insistenza delle provocazioni del fratello, che raramente
finivano in maniera diversa dal rotolarsi tra le coperte, nudi.
Era
iniziata naturalmente; vi era stato un periodo di profonda crisi dove
il desiderio dell'uno per l'altro veniva contrastato dalla
razionalità e poi c'era stato l'arrendersi a quella marea di
emozioni e di bisogni. Nessuna domanda, ma solo il tacito accordo di
amarsi come i loro petti, frementi quand'erano insieme, suggerivano
loro.
Sam sorrise al ricordo, sollevando il viso fino a
strofinare con delicatezza la punta del naso contro quello del
fratello, annuendo in silenzio.
«Già. Ero piccolo, avrò avuto
dodici o tredici anni.»
Dean ridacchiò prima di rispondergli:
«Esatto... che spina nel culo che eri. E quando
papà si proponeva
di farti dormire assieme a lui tu subito dicevi di no.»
Entrambi
si ricordavano quei momenti con una nostalgia pesante come una
montagna. Era quando tutto era più semplice, per quanto
anormale e
pericoloso. Si svegliavano e sapevano di avere un paio di spettri a
cui dar pace, un demone al massimo. Non come ora, a morire per un
teatrino messo su da un demone psicopatico, a donare la propria anima
per la salvezza di quella dell'altro, a contare i giorni che
restavano per poter stare insieme.
Era sfibrante camminare sempre
sul filo del rasoio, con la paura di mettere un piede in fallo e
precipitare.
«Be', perché non era un problema per me il fatto
di
dormire da solo... era un problema il fatto di non dormire con mio
fratello, il ché era un po' diverso.»
Ammise Sam con un mezzo
sorriso insonnolito, reprimendo uno sbadiglio.
Nel buio appena
rischiarato della stanza poté vedere il viso di Dean restare
per un
istante immutato e poi stropicciarsi in una smorfia col naso
arricciato, anche se le sue labbra erano ancora lievemente
increspate.
«Vogliamo anche farci le trecce, già che ci
siamo?»
Il minore ridacchiò silenziosamente prima di umettarsi
le labbra.
«Magari un'altra volta. Comunque sarò anche stato
una
spina nel culo, ma neanche a te dispiaceva di dormire con
me.»
Dean
sbadigliò a bocca spalancata, senza preoccuparsi di
risultare
maleducato o simili e poi prese a carezzargli con lentezza un fianco,
come quando Sam era piccolo e si spaventava e toccava al maggiore il
compito di cullarlo, sussurrandogli che era al sicuro e che sarebbe
andato tutto bene. E Sam gli si affidava ad occhi chiusi e ci
credeva. Allora come ora.
«No, certo. Mi facevi comodo d'inverno
perché eri come una stufa... e poi mi tranquillizzava averti
accanto. Sai, "tieni d'occhio Sammy" valeva anche di notte,
per me.»
Gli confessò il maggiore, chiudendo gli occhi.
Sam
restò in silenzio, gli occhi grigi puntati sul profilo del
naso
perfetto dell'altro appena distinguibile nel buio.
Sorrise tra
sé, una punta di malinconia: avrebbe dovuto salvarlo
solamente per
tutte le volte che Dean aveva salvato lui. Non si sentiva in debito,
ma gli era talmente grato da risultargli venerabile.
Fin da
piccolo lo aveva protetto e amato quando nessuno lo faceva. Da
piccolo, quando si arrabbiava e si sentiva strano e faceva
domande.
"Perché viaggiamo sempre?", "Perché
dobbiamo cambiare scuola di nuovo?", "Dov'è la mamma?"
e
Dean gli rispondeva come un bambino che bambino mai era stato poteva:
gli circondava le spalle con un braccio e gli baciava la fronte con
infinita pazienza, dicendogli che da grande avrebbe capito tutto. Gli
preparava della zuppa troppo salata e della carne troppo bruciata e
lo metteva a letto e aspettava che si addormentasse. E quando Sam non
voleva dormire da solo e voleva sentire il fratello vicino, Dean gli
faceva posto sbuffando e lo abbracciava stretto. Ed era stato
così
che Sam si era sempre sentito il ragazzino più fortunato del
mondo
e, per certi versi e nonostante tutto, il più amato.
«Ci sono
state delle volte però che non mi hai voluto... lo ricordo
bene
perché andava a finire che non dormivo per tutta la notte,
in quelle
occasioni.»
Soggiunse Sam, desideroso di mandare avanti quel
discorso e di sentire ancora la voce di Dean cullarlo e confidargli
che anche per lui era importante quella vicinanza.
«Be', Sammy,
quelle erano le volte in cui avevo voglia di farmi una sega in santa
pace. Insomma, ero un adolescente ed avevo i miei bisogni e con te
tra i piedi non potevo!»
Lo ammise ridendo a bassa voce, con il
petto scosso dai tremori che il riso gli provocava.
In realtà
quel discorso non era mai stato affrontato. O meglio, c'erano state
volte in cui ne avevano parlato, ma Dean non aveva mai avuto
occasione di ammettergli i motivi per cui, ogni tanto, si ritrovava a
spedirlo nel proprio letto.
Da ragazzino far fronte a quei
naturali bisogni non era stato facile, per lui; era sempre in
compagnia, se non c'era il padre, c'era Sam, e solitamente erano
tutti e tre insieme. Ore ed ore in auto, stanze di motel minuscole
divise con tre uomini. Insomma, doveva arrangiarsi come poteva,
tant'era vero che John aveva anche finito per scoprirlo un paio di
volte.
Padre e figlio trovavano scomodo il dover affrontare un
discorso del genere e se Dean evitava tutto quanto più gli
era
possibile, abbassando lo sguardo e stampandosi in faccia la sua
miglior espressione di "non è successo nulla", John faceva
del suo meglio per affrontare la questione anche se con le parole non
c'aveva mai saputo fare. C'era poco da dire, ma un giorno l'ex marine
aveva deciso che il momento dell'ape e del fiore era arrivato anche
per i fratelli e in quell'occasione le guance di tutti avevano
assunto varie gradazioni di bordeaux.
Sam non poté fare a meno di
ridere a sua volta, avvicinandosi finché non gli fu
possibile
lasciare un bacio lieve all'angolo delle labbra del maggiore,
spostandosi poi a soffiargli sul mento.
Quando parlò la voce
risultò ancor più bassa del solito, una nota di
malizia chiaramente
presente: «Finché poi non ho pensato io a
quello.»
Pronunciò
strascicato, mentre nella penombra poté intravvedere le
iridi
smeraldine di Dean animarsi di un lampo di consapevolezza. Questa,
tuttavia, non poté mutarsi in altro, perché Sam
crogiolò
docilmente la faccia sul cuscino e poi la mano del braccio non ferito
scattò rapida ai boxer del fratello, dove, almeno per il
momento,
regnava la calma. L'ampio palmo del minore si posò a coppa
sul
membro dell'altro, massaggiandolo con gesti delicati e distratti.
Dean fu colto di sorpresa e ebbe un sussulto quando avvertì
il
calore della mano del fratello toccarlo da sopra i boxer.
Avvicinò
il viso al suo, sfiorandogli il labbro inferiore coi denti.
«Sammy...
non ti andrebbe di dormire ancora un po'?»
Mormorò con un
principio di risata, che però venne soffocata dalle dita di
Sam,
che, audaci, si fecero strada sulla pancia del fratello, sotto la
t-shirt. Gli sfiorarono l'elastico dei boxer e poi il calore si
trasferì direttamente sulla pelle sensibile di Dean, un
polpastrello
di Sam che andava a rimarcargli con delicatezza la piega
dell'inguine.
«Lascia che sia io a prendermi cura di te, per
stavolta.» Gli sussurrò Sam in risposta, mentre
chiudeva la mano a
pugno sul timido principio di erezione di Dean, che si
limitò a
socchiudere le labbra e ad irrigidirsi, stringendosi di riflesso il
fratello ancora più addosso.
Vicinanza. Sam sapeva che in quelle
occasioni, dove le carezze si facevano più intime, il
maggiore lo
avrebbe sempre stretto a sé. Cercava un contatto, ne sentiva
il
bisogno. E lo faceva ubriacare di baci, lo mordeva, lo bagnava con
umide lappate. Lo stringeva, lo toccava, affondava le dita nella sua
carne. Premuroso e attento come amante, Dean si imponeva sempre di
evitare di fargli male.
Il sesso di Sam, al contrario, era rude.
Pretendeva e prendeva, stringeva e graffiava. Sam parlava anche,
durante i rapporti; era un qualcosa che inizialmente, quand'era
ragazzino, l'aveva imbarazzato immensamente, ma inutile dire che Dean
era stato reso partecipe anche di quello. Gli piaceva parlare sporco,
il classico dirty talking. Ora col maggiore non aveva più
freni
inibitori e Dean spesso lo lasciava divertire a quel modo,
sorridendogli a metà nel contempo.
Il più grande spesso gli
dava man forte, divertendosi lui stesso con quella pratica, ma non
ora. Non ora che il respiro del maggiore si spezzava e la sua bocca
veniva imprigionata dai denti di Sam, poi dalle sue stesse labbra,
dalla lingua. Dean affondò bagnato nella bocca dell'altro,
riconquistandola tassello per tassello, esplorando il palato. Fu un
bacio profondo che serviva a soffocare i lievi gemiti che
cominciavano a scappare a Dean, perché Sam, nel frattempo,
aveva
cominciato a segarlo con rapidi e decisi movimenti, una piccola
rotazione del polso, il pollice che premeva di tanto in tanto sul
glande.
I fratelli erano dei grandi estimatori l'uno del corpo
dell'altro. Si conoscevano in ogni più piccola piega e neo e
cicatrice e avrebbero potuto mappare a memoria la pelle del compagno,
se avessero dovuto.
Conoscevano a memoria i punti dove toccare
per far sì che l'altro pregasse per andare oltre,
conoscevano i
metodi per farsi impazzire. Sapevano come prendersi cura l'uno
dell'altro.
E Sam sapeva, con le labbra ancora schiacciate a
quelle di Dean e la mano che si muoveva con insistenza sul suo
membro, di star facendo la cosa giusta. Le dita del maggiore erano
affondate tra le scapole del fratello e l'altra mano era stretta
sull'avambraccio che continuava a muoversi, guidandolo verso
l'orgasmo ed occupandosi di lui.
Gemeva, si lasciava andare contro
il corpo di Sam. Non era riuscito a rispondergli, quando gli era
stato detto che per quella volta era il minore a volersi prendere
cura di lui.
Succedeva sempre così quando Sammy prendeva
l'iniziativa: non gli era concesso spazio per poter dire
alcunché. E
a Dean, in realtà, andava bene.
Era come quando, durante
l'estate, si sedevano sul cofano dell'Impala, in un posto in mezzo al
niente, a bere birra ed ascoltare i respiri l'uno dell'altro. E
lì
restavano in silenzio per ore, a guardare le stelle. E poi Sam
balzava giù dall'auto, gli si avvicinava e gli lasciava un
muto
bacio sulla guancia. Leggero come uno sfarfallio, quasi
inconsistente.
Eppure il maggiore sorrideva, sorrideva come stava
facendo ora nell'aria calda del motel; sorrideva come sorrideva in
quel momento, ancora impegnato ad affondare tra le salive e le lingue
ed i sapori.
E poi Sam se ne andava, senza un lamento, senza dir
niente. Se ne andava o faceva come in quella notte, a donargli
piacere, a calare le labbra dalle sue fino al collo, intrufolando il
viso sotto al mento del fratello e restando lì. Leccando
lascivamente il pomo d'Adamo, il polso che cominciava a dolere per i
movimenti continui a cui era sottoposto, il ritmo che accelerava,
Dean che cominciava a spingere, ad emettere mugolii nel suo orecchio;
Sam lo sentì che si tendeva, costringendolo addosso a
sé.
Il
tendine del collo si sporse dalla carne e le labbra si socchiusero,
rosse, gonfie e umide; e fu così che Dean venne,
riversandosi
insieme a lamenti rochi e discontinui nella mano del minore, il
movimento di Sam che diventava più delicato e lento, fino a
sparire,
le spinte del bacino incontrollate dell'altro che cessavano
gradualmente.
Fu uno spegnersi lento, come di una candela con lo
stoppino esaurito o come la preghiera di un Santo che implorava
perdono. Sam restò fermo, mentre attendeva che Dean si
riprendesse.
A quest'ultimo ci vollero alcuni istanti, mentre il cuore rallentava
la sua corsa e lui trovava il coraggio di riaprire le palpebre.
Mosse cautamente le dita sul corpo di Sam, che l'aspettava con un
sorriso sornione ed un sopracciglio sollevato. Dean posò la
sua mano
sull'ampia base della schiena dell'altro, l'altra che si allungava
fino ad incorniciargli un lato del viso, il pollice che passava con
dolcezza sul labbro inferiore.
«Il mio Sammy è cresciuto.»
Lo
canzonò poi, ridendo. E Sam lo osservò per un
istante, trovando in
quel riso tutto il senso di cui aveva bisogno per continuare ad
alzarsi dal letto la mattina. Sorrise tra sé, lasciandosi
cullare
dal petto di Dean che sussultava per riflesso alla risata.
«Non
ci fare troppo l'abitudine.»
Scherzò allora Sam, togliendo la
mano sporca dai boxer del fratello, e subito quest'ultimo fu rapido a
mormorare un "aspetta",
voltarsi verso il comodino e prendere un paio di fazzoletti. Si
voltò
nuovamente e lo prese delicatamente per il polso, cominciando a
pulire la sua pelle con attenzione, lanciandogli di tanto in tanto
delle occhiate da sotto le ciglia.
«E io pensavo che d'ora in poi
mi avresti viziato...»
Gli sussurrò con un mezzo sorriso,
lasciandogli poi la mano e gettando a terra il fazzoletto sporco come
se nulla fosse. Erano sporchi entrambi, appiccicosi. Ed ad occhio
esterno con tutta probabilità quello stato sarebbe risultato
disgustoso, ma nessuno dei due aveva la voglia di lasciare
quell'intorpidimento in cui erano caduti entrambi, nonostante
solamente Dean avesse affrontato un orgasmo.
Sam tornò a
posargli con delicatezza un bacio sulle labbra, spostandosi fino al
mento e risalendo, gli occhi socchiusi.
«Ne riparliamo
domattina.»
Concesse con una mezza risata, allungando il braccio
sano per far scivolare la mano ancora attaccaticcia fino al sedere
del fratello. Non in un gesto malizioso, tutt'altro. La
lasciò lì,
sospirando a fondo e sentendo le labbra umide e carnose di Dean
posarsi sulla sua guancia.
«D'accordo, fratellino. Posso
sdebitarmi già ora o vuoi dormire?»
Gli sussurrò strascicato,
la punta della lingua che andava a definire il contorno del lobo
dell'orecchio di Sam, che si strinse ancora più contro la
solidità
del maggiore, rabbrividendo a quel contatto.
«Non c'è bisogno
che ti sdebiti, Dean. Te l'ho detto prima che stavolta sarebbe
toccato a me prendermi cura di te.»
Gli rispose, mentre le labbra
del più grande scivolavano fino alla mascella spigolosa
dell'altro,
mordicchiandola con delicatezza.
Sam sentì il fratello mugugnare
mentre si figurava con chiarezza le sopracciglia castane chiare che
si corrugavano, prima che borbottasse: «Non funziona
così,
Sammy.»
Pronunciò rocamente Dean con voce così bassa che
sembrava parlasse tra sé. Poi riprese dopo un istante,
stampando un
rumoroso bacio sulle labbra del minore e cominciando a carezzarlo
lungo la linea della spina dorsale, cullandolo.
«Ne riparliamo
domattina.»
Lo citò, soffiandogli sulle labbra un altro bacio.
Sam già era tornato in uno stato di dormiveglia mentre Dean
continuava a prendersi cura di lui, in ben altro modo da quello in
cui si era impegnato l'altro, ma ugualmente importante. Lo coccolava
e lo accompagnava ad un sonno che – Dean sperava –
sarebbe stato
senza sogni.
Il maggiore sorrise tra sé, osservando i lineamenti
affilati del fratello in silenzio. Quant'era bello, il suo Sammy.
Quante poche opportunità di essere felice aveva avuto, quel
ragazzino cresciuto troppo in fretta?
Dean sospirò, mentre le
labbra di Sam si socchiudevano ed un respiro sfuggiva tra di esse,
segno che molto probabilmente si era addormentato.
«Wow, Sammy,
tempo di record.» Mormorò vagamente divertito il
maggiore tra sé,
lasciando che la sua mano lo riscaldasse, su e giù, dalla
base della
schiena e poco sotto le scapole.
Dean chiuse gli occhi, conscio e
rassicurato dalla presenza del minore stretto al suo fianco. Conscio
che quelle sarebbero state le ultime carezze e gli ultimi baci. Gli
ultimi incontri che le loro anime, messe a nudo, avrebbero avuto.
Dean si era venduto all'Inferno per salvarlo, l'aveva protetto da
tutto lo schifo che di sicuro avrebbe dovuto affrontare
laggiù. Dean
non voleva morire, ma non voleva vivere in un mondo senza Sam. Non
poteva
vivere in un mondo senza Sam.
Dean aveva scelto il male minore.
Aveva scelto l'egoismo e la sua necessità di mettere al
primo posto
la persona più importante della sua vita, quella che avrebbe
amato
sempre. Più di tutto e tutti, Sam veniva prima.
Dean l'avrebbe
lasciato solo, ma il suo Sammy non poteva morire, non ancora. Era
ancora troppo giovane e troppo buono per scivolare nel luogo dove
stava la feccia di Dio.
Dean l'accarezzò ancora una volta, una
dolcezza infinita in quel gesto, e poi gli chiese un silenzioso
scusa.