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Autore: Walking_Disaster    13/10/2014    4 recensioni
Wincest | terza stagione | minilong
Una tipica notte dei fratelli Winchester; ad essere più precisi, questa è la notte post 3x03 - Scatole Maledette.
Tre capitoli per tre momenti: l'addormentarsi, lo svegliarsi a metà nottata ed il risveglio. Il tutto ovviamente caratterizzato da tanto sano Wincest.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incest | Contesto: Terza stagione
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chapter 2:
take care of you 

Poi, alle volte, a metà notte si svegliavano. Si svegliavano ritrovandosi stretti in un mosaico di pelle e arti da disintrecciare pezzo per pezzo, così da poterne costruirne un altro, nuovo, ancora più elaborato del precedente.

Sam aprì pigramente gli occhi. Aveva sollevato un po' il mento per poter osservare il viso del fratello, che in qualche maniera era arrivato a stendersi a pancia sotto al suo fianco.
Sam era supino e stavolta il braccio di Dean era abbandonato sul suo petto, la mano ampia e callosa di quest'ultimo che era riuscita a raggiungere il lato del suo collo, su cui ora era posata. E la gamba di Dean, anche quella era distesa sulle sue, schiacciandole così contro al materasso.
Ed a conti fatti, per Sam non era la migliore delle posizioni, perché a quel punto poteva tranquillamente dire di essere rimasto semi-schiacciato dal corpo di Dean, che proprio non era un giunco, con tutti i muscoli che aveva e gli hamburger che ingurgitava. Semi-schiacciato, immobile sotto Dean, e per di più quest'ultimo pareva dormire come un bambino, dato il lieve russare e le labbra dischiuse e lucide di saliva che il minore poteva intravvedere nella penombra confortevole della stanza.
Se non altro la spalla colpita da quella puttana di Bela non gli dava troppo fastidio, per il momento, ma sapeva che perseguendo l'immobilità sicuramente il giorno dopo avrebbe avuto bisogno di qualche bell'antidolorifico.
Poteva comunque ritenersi soddisfatto. Pelle su pelle, a casa.
Sam sospirò pesantemente, mentre le labbra si tiravano in un sorriso.
Osservare Dean dormire pacificamente lo calmava. A maggior ragione in quel periodo, in cui tutte le sue energie erano concentrate nel cercare una soluzione per sciogliere il patto e nel quale, quindi, gli risultava impossibile riposare correttamente. Era ansioso; lo guardava e temeva che da un momento all'altro avrebbero potuto portarglielo via. Stava male, Sam, fuorché in quei momenti, quando poteva vedere le pallide lentiggini di Dean e le rughe d'espressione intorno agli occhi così distese.
Non importava se non dormiva, in quei momenti, perché tutto ciò di cui aveva bisogno per riacchiappare il filo del suo controllo lo aveva Dean. Com'era sempre stato in passato e come sempre sarebbe stato in futuro.
La simbiosi nella quale vivevano – e da cui erano dipendenti – era talmente importante e totalizzante, talmente determinante nelle loro vite che ciò che provavano, spesso, era per conseguenza dello stato d'animo dell'altro. E non erano certi che potesse essere considerata solamente una profondissima empatia... che la cosa fosse sana o meno, era diventata ormai inevitabile e nessuno dei due fratelli pareva intenzionato ad eluderla.
E quando Sam lo vedeva e poi lo guardava e lasciava che l'immagine di Dean gli si imprimesse nelle retine, gli sorgeva spontanea una domanda che spesso si poneva, mutamente quando il maggiore ammiccava con le sopracciglia o cantava un qualcosa dei Led Zeppelin stonando fino a diventare molesto, e sussurrandola quando invece si trovava così, accanto a lui, da soli.
Si chiedeva come diavolo avrebbe fatto dopo. Si chiedeva dove avrebbe trovato la forza di affrontare le giornate, di scendere dal letto, di mangiare. Si chiedeva dove diamine sarebbe andata a finire la sua umanità e tutta la sua felicità – che forse felicità vera e propria non era, perché i cacciatori si diceva non erano mai veramente felici, ma qualcosa era. Si chiedeva come avrebbe fatto sapendo il suo corpo sotto terra e la sua anima all'Inferno.
«Come faccio io se tu muori, mh?»
E lo mormorò, piano che quasi non venne recepito dalle sue stesse orecchie, i pensieri che si traducevano in parole rivolte al nulla e senza pretendere alcuna risposta.
Se solo Dean si fosse dato un decimo della considerazione che dava a Sam, avrebbe capito quanto in realtà valesse e quale spreco per il mondo sarebbe stato quel sacrificio.
Il problema di Dean era che si metteva nei panni altrui, ma nessuno mai si provava a mettere nei suoi e Sam lo sapeva. Era per questo che spesso non controbatteva quando parlavano del patto; perché sapeva quanto per il maggiore sarebbe stato complicato andare avanti senza di lui. Probabilmente rischiava di attribuirsi un'importanza che in realtà non aveva, ma provando a mettersi nei panni di Dean, lui avrebbe fatto la stessa identica cosa. In un mondo in cui ogni refolo di vento sembrava tramare qualcosa contro di te, era impensabile sostenere un cammino in solitaria. Ed infatti Sam non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a salvare il fratello. Non voleva restare solo, né voleva che Dean restasse solo. Non lo voleva costringere ad un'ennesima perdita, perché con tutta probabilità si sarebbe stroncato. Se il minore fosse sopravvissuto e l'altro fosse morto, Sam avrebbe conservato la capacità di camminare. Non di vivere, figurarsi, solo di continuare a respirare per pure necessità biologiche. Non avrebbe cercato di uccidersi, rendendo vano il sacrificio di Dean, non avrebbe evitato la sua ora quando quella sarebbe arrivata. Si sarebbe solamente messo ad aspettare la fine di quel viaggio, emulando per contro il sacrificio del maggiore e lasciandosi trascinare dagli eventi da solo al suo posto. Avrebbe atteso che finisse tutto, perché quel tutto era senza senso senza Dean. Avrebbe aspettato finché non sarebbe giunto il momento di raggiungerlo all'Inferno.
Lì, che diavolo!, si sarebbero divertiti a sventrare quei figli di puttana di demoni.
In realtà Sam non sapeva se sarebbe stata possibile una cosa del genere, ma gli piaceva pensarla a quel modo. Perché con Dean perfino gli Inferi sarebbero diventati insensatamente piacevoli.
«Mmmh... Sammy?»
Quelle parole biascicate catalizzarono all'istante l'attenzione di Sam, che fino a quel momento era rimasto a cullarsi nel torpore del calore che i loro corpi stretti avevano provocato sotto le coperte. Si ritrovò a sorridere quando il materasso si smosse per riflesso dei pigri gesti di Dean, che si ritirava dal corpo del fratello e si sistemava su un fianco, le labbra ora premute contro il collo del minore.
«Sì?»
Mormorò Sam, la voce arrochita.
Lasciato libero dal corpo di Dean, ne approfittò per cambiare posizione, imitando quella del fratello e facendo pressione sulla spalla sana. Si lasciò sfuggire un lieve sibilo di dolore mentre si muoveva, prontamente arginato da un lieve bacio che il maggiore depositò sulle sue labbra, sempre attento ai suoi movimenti.
«Ti fa molto male?»
Domandò Dean con voce strascicata, mentre un suo braccio si legava attorno alla vita del più piccolo.
Sam sapeva perché il maggiore avesse l'abitudine di cercare un contatto fisico costante quando erano insieme nel solito letto. Non gliel'aveva chiesto, semplicemente l'aveva osservato ed era arrivato a capire che serviva a Dean come calmante, come appoggio per sapere che suo fratello era lì e gli era accanto. Lo teneva d'occhio anche quando, di fatto, gli occhi restavano chiusi.
«Sopportabile. Prenderò degli antidolorifici domattina.»
Rispose Sam, socchiudendo le palpebre e godendosi il respiro di Dean che gli solleticava le labbra.
«Mmh, okay. Vedi di ricordarteli, allora.
Comunque, Sam, ehy, ti ricordi quand'eri ragazzino? C'è stato un periodo che non c'era notte che non volevi dormirmi appiccicato!»
Esordì Dean, cambiando discorso.
La realtà era che tenere stretto Sam a quella maniera gli portava sempre alla mente i ricordi di quando a dividere la stanza del motel erano in tre, gli uomini Winchester al completo. A quel tempo, necessitando di tre letti, a volte capitava che le stanze libere ne possedessero solamente due e così i ragazzi erano costretti a dividere il materasso. Non era mai stato un problema, né imbarazzante per loro due.
In realtà i problemi sorgevano quando John non c'era e Sam cominciava ad avere quindici/sedici anni. C'erano volte nelle quali Dean si trovava davvero in difficoltà a causa dell'insistenza delle provocazioni del fratello, che raramente finivano in maniera diversa dal rotolarsi tra le coperte, nudi.
Era iniziata naturalmente; vi era stato un periodo di profonda crisi dove il desiderio dell'uno per l'altro veniva contrastato dalla razionalità e poi c'era stato l'arrendersi a quella marea di emozioni e di bisogni. Nessuna domanda, ma solo il tacito accordo di amarsi come i loro petti, frementi quand'erano insieme, suggerivano loro.
Sam sorrise al ricordo, sollevando il viso fino a strofinare con delicatezza la punta del naso contro quello del fratello, annuendo in silenzio.
«Già. Ero piccolo, avrò avuto dodici o tredici anni.»
Dean ridacchiò prima di rispondergli: «Esatto... che spina nel culo che eri. E quando papà si proponeva di farti dormire assieme a lui tu subito dicevi di no.»
Entrambi si ricordavano quei momenti con una nostalgia pesante come una montagna. Era quando tutto era più semplice, per quanto anormale e pericoloso. Si svegliavano e sapevano di avere un paio di spettri a cui dar pace, un demone al massimo. Non come ora, a morire per un teatrino messo su da un demone psicopatico, a donare la propria anima per la salvezza di quella dell'altro, a contare i giorni che restavano per poter stare insieme.
Era sfibrante camminare sempre sul filo del rasoio, con la paura di mettere un piede in fallo e precipitare.
«Be', perché non era un problema per me il fatto di dormire da solo... era un problema il fatto di non dormire con mio fratello, il ché era un po' diverso.»
Ammise Sam con un mezzo sorriso insonnolito, reprimendo uno sbadiglio.
Nel buio appena rischiarato della stanza poté vedere il viso di Dean restare per un istante immutato e poi stropicciarsi in una smorfia col naso arricciato, anche se le sue labbra erano ancora lievemente increspate.
«Vogliamo anche farci le trecce, già che ci siamo?»
Il minore ridacchiò silenziosamente prima di umettarsi le labbra.
«Magari un'altra volta. Comunque sarò anche stato una spina nel culo, ma neanche a te dispiaceva di dormire con me.»
Dean sbadigliò a bocca spalancata, senza preoccuparsi di risultare maleducato o simili e poi prese a carezzargli con lentezza un fianco, come quando Sam era piccolo e si spaventava e toccava al maggiore il compito di cullarlo, sussurrandogli che era al sicuro e che sarebbe andato tutto bene. E Sam gli si affidava ad occhi chiusi e ci credeva. Allora come ora.
«No, certo. Mi facevi comodo d'inverno perché eri come una stufa... e poi mi tranquillizzava averti accanto. Sai, "tieni d'occhio Sammy" valeva anche di notte, per me.»
Gli confessò il maggiore, chiudendo gli occhi.
Sam restò in silenzio, gli occhi grigi puntati sul profilo del naso perfetto dell'altro appena distinguibile nel buio.
Sorrise tra sé, una punta di malinconia: avrebbe dovuto salvarlo solamente per tutte le volte che Dean aveva salvato lui. Non si sentiva in debito, ma gli era talmente grato da risultargli venerabile.
Fin da piccolo lo aveva protetto e amato quando nessuno lo faceva. Da piccolo, quando si arrabbiava e si sentiva strano e faceva domande.
"Perché viaggiamo sempre?", "Perché dobbiamo cambiare scuola di nuovo?", "Dov'è la mamma?" e Dean gli rispondeva come un bambino che bambino mai era stato poteva: gli circondava le spalle con un braccio e gli baciava la fronte con infinita pazienza, dicendogli che da grande avrebbe capito tutto. Gli preparava della zuppa troppo salata e della carne troppo bruciata e lo metteva a letto e aspettava che si addormentasse. E quando Sam non voleva dormire da solo e voleva sentire il fratello vicino, Dean gli faceva posto sbuffando e lo abbracciava stretto. Ed era stato così che Sam si era sempre sentito il ragazzino più fortunato del mondo e, per certi versi e nonostante tutto, il più amato.
«Ci sono state delle volte però che non mi hai voluto... lo ricordo bene perché andava a finire che non dormivo per tutta la notte, in quelle occasioni.»
Soggiunse Sam, desideroso di mandare avanti quel discorso e di sentire ancora la voce di Dean cullarlo e confidargli che anche per lui era importante quella vicinanza.
«Be', Sammy, quelle erano le volte in cui avevo voglia di farmi una sega in santa pace. Insomma, ero un adolescente ed avevo i miei bisogni e con te tra i piedi non potevo!»
Lo ammise ridendo a bassa voce, con il petto scosso dai tremori che il riso gli provocava.
In realtà quel discorso non era mai stato affrontato. O meglio, c'erano state volte in cui ne avevano parlato, ma Dean non aveva mai avuto occasione di ammettergli i motivi per cui, ogni tanto, si ritrovava a spedirlo nel proprio letto.
Da ragazzino far fronte a quei naturali bisogni non era stato facile, per lui; era sempre in compagnia, se non c'era il padre, c'era Sam, e solitamente erano tutti e tre insieme. Ore ed ore in auto, stanze di motel minuscole divise con tre uomini. Insomma, doveva arrangiarsi come poteva, tant'era vero che John aveva anche finito per scoprirlo un paio di volte.
Padre e figlio trovavano scomodo il dover affrontare un discorso del genere e se Dean evitava tutto quanto più gli era possibile, abbassando lo sguardo e stampandosi in faccia la sua miglior espressione di "non è successo nulla", John faceva del suo meglio per affrontare la questione anche se con le parole non c'aveva mai saputo fare. C'era poco da dire, ma un giorno l'ex marine aveva deciso che il momento dell'ape e del fiore era arrivato anche per i fratelli e in quell'occasione le guance di tutti avevano assunto varie gradazioni di bordeaux.
Sam non poté fare a meno di ridere a sua volta, avvicinandosi finché non gli fu possibile lasciare un bacio lieve all'angolo delle labbra del maggiore, spostandosi poi a soffiargli sul mento.
Quando parlò la voce risultò ancor più bassa del solito, una nota di malizia chiaramente presente: «Finché poi non ho pensato io a quello.»
Pronunciò strascicato, mentre nella penombra poté intravvedere le iridi smeraldine di Dean animarsi di un lampo di consapevolezza. Questa, tuttavia, non poté mutarsi in altro, perché Sam crogiolò docilmente la faccia sul cuscino e poi la mano del braccio non ferito scattò rapida ai boxer del fratello, dove, almeno per il momento, regnava la calma. L'ampio palmo del minore si posò a coppa sul membro dell'altro, massaggiandolo con gesti delicati e distratti.
Dean fu colto di sorpresa e ebbe un sussulto quando avvertì il calore della mano del fratello toccarlo da sopra i boxer. Avvicinò il viso al suo, sfiorandogli il labbro inferiore coi denti.
«Sammy... non ti andrebbe di dormire ancora un po'?»
Mormorò con un principio di risata, che però venne soffocata dalle dita di Sam, che, audaci, si fecero strada sulla pancia del fratello, sotto la t-shirt. Gli sfiorarono l'elastico dei boxer e poi il calore si trasferì direttamente sulla pelle sensibile di Dean, un polpastrello di Sam che andava a rimarcargli con delicatezza la piega dell'inguine.
«Lascia che sia io a prendermi cura di te, per stavolta.» Gli sussurrò Sam in risposta, mentre chiudeva la mano a pugno sul timido principio di erezione di Dean, che si limitò a socchiudere le labbra e ad irrigidirsi, stringendosi di riflesso il fratello ancora più addosso.
Vicinanza. Sam sapeva che in quelle occasioni, dove le carezze si facevano più intime, il maggiore lo avrebbe sempre stretto a sé. Cercava un contatto, ne sentiva il bisogno. E lo faceva ubriacare di baci, lo mordeva, lo bagnava con umide lappate. Lo stringeva, lo toccava, affondava le dita nella sua carne. Premuroso e attento come amante, Dean si imponeva sempre di evitare di fargli male.
Il sesso di Sam, al contrario, era rude. Pretendeva e prendeva, stringeva e graffiava. Sam parlava anche, durante i rapporti; era un qualcosa che inizialmente, quand'era ragazzino, l'aveva imbarazzato immensamente, ma inutile dire che Dean era stato reso partecipe anche di quello. Gli piaceva parlare sporco, il classico dirty talking. Ora col maggiore non aveva più freni inibitori e Dean spesso lo lasciava divertire a quel modo, sorridendogli a metà nel contempo.
Il più grande spesso gli dava man forte, divertendosi lui stesso con quella pratica, ma non ora. Non ora che il respiro del maggiore si spezzava e la sua bocca veniva imprigionata dai denti di Sam, poi dalle sue stesse labbra, dalla lingua. Dean affondò bagnato nella bocca dell'altro, riconquistandola tassello per tassello, esplorando il palato. Fu un bacio profondo che serviva a soffocare i lievi gemiti che cominciavano a scappare a Dean, perché Sam, nel frattempo, aveva cominciato a segarlo con rapidi e decisi movimenti, una piccola rotazione del polso, il pollice che premeva di tanto in tanto sul glande.
I fratelli erano dei grandi estimatori l'uno del corpo dell'altro. Si conoscevano in ogni più piccola piega e neo e cicatrice e avrebbero potuto mappare a memoria la pelle del compagno, se avessero dovuto.
Conoscevano a memoria i punti dove toccare per far sì che l'altro pregasse per andare oltre, conoscevano i metodi per farsi impazzire. Sapevano come prendersi cura l'uno dell'altro.
E Sam sapeva, con le labbra ancora schiacciate a quelle di Dean e la mano che si muoveva con insistenza sul suo membro, di star facendo la cosa giusta. Le dita del maggiore erano affondate tra le scapole del fratello e l'altra mano era stretta sull'avambraccio che continuava a muoversi, guidandolo verso l'orgasmo ed occupandosi di lui.
Gemeva, si lasciava andare contro il corpo di Sam. Non era riuscito a rispondergli, quando gli era stato detto che per quella volta era il minore a volersi prendere cura di lui.
Succedeva sempre così quando Sammy prendeva l'iniziativa: non gli era concesso spazio per poter dire alcunché. E a Dean, in realtà, andava bene.
Era come quando, durante l'estate, si sedevano sul cofano dell'Impala, in un posto in mezzo al niente, a bere birra ed ascoltare i respiri l'uno dell'altro. E lì restavano in silenzio per ore, a guardare le stelle. E poi Sam balzava giù dall'auto, gli si avvicinava e gli lasciava un muto bacio sulla guancia. Leggero come uno sfarfallio, quasi inconsistente.
Eppure il maggiore sorrideva, sorrideva come stava facendo ora nell'aria calda del motel; sorrideva come sorrideva in quel momento, ancora impegnato ad affondare tra le salive e le lingue ed i sapori.
E poi Sam se ne andava, senza un lamento, senza dir niente. Se ne andava o faceva come in quella notte, a donargli piacere, a calare le labbra dalle sue fino al collo, intrufolando il viso sotto al mento del fratello e restando lì. Leccando lascivamente il pomo d'Adamo, il polso che cominciava a dolere per i movimenti continui a cui era sottoposto, il ritmo che accelerava, Dean che cominciava a spingere, ad emettere mugolii nel suo orecchio; Sam lo sentì che si tendeva, costringendolo addosso a sé.
Il tendine del collo si sporse dalla carne e le labbra si socchiusero, rosse, gonfie e umide; e fu così che Dean venne, riversandosi insieme a lamenti rochi e discontinui nella mano del minore, il movimento di Sam che diventava più delicato e lento, fino a sparire, le spinte del bacino incontrollate dell'altro che cessavano gradualmente.
Fu uno spegnersi lento, come di una candela con lo stoppino esaurito o come la preghiera di un Santo che implorava perdono. Sam restò fermo, mentre attendeva che Dean si riprendesse. A quest'ultimo ci vollero alcuni istanti, mentre il cuore rallentava la sua corsa e lui trovava il coraggio di riaprire le palpebre.
Mosse cautamente le dita sul corpo di Sam, che l'aspettava con un sorriso sornione ed un sopracciglio sollevato. Dean posò la sua mano sull'ampia base della schiena dell'altro, l'altra che si allungava fino ad incorniciargli un lato del viso, il pollice che passava con dolcezza sul labbro inferiore.
«Il mio Sammy è cresciuto.»
Lo canzonò poi, ridendo. E Sam lo osservò per un istante, trovando in quel riso tutto il senso di cui aveva bisogno per continuare ad alzarsi dal letto la mattina. Sorrise tra sé, lasciandosi cullare dal petto di Dean che sussultava per riflesso alla risata.
«Non ci fare troppo l'abitudine.»
Scherzò allora Sam, togliendo la mano sporca dai boxer del fratello, e subito quest'ultimo fu rapido a mormorare un
"aspetta", voltarsi verso il comodino e prendere un paio di fazzoletti. Si voltò nuovamente e lo prese delicatamente per il polso, cominciando a pulire la sua pelle con attenzione, lanciandogli di tanto in tanto delle occhiate da sotto le ciglia.
«E io pensavo che d'ora in poi mi avresti viziato...»
Gli sussurrò con un mezzo sorriso, lasciandogli poi la mano e gettando a terra il fazzoletto sporco come se nulla fosse. Erano sporchi entrambi, appiccicosi. Ed ad occhio esterno con tutta probabilità quello stato sarebbe risultato disgustoso, ma nessuno dei due aveva la voglia di lasciare quell'intorpidimento in cui erano caduti entrambi, nonostante solamente Dean avesse affrontato un orgasmo.
Sam tornò a posargli con delicatezza un bacio sulle labbra, spostandosi fino al mento e risalendo, gli occhi socchiusi.
«Ne riparliamo domattina.»
Concesse con una mezza risata, allungando il braccio sano per far scivolare la mano ancora attaccaticcia fino al sedere del fratello. Non in un gesto malizioso, tutt'altro. La lasciò lì, sospirando a fondo e sentendo le labbra umide e carnose di Dean posarsi sulla sua guancia.
«D'accordo, fratellino. Posso sdebitarmi già ora o vuoi dormire?»
Gli sussurrò strascicato, la punta della lingua che andava a definire il contorno del lobo dell'orecchio di Sam, che si strinse ancora più contro la solidità del maggiore, rabbrividendo a quel contatto.
«Non c'è bisogno che ti sdebiti, Dean. Te l'ho detto prima che stavolta sarebbe toccato a me prendermi cura di te.»
Gli rispose, mentre le labbra del più grande scivolavano fino alla mascella spigolosa dell'altro, mordicchiandola con delicatezza.
Sam sentì il fratello mugugnare mentre si figurava con chiarezza le sopracciglia castane chiare che si corrugavano, prima che borbottasse: «Non funziona così, Sammy.»
Pronunciò rocamente Dean con voce così bassa che sembrava parlasse tra sé. Poi riprese dopo un istante, stampando un rumoroso bacio sulle labbra del minore e cominciando a carezzarlo lungo la linea della spina dorsale, cullandolo.
«Ne riparliamo domattina.»
Lo citò, soffiandogli sulle labbra un altro bacio.
Sam già era tornato in uno stato di dormiveglia mentre Dean continuava a prendersi cura di lui, in ben altro modo da quello in cui si era impegnato l'altro, ma ugualmente importante. Lo coccolava e lo accompagnava ad un sonno che – Dean sperava – sarebbe stato senza sogni.
Il maggiore sorrise tra sé, osservando i lineamenti affilati del fratello in silenzio. Quant'era bello, il suo Sammy. Quante poche opportunità di essere felice aveva avuto, quel ragazzino cresciuto troppo in fretta?
Dean sospirò, mentre le labbra di Sam si socchiudevano ed un respiro sfuggiva tra di esse, segno che molto probabilmente si era addormentato.
«Wow, Sammy, tempo di record.» Mormorò vagamente divertito il maggiore tra sé, lasciando che la sua mano lo riscaldasse, su e giù, dalla base della schiena e poco sotto le scapole.
Dean chiuse gli occhi, conscio e rassicurato dalla presenza del minore stretto al suo fianco. Conscio che quelle sarebbero state le ultime carezze e gli ultimi baci. Gli ultimi incontri che le loro anime, messe a nudo, avrebbero avuto.
Dean si era venduto all'Inferno per salvarlo, l'aveva protetto da tutto lo schifo che di sicuro avrebbe dovuto affrontare laggiù. Dean non voleva morire, ma non voleva vivere in un mondo senza Sam. Non
poteva vivere in un mondo senza Sam.
Dean aveva scelto il male minore. Aveva scelto l'egoismo e la sua necessità di mettere al primo posto la persona più importante della sua vita, quella che avrebbe amato sempre. Più di tutto e tutti, Sam veniva prima.
Dean l'avrebbe lasciato solo, ma il suo Sammy non poteva morire, non ancora. Era ancora troppo giovane e troppo buono per scivolare nel luogo dove stava la feccia di Dio.
Dean l'accarezzò ancora una volta, una dolcezza infinita in quel gesto, e poi gli chiese un silenzioso scusa.

   
 
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