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Autore: ponfo    14/10/2014    6 recensioni
“Louis, mi puoi spiegare che cosa succede e perché c'è un ragazzo che assomiglia ad un discepolo di Cristo sulla soglia dello Starbucks dove lavoriamo?”
Diamine, lo avevo detto lui che Harry assomiglia ad un discepolo, “Si è perso,” risponde semplicemente, come se una frase spiegasse perché si è portato dietro uno psicopatico che sostiene di venire da un paese inesistente e perché abbia accettato di aiutarlo. Beh, Liam in fondo non deve sapere tutto questo.
[Louis/Harry] [15.3k] [AU]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“He's a real nowhere man,
Sitting in his nowhere land,
Making all his nowhere plans
for nobody.
Doesn't have a point of view,
Knows not where he's going to,
Isn't he a bit like you and me?”

Nowhere man, The Beatles


 

La strada principale di Gerba è ricoperta da grosse pietre biancastre. Non c’è nessuna macchia, sulla superficie. Il colore è chiaro ed immacolato, il candore quasi abbagliante. I negozi e le botteghe che danno sulla via hanno le vetrine piene di begli oggetti: libri, caramelle, fiori. Tutto di questa strada sa di stabilità. La pianta della città è una stella a nove punte. Nel centro esatto della piazza principale c'è una statua di un uomo che tiene fra le mani un libro, osservandolo attentamente. Ha gli occhiali sul naso alla greca che scivolano appena sulla punta e le labbra sottili hanno gli angoli sollevati in alto. I bambini si rincorrono intorno ad essa, sghignazzando e divertendosi come solo a quell'età si può fare. I genitori che li guardano, seduti poco distante, sorridono compiaciuti e guardano il cielo terso sopra le loro teste, sospirando sollevati, perché la vita, a Gerba, è meravigliosa.

E' un Giovedì notte e tutto è silenzio. La luce della Luna illumina flebilmente le pietre, guardandole con apprensione, e quelle brillano, quasi accecano, come per risponderle. Il vento soffia appena, silenzioso. Accarezza la porta di una casa con le dita leggere e poi scompare, passando a quella successiva.

C'è l'urlo di una donna, in lontananza. Ci sono le grida, i singhiozzi, le lacrime che scendono incessantemente lungo le guance. Tante piccole gocce che scivolano e rotolano in una corsa vorticosa verso la Terra, verso il pavimento. E' un dolore straziante, un lungo ed incessante chiodo dentro il cuore, un coltello che lacera. Tutto è instabile, tutto trema. La Luna sembra tremare anche lei. Un ultimo lamento acuto, forte tanto da trapanare le orecchie e poi di nuovo silenzio. Di nuovo calma. Si sentono dei respiri affannosi e qualche piccola lacrima negletta che si suicida per ultima, ma il dolore è finito, la sofferenza cessata.

E' il 1 Febbraio quando Harry apre per la prima volta gli occhi.


 

*


 

A quattro anni, Harry scopre che intorno a sé c'è solo mare. La madre lo porta in spiaggia dopo l'asilo, gli fa fare il bagno insieme a sua sorella Gemma e la sera tornano a casa da papà Robin, pronti per cenare ed andare a dormire con il sorriso sulle labbra. Una sera, dopo la favola della buonanotte, Harry chiede ad Anne se oltre il mare ci sono altri bambini come lui e se potrà mai giocarci insieme. Tutto quello che la donna fa è dargli un bacio sulla fronte, scuotendo la testa divertita e rimboccandogli le coperte intorno al corpicino magro.

“Non esiste nulla, Harry, aldilà del mare. Ci siamo solo noi,” gli dice accarezzandogli i lisci capelli oro. Il bambino la guarda con i suoi occhioni verdi, grandi grandi per la curiosità perché vuole sapere altro, chiedere, scoprire, ma lei comincia a tempestargli il visino di baci morbidi e le palpebre diventano troppo pesanti, la lingua troppo grande da muovere per fare altre domande.

A sette anni, Harry sa a memoria tutte le strade di Gerba. Conosce quasi tutti gli abitanti e potrebbe riconoscere ad occhi chiusi le case di ognuno. Fa il tragitto da casa sua alla scuola insieme al suo migliore amico Niall e parlano sempre di cose divertenti: l'ultimo nascondino che hanno fatto nel cortile di Mister Balm insieme a Emily e Michael, il laghetto vicino la Porta del Sole dove ci sono le rane, i biscotti con i pezzetti di cioccolato che la nonna di Niall prepara. Insomma, tutti argomenti che rallegrano Harry e lo fanno sorridere dalla punta di un orecchio all'altro. Gli piace tantissimo avere sette anni perché ora è più grande e può fare tante cose che prima mamma Anne negava, tipo stare fuori a giocare fino al tramonto o dormire una notte a casa di Niall. Soprattutto, però, ama la propria città. Ha tanti amici, la mamma, il papà, Gemma, i nonni, la micetta Dusty, Niall. E' tutto bellissimo.

Niall, un giorno, entra in casa sua con aria elettrizzata. I corti capelli biondi sono sparati da ogni parte e gli occhi celesti brillano per l'entusiasmo. Ha tra le mani paffute e bianchissime un libro consumato, con la copertina logora e polverosa.

“Ho trovato una cosa nucleare,” dice non appena si siedono l'uno accanto all'altro sul letto rifatto di Harry. Il bambino lo guarda stupito, spostandosi dalla fronte un boccolo cioccolato che gli ostacola la visuale. Quasi gli manca non avere più i capelli chiari e lisci come quelli di Gemma, ma mamma ha detto che i ricci significano che sta diventando grande ed Harry non vede l'ora di essere un grande a tutti gli effetti quindi va bene così.

“Cos'è?” gli domanda allungando una mano verso il libro antico. Il biondo amico spalanca il volume, mostrandogli pagine gialle, sporcate di inchiostro e di frasi, colme di anni e di solitudine. Il cuore gli batte forte forte e non sa bene il perché. Sente solo il bisogno quasi soffocante di scoprire cosa sia, di toccare quelle pagine e leggerle tutte, lettera per lettera, gustandosi l'odore della carta e sfiorando con delicatezza la cellulosa ruvida.

“E' un libro che parla di un posto chiamato Terra.” La bocca rossa di Harry si disegna in una perfetta o. Niall sorride, orgoglioso, e sfoglia a caso le pagine, tenendo gli occhi chiari fissi sul testo, “E' la storia di un ragazzo che vive in questo posto e che fa tante cose tipo andare su un oggetto che si muove da solo che chiama macchina o cercare lavoro perché il suo non gli piace più.”

“Ma esiste questa Terra?” domanda infervorato, le mani gli prudono e ha voglia di saltare e di trovare questo luogo dove si possono usare oggetti che vanno da soli e cambiare lavoro quando si vuole. Se dicesse che esiste una cosa del genere alla mamma, per com'è attaccata e devota al suo negozio di fiori, probabilmente si arrabbierebbe.

Niall alza le spalle, improvvisamente sconsolato e rattristito. Tutta l'euforia iniziale scomparsa in un battito di ciglia, “Non lo so,” mormora richiudendo il libro con un tonfo che fa uscire una nuvola di polvere, “ma in teoria non lo dovremmo nemmeno leggere perché era nello scaffale della libreria del nonno che mamma mi ha impedito di guardare quindi è meglio se lo vado a rimettere a posto.”

Harry vorrebbe dirgli di tenerlo ancora, di leggerlo tutto, insieme, e poi di rimetterlo al proprio posto una volta finito, ma, per quanto ammetterlo gli dispiaccia, sente che Niall ha ragione e che è meglio così. In fondo, non esiste nessuna Terra o nessun altro qualsiasi posto all'infuori di Gerba. Mamma glielo ripete sempre. Niall riporta il libro a casa e non ne parlano più.

A quattordici anni, Harry scopre cosa significhi innamorarsi. C'è una ragazzina nella classe accanto alla sua con i capelli corvini, legati da fiocchi bianchi. Tutte le mattine percorre il corridoio grigio con la cartella nivea sulla spalla e chiacchiera con una sua amica, ridacchiando dietro la mano piccola ogni volta che l'altra dice qualcosa di spiritoso. Harry la osserva seduto sopra il marmo dell'ampia finestra che dà sul cortile e quando nota che i suoi occhi scuri lo stanno fissando, arrossisce fino all'attaccatura dei capelli.

Ad Aprile, Niall si fidanza con Emily e comincia a raccontargli come ogni giorno gli sembri più bello, ancora più bello del solito. Gli spiega come si senta fluttuare in aria quando le tiene stretta la mano o quando lei gli sorride divertita. Gli racconta del battito del cuore che sembra impazzire tutte le volte che lei lo guarda o che gli dà un bacetto timido sulla guancia accaldata dall'imbarazzo. Harry annuisce entusiasta ad ogni racconto e lo ascolta chiacchierare per tutta la notte sul lettone su cui dormono con il mento sostenuto dalle mani. Si rende conto che lui si sente nello stesso modo per la ragazzina della classe accanto, anche se non ci ha mai davvero interagito, anche se non ha ancora trovato il coraggio di rivolgerle una sola parola; lui sa che si è innamorato di lei. Si ripromette di dichiararsi al più presto perché anche lui vuole provare in tutto e per tutto quello che Niall prova.

Per la fine dell'anno scolastico, Harry riesce a parlare con la ragazzina dai capelli corvini che scopre chiamarsi Sophie. Arrossiscono entrambi tutte le volte che il riccio spiccica più di due parole in fila, tentando di fare conversazione, ma, dopo qualche settimana, non sa bene come, trova il coraggio necessario per invitarla ad uscire. Gemma gli ha detto che il suo fidanzato, la prima volta che sono usciti insieme, l'ha portata al parco a mangiare un gelato su una panchina e che si è divertita moltissimo perché era una cosa semplice e piacevole, nulla di pomposo ed esagerato, che quando si sono baciati ha sentito le farfalle nello stomaco e il cuore battere forte nel petto. Quando Harry bacia Sophie con le labbra sporche di cioccolato sulla panchina del parco, non sente nessuna farfalla nello stomaco.

A diciotto anni, Harry è ormai un uomo. I boccoli castani hanno preso finalmente un verso, scendendo lungo il viso virile e le guance chiare sono ora ricoperte da una leggera barba. Le vesti bianche ricadono sul suo corpo alto e slanciato con armonia, accentuando le spalle larghe e i fianchi stretti. Ha completato gli studi. A Gerba ogni abitante, al termine della scuola, deve fare un test che stabilirà quale impiego svolgerà per il resto della vita. Gemma è diventata un'ostetrica da due anni e ha già fatto nascere una miriade di bambini. E' felice, gli dice sempre (come d'altronde ciascun essere vivente sull'isola) perché sostiene che, anche se non ci aveva mai pensato, si è resa conto che aiutare le donne a dare alla luce un figlio è sempre stato quello che voleva fare. Harry sorride intenerito quando la sente raccontare alla madre dell'ultimo mostriciattolo che ha stretto fra le mani e di quanto suo marito ne voglia uno loro. La guarda muovere le mani in un racconto entusiasta e fomentato che la maggior parte delle volte si conclude con una risata collettiva per qualche assurdità detta. Quando Gemma ribadisce per l'ennesima volta quanto la vita sia bella a Gerba, Harry annuisce d'istinto, ma sento uno sgradevole nodo allo stomaco che non riesce a spiegarsi.

Niall diventa un fornaio. La lunga tunica bianca che ognuno porta viene coperta da un grembiule canarino sempre sporco di farina e le guance rosse di natura sono, ogni volta che Harry lo vede, più scure della volta precedente, probabilmente a causa dell'alta temperatura del forno. Sorride da mattina a sera e prende in giro l'amico per la faccia seria che ha quando cade nei propri pensieri. Una sera gli confessa di avere intenzione di fare la proposta di matrimonio ad Emily con cui sta ormai da quattro anni. E' come se l'intero mondo di Harry venisse sconvolto dalla notizia.

“Non cambierà nulla fra di noi, amico, lo sai. Sarò sempre il tuo compagno di avventure, solo con una moglie a fianco,” lo rassicura il biondo con una mano intorno alle spalle ed un'espressione dolce nel viso. Il ragazzo gli sorride debolmente ed annuisce, ma è come se nel proprio cuore sapesse già che nulla sarà mai come prima.

Il risultato dell'esame dice che Harry sarà il nuovo bibliotecario, che quindi sostituirà l'ormai vecchio Mister Adams, pronto per la sua festa d'addio e per il viaggio verso il Nirvana. La sua famiglia dà un grande party per celebrare il nuovo lavoro, invitando praticamente mezza città. La serata è piacevole ed in fondo si diverte, passa spensieratamente quattro ore insieme a gente che conosce da quando portava i pannolini. E' nella solitudine della sua camera, davanti alla finestra che dà libera visuale alle mura e al mare calmo, che Harry si domanda perché solo lui senta questo strano sentimento così diverso dalla felicità che provava da piccolo, nettamente differente da quella euforia esauriente che non lo faceva smettere di sorridere nemmeno un secondo. Si chiede perché, proprio lui, debba essere così strano.

 

*

 

Il foglietto di carta stropicciata che trova sul pavimento prima di aprire la porta di camera ha una scritta a caratteri cubitali, “Lava la cucina. Per davvero, Louis!” Il ragazzo sbuffa e, appallottolando il messaggio, lo tira nella direzione del cestino. Non ha la cura di guardare se ci ha davvero preso o se il malcapitato è finito insieme agli altri milletrecento sotto la scrivania. Pazienza.

Molto probabilmente Zayn si arrabbierà al suo ritorno, ma ehi! Le cucine sono faticose da pulire e Louis non ha né voglia né tempo. O meglio, il tempo ce l'avrebbe, ma...

Comunque, basta che quando torna da lavoro si fermi alla pasticceria all'angolo per prendere un vassoio dei pasticcini preferiti di Zayn e non sarà costretto a pulire i fornelli e i banconi per i prossimi tre giorni. In fondo otto sterline di manicaretti valgono la pena.

Uscendo dalla camera, dà un'occhiata all'orologio sulla parete di fronte e si rende conto di avere esattamente dieci minuti per arrivare in orario a lavoro. Maledetti amici che lo fanno ubriacare la sera! (Anche se, ad essere sinceri, Zayn e Liam gli hanno detto più e più volte di smettere di tracannare cocktail, ma a nessuno interessa la verità, ecco).

Con un sbuffo sonoro corre di nuovo nella propria stanza e, spruzzandosi addosso quanto più deodorante possibile, agguanta un pacchetto di biscotti abbandonato su uno scaffale della libreria (non sa come ci siano finiti) e si fionda fuori casa, facendo le scale del condominio due a due. Ancora prima di mettere piede in strada, sa già che oggi sarà una giornata di merda. Si è svegliato per il rumore che facevano quegli incivili buzzurri del piano di sopra (nulla in confronto al casino che fa lui quando porta qualcuno a casa, ma amen), non si è fatto la solita doccia calda, ma, soprattutto, non ha preso il tè. Se non riesce a farsene una tazza entro i prossimi dieci minuti diventerà quella che Liam chiama la “vecchia becera isterica”. Per quanto il suo mascolino e brillante orgoglio soffra ad ammetterlo, quel maledetto armadio di ragazzo ha dannatamente ragione.

“Sei in ritardo di dieci minuti, Lou! Sbrigati prima che Simon se ne accorga,” mormora Liam aprendogli la porta sul retro per farlo sgattaiolare dentro. Ha un'espressione preoccupata negli occhi scuri, una di quelle che dicono “non posso credere che tu ti sia ubriacato di Mercoledì sera e che abbia fatto tardi a lavoro. Di nuovo.” In realtà, ha quasi sempre quest'aria ansiosa in viso; avrebbe davvero bisogno di rilassarsi un po' di più. I corti capelli beige sono tirati indietro da una quantità di gel esorbitante e sono leggermente disordinati, probabilmente per l'abitudine nervosa che ha di passare le mani fra le ciocche ogni volta che la situazione gli sfugge di mano che, perlomeno per quanto riguarda il frangente “Louis”, corrisponde a dieci volte su dieci. Eh, non si può domare un tale spirito libero, c'è poco da fare.

Louis si toglie il cappotto a velocità lampo, tirandolo a caso su una sedia e si avvicina all'appendiabiti per prendere il grembiule verde scuro che lo aspetta. Se lo allaccia in fretta e furia prima di darsi una veloce occhiata sulla superficie riflettente della finestra. La frangia castana è sparata da ogni parte, senza alcuna direzione precisa, e ha delle occhiaie violacee sotto gli occhi. Sua madre gli dice sempre che il viola dona agli occhi azzurri. Sua madre non ci capisce nulla di colori.

“Muoviti,” ripete Liam, dandogli una spinta sulla bassa schiena e dirigendolo verso la porta, “Sono riuscito a coprirti dicendo che stavi vomitando in bagno, ma non so quanto mi abbiano creduto.”

Louis pianta i piedi per terra, girandosi a fissarlo con un sopracciglio alzato. Le sue sopracciglia sono semplicemente favolose. Meritano di essere alzate, “Perché hai detto che stavo vomitando? Non potevi trovare qualcosa di più accettabile? Cristo, mi avrai fatto passare per un alcolizzato con i postumi da sbornia,” sbuffa scocciato, incrociando le braccia al petto come un bimbo arrabbiato.

Il castano lo fissa con un sorriso irrisorio in viso, gli occhi scuri divertiti come non mai, “Secondo te non lo pensano già dal primo giorno in cui ti sei presentato con gli occhi da sole e un odore di rum addosso talmente forte da far rivoltare le budella anche al peggior vecchio bevitore accanito?”

Ohi!” esclama, dandogli una spinta sulla spalla muscolosa. Ovviamente, non lo sposta di un solo millimetro, “Mi ritengo molto offeso, brutto acido insensibile!”

La risata di Liam è forte e convinta, “Metti il tuo culo dietro quel bancone o giuro che ti rado le sopracciglia nel sonno.” Louis sbuffa di nuovo e, facendo un'uscita teatrale ancheggiando i fianchi, spinge le ante della porta.

Non c'è troppa gente per l'orario attuale. Ci sono giornate in cui la fila è talmente lunga da non riuscirne a vedere la fine. Ok, forse non proprio così lunga, ma ci si avvicina. Le cinque o sei persone sparse ai tavoli stanno già sorseggiando le proprie bevande o spiluccando dai piatti distrattamente. Ognuno è concentrato su qualcosa, libro o tablet che sia. Nessuno sembra vagamente interessato a quello che accade intorno a sé.

Perrie gli scocca un bacio sonoro sulla guancia prima che si accorga anche solo della sua presenza, lasciandogli un'impronta color prugna proprio sullo zigomo. Louis gorgoglia un lamento sconsolato, alzando gli occhi al cielo, “Perrie, so che sei inevitabilmente attratta dalla mia impareggiabile bellezza, ma ti prego! Contieni i tuoi ormoni eterosessuali e lasciami vivere! Se non ti era già chiaro dalle numerose volte che mi hai trovato appartato con qualche fanciullo, mi dispiace deluderti ricordandotelo, ma ho promesso al lato oscuro il mio cuore. Sono frocio da capo a piedi, amore mio.”

La ragazza ridacchia divertita, mettendosi una ciocca platino dietro l'orecchio pieno di ciondoli brillanti, “Ne ero più o meno al corrente, Lou. Raccatterò comunque il mio cuore spezzato e cercherò di farmelo aggiustare da qualche bel ragazzo,” cinguetta, continuando a masticare chiassosamente la gomma rosa che ha in bocca.

“Prega che non ci metta gli occhi per primo. Sai che ho l'abilità di convertire anche i peggiori omofobi.”

Perrie ridacchia di nuovo, guardando compiaciuta il suo tentativo di pulirsi la guancia con un fazzolettino. Poggia il mento sulla mano appoggiata al bancone e, puntando gli occhi contornati di nero su di lui, “Com'è andata ieri sera, poi? Hai trovato qualcuno di carino in quel locale?” domanda.

Il rossetto è un oggetto del diavolo per torturare i poveri ragazzi omosessuali sparsi sulla faccia della Terra, ne è sicuro. Sembra tanto morbido e facilmente removibile, ma è una bugia. Tutto il Mondo vive in una bugia. Basta, morirà con questa impronta mostruosa sulla guancia, non gli resta nient'altro da fare. Per qualche motivo, la rabbia lo assale tutto d'un tratto.

“Se l'avessi trovato, a quest'ora non sarei certamente qui a servire Frappucini al caramello e Moka, non credi?” risponde inviperito, stritolando il fazzoletto nella mano. Gli rimarrà del rossetto anche sulle dita, vaffanculo. Questa è davvero una giornata di merda, per la miseria.

“Ahia,” dice la ragazza, roteando gli occhi, “Giornata no in arrivo. Meglio se ti lascio solo.” Nel momento esatto in cui si raddrizza, la voce di Liam che pronuncia il suo nome arriva dall'altra stanza. Louis ringrazia il cielo per aver creato un essere come Liam. Perrie scompare nel retro con passi leggeri, portandosi come eco lo schioccare della bolla di un chewing-gum.

Per una mezz'ora, il lavoro si intensifica. Un gruppetto di liceali fa la sua entrata dopo dieci minuti dal suo arrivo, ordinando una quantità tale di cioccolate calde e crostate da sfamare una truppa. Quando li ha serviti tutti e le loro voci ridacchianti escono del tutto dalla porta di vetro, Louis si concede una meritata pausa (anche se in realtà è qui da nemmeno un quarto d'ora scarso), ignorando prontamente i documenti che ha promesso a Simon di compilare per la fine della settimana. In fondo quell'uomo lo ama, gli concederà altri giorni per farlo. Anche se ha minacciato di licenziarlo se non consegna in tempo, sa che sono tutte bufale. Non potrebbe vivere senza di lui, poco ma sicuro. Poggia entrambi i gomiti sulla superficie liscia del bancone e fa scorrere la mano su tutto il lato del viso, deformandolo. E' dannatamente affascinante, così.

Il ticchettare costante della tastiera dell'unico cliente al momento seduto nell'angolo è una specie di melodia. Tic-tic, tic-tic-tic. Louis chiude gli occhi, respirando piano dal naso.

Quando guarda indietro, a quello che ha fatto, a quello che ha fatto passare agli altri, non sa se si senta orgoglioso o meno delle proprie scelte. Lasciare l'Università dopo nemmeno tre mesi non è di certo una delle cose di cui va più fiero. Forse nemmeno i casini in cui si è messo con sua madre, ma per il resto, tutto vacilla nell'incertezza dell'indecisione. Niente è bianco, niente nero. Tutto grigio ed apatico.

A ventun anni, ha avuto la sua vasta selezione di esperienze. Ha visto la Spagna, viaggiato in Francia, lavorato in Germania per un po', si è innamorato in Italia per poi tornare nella sua fredda Inghilterra con un ancora più freddo cuore. Ha viaggiato, sì, ma soprattutto ha vissuto. Ha fatto cose che altri della sua stessa età mai hanno fatto e mai faranno. Ha provato sensazioni, sentimenti, emozioni di cui molti non sono nemmeno a conoscenza e di questo è felice, si ritiene fortunato. Il rapporto con la famiglia sarebbe buono, se ancora fossero in contatto: prima che succedesse tutto, nessuno lo odiava troppo visibilmente e la sopportazione reciproca era accettabile. Ha un lavoro che lo fa stare a galla, degli amici stupendi ed abbastanza autostima. Eppure la sua esistenza è così incolore. E' come se ci fosse un nodo, all'altezza dello stomaco. Un grosso nodo grande come un sasso che lo fa svegliare la notte, facendolo restare a fissare il soffitto senza nulla nella testa, nessun pensiero. Solo il lento correre della pioggia inglese fuori dalla finestra.

Zayn una volta gli ha detto che nei Paesi Scandinavi la gente si uccide perché la vita è lì troppo bella, praticamente perfetta. E' stato Zayn o la TV, non se lo ricorda. Comunque, la gente si uccide perché la vita è troppo bella, sembra strano a dirsi, vero? Normalmente, quando si pensa al suicidio, si associa subito alla sofferenza, al dolore più lacerante e corrodente. Accostarlo allo stare bene, troppo bene, è un po' un controsenso. In fondo però, nemmeno così tanto. Louis fa fatica ad immaginarsi una vita perfetta. Cosa dovrebbe esserci per considerarla tale? I cittadini come dovrebbero comportarsi? Ci sarebbe un regina? Un re? Qualcuno? Tutti farebbero lo stesso lavoro o ognuno farebbe semplicemente quello che vuole fare dalla mattina alla sera? Diamine, è tutto così complicato. E poi perché qualcuno vorrebbe una vita perfetta? Beh, forse c'entrano le rivoluzioni o qualche altra cosa disastrosa che ha fatto stare male la gente che Louis non ricorda. Le lezioni di Storia a scuola non sono mai state il suo forte. Di certo, però, se uno arriva ad idealizzare un altro mondo dove vivere meglio, dove tutto è diverso, la propria esperienza sulla Terra non deve essere delle migliori. Nonostante questo, tuttavia, non riesce a capire. Spesso ha sognato anche lui che le cose fossero diverse: che la gente accettasse l'omosessualità così com'è, senza bisogno di cercare di portare su un'ipotetica strada della redenzione le povere anime angosciate da tale peccato, che non ci fosse bisogno di ammazzarsi l'uno con l'altro, che non ci fossero soprusi, violenze o ingiustizie, che la povertà non esistesse, ma non può farci nulla, no? E' solo un ventunenne che lavora in uno Starbucks in centro e che passa le serate a cercare qualcuno che colmi il vuoto dei suoi pensieri. Nulla di più, nulla di meno. Perché passare la vita ad immaginarsi mondi che, alla fine, rimarranno solo ed esclusivamente utopie? Non lo sa. Gli sembra un grande spreco di tempo.

L'unica cosa di cui è certo è che non vorrebbe una vita perfetta. L'idea di averne una, di provarla anche solo un secondo, lo terrorizza. Forse è pazzo o forse beve solo troppo e ormai i suoi neuroni cominciano a sparire. Ci sarebbero persone disposte a vendere l'anima per vivere meglio, per avere un'esistenza ideale. Eppure Louis no.

Una vita immacolata, priva di sbagli o possibilità di sbagliare, è noiosa. Tutto quanto, piano piano, diventa uguale, si omologa ogni cosa. In un mondo perfetto non posso esistere emozioni brutte. A ragion di logica, sensazioni sgradevoli come rabbia o tristezza non potrebbero essere contemplate perché tutto va a meraviglia, niente è fuori posto. Nulla prende una direzione diversa.

E non è questa la peggior maledizione che si possa infliggere ad un individuo? Togliergli la possibilità di scoprire cosa significhi soffrire per la morte di un caro, impedirgli di farsi le ossa affrontando a testa sempre più alta le delusioni della vita di tutti i giorni. Una persona potrebbe dire “No, questa non è una maledizione. Sarebbe una manna dal cielo. Soffrire è brutto, fa male. Ti distrugge.” E Louis non dovrebbe controbattere perché sì, soffrire fa schifo, tutti lo sanno, ma è anche l'unica cosa che faccia crescere. Che ti faccia diventare un individuo, in tutti i pregi e i difetti. Vivere l'esistenza, ovvero prenderla ed affrontarla sia nel bello che nel brutto, è l'unica cosa che ci renda davvero persone.

Dovrebbe stare più attento con il bere, probabilmente. Tutto sta prendendo una piega troppo malinconica e pessimistica. Oh, al diavolo! Chi se ne frega se la sua testa sforna pensieri da depresso per il troppo alcol, a chi vuoi che importi. In vino veritas, dicevano gli antichi, e Louis non è di certo nella posizione di dissentire dalla saggezza romana. Erano dei grandi capoccioni, quei Romani.

“Lou.”

Il ragazzo si gira di scatto, sentendo tutto il collo scricchiolare per l'improvviso gesto. Si massaggia le ossa doloranti, fissando Liam che lo guarda con un sorriso amichevole.

“Ti ho fatto una tazza di tè. Vai a fumarti una sigaretta e torna qui senza quel muso lungo, intesi? Ti do sette minuti esatti. Non farmene pentire.”

Louis sorride in risposta, dandogli una pacca sulla spalla. A che serve un vita perfetta quando esiste Liam Payne sulla banale Terra? “Grazie, Lee. Sei un amico,” mormora, stringendogli ancora un po' la spalla in riconoscenza. Il castano gli fa gesto con le mani di sbrigarsi, picchiettando l'orologio al polso.

“Forza, Tommo. Il tempo scorre. Non tutti posso aspettare i tuoi comodi!”

Louis lo guarda con un ghigno scherzoso, prima di spingere i battenti, “E chi te l'ha detto? Ricorda che io sono Louis Tomlinson, amico.”

La risata di Liam è sincera.

 

*

 

Harry ha paura. Ha letto un libro durante le infinite ore in biblioteca che raccontava di un personaggio e di questa sua costante sensazione: la paura. L'autore la descriveva come un gelido brivido lungo la schiena, il cuore in gola e le mani che tremano e Harry ha decisamente paura. Tanta, tantissima paura, adesso.

La tunica bianca che indossa ha un'enorme macchia marrone davanti. Un oggetto volante gliel'ha fatta mentre camminava spaesato per una strada. Si è ritrovato circondato da cose volanti e da persone. Persone che non ha mai visto, sconosciuti. Persone che non abitano a Gerba. Camminavano tutti velocemente, scontrandosi l'uno con l'altro, incuranti, e non fermandosi nemmeno per scusarsi. Parlavano da soli, con una scatolina attaccata all'orecchio, puntando lo sguardo davanti a sé o sull'asfalto. Nessuno si è fermato quando Harry ha cominciato a tremare appoggiato ad un muro. Nessuno gli ha chiesto cosa gli stesse succedendo, perché per la prima volta in vita sua avesse paura. Gli passavano davanti, ignari della sua esistenza. A Gerba non sarebbe mai successa una cosa del genere.

Un rumore assordante lo fa sobbalzare. Si gira di scatto, con gli occhi spalancati, e un uomo chiuso in uno scatolone di metallo agita le mani verso di lui, guardandolo con un'espressione nel volto che non ha mai visto. Sta urlando, l'uomo, ma il chiasso intorno a lui è tale da non permettergli di sentire nulla. Di nuovo il rumore assordante che gli fa pizzicare gli occhi, annebbiandogli la vista.

“Brutto imbecille! Togliti dalla strada! Che cazzo stai facendo?!” urla un altro uomo in un'altra scatola di metallo. Questa volta Harry lo riesce a sentire perché il suddetto uomo è uscito dalla trappola infernale e gli sta puntando una mano contro, con fare minaccioso.

Un braccio lo afferra con prepotenza, spostandolo dal punto in cui si trova. Il cuore ora sta minacciando di uscirgli dalla gola, letteralmente.

“Sei impazzito, amico? Che ci facevi in mezzo alla strada? Ti è dato di volta il cervello, per caso?”

Harry si gira, trovandosi di fronte il possessore del braccio che l'ha trascinato via: è un ragazzo. Ha i capelli scuri, color terra, e due occhi pungenti, di un celeste abbagliante. Lo sta fissando insistentemente e il fiato gli va via dai polmoni, così, dal nulla. Il naso delicato e gli zigomi taglienti, coperti da barba disordinata, lo distraggono dalla voce squillante che lo apostrofa di nuovo, “Ci sei? Sei vivo? Oh! Rispondimi!”

“Ciao,” mormora Harry con un filo di voce, lo sguardo imbambolato sulle labbra rosee dell'altro. Il ragazzo aggrotta le sopracciglia, perfettamente curve, e lo guarda diffidente.

“Ti sei fatto di eroina, amico?”

Harry non sa cosa sia l'eroina, non l'ha mai sentita nominare da nessuno in città, ma, da come l'ha pronunciata, non sembra una cosa molto bella, quindi “No,” risponde, schiarendosi la gola.

L'altro non è molto convinto, si vede chiaramente, ma porge comunque una mano e “Sono Louis,” dice.

E' un nome particolare, pensa Harry. Gli piace molto e sembra essere fatto su misura per il ragazzo che ha di fronte, “Mi chiamo Harry.”

“Bene, Harry,” dice con una punta di sarcasmo ed impazienza, “Mi vuoi spiegare perché eri in mezzo ad una delle strade più affollate di Londra, fermo a fissare le macchine come uno squilibrato mentale?”

“Non ci credo,” esclama lui in risposta, sorridendo entusiasta, “Allora è così che è fatta una macchina!”

Il ragazzo lo guarda offeso ed irritato. Non è una bella espressione, ma sul suo viso dà un che di puerile che gli dona terribilmente, “Senti, se hai intenzione di prendermi per il culo, me ne torno a lavoro ché ho da fare.”

“No! No, non te ne andare, ti prego. Non mi lasciare solo. Sei l'unico che mi ha rivolto parola,” si affretta a dire Harry, la paura di restare di nuovo in solitudine lo invade come un tornado nelle vene, facendogli battere più velocemente il cuore.

Louis rimane sbigottito, come preso alla sprovvista da tale irruenza. Tossisce nel proprio pugno, passandosi una mano fra la frangia scomposta ed annuendo flebilmente, “Ok, ok. Sta' calmo, non me ne vado, però spiegami che diamine stavi facendo.”

“Mi sono perso.” Ed è la verità: si è perso in un posto di cui non conosceva l'esistenza, ha perso la propria famiglia, la propria città ed ogni sciocca convinzione che diciotto anni di vita gli hanno dato. Come si può vivere per quasi due decadi senza sapere che c'è altro oltre alla propria isola e poi scoprirlo tutto ad un tratto senza preavviso? E' spaventoso, ecco cos'è.

“Non sei pratico di Londra?” domanda Louis con un velo più comprensivo negli occhi celesti. Sembra intenerito o forse semplicemente compassionevole.

“Non ho la minima idea di cosa sia, questa Londra.”

E' difficile spiegare cosa gli sia successo perché, in realtà, nemmeno lui ne è certo al cento per cento. Un attimo prima era in biblioteca, a leggere un libro, e l'attimo dopo si è ritrovato in un vicolo che non era di Gerba, con alle spalle una minuscola porticina di legno, chiusa a chiave, e di fronte un viavai di persone vestite in maniera assurda, con colori e capi differenti l'uno dall'altro. Ha riconosciuto la paura all'istante. Era la prima volta che la provava, ma le descrizioni che ha divorato con gli occhi durante le lunghe ore di lavoro hanno dato subito i loro frutti, riportandogli alla mente tutti gli aggettivi strani e fino ad allora sempre stati ipotetici e non sperimentabili che tanto lo affascinavano. Poi è stato un susseguirsi rapido di situazioni anormali: milioni di scatole quasi fluttuanti, attaccate al terreno con delle ruote (macchine, si chiamano così), il freddo dell'acqua di una pozzanghera addosso, il camminare a lungo ed in largo, il vociare insistente e apatico della gente che camminava con fretta intorno a lui, la necessità di scappare, da qualche parte, da qualsiasi parte e di rifugiarsi da tutto e tutti. Di aspettare che l'incubo finisca e di risvegliarsi con il fiatone nel silenzio della biblioteca solitaria.

Tutto questo non è successo però. Non si è svegliato e non si è fatto una risata per l'assurdità del proprio subconscio che crea tali allucinazioni perché è arrivato Louis e, può giurarci, lui non è di certo immaginario. Come non è immaginaria l'espressione allibita che ha ora che gli ha spiegato tutto. Ha un viso molto espressivo, questo ragazzo.

Cristo,” mugola fra sé, sconsolato, nascondendo il viso fra le mani, “Allora sei davvero uno squilibrato. Mi mancava lo psicopatico, oggi.”

“Ehi!” ribatte, leggermente ferito, “Io non sono psicopatico. Quello che ti ho detto è vero!”

Louis lo fissa con il solito sopracciglio alzato. Schiocca le labbra rosee ed incrocia le braccia al petto con un tono più che irrisorio, “Ah, quindi fammi capire: tu sei un abitante di Gerba, questa bellissima isola in mezzo al mare di cui nessuno sulla faccia della Terra è a conoscenza-” Terra, pensa Harry, è questa quindi la Terra, “e sei capitato, per qualche strano sortilegio, qui, a Londra, senza un motivo e non sai come tornare a casa tua. Beh, hai ragione. Suona terribilmente realistico e verosimile, scusami per non averti creduto subito.”

“Voglio solo tornare a casa, Louis. Non mi importa se mi credi o meno. Non so chi tu sia, cosa sia questo posto e perché mi trovi qui, ma ho paura. Tanta paura. Non ho la più pallida idea di cosa fare, da chi andare, come sopravvivere e - e l'idea di non vedere mai più la mia città o la mia famiglia mi uccide. Ti prego, aiutami. Devo solo ritrovare quel vicolo e trovare il modo di tornarmene da dove sono venuto. Sei l'unica persona che mi abbia rivolto parola finora, ti scongiuro.”

Louis si morde il labbro inferiore, indeciso. Tiene lo sguardo basso, come a pensare, ma l'espressione di fastidio che aveva prima di parlare è praticamente scomparsa. La luce del Sole è leggera sul suo viso; crea delicate ombre che mettono in risalto il taglio secco degli zigomi, “Ok,” mormora dopo qualche secondo, “Ti aiuterò a cercare questo vicolo, ma – oh, per la miseria. Al diavolo. Augurati solo che dietro questo tuo visetto angelico non si nascondano le intenzioni di un maniaco o di che so io perché, giuro su Dio, che se allunghi un solo dito verso di me, ti prendo a calci nelle palle, intesi?”

Harry non ha capito molto quello che voglia dire. Non sa cosa sia un maniaco, ma annuisce con la testa velocemente per rassicurarlo. Gli sorride nella maniera più sincera che conosce ed è quasi tentato di stritolarlo in un abbraccio per la felicità, ma si frena all'ultimo momento; lo aiuterà a tornare a casa e non può farsi scappare un'opportunità del genere facendo cose che probabilmente non gli farebbero piacere.

“Forza, prima di andare alla ricerca di questo tuo amato vicolo devo finire il turno o Liam mi ammazza. E soprattutto devo chiamare Zayn per farmi portare dei suoi vestiti da prestarti perché non ho la minima voglia di farmi vedere in giro con uno che assomiglia ad un discepolo di Gesù in versione sfigata. Muovi quel culo secco e seguimi,” sbotta il ragazzo con noia. Harry non fa in tempo a rispondergli o a ringraziarlo per aver acconsentito ad aiutarlo che quello sta già camminando a spasso spedito lungo il marciapiede, costringendolo a corrergli dietro per il timore di perderlo fra la folla.

 

*

 

“Sono qua,” urla Louis spalancando la porta del retro e lanciando il cappotto al suo usuale posto, la sedia. Liam spunta fuori dall'entrata che porta al bancone con aria di rimprovero. Ah, Liam, caro vecchio Liam che non cambierà mai.

Louis,” ringhia il ragazzo con i denti stretti, “Ti avevo detto dieci minuti. Perché non sai mantenere la par- oh,” esclama, sorpreso. I suoi occhi scuri puntano qualcosa dietro alle sue spalle, “E lui chi sarebbe?”

Ah, già. “Lui,” dice indicando approssimativamente la figura alta che sta immobile sullo stipite con fare imbarazzato, “è Harry. Harry, ti presento l'imparagonabile e più che comprensivo Liam Payne. Il suo sguardo da madre rimproverante ti rimarrà impresso nella mente per il resto della tua vita. Lo fa, di media, trenta-trentacinque volte al giorno. Impossibile non assistere a tale privilegio almeno una volta, ti assicuro.”

L'amico lo fulmina con gli occhi, “Piacere Harry,” biascica frettolosamente verso il riccio prima di riportare l'attenzione su di lui, “E tu, testa di cazzo, cerca di essere meno sarcastico verso chi ti salva il culo ogni benedetto giorno.”

Louis alza gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente, “Oh, beh. Mettila così, Payno. Salvando il mio culo, preservi un'opera d'arte che dovrebbe essere sotto tutela mondiale. Tutti gli esseri umani te ne saranno grati, stanne certo.”

Una leggera risatina gli arriva alle orecchie. Si gira di scatto, beccando Harry che nasconde la bocca dietro un palmo della mano. E' – tenero. Ancora di più quando nota lo sguardo curioso di Louis su di sé ed arrossisce immediatamente, schiarendosi la gola con fare indifferente.

“Louis, mi puoi spiegare che cosa succede e perché c'è un ragazzo che assomiglia ad un discepolo di Cristo sulla soglia dello Starbucks dove lavoriamo?”

Diamine, lo avevo detto lui che Harry assomiglia ad un discepolo, “Si è perso,” risponde semplicemente, come se una frase spiegasse perché si è portato dietro uno psicopatico che sostiene di venire da un paese inesistente e perché abbia accettato di aiutarlo. Beh, Liam in fondo non deve sapere tutto questo.

“Ed è qui perché?” insiste infastidito, dando un'occhiata veloce dietro di sé; la voce di Perrie che parla con dei clienti è squillante e vagamente stressata. Ci deve essere un gran numero di persone, lì dietro. E' praticamente ora di pranzo, d'altra parte. Per fortuna che Louis non è al posto suo.

“Perché mi ha chiesto di aiutarlo a tornare a casa.”

Gli basta un breve sguardo negli occhi di Liam per sapere quello che sta per dire quindi, “No, Liam,” lo precede, facendogli chiudere di scatto la bocca, “Niente ramanzine. Mi dispiace di aver fatto ritardo e blah blah blah. Mi farò perdonare, te lo prometto, ma ora non ho tempo di sentire i tuoi rimproveri circa la mia immaturità o sconsideratezza o per il mio sarcasmo ompollo-”

“Ampolloso.”

“Quello. Comunque, ho da fare. Devo finire il turno e farmi trovare fintamente indaffarato prima che Simon arrivi a controllare, per poi camminare per mezza Londra alla ricerca del vicolo perduto dal qui presente Harry. Quindi, se mi vuoi scusare,” esclama rimettendosi il grembiule ed estraendo contemporaneamente il cellulare dalla tasca per inviare un messaggio a Zayn. Liam lo guarda come se gli fossero cresciute all'improvviso altre due teste.

“Vicol-”

“Shh,” sbotta Louis mettendogli un dito sulle labbra e scuotendo la testa, “Niente domande, Liam. Il tempo scorre, tic-toc.” Il ragazzo alza gli occhi al cielo, scostandosi d'improvviso per sparire dietro la porta, facendogli sbattere uno dei due battenti sul naso. Fortunatamente non troppo forte da fare davvero male.

Harry si schiarisce di nuovo la gola, mormorando imbarazzato, “Io dove mi metto?” Louis alza gli occhi al cielo e gli fa segno di seguirlo dietro il bancone. Gli indica un tavolo dove sedersi e comincia a lavorare, ignorando la vocetta nella testa che gli dice di essere un po' più garbato con questo ragazzo (pazzo) impaurito. Purtroppo è un maestro nel non ascoltarla.

Sono circa due ore che Harry è seduto immobile nella stessa identica posizione. Se non stesse respirando, lo potrebbe tranquillamente scambiare per morto. Ha tra le mani un libro, uno di quei romanzi senza senso che Liam ama tenere nella borsa sdrucita, sempre a portata di mano. Dice, Liam, di avere una specie di blocco: non riesce ad uscire di casa senza sapere con certezza di avere qualcosa da leggere casomai si presentasse un attimo di tempo libero. Louis lo prende in giro per questo fatto da, più o meno, l'esatto giorno in cui l'ha conosciuto, due anni fa, assorto nella lettura di un tomo megagalattico su una panchina pitturata da poco del parco sotto casa. E' stata amicizia a prima vista, anche se Liam continua a sostenere di non essere mai stato suo amico nemmeno lontanamente e di non volerlo essere per gli anni a venire. In realtà lo ama. Tutti lo amano, è inevitabile.

“Sei vivo?”

Harry sobbalza sul posto, biascicando un lievissimo mugolio di sorpresa. Alza gli occhi e lo guarda, sorridendo sempre di più in una frazione di secondo, “Questo libro è – è stupendo!” esclama infervorato. Il verde degli occhi è brillante, intenso. Si potrebbe definire bello, ma preferisce non farlo, a dirla tutta.

“Oh, beh. Non ne ho idea, è di Liam, quindi...Comunque dobbiamo andare. Ho finito il turno e sono già le tre, cerchiamo di fare il prima possibile,” risponde, scrollando le spalle. Il riccio annuisce, mordicchiandosi un labbro e abbassandosi il lembo della maglietta nera troppo corta sul suo busto slanciato. Non si può dire che Zayn abbia gusti schifosi in fatto di moda. Certo, il suo guardaroba è interamente nero o grigio scuro, ma addosso a lui anche un sacco dell'immondizia o una tovaglia di sua nonna sembrerebbero abiti d'alta moda. Devono essere il colore mulatto della pelle, perfettamente liscia, e le ciglia fitte e lunghe quanto ventagli a fare questa magia. Va beh, non lo sa di preciso, ma rimane il fatto che il suo coinquilino potrebbe fare il modello per Burberry se non fosse così fissato con la Letteratura. E rimane sempre il fatto che i vestiti che Zayn gli ha portato, lamentandosi e offendendolo in malo modo su quanto sia inaffidabile, infantile, sconsiderato eccetera eccetera, stiano ad Harry cento volte meglio di quanto stiano a lui. E' difficile anche da credere, detto con sincerità.

Quando gliel'ha messi davanti e gli ha detto “Va' a cambiarti”, Harry l'ha guardato interrogativo. Ha fissato per qualche istante i panni che aveva in mano, osservandoli con cura e curiosità e – e poi Louis si è trovato costretto a doverlo letteralmente spingere dentro il bagno prima che cominciasse a spogliarsi davanti a tutta la caffetteria. Ok, forse a Louis non sarebbe dispiaciuto, ma non c'entra niente. Diciamo che l'ha fatto per il bene di Liam che era sul punto di svenire dall'imbarazzo e per evitare il definitivo licenziamento per aver portato un nudista sul posto di lavoro. Uscito dal bagno, sembrava un'altra persona. Le gambe, fasciate dal jeans scuro, erano di una femminilità assurda, cosa che di norma farebbe distogliere immediatamente l'interesse di Louis, ma che, per qualche strano motivo, lo hanno intrigato sempre di più. La maglietta era un po' corta a causa della differenza di altezza fra il proprietario e l'attuale manichino eppure gli stava benissimo, accentuando le spalle larghe e i fianchi stretti.

“Perché siete tutti vestiti in maniera diversa? E, soprattutto, come si chiamano questi?” gli ha domandato tirando con le dita i pantaloni. Louis è scoppiato a ridere, ma si è fermato non appena ha notato il suo sguardo ferito.

“Sono pantaloni, sai. Quelle cose che si mettono normalmente alle gambe.”

“Avevo intuito che andassero lì, ma perché?

Se non fosse stato per il tono serio e il cipiglio convinto, Louis avrebbe creduto che davvero lo stesse prendendo in giro. Evidentemente, Harry non aveva idea dell'esistenza di più tipi di vestiti, modelli, colori e stoffe. E' come se questo ragazzo venisse dal paleolitico, sotto certi aspetti. Sembra ignaro di ogni singola strada che non segua quella maestra, quella che conosce.

A Gerba esiste solo la tunica bianca, lunga fino alle ginocchia d'Estate, fino ai piedi d'Inverno. E' fatta in modo tale da risultare leggera durante le stagioni calde e viceversa. Non esistono colori differenti o modelli o qualsiasi altra cosa che non sia questa. E' piuttosto triste, ma Harry dice che tutti sono felici quindi Louis lascia perdere il discorso.

Non hanno libri di avventura, gli racconta mentre escono dalla porta della caffetteria. Il vento gelido lo investe, facendolo rabbrividire e stringere di più nel cappotto. Il riccio non si smuove di un millimetro quando entra a contatto con l'Inverno inoltrato di Londra.

“Quel libro, quello di Liam, è la prima avventura che abbia mai letto in vita mia,” esclama entusiasta, “Non ci sono libri simili nella mia città.”

Louis si gira a guardarlo, sfregando le mani e girando l'angolo per entrare nella via principale, “Che vuol dire, scusa?”

“Che semplicemente non esistono cose del genere. Una volta il mio migliore amico ne ha trovato uno che parlava di un ragazzo che abitava in questo posto chiamato Terra, insomma qua, però non l'abbiamo mai letto. Cioè, ho letto qualcosa che assomigliava forse a questo genere, ma – di nascosto. Questo è il primo che leggo alla luce del Sole, per così dire,” puntualizza, scrollando un po' le spalle.

I riccioli scuri gli cascano sulla fronte, costringendolo a scostarli con le mani giganti ad ogni passo. E' alto sei o sette centimetri più di lui eppure sembra sovrastarlo di metri e metri. Louis si sente piccolo a confronto e la cosa non gli dispiace più di quanto dovrebbe.

“Non capisco. Se, come dici, in questo tuo paese, non avete libri, vi vestite tutti uguali e chissà cos'altro, come passate il vostro tempo?”

“Lavoriamo. Ognuno fa qualcosa, nessuno è senza un'occupazione,” risponde infilando una mano in tasca. Per essere la prima volta che indossa dei jeans, è già dannatamente a suo agio in essi. Sembra averceli addosso dalla nascita per la disinvoltura con cui ci cammina.

“Dio, per fortuna non abito lì, allora. Avrei già tentato il suicidio,” sbuffa, alzando gli occhi al cielo. La risposta che ottiene è una risata un po' troppo forzata per essere vera.

Louis ha la pelle che pizzica. E' una di quelle fastidiose irritazioni sotto pelle, quelle sensazioni che non sai spiegarti, ma che ti fanno prudere ogni lembo con insistenza. Ha come un piccolo nodo in gola quando lancia un'occhiata al ragazzo accanto a sé. Il suo sguardo verde è perso in ammirazione verso tutte le cose che lo circondano, le persone che gli passano accanto.

Fin da piccolo, Louis non ha mai creduto alla gente. Non si fidava di nessuno che non fosse della famiglia e, spesso, faticava a considerare veritiera anche qualche uscita di sorelle, genitori o famigliari. Con Zayn è stato diverso: all'inizio, era solo cortesia. Saluti di buongiorno, sorrisi tirati quando si incontravano nel salotto e qualche parola scambiata per l'affitto o la spesa. Louis non si fidava di Zayn e Zayn a sua volta non si fidava di lui, ovviamente. Era tutto molto palpabile, ma non c'era aria di guerra o di contesa. Andava bene ad entrambi quindi non c'erano problemi.

Louis aveva cambiato idea quando, un giorno, entrando per posare delle cose in camera del suo coinquilino, aveva scorto attaccati al muro dei disegni ad acquarello. Erano tutte macchie scure, con minuscoli, quasi inesistenti spruzzi di colore qua e là, ma per la maggior parte nero, grigio scuro e marrone terra, stesi con pennellate ruvide e frettolose, rabbiose. Aveva avuto i brividi, nel guardarli, una sensazione d'irrequietezza nel sangue. Scostato lo sguardo a terra, si era affrettato ad uscire da quella stanza, eppure un altro disegno aveva catturato la sua attenzione: uno scarabocchio di un bambino di poco più di quattro anni al massimo, fatto su un pezzo di carta strappata a mano con penne colorate. Era proprio in mezzo al muro, circondato dalla cupezza degli altri, e spiccava brillante e fiero come un piccolo diamante lucido nascosto da mille foglie marce. Imponente e bellissimo. Per il mio papà era la scritta traballante all'angolo.

Nell'oblio che è l'esistenza umana, Zayn aveva trovato uno scoglio a cui appigliarsi per non farsi trascinare dalla corrente troppo forte. Non si era imposto di vivere bene, ma semplicemente di sopravvivere al meglio. Questo era quello che aveva spinto Louis ad aprire le porte per una possibile conoscenza.

Harry esclama un “Oh” sorpreso come un bambino e Louis vorrebbe sbattere la testa al muro. E' la situazione più assurda che gli sia mai capitata. C'è un ragazzo accanto a lui che sembra aver vissuto in una bolla di ignoranza per tutta la sua vita e che sostiene di venire da un paese inesistente e, ciliegina sulla torta, Louis gli crede. C'è una parte di lui che si dà dell'imbecille mentecatto, ma l'altra dice che sta facendo bene, che questi occhi verdi e sinceri non possono star dicendo cavolate. Non può essersi inventato tutto.

“Mio Dio,” mugola elettrizzato, stringendogli debolmente una spalla. Le gambe di Louis cedono per una frazione di secondo, “Chi è quello?!”

Louis punta lo sguardo verso la direzione che il dito gli segnala e quello che vede è – un semplicissimo artista di strada che imita le persone in cerca di qualche spicciolo per mangiare qualcosa di caldo.

“E' un artista di strada, Harry. Imita le persone per racimolare monete.”

Gli occhi verdi di Harry sono confusi, “E perché ha bisogno di soldi?” domanda con le sopracciglia aggrottate.

“Perché non ha un lavoro e deve pur campare di qualcosa.”

Harry apre la bocca, esterrefatto, “Non ha un lavoro?! Ma com'è possibile?” La sua voce ha raggiunto il tono di quella di un infante che non capisce perché non può ottenere tutti i giocattoli che chiede ai genitori.

Louis alza le spalle, mordicchiandosi un labbro mentre l'uomo con il viso dipinto fa ridere una bambina bionda facendole facce buffe. La madre sorride, frugando nelle tasche per qualcosa da dargli.

“A Gerba tutti hanno un lavoro dai diciotto anni e quello si tengono per tutta la vita. Te lo assegna la città dopo un test. Azzecca sempre quello che ti calza a pennello,” mormora Harry fissando la scena con uno sguardo intenso. Gli angoli della bocca sono vagamente tirati verso l'alto, in qualcosa di amaro.

“Tu cosa fai?” domanda portando l'attenzione su di lui. Le guance sono arrossate per il freddo.

“Sono il bibliotecario.”

“E ti piace?” chiede, chinando appena la testa di lato. Harry sorride davvero, stavolta, ma rimane comunque un velo di amarezza.

“Non lo so.”

Louis non spinge oltre. Harry insiste per andare a dare qualcosa all'artista che ora fa il verso al marito di una coppia di sposini stranieri che ridono come non mai. Louis vorrebbe dirgli che non ha abbastanza soldi per permettersi di fare l'elemosina, ma il sorriso del riccio è talmente splendente quando vede le monete cadere nel cappello e quando l'uomo si inchina che quasi gli passa di mente il fatto di essere al rosso da almeno due giorni pieni.

Lo porta nei pressi del London Eye perché vuole vedere i vicoli di quel quartiere. La descrizione potrebbe calzare con il posto, ma Harry scuote la testa ad ogni piccola viuzza che gli mostra. Non appena vede la giostra però, apre la bocca come un pesce e - scoppia a piangere. Grosse lacrime gli scendono lungo le guance chiare e tira su con il naso con un sorriso che illumina mezza città.

“Non so p-perché stia piangendo. Da noi piangono solo le madri quando partoriscono, non mi è mai successo, non - Dio, è la cosa più bella che abbia visto,” sussurra con un filo di voce, il respiro ancora spezzato. Louis si morde un labbro, in silenzio, e stringe i pugni per sopprimere l'istinto inusuale di volerlo abbracciare. Di volere abbracciare una persona che non conosce solo perché sta tremando come una foglia per l'emozione, “Perché sto piangendo, Louis?” gli domanda con la più disarmante onestà.

“Perché ti sei emozionato, suppongo,” biascica, grattandosi il retro del collo e guardando distrattamente altrove.

“Sono davvero felice. Grazie di avermi portato qua.” E anche se sta piangendo e ha gli occhi rossi per lo sforzo, il suo sorriso è il più bello che gli abbia rivolto dalle tre ore che hanno trascorso insieme. Louis è un po' senza fiato per qualche secondo.

Gli fa mangiare un fish&chips al molo quando sente il suo stomaco brontolare con insistenza. Harry ingoia le patatine come fossero caviale, mugolando compiaciuto ad ogni morso di pesce o ad ogni pezzo di tubero/cartone trangugiato. Socchiude gli occhi, soddisfatto, e si lecca le labbra rosse unte, sospirando. Louis sposta gli occhi sul proprio cartoccio, sopprimendo un sorriso minuscolo. Sorride solo perché, fra poco, è sicuro che troveranno quel maledetto vicolo ed Harry tornerà da dove è venuto, lasciandolo finalmente libero. Sorride per questo, ovviamente. E' così fuori dalla ragione umana, questo incontro, questa giornata, che quasi gli viene da ridere per l'assurdità del tutto. Eppure, vuole credergli o fare finta di farlo. Credere in un paese dove tutto è regolato alla perfezione e dove tutti sono felici, come gli ha ribadito più volte Harry.

Lo guarda di sfuggita e non riesce a spiegarsi come riesca ad essere davvero felice con tutto questo. Questa stabilità, queste certezze costanti, questa vita già settata dalla nascita.

Butta il cartoccio finito nel secchio e si alza spolverando i jeans. Harry fa lo stesso in un istante, sorridendogli incoraggiante. Louis prende un respiro profondo, “Andiamo di là, forse possiamo guardare fra quelle stradine, ma dobbiamo sbrigarci ché c'è da attraversare il parco,” dice dando un'occhiata all'orologio. Harry annuisce, fiducioso, e i ricci si muovono insieme alla sua testa, facendogli perdere dieci anni di età; è un bambino in un corpo da uomo.

Louis respira profondamente un'altra volta. Entro sera deve farlo tornare da dove diavolo è venuto.

 

*

 

Harry non è mai stato così felice in vita sua. Non si ricorda di aver provato, in diciotto anni di vita, emozioni così travolgenti come quelle che sta provando in questa manciata di ore. Com'è possibile che nessuno a Gerba fosse a conoscenza di tutto questo? Non riesce a spiegarselo. Ogni cosa è così bella, qui. Per la prima volta, dopo tanto tempo, sente la stessa euforia che provava da piccolo quando Niall restava il Sabato sera a dormire da lui, solo più intensificata. E' pieno di energie e sorride. Sorride ad ogni cosa, ad ogni oggetto, ad ogni pianta, ad ogni persona che incontra. Sorride soprattutto a Louis. In fondo, è grazie a lui se è così felice. E' tutto merito suo se si sente al settimo cielo.

“Muoviti, Harold. Con quelle tue gambe infinite dovresti essere già arrivato dall'altra parte del parco.”

Harry arrossisce appena, mordicchiandosi un labbro ed affrettando il passo. La frangia di Louis balzella sulla fronte ad ogni passo, aumentando, in qualche modo, l'intensità pungente delle iridi celesti. Gli fanno stringere lo stomaco ogni volta che lo guardano. E' strano.

Questo posto, così pieno di persone e di cose e di oggetti assurdi, lo affascina terribilmente. Lo carica di una elettricità che non credeva presente dentro di sé. Sente il bisogno di ridere e di urlare ad occhi chiusi finché il fiato non è finito, ma non sa perché. Il cervello sembra impazzito, turbina a velocità mostruosa ad ogni nuova cosa su cui posa lo sguardo. Dovrebbe essere impaurito. Dovrebbe tremare come una foglia proprio come faceva prima, appena arrivato, solo nella strada. Poi però è arrivato Louis e la sua mente deve aver scelto di non aver tempo per essere intimorita, optando invece per farsi ammaliare da questa nuova realtà. Forse è stata la presenza di Louis a renderlo più sicuro. Devono essere stati i suoi sorrisi sarcastici e quel modo nervoso di spostarsi i capelli dagli occhi. Diamine...Che gli sta succedendo? Perché gli fa male lo stomaco ogni volta che incrocia il suo sguardo? Sembra quasi che dentro la pancia sia nato un gruppo di farfalle impazzite che sbattono le ali senza un attimo di tregua...

Harry sbarra gli occhi, improvvisamente senza fiato. Le farfalle nello stomaco. Ha le farfalle nello stomaco, non è possibile. No, non può essere.

“Louis! Non ci credo. Ciao! Come stai?”

Un uomo alto più o meno quanto Harry, con un'alta cresta bruna poggia una mano sulla spalla di Louis. Harry non si era nemmeno accorto che si fosse avvicinato. Appena vede però Louis sorridere a tutti denti, se ne accorge eccome. Soprattutto per il doloroso groppo che gli si forma in gola.

“Nicholas, ciao. Che coincidenza, erano settimane che non ci vedevamo,” esclama il ragazzo stringendo il tizio in un abbraccio caloroso. Harry ha una strana voglia di separarli a mani nude e ringhiare verso lo sconosciuto. Si ferma un secondo prima di farlo; forse non sarebbe molto educato.

Louis lo presenta a questo Nicholas ed Harry decide che non è più felice. Si sente come prima di arrivare qui: strano. Più li guarda parlare, più non è felice. Perché? Dopo un po' Nicholas se ne va, ma la sensazione fastidiosa rimane. Louis riprende a camminare senza dire nulla.

“Cosa significa se sentivo un nodo alla gola quando parlavi con il tuo amico?” gli domanda, pochi passi dietro di lui. Il ragazzo si ferma, girandosi e guardandolo stralunato.

“Sentivi un nodo alla gola?” Harry annuisce semplicemente, infilando le mani nelle tasche (sono ufficialmente una delle cose più accattivanti di questo posto).

“Avevo tipo un istinto di spostarti dalle sue braccia. Che cosa vuol dire?” insiste, spostando un sasso con la punta delle scarpe. Lo sguardo di Louis è pungente sulla sua pelle.

“Non ne ho idea,” risponde velocemente, portando gli occhi verso il viale di alberi che stanno percorrendo. Harry però non è stupido, sa quando una persona sta dicendo una bugia: è abituato a sua madre che inventa frottole per nascondergli l'ennesima festa a sorpresa per il compleanno.

“Dimmi la verità.”

Louis ha la stessa espressione di un bambino che è stato sorpreso a mangiare la cioccolata di nascosto. E' quasi adorabile, se non fosse per il tono scocciato ed irritato che ha, “Ti ho detto la verità, Harry,” sbotta quasi sibilando, “Non ho idea di cosa significhi.”

Harry annuisce, semplicemente. Non è il caso di insistere: Louis sembra essere improvvisamente molto nervoso ed irascibile. Ricominciano a camminare in fretta, ma il parco è infinito. Il cancello di uscita è come un miraggio che continua a spostarsi ad ogni metro fatto.

Non si è mai domandato cosa significhi essere felice. Lo sempre e solo stato. E' nato con una famiglia che lo ama, è cresciuto in una società che lo apprezza, ha vissuto in una città che è perfetta. A che serve chiedersi cosa significhi? Tutta va bene, da lui. Tutti sorridono, si innamorano, si sposano, fanno figli, lavorano, fanno un'ultima grande festa e vengono portati verso il Nirvana dal Congresso. E' bello. La parola male l'ha sentita solo due volte in tutta la sua vita ed era sempre riferita a qualche piccola sbucciatura che Niall si era fatto cadendo.

Sua madre gli raccontava storie di eroi che nascevano per fare il bene dello Stato. Non gli sono mai piaciute, quelle storie. Preferiva i libri che trovava nello scaffale più remoto delle biblioteca, quello tarlato e polveroso che nessuno guardava mai perché, semplicemente, non era bello. Lui invece ci passava i pomeriggi. Ha letto tutti i volumi, consumando le pagine, lasciando le proprie impronte sulla carta rovinata. Non l'ha mai detto a nessuno perché, quei racconti, non sono ben visti a Gerba. Li tenevano lì solo per stanchezza, forse. Toglierli sarebbe stato più faticoso che lasciarli a marcire. In fondo, a nessuno interessavano. Beh, quasi a nessuno. Sono scomparsi da circa cinque anni.

Il suo libro preferito era un certo Il barone rampante. L'ha trovato per caso un pomeriggio d'Autunno, dopo scuola. L'ha finito in una notte, procurandosi la mattina dopo delle occhiaie spaventose, ma poco gli è importato. Lo avrebbe rifatto mille e mille volte ancora. Si sentiva un po' come Cosimo, il protagonista. Anzi, diciamo che si sarebbe voluto sentire come lui: lasciare tutto e vivere su un albero solo per il gusto di disobbedire. O forse c'era qualcosa di più oltre al capriccio di un bambino. Forse era voglia di indipendenza, di libertà. Lui non sa se ha libertà, a Gerba. Ha letto il concetto infinite volte su infiniti libri, ma non ha mai capito se lui, Harry Styles, sapesse davvero cosa la libertà fosse. Poi c'era l'amore con Viola, la bella ed incostante bambina che Cosimo ama fino alla fine. Su quello, forse, non ha da dire molto. Non sa cosa sia, l'amore, e tutte le volte che le persone che conosce hanno provato a spiegarglielo è rimasto un po' deluso. Sa che alla fine, nella testa, ha un'idea tutta sua di come questo sentimento debba essere.

Ha visto i propri genitori follemente innamorati, Gemma con suo marito, Niall ed Emily, ma tutto gli sapeva di sbagliato, di incompleto. Ha letto questi libri, provenienti da posti sconosciuti che forse nemmeno esistono, e non era comunque soddisfatto. Tutto ha un retrogusto amaro.

L'unica cosa che Harry è sicuro di sapere è che l'amore è sopportazione. Si apprezza la parte migliore l'uno dell'altro e si sopporta la peggiore. A dirla così, è brutto perché tutti descrivono questo sentimento come devozione verso l'amato, incredibile compatibilità, sensazione di completezza quando si è insieme. Non si è mai innamorato e non dovrebbe poter mettere bocca su questo argomento, ma a nessuno interessa quello che rimane nei meandri dei suoi pensieri quindi può fare quello che vuole. L'anima gemella, secondo lui, quella di cui sua sorella parla da quando ha undici anni e che sostiene di aver trovato ora, non esiste. Non ci può essere una persona di cui si riesca ad accettare tutto, no? Sarebbe letteralmente impossibile. Forse non esiste nemmeno l'amore, è tutto un modo per spingere le persone a procreare nuove esseri viventi. Ecco, sì. L'amore è puro istinto di accoppiamento.

Oh, al diavolo. E' stanco e stremato e – triste? Si dice così se non si è felici? Sì, deve essere questo l'aggettivo. Il vocabolario che ha trovato diceva così: la tristezza è un sentimento opposto alla felicità o gioia. Però, se uno non sa cosa sia davvero essere felici, come può rendersi conto di essere triste?

“Cosa provi quando sei triste, Louis?”

Il ragazzo si gira, fissandolo negli occhi, “Ti senti male,” risponde con sguardo confuso, “Perché?”

“A Gerba non esiste una cosa del genere. Ho imparato questo termine leggendo. Sono tutti felici, da me,” mormora, respirando piano, “Perché io non lo sono, Louis? Perché devo essere così strano?”

La faccia del castano si sgretola come una manciata di polvere al vento: tutta la diffidenza e l'irritazione scivolano via, facendosi sostituire da semplice dolcezza. Si mordicchia un labbro, sospirando appena, “Sediamoci su quella panchina, mh? Ci riposiamo e poi ripartiamo a cercare il tuo vicolo.”

Harry non può che annuire e seguirlo sulla panchina verde, al lato del viale mosso dalla fredda aria invernale. Ha una grossa voragine nel petto e gli manca il fiato. Fa male.

“Fin da piccolo, sono stato strano,” sussurra tenendo lo sguardo sulle proprie mani, blu per il freddo. Sente freddo dentro, però, e non capisce perché, “Ero quello che faceva troppe domande alla madre, quello che voleva sapere se esisteva qualcosa oltre Gerba, se fosse normale che tutte le persone dovessero fare le stesse identiche cose nella propria vita. Tutti mi prendevano solo per curioso e mi arruffavano i capelli, scuotendo il capo. Nessuno mi prendeva sul serio. Alla fine ho smesso, semplicemente. Non ho fatto più domande, mi sono rinchiuso dentro me stesso, ho accettato quello che avevo davanti, senza questioni. I miei amici, mia sorella, i miei genitori, loro sono felici. Amano Gerba e la loro vita e – anch'io. Credo. Non lo so, se devo essere sincero. Non so più niente. Vorrei essere sicuro come lo ero prima di arrivare qui. Forse non ero felice, ma non mi facevo problemi: quello era quello che avevo, quello dovevo farmi piacere. E' così frustrante, Louis. Non posso fare niente. Vorrei cambiare le cose, ma non capisco come, non saprei come. Non – non hai idea di cosa significhi guardare le persone intorno a te sorridere e ridere ogni singolo giorno mentre te non ci riesci e-”

“Credi che non sappia cosa significhi, Harry?” lo interrompe Louis guardandolo con sicurezza. Non è arrabbiato, ma ha un velo di fastidio negli occhi, “Sono, anzi ero, l'unico figlio maschio di una famiglia ricca che fa parte dell'alta società. Fin da quando sono nato mi hanno messo un cartellino al collo con scritto 'figlio perfetto' e in quella maniera dovevo essere, non potevo ribellarmi. Sono il primogenito, sono quello che porta i pantaloni in una banda di figlie femmine e-” si morde un labbro con forza, come a volerlo spezzare, “E sono gay. Sono un maledetto frocio a cui piacciono i ragazzi. Secondo te come mi dovevo sentire io a vedere tutta la mia bella famigliola sorridere a cena quando portavo l'ennesima ragazza che non amavo, ma che li rendeva felici ed elettrizzati? Come mi sentivo quando le mie sorelle portavano invece il proprio fidanzato per presentarlo alla famiglia e desideravo essere al posto loro, a braccetto con un ragazzo, uno qualsiasi, a quel punto non mi importava nemmeno più. So come ti senti, Harry. Lo so perfettamente e ti capisco, ma non dire che non sai come fare, come ribellarti, perché sono convinto che tu lo sappia benissimo. Non ci conosciamo, è vero, e penserai che sono pazzo a farti un discorso del genere, ma non mi importa. Te lo dico da amico, stringi i pugni e fatti forza. Non accettare le cose come ti vengono date, falle tue. Rendile Harry. E – Oh, Dio...Sembra la scena finale di qualche film d'amore.”

La sua risata è così sincera mentre copre la bocca con la mano che Harry dovrebbe ridere, vorrebbe ridere eppure non ci riesce. Nella sua testa rimbombano le sue parole come una nenia infinita. A cui piacciono i ragazzi. Il cuore gli batte forte nel petto quando il ragazzo scuote la testa, divertito dal suo stesso discorso. A cui piacciono i ragazzi. Forse gli uscirà fuori dalla gola e sarà costretto a raccattarlo e mangiarlo per non morire. A cui piacciono i ragazzi.

“Tu – ti piacciono i ragazzi nel senso che-” mormora Harry con le guance che prendono fuoco. Si sente maledettamente stupido.

Un sopracciglio perfetto di Louis si solleva, di nuovo diffidente, “Nel senso che se mi dovessi mai sposare, mi sposerei con un uomo e non con una donna. Ti crea problemi?”

Se ha capito una cosa in queste poche ore che lo conosce, è che odia quando la sua voce diventa difensiva e pronta a graffiare.

“No, no, assolutamente,” si affretta a dire, portando le mani in avanti, “Soltanto non, mh. Non sapevo che esistesse una cosa del genere, ecco,” confessa, abbassando il mento.

Oh,” esclama debolmente Louis, “Non esistono ragazzi innamorati di ragazzi o ragazze innamorate di ragazze da te?”

Scuote velocemente la testa, arrossendo ancora di più, ma nasconde il rossore abbassando di più il viso. E' imbarazzo, quello che sente. Era davvero tanto che non lo sentiva, ad essere sinceri. Non gli piace.

“Beh,” continua il castano, ridacchiando, “fa schifo allora il tuo paese. Senza offesa, naturalmente.”

Harry alza lo sguardo su di lui e un sorriso dolce gli nasce sulle labbra. La pelle si riscalda immediatamente, se ne frega del freddo. Louis sorride a sua volta, chinando appena la testa e strizzando gli occhi con sincerità. Le guance sono rosate per il gelo e sta tremando leggermente, mentre il Sole cala. Harry si scorda subito della sensazione di vuoto che aveva nel petto.

 

*

 

Louis si odia. In ventun anni di vita, non si mai odiato così tanto. Ne ha fatte, di cavolate, ma oggi ha superato davvero se stesso.

Al liceo se la cavava piuttosto bene con Letteratura. Non era ai livelli di Zayn, assolutamente, ma non era nemmeno una schiappa, ecco. La sua professoressa aveva un semplice motto: “Non vi costringerò a studiare perché lo studio deve essere un piacere, non una costrizione.” Purtroppo, la licenziarono dopo un anno e mezzo perché, secondo alcuni genitori, il suo insegnamento non soddisfaceva a sufficienza le loro aspettative, o qualcosa del genere. Louis amava profondamente quella donna.

Era un vecchietta scheletrica con gli occhiali grossi quanto l'intera faccia e la disgustosa abitudine di grattarsi i denti con le unghie quando credeva che nessuno la vedesse. Nonostante i suoi maglioni larghi quanto l'Universo e capaci di inghiottire chiunque si avvicinasse loro, Miss Morgan era l'unica persona che Louis sopportasse sinceramente.

Durante l'ultimo anno, proprio prima che fosse cacciata via da quella banda di zotici, lo aveva preso da parte e gli aveva consegnato un libro nuovo di zecca.

“Fanne buon uso, Louis. Può aprirti gli occhi, ma sta' attento a non farti trasportare troppo forte.”

Non l'aveva capita, lì per lì. Sembrava solo una delle sue solite frasi indecifrabili che faceva piovere come pioggia e che nessuno capiva sul momento, ma che, se uno aveva la decenza di ricordarsela e di ragionarci un attimo in solitudine, prendeva senso.

Il Principe diceva la copertina e già a Louis non era piaciuto, ad istinto. Non ha nulla contro la Regina, ma diciamo che la monarchia non è proprio il suo governo preferito. Comunque, lo aveva cominciato a leggere dopo un po' perché proprio non lo ispirava. Si era sbagliato, eccome. Molte idee non le condivideva, certamente, tipo il fatto che la visione dell'autore fosse o solo bianca o solo nera. La vita, almeno quella di Louis, era piena, straboccante di grigi scuri, chiari, medi.

Una cosa invece che lo aveva profondamente catturato era come, nel 1600, un uomo di uno stato come l'Italia, avesse lo stesso ideale che lui, Louis Tomlinson, al tempo diciottenne insicuro di un paesino sperduto fra le campagne inglesi, teneva stretto nel taschino della camicia da più di tre anni. Era semplicemente incredibile.

Gli uomini giudicano solo con gli occhi, si fanno ingannare dall'apparenza e i pochi che non lo fanno vengono soppressi dalla massa. Come dargli torto?

Lo hanno chiamato misantropo, pessimista, insofferente, musone, ma a lui non interessa. Sente di aver capito la vera essenza dell'uomo e beh, si sente piuttosto figo per questo. Ha capito, con gli anni, che però, per non avere problemi bisogna mettere su tante maschere, in base all'occasione che ci si presenta davanti. Se si è furbi, si riesce ad essere quello che gli altri vogliono, rimanendo saldi ai propri ideali. Per vivere bene, quindi, bisogna fingere, ma rimanere sinceri. Sembra complicato e meschino eppure è l’unico modo per affrontare con relativa serenità questa vita. Si chiama sano egoismo.

Harry stravolge tutto il suo pensiero e si odia. Si maledice per averlo salvato da quella strada e non averlo fatto investire da un camion. La sua vita ora sarebbe mille volte più semplice. Potrebbe essere a casa a mangiare una pizza davanti ad un nuovo episodio di Sherlock Holmes insieme a Zayn. Tutto sarebbe dannatamente più facile. Invece si trova davanti alla Whitechapel Gallery mentre fissa il ragazzo riccio accanto a lui che si guarda intorno con gli occhi pieni di meraviglia e stupore. Gli si stringe lo stomaco ogni volta che sorride a qualcosa che cattura la sua attenzione. Non finge, non ha una maschera per adattarsi. E' sinceramente sorpreso ed estasiato da tutto.

“Possiamo entrare?” domanda con le iridi verdi, brillanti come non mai sotto la luce soffusa dei lampioni accesi. Louis vorrebbe uscire dal proprio corpo e prendersi a schiaffi,“Certo,” si trova a dire. Non potrebbe fare altrimenti, c'è qualcosa che glielo impedisce.

Andare ad una mostra di arte con Harry lo fa rendere conto di quanto non sia più abituato a stupirsi per nulla. Quando vede l'espressione esterrefatta del riccio davanti ad ogni opera d'arte, lo prende per scemo. Perché, dai, sono solo dipinti!

“Lo vedi, Louis? Questa è tranquillità,” mormora davanti ad un quadro. Louis si sforza, ma vede solo una tela macchiata di blu, azzurro e rosa debole. Un bambino di due anni sarebbe stato più capace. Non hanno nulla a che vedere con quei disegni nella stanza di Zayn pur essendo dello stesso tipo. Non gli mandano nessuna sensazione

“Tappa le orecchie e guarda e basta. Entra nel quadro,” continua in un sussurro, come impaurito di spezzare chissà quale incantesimo. Louis alza le sopracciglia e sospira, scuotendo la testa, fa come gli ha detto. Nulla di nulla. Tutto come prima. Macchie informi e scollegate.

Sente una mano grande accarezzare la propria e trattiene il respiro, costringendosi a fissare davanti a sé.

“Entra nel quadro, Louis,” ripete stringendo un po' la presa, “Lasciati andare.”

Louis si lascia andare.

Vede il soffitto della sua stanza, bianco come la neve, falso come tutto intorno a lui. Sente le urla della madre, i pianti delle sorelle, le mani del padre contro le guance. Il freddo di Londra, dormire sotto i ponti, piangere perché non è giusto, perché ha solo diciotto anni e i genitori dovrebbero amarlo incondizionatamente. Ci sono l'alcol e le serate con persone di cui non ricorda il nome che lo hanno solo svuotato, senza lasciargli niente dentro. Poi ci sono Liam e i suoi mattoni nella tracolla; i suoi sorrisi timidi e la voce di rimprovero, di una persona che tiene davvero a te. C'è Zayn con il suo fare misterioso e la sua pelle mulatta che gli fa un po' invidia; i suoi occhi comprensivi e il tacito accordo di non insistere quando lo trova sdraiato sul pavimento con una bottiglia fra le mani e le lacrime agli angoli del viso. Ci sono Perrie, Simon, Miss Beautabox del terzo piano e Mr Fluffy, il gatto più scansafatiche e peloso del Mondo.

Harry. C'è anche Harry. Con i suoi occhi verde smeraldo e il suo sorriso sincero, le sue gambe infinite e le fossette sulle guance. C'è davvero la tranquillità, in tutto questo.

Sbatte le palpebre, tossendo alla ricerca di ossigeno. Stava trattenendo il respiro senza accorgersene. Harry gli sorride piano, un movimento silenzioso delle labbra rosse.

“Te l'avevo detto,” ridacchia, sempre a tono bassissimo. Le parole sono lente, come stanche. Ha una cadenza estremamente lemme e strascicata. E' meravigliosa.

Lo fissa, senza pudore, come se stesse cercando di guardarlo dentro, di vedere cosa nasconde. Si sente nudo e non gli piace. Gli piace avere il controllo della situazione, in ogni caso. Davanti a lui si sente praticamente inerme.

“Vorrei baciarti,” sussurra Harry con quella sincerità disarmante e lo sguardo talmente intenso da fargli venire i brividi. Digli di no, pensa fra sé, è impazzito, sei impazzito se glielo lasci fare.

“Puoi farlo. Non ti fermo,” mormora a sua volta, avvicinandosi leggermente, d'istinto. Che stupido.

Il cuore gli batte fortissimo. Le guance di Harry sono impossibilmente rosse e Louis si sta chiedendo che stia facendo, perché sia così sconsiderato. Smette di farlo non appena sente le labbra morbide del riccio sulle proprie. E' come un cortocircuito. Il cervello fa fumo, tanto fumo e non riesce a pensare a nient'altro che non siano labbra, Harry, calore.

Il ragazzo è quasi intimidito; poggia le mani sui suoi fianchi, stringendo leggermente e una scarica di elettricità scorre lungo tutta la schiena di Louis, facendogli stringere le dita intorno alle ciocche setose. Risponde immediatamente non appena sente la lingua di Harry spingere contro le proprie labbra, spalancandola. Potrà sembrare patetico, ma non gli importa nemmeno da lontano. C'è solo Harry intorno a lui.

Un lieve tossire gli fa sollevare le palpebre e il fiato gli si spezza in gola: il viso di Harry è la cosa più bella che abbia mai visto. Persa nel piacere, le labbra rossissime e gli occhi socchiusi. E' una visione.

“Andiamo,” dice, mandando un'occhiataccia alla donna che li sta fissando con fare schifato. Non pensa, va e basta. Cammina tenendo la mano di Harry nella propria, trascinandolo come un bambino. Si ferma appena vede un bagno. Al diavolo. Spinge la porta ed entra dentro, premendo un attimo dopo Harry contro il muro. Le sue mani enormi lo spingono verso il corpo del riccio, stringendo con più sicurezza. Riattacca le labbra al suo collo, succhiando con forza. Louis cerca di respirare, davvero, ma è dannatamente difficile. Tutte queste sensazioni, tutte insieme. Sono stupefacenti.

Un attimo dopo, dal nulla, Harry lo morde, facendolo mugolare vergognosamente. Sono in bagno di una galleria d'arte e stanno pomiciando come degli adolescenti. Louis è felice. Il riccio comincia a sbottonargli i pantaloni, come se fosse una cosa che fa da sempre. Louis è senza ossa, si lascia manovrare come una bambola, ma sorride, come mai ha fatto. Questa non sa di scopata nel bagno con il primo che ha incontrato, anche se, detto con sincerità, è proprio quello. C'è qualcosa di diverso nel modo in cui Harry gli abbassa i jeans e i boxer, stringendolo in un pugno lente, muovendo ad una velocità agonizzante. Improvvisamente fra troppo caldo in questo bagno dalle mattonelle chiare. Cerca di slacciarsi il giubbotto, buttandolo sul pavimento senza la minima cura. Potrebbe strapparsi la camicia per quanto sta sudando, ma gli basta slacciarla un po', solo per respirare leggermente meglio. Harry lo sta guardando come se volesse rovinarlo. Non sa che l'ha già fatto.

E' tutto talmente veloce nel momento in cui Harry si china in ginocchio, guardandolo come a chiedere il permesso. Louis non riesce a parlare, annuisce e basta, come un demente. Il riccio lecca insicuro la punta, facendogli lasciare un mugolio strozzato che gli fa alzare lo sguardo, preoccupato. Louis mette una mano fra i suoi ricci, per fargli capire che tutto è ok. Più che ok. Meraviglioso, addirittura.

Harry avvolge le labbra intorno a lui del tutto e Louis stringe i denti per non spingergli la testa o per non alzare i fianchi. Lo guarda di nuovo, cercando approvazione; Louis può solo annuire di nuovo, non si fida della propria voce. Non vuole gemere perché si sta trattenendo dal farlo. Quando Harry spinge completamente, toccando i suoi peli scuri con il naso, Louis sente il fondo della sua gola e butta la testa indietro, mordendosi il braccio per non imprecare. E' troppo di già, la sensazione della bocca di Harry, il modo in cui le sue labbra sono tirate intorno al membro.

Un piccolissimo mugolio compiaciuto rende Harry più sicuro, meno esitante. Riesce ad inglobarlo tutto (non sa come ci riesca) e tiene una mano alla base, per quella piccola parte mancante. E' meraviglioso, fottutamente meraviglioso. Non ha idea di come sia possibile che sia così bravo a fare pompini se nel suo paese non esistono nemmeno gli omosessuali. Non gli importa.

“Cristo,” geme, accarezzandogli i capelli, “Così – cazzo.” Harry mugola intorno a lui e Louis nota come la sua mano scivoli in mezzo ai propri pantaloni, per calmare un po' la pressione che tira i jeans neri di Zayn in maniera oscena. E' tutto quello che basta per fargli raggiungere il limite. Gli tira i capelli per farlo spostare, ma Harry geme, forte. Gli piace essere tirato per i capelli.

“Devi – Harry, sto per -” biascica tra un gemito che fa indietreggiare il ragazzo di qualche centimetro. Passa la lingua intorno all'asta per poi scansarsi del tutto. Servono due semplici mosse della mano per farlo venire, il petto stretto senza fiato, la mano ancora fra i ricci.

Harry si pulisce la mano sui suoi boxer e si siede a per terra, con un sorriso compiaciuto in viso. Louis non riesce a credere di essere il primo pompino che fa. Lo prende per il colletto, sollevandolo, e se ne infischia del proprio sperma ai piedi. Harry sembra sulla stessa lunghezza d'onda quando lo bacia con trasporto. Ha il suo sapore sulla lingua.

Lo fa alzare del tutto, spingendolo al muro e chinandosi a sua volta, come Harry ha fatto poco prima. Il riccio emette un verso sorpreso che Louis registra appena, troppo intento a sbottonargli il maledetto bottone dei pantaloni.

Strofina una mano sulla sua lunghezza, coperta dalle mutande umidicce, “Posso restituirti il favore?” chiede, guardandolo intensamente.

Harry annuisce con gli occhi sbarrati. Louis si rende conto di essere il primo a fargli una cosa del genere e vuole che sia bello. Gli toglie il cotone senza guardare dove lo getta. Non può fregargliene meno. Ha bisogno di sentirlo, di farlo gemere con le labbra socchiuse.

Non ha la sua stessa esitazione quando si lecca le labbra e le chiude intorno al suo membro. Muove la lingua sulla punta e le mani di Harry si stringono fra le sue ciocche, tremanti.

“D-Dio,” esclama, disperato. Louis cerca di ghignare, ma è difficile e non molto importante, adesso. Ha una mano sul suo fianco asciutto, per tenerlo, e fa bene perché accidentalmente il ragazzo spinge i fianchi in avanti, prima di cominciare a scusarsi.

Louis succhia solo di più e incava le guance a ritroso. I suoni che Harry fa mentre cerca di reggersi al muro con una mano, grattando le mattonelle, sono la cosa più bella che abbia mai sentito.

Lo avvisa, quando sta per venire. Louis si allontana e muove la mano velocemente, puntando lo sguardo sul suo viso. Quando viene con le labbra in una perfetta o è ancora più mozzafiato che vedere i suoi occhi verdi e brillanti che lo guardano mentre la sua bocca rossa è intorno a lui.

Quando si sono ripresi e parzialmente vestiti, Louis lo guarda per vedere che tutto vada bene. Harry arrossisce, ma sorride come il Sole.

 

*

 

Escono dalla struttura e fa freddo, da fare schifo. Harry trema e non si lamenta, stringe solo la sua mano più forte. E' stupido, averlo preso per mano non appena usciti, ma non ha potuto farne a meno. E' da egoisti, lo sa bene; cerca di non pensarci troppo.

C'è un'aria pesante, tra di loro, che fino a pochi minuti prima non c'era. Louis vorrebbe strillare dalla frustrazione, ma sta zitto e va avanti, attaccato alla mano del riccio come ad una àncora silenziosamente, lungo il marciapiede, non facendo domande, non parlando. L'unico indizio che gli conferma la presenza del ragazzo è il ritmico susseguirsi dei tacchetti degli stivali sull'asfalto e il sudore sul palmo liscio.

“Louis! Louis, Dio! E' questo,” esclama d'improvviso Harry, entusiasta. Sta indicando un vicoletto buio, con un lampione che frizza, minacciando di spegnersi da un momento all'altro. Il nodo nella sua gola si stringe dolorosamente. Gli lascia la mano.

Oh,” mormora, come uno stupido, “Bene.”

Il sorriso di Harry è enorme, da orecchio ad orecchio. Sta fremendo per l'emozione. Teme quasi che possa scoppiare a piangere da un momento all'altro. E' felice che lo abbiano trovato almeno sarà finito tutto prima di domani.

Forse se lo ripete più volte, riesce a convincersi.

Scuote la testa, stringendo i pugni e osserva il ragazzo che fa qualche passo timoroso in avanti, “Sei sicuro che sia questo?” domanda velocemente, infilando le mani in tasca per evitare di prenderlo per la maglia e tirarlo indietro.

Harry si gira, alzando le sopracciglia, sorpreso, ed annuisce, “Assolutamente sicuro.”

Se Louis pensava di odiarsi per essersi fatto convincere ad entrare nella mostra e perdere tempo, si odia ancora di più ora per desiderare di non essere mai uscito da quelle sale. Di dover essere costretto a vedere Harry andarsene. Non vuole. Non ce la fa. Perché non pensa mai? Perché si mette in situazioni che così assurde e complicate?

“Sei stato gentilissimo, Louis. Non te ne sarò mai grato abbastanza.”

Il cuore gli batte forte tanto da fare male. Non te ne andare, pensa, resta qui, ti prego. Non tornare lì. Si morde il labbro con tutta la forza che ha per impedirsi di aprire bocca e fare uscire i pensieri.

“Allora,” mormora Harry, guardando la piccola porta di legno in fondo al vicolo, “Grazie?”

“No,” sbotta, infilando le unghie nei palmi, “Non te ne andare.”

Harry sbarra gli occhi e Louis è convinto che scoppi a ridere per l'assurdità della frase che ha appena blaterato. Quanto è cretino. Si fa sempre troppe illusioni.

“Non me lo puoi chiedere.” E' un sussurro, quasi inudibile. In qualche modo, però, lo fa tremare da capo a piedi.

“Resta qui. Hai detto che-” dice con irruenza, fermandosi un attimo dopo per controllare il tono, “Hai detto che non ti piace vivere lì. Che vuoi cambiare. Beh, questo è un bel cambiamento, no?” insiste, aprendo le braccia e guardandosi intorno.

Harry si morde un labbro, nervosamente, “Voglio cambiare, sì, ma – lì c'è la mia famiglia, Louis. C'è tutto quello che conosco, io – mi spaventa questo posto, ok? Mi intriga tantissimo, ma allo stesso tempo ne sono terrorizzato.”

Louis sbuffa, irritato, “Questo è – essere codardi, ecco. Devi buttarti, non puoi-”

“Codardo?!” lo interrompe con sguardo ferito, “Non osare. Non sai nulla di me. Io non sono un codardo, Louis!”

“E tu come lo chiami uno che scappa da una situazione solo perché ha paura?”

“Schifosamente umano.”

Louis rimane un attimo sbigottito. Non si aspettava una risposta del genere. Brucia e pizzica e fa male e lo fa arrabbiare, ma è come se avesse perso le forze all'improvviso. Si sente sfibrato, vorrebbe solo aprire gli occhi e rendersi conto che era un sogno.

“Mi spaventa questo, Louis,” dice Harry, guardandolo negli occhi, “Quello che ho sentito in un solo pomeriggio. E' più di quanto io abbia mai provato in diciotto anni e mi spaventa, a morte. Alcune sensazioni erano bellissime, ma altre...Dio. Non – non so se sono in grado di sopportare certe cose, capisci? Quando parlavi con il tuo amico o – o quando parlavamo sulla panchina ed addirittura ora...Sono forti, Louis, non credo di essere capace di reggerli.”

La sua voce è piccola, in netto contrasto con il tono roco e strascicato della sua parlata. E' così piccolo, in questo momento. Louis vorrebbe solo stringerlo forte ed accarezzargli i capelli.

“Si chiama vivere, Harry. Puoi pensare che faccia schifo e non ti darei torto, ma non puoi nemmeno rifugiarti nel tuo mondo incantato dove è tutto rose e fiori. Ti sentirai sempre strano, come dici tu. Come se ti mancasse qualcosa. E' spaventoso, vero. Tutti vorrebbero essere sempre e solo felici, ma poi, alla fine, che ti rimane in mano? Solo polvere. Verrai deluso se penserai sempre che le persone siano belle ed oneste, che nessuno voglia farti del male. Ci sarà sempre qualcuno pronto a pugnalarti alle spalle, indubbiamente, ma ci saranno anche tanti individui che ti segneranno in positivo, che condivideranno con te la loro esperienza, la loro vita e con cui crescerai, riderai, piangerai. Vuoi davvero rinunciare a tutto questo? Preferisci realmente tornare a Gerba e fingere di essere felice solo perché non hai avuto il coraggio di buttarti? L'idea di stare qui, in questo Mondo, con sofferenza e cose che lì nel tuo paese perfetto non ci sono, fa paura eppure rimane l'unico modo per cui tu sei Harry e non un altro cittadino di Gerba. E' per questo che ti sei messo a piangere davanti al London Eye mentre altri non lo fanno e perché ti è piaciuto tanto il fish&chips. Tu sei una persona con gusti e pensieri, non un automa che vive solo di felicità.”

Harry sorride, amaro, “Ci vuole forza per essere una persona, è molto più facile stare in mezzo alla folla, fare come tutti e vivere in un mondo perfetto dove non c'è rischio di sbagliare e farsi fare o fare del male.”

“Hai ragione, Harry, ma questa vita, per quanto possa fare schifo, è l'unica a farti sentire vivo.”

Gli occhi verdi del riccio si posano su di lui, lucidi. Sta mordendo un labbro, diventato ormai rosso come le ciliegie. Stringe le mani sulla pancia come a proteggersi da qualcosa.

“Prova a pensare, Harry: cos'è che vuoi davvero?” domanda a lui, ma al contempo risponde a se stesso. Vuole Harry. Pur non conoscendolo, non sapendo nulla di lui, della sua famiglia e poco o niente del suo mondo, lo vuole.

Ottiene è un sorriso timidissimo, ma sincero. Vorrebbe baciarlo sotto questo lampione mal funzionante e stringerlo forte per non farlo andare via. E' come avere un coltello in petto, questa sensazione.

“Tornerò, Louis. Te lo prometto.”

Louis ha voglia di piangere perché, per quanto finga e simuli, è solo un debole. Gira sui tacchi, non dandogli nemmeno un altro sguardo e stringendo i pugni lungo i fianchi. Non ha senso piangere per una cosa del genere, si ripete. Se ne va senza nemmeno salutarlo. Non ne ha la forza. E' codardo.

 

*

 

“Hai finito con le casse?” domanda Liam, asciugandosi il sudore dalla fronte. La maglietta bianca è terribilmente aderente sulle sue braccia muscolose. Se Louis fosse una brutta persona, potrebbe fare un pensierino sul proprio amico. In fondo non lo è. Forse.

“Sì, le ho tolte tutte. Sono nello sgabuzzino,” risponde, facendosi aria con la mano. L'Estate è odiosa. Fa caldo, si suda e l'aria è irrespirabile di notte, non permettendogli di dormire normalmente. Ancora deve capirne l'utilità.

Liam sorride, raggiante e gli dà una pacca sulla spalla, “Sei diventato una brava persona, che ti è successo in questi ultimi mesi?”

Potrebbe fare una battuta e riderci sopra, ma non ha voglia. Certe volte è meglio dire la verità, “Lavorare distrae da una vita senza senso.”

Il sorriso che l'amico gli offre è comprensivo e dolce. Terribilmente dolce. Vorrebbe quasi vomitare.

Un rumore insistente di clacson gli fa storcere il naso. Ci sono urla e clacson e clacson e urla. Liam lo guarda interrogativo, dirigendosi per primo verso la porta del retro per uscire a vedere che sta succedendo. Arrivano a passo veloce sul marciapiede e – il cuore gli si ferma.

Harry è in mezzo alla strada, con il suo vestito da apostolo, un sorriso sulle labbra ed un mazzo dei fiori più belli che abbia mai visto. E' chinato su un ginocchio e lo fissa con quello sguardo che lo fa tremare, con quegli occhi che vogliono vedere sotto la sua pelle.

Ci sono due reazioni contrastanti dentro di sé. Una scoppierebbe a piangere e si butterebbe fra le sue braccia per baciarlo fino a non sentire più le labbra, l'altra vuole picchiarlo fino alla morte. Resta immobile, con Liam accanto che sposta lo sguardo fra entrambi, confuso come non mai. La gente nelle macchine sta bestemmiando contro il ragazzo piegato in mezzo alla strada. C'è un rumore assordante e non riesce a pensare.

“Ho la risposta alla tua domanda, Louis: voglio te. Tu mi vuoi ancora?”

C'è troppo casino intorno a lui e la testa gli scoppia. No, non ti voglio più. Ti odio, dice per l'ennesima volta fra sé, ma il suo corpo non reagisce al comando dato ed annuisce piano, fregandosene del proprio buon senso che gli dice di non fare stronzate, di non crearsi nuovi problemi.

Il sorriso di Harry è talmente bello che tutto quanto scompare all'istante. Ci sono solo lui, Harry e un mazzo di fiori.

Harry è la prova che le sue teorie sull'Umanità, alle volte, hanno qualche pecca.

 

 

Note d'autore.

Sono 0.15 e ho un sonno della Madonna. Sarò breve e concisa perché devo ancora lavare le pentole e fare altre mille cose prima di farmi le mie sei ore scarse di sonno.

Oggi è il mio compleanno e me lo sono tipo ricordata due ore fa. Già.

Ho ufficialmente 17 anni, yay. Comunque, questo era un progetto scolastico che quel genio di prof di Filosofia ci ha dato da fare. Ok, non la parte con pompino e finale sdolcinato, ma va beh. Diciamo che ho fatto due versioni e che questa è quella birbantella, uhuh.

Sto davvero impazzendo dal sonno. Basta.

Spero, con tutta me stessa, di riuscire prima o poi a finire quella stramaledettissima os su Louis padre. Voglio poi iniziare una roba più pesante ed impegnativa quindi preferirei togliermi tuuuuuutte le cartelle aperte in una volta sola.

Ccccesù, mi scoppia la capoccia.

Che ne dite di una long? Non ne sono molto sicura, ma potrei tentare.

La dedico, anche se me ne sono resa conto ora, a me stessa. Viva l'egoismo. La canzone dei Beatles è una delle mie preferite in assoluto. Oltre al fatto che amo i Beatles, ma sono dettagli.

A presto

Ponfo From PonfoLand.

 

PS Vi lascio l'ultima os che ho scritto. E' verde ed è principalmente una Ziam con side Larry e Nosh, ma sono 39k parole quindi se vi va, è una letturina per passare il tempo. Niente di che. Fatemi sapere. Spero di non aver fatto sviste grammaticali e se ne ho fatte, perdonatemi. Sono davvero stanchissima. http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2827326&i=1

  
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