Anime & Manga > Naruto
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Autore: Ljn    14/10/2014    4 recensioni
Stava andando tutto male.
Perché stava andando così? Perché? Qualcuno glielo sapeva spiegare? Un secondo prima era intento a bisticciare con quel Teme silenzioso che infestava la sua vita da un’eternità, l’attimo dopo stavano fuggendo. Fuggendo! Loro!!
Loro, che erano i più forti in assoluto!
Non esisteva. Assolutamente! Non poteva! Si erano allenati fino a sputare sangue, avevano sacrificato … un sacco, per arrivare dove erano. Un ENORME sacco. Un sacco così grande che avrebbe potuto starci dentro tutta la famiglia di Choji. E stava parlando mentafornica … metafarica … metaforonicamente – annuì a se stesso, soddisfatto – perché era ovvio che nella realtà il sacco sarebbe stato un sacco più grande.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Tra un elenco e una faccenda e qualche impegno a caso.
Domani sarò irrintracciabile, perdonatemi, ho calcolato male i tempi. Tra una cosa e l'altra, e un improvviso pensiero che mi è venuto stanotte, non so se riuscirò a pubblicare giovedì (notte, lavoro...) Farò del mio meglio, comunque.

ATTENZIONE: Premessa dovuta. Ho inserito nel testo un ideogramma, ovverosia:   "ie", che significa "casa", o almeno spero. Io mi auguro che sia corretto, se non lo fosse e voi sapeste il kanji corretto per detta parola, vi prego di farmelo sapere, grazie ^^
La referenza per detta cosa è la seguente: http://studiaregiapponese.com/kanji-anno-2/
E' piuttosto interessante e grazioso, come sito, se volete darci un occhio...


Sei.


Tredici giorni per arrivare a guardare il cuore dell’inferno dritto negli occhi.

Non lo ricordava un viaggio così lento, e neppure così crudelmente meschino.

La prima volta che l’inferno si era presentato da lui, era notte, quattordici anni prima, e il viaggio per arrivarci era durato un battito di ciglia e pochi fusuma fatti scorrere velocemente da mani spaventate e piccole.

La sua permanenza là … ooohh … quella era stata lunga. Lunghissima. E riuscire a liberarsi di quel buio luogo orrendo, era stato ancora più difficile e lungo.

Ma il viaggio in sé, no. Non era stato lungo, e non era stato difficile. Doloroso, sì. Difficile …

Questa volta invece, l’inferno si era fatto strada viscidamente nel suo tempo e invadendo il suo spazio, il suo stesso corpo, come un cancro. Silenzioso, rassicurante per la mancanza di sintomi evidenti, gentile nella illusione di non esserci, pacato nei passi che lo avevano portato infine a fargli sbattere la faccia contro la nuda verità che la sua vita, la sicurezza della sua casa, era solo una illusione che poteva essere distrutta in qualsiasi momento.

In principio, con Naruto troppo stordito dagli antidolorifici per interagire con lui, non si era reso neppure conto di quanto le cose fossero gravi. Aveva fatto accostare un altro letto a quello del Dobe (Sakura si era rifiutata di degnarlo di una più rispettabile poltrona perché “Sasuke devi rimanere straiato per non tirare i punti. Sdraiato, non seduto, siamo intesi?”) ed era rimasto quasi sempre con una parte del corpo o un pezzo di vestiario attaccato a lui, perché ogni tanto Naruto lo chiamava, e allora lui allungava una mano  e afferrava la sua che vagava alla cieca, e poi … poi stavano meglio entrambi, perché la consapevolezza che l’altro era là era sufficiente a placare l’inquietudine (anche se ufficialmente era solo Naruto, quello bisognoso di rassicurazioni, non lui). Naruto dormiva, in ospedale, e quando non dormiva era intontito e aggrappato a lui.

Poi lo aveva portato a casa, fatto sistemare da Kakashi nella sala che sua madre usava per le cerimonie del tè del clan, dove aveva predisposto un futon per lui e uno per se stesso, e gli aveva fornito dei cubi di legno giocattolo con dei semplici kanji in rilievo che aveva ricordato di avere visto in un ripostiglio qualche mese prima (che fosse benedetta la sua incapacità di lasciar andare il passato, Naruto avrebbe fatto meglio a non mettere più bocca in proposito, da ora in avanti). Aveva pensato che potessero facilitare le comunicazioni tra lui e il Dobe, che in effetti era parso divertito e sollevato dalla sua trovata. Aveva funzionato, all’inizio, e lui si era illuso che da là in poi sarebbe stata tutta una strada in discesa.

 

Il primo giorno a casa era andato bene, tutto sommato.

Gli antidolorifici erano stati ridotti gradualmente e Naruto non aveva fatto altro che parlare appena era stato abbastanza lucido per farlo, a volte urlando, altre sussurrando, ovviamente incapace di misurare il proprio tono di voce. Non importava. Sasuke era abituato al suo starnazzare continuo, anzi: ne era stato ancora una volta rassicurato, perché lo starnazzare continuo significava che Naruto stava meglio e lui non voleva essere di nuovo testimone del panico e dell’incertezza che aveva esternato il suo compagno, in quei primi giorni di risveglio, in ospedale. Naruto gli andava bene più debole di lui, più emotivo di lui, più ottimista di lui, più vivo di lui. Non fragile e … piccolo.

Una volta a casa, una volta più sveglio, Naruto non era rimasto più aggrappato a lui come un tralcio di edera, come aveva fatto in ospedale. Era stato più indipendente, per quanto possibile. Allegro, impaziente di potersi muovere. Il solito Naruto meno qualche punto agitazione, ovvero una specie di paradiso un po’ troppo rumoroso, insomma.

Sasuke lo aveva fatto sedere, appoggiato la schiena al supporto inclinato che Kakashi gli aveva procurato tirandolo fuori da chissà dove, aiutato a mangiare, accompagnato in bagno, accolto Sakura portata in braccio da un solerte e stranamente sobrio Kakashi, e assistito mentre la ragazza gli cambiava bende e gli forniva il trattamento di chakra necessario per velocizzarne la guarigione, e poi subìto passivamente le medicazioni riservate a lui, dato che erano parte del loro accordo.

Naruto aveva chiacchierato felicemente e usato con entusiasmo i cubi per avere più parole con cui capire le risposte di Sakura e Kakashi, per tutto il tempo in cui era stato sveglio.

Davvero. Non era stato male, a parte l’emicrania che aveva avuto a fine giornata per tutto quel rumore insolito tra le pareti domestiche. Ma non importava, perché Naruto respirava e parlava e sembrava resistere, e dopo aver sperimentato la vera paura per la sua mortalità, andava bene così.

 

Il secondo e il terzo giorno, erano stati più o meno uguali.

Sveglia, bagno, colazione, chiacchiere senza senso (fintamente) ascoltate solo per metà, qualche kanji o segno di risposta, ma per lo più solo l’accertarsi di rendere chiaro a Naruto che c’era sempre, accanto a lui (non aveva mai toccato così tanto qualcuno, in tutta la sua vita). Medicazione, qualche dolorosa (per lui) visita di rumorosi e bene intenzionati amici del biondo, che venivano scacciati quando Sakura stabiliva che erano sufficienti i danni ai suoi timpani, e che entrambi avevano bisogno di riposo, perché sia lui che il Dobe dovevano recuperare chakra, ancora dannatamente latitante, e forze (quella strega ricattatrice era sempre presente in quei momenti. Credeva forse che li avrebbe scacciati a colpi di katana rischiando di strapparsi i punti per essere costretto a tornare in ospedale a sentire i suoi rimproveri? O che bastasse fingere fosse una casualità, la sua presenza, per evitare che lui se ne accorgesse?). Poi pranzo e via con le chiacchiere e il bagno e la cena e la medicazione e le chiacchiere e il bagno e il sonno.

 

Era stato al quarto giorno a casa, che le cose avevano cominciato a precipitare, ma Sasuke se ne era davvero accorto solo il giorno successivo.

Naruto non aveva chiacchierato così tanto.

I suoi silenzi erano stati un po’ più lunghi di quelli dei giorni precedenti, e le sue chiacchiere un po’ meno rumorose di quelle passate. I sussurri erano stati più numerosi delle esclamazioni stentoree. I movimenti del corpo erano stati un po’ meno impazienti e un po’ più controllati. Le insistenze a volersi muovere meno continue.

La finzione di stare benissimo (le bende che lo fasciavano quasi interamente erano solo uno scherzo dell’immaginazione di Sasuke, secondo lui?), un po’ meno brillante.

 

Il quinto giorno, al mattino, Sasuke si ritrovò a fissarlo: tranquillo, seduto sul futon, testa reclinata contro il cuscino, mani composte in grembo ed espressione seria. Ma l’illusione che quello non fosse Naruto, durò poco più di qualche minuto, e si convinse che fosse solo un’anomalia.

Doveva essere un’anomalia temporanea.

Per convincersene, passò tutto il pomeriggio con lui, a cercare di istigare domande e conversazioni che lui avrebbe ascoltato più attentamente, diversamente dal solito e come oramai di consueto da quando la dannata missione li aveva precipitati là, e che avrebbero riempito quella inquietante sensazione di star perdendo. Contro cosa o “cosa”, in quel momento non lo sapeva neppure lui.

Naruto però era stato collaborativo, anche se non così entusiasta come aveva sperato.

Quindi il quinto giorno scivolò nel sesto, e Sasuke si convinse che qualsiasi cosa fosse stata, quella sensazione che aveva avuto, fosse anche passata, perché il sesto giorno il Dobe fu di nuovo il Dobe, solo un po’ (tanto) più tranquillo del solito.

O almeno, Sasuke lo pensò per le prime due ore di quel mattino. Poi si accorse che non era così.

 

Lentamente, il sesto giorno, la voce di Naruto si affievolì.

I suoi silenzi divennero lunghissimi, alternati solo sporadicamente da brevi parole mormorate. La sua quiete fu sempre più statica. E Naruto divenne, entro sera, uno sconosciuto biondo e ferito che capitava essere in casa sua per riprendersi da una missione.

Fu il sesto giorno, proprio allora, che Sasuke si rese conto di essere stato catturato da un’illusione molto più potente di quelle elaborate dalla sua famiglia. E lo era per un fatto semplicissimo: non era affatto un’illusione. Non era possibile fuggirne disperdendo l’inganno.

Perché quella era la realtà, e in quella realtà silenziosa e oppressiva lui ebbe l’impressione di essere solo a fissare il peggior incubo che la sua mente avesse mai concepito.

Uzumaki Naruto lo aveva escluso. Da tutto. E Sasuke ... Sasuke aveva sempre dato per scontato di essere un punto fisso nel mondo del suo compagno, e in questa piccola, egocentrica convinzione aveva trovato un motivo di stabilità anche mentre le tenebre lo stavano soffocando, e lui stava passeggiando per i viali del suo precedente inferno, desiderando liberarsi di quel legame e di quella casa che lo ancoravano al passato.

Stupido, da parte sua. Era il primo ad ammetterlo.

Eppure l’idea che Naruto, tra tutti quelli che avrebbe desiderato lo ignorassero, lo facesse, era semplicemente intollerabile.

 

Per questo, il settimo giorno Sasuke lo passò quasi completamente con le mani strette attorno a quelle apatiche del compagno. In silenzio. A fissarlo.

In attesa che quell’estraneo dal capo ancora fasciato riprendesse a vederlo, non con gli occhi, ma con quella parte luminosa di sé che aveva fatto temere (e sperare) a Sasuke di non potersi mai liberare di lui.

Sakura e Kakashi arrivarono e se ne andarono, dopo aver cercato di rassicurarlo di nuovo che probabilmente Naruto era solo stanco e magari un po’ spaventato dalla situazione, dato che ancora il chakra non era tornato a scorrere attivamente come avevano sperato i medici, e che perciò la sua guarigione si prospettava più difficile e lunga, ed era per quello che non aveva parlato molto, mica per qualche strano motivo! Era solo Sasuke che era paranoico e frustrato perché neppure il suo chakra scorreva e si sentiva magari un po’ indifeso (LUI! Che ferito e senza chakra aveva sconfitto una decina di nemici, prima di svenire!) e pensava davvero che tutto il mondo dovesse per forza girare attorno a lui? Mica era a proposito di lui, però, quella faccenda, eh!

Che Sakura andasse a farsi fottere, lei e la sua ansia e i suoi ragionamenti stupidi.

Sasuke sapeva perfettamente che non era lui, il fulcro del mondo. Sapeva che Naruto era spaventato. Diamine, sarebbe stato spaventato pure lui, al suo posto! Era per quello che aveva insistito per stare con lui, per occuparsi di lui durante quel periodo di isolamento! Proprio perché Sasuke SAPEVA che dietro ai sorrisi del suo cresciuto compagno esisteva ancora un bambino solo, che in quella situazione si sarebbe ritrovato a rivivere la paura più antica del suo intero essere.

Eppure … eppure era stato convinto di essere sufficiente a Naruto. Era stato convinto che la sua sola presenza potesse scacciare, o almeno alleviare, la paura e la solitudine del biondo, come la sua sola esistenza aveva confortato segretamente lui da ragazzino, prima che lui decidesse di accelerare il suo mondo, e prima che si perdesse nell’inferno dove la voce di Naruto era comunque stata presente a irritarlo con le sue preghiere, la sua sicurezza, la sua determinazione.

Ne era stato così convinto, di essere “abbastanza”, che il settimo giorno passò nel silenzio del suo stordimento.

 

L’ottavo giorno, Sasuke si rese conto che l’illusione aveva inghiottito entrambi, e non sarebbe bastata la sua silenziosa presenza a tirarli fuori da lì.

Sakura tolse le bende a Naruto, e i suoi occhi, gonfi e socchiusi, lo fissarono dritto nelle pupille. Senza vederlo.

Gli occhi azzurri del suo compagno non lo vedevano, e le sue orecchie non lo sentivano. E lui non poteva usare lo sharingan per forzare il sigillo di Kurama in modo che il demone potesse accelerare il processo di guarigione che gli avrebbe ridato il suo amico perché non poteva usare il dannato chakra!

Stava litigando furiosamente con Sakura che lo esortava ad avere pazienza e a non lasciarsi prendere dal pessimismo come suo solito, quando il silenzio del suo inferno venne scosso per la millesima volta dal sussurro quasi impercettibile della voce di Naruto, che lo chiamava.

Si zittì, e allungò la mano che aveva allontanato poco prima perché Naruto non percepisse la sua inquietudine, a prendere quella inerte del suo Dobe.

- Sono qui. – disse, ignorando immediatamente il medico e Kakashi alle sue spalle che aveva cercato di fare da paciere tra di loro.

- Sas’ke. – mormorò di nuovo con voce atona la persona più appassionata che conosceva, reagendo appena al contatto con la sua mano.

- Sono qui. – ripeté, nonostante sapesse che Naruto non poteva sentirlo. Strinse la mano tra le sue con cautela, spaventato per la prima volta da che lo conosceva dalla possibilità di potergli far del male senza volerlo. Chinò il capo fino ad appoggiare la fronte sulle sue nocche. – Sono proprio qui, Dobe … sono qui.

 

Il nono giorno …

Il nono giorno fu il peggiore.

Naruto non pronunciò una singola parola, e non reagì a nessuna delle sue sollecitazioni, o a quelle di Sakura o Kakashi o dei suoi stupidi amici, per quello che importava.

Rimase semplicemente a fissare il vuoto, con quegli occhi distanti e vacui che parlavano di una solitudine infinita.

Il nono, fu il giorno peggiore perché Sasuke sperimentò appieno una emozione che aveva sperato di non provare più. Mai, mai, mai più.

Impotenza.

Sakura era convinta che entro pochi giorni il chakra avrebbe ripreso a scorrere, e tutto sarebbe andato per il meglio, perché non c’erano danni permanenti che potevano far sospettare altrimenti. Ma Sasuke temeva che sarebbe stato troppo tardi per recuperare Naruto, ovunque la sua mente lo stesse portando in quel momento.

E la cosa peggiore era che lui non aveva idea di cosa poter fare per trascinare se stesso e lui via da quell’inferno, perché non era stato lui, quello a trovare la strada, l’altra volta. Aveva seguito solo le tracce lasciate da altri, e ora uno di loro era morto, e l’altro era perso in un inferno lontano da lui.

 A gambe incrociate accanto al suo futon, con la sua mano tra le proprie, che la tenevano premuta su nella stupida speranza che dicesse al Dobe più di quanto non riuscisse a fare lui, Sasuke osservò i raggi caldi del Sole dell’inizio del decimo pomeriggio accarezzare i lineamenti vacui dell’unica famiglia che gli era rimasta, e gli parve di sentire sotto i denti l’amaro gusto della perdita.

La solitudine, che aveva cercato con tanto fervore spesso e volentieri e per la mancanza della quale aveva litigato con quella specie di rumorosa zecca ambulante dagli occhi azzurri che ora non pareva neppure accorgersi del fatto che Sasuke si stava rendendo ridicolo a causa sua, si era incarnata improvvisamente (dopo essere stata per quattordici anni incorporea e amichevole) nella forma seduta del biondo davanti a lui, rendendo il vibrante compagno che lo aveva perseguitato per metà della vita con la sua squillante presenza, pallido e freddo e distante. Mentre il silenzio, amico fedele e conforto anelato dalla sua mente dilaniata dai ricordi, era diventato qualcosa di spaventoso e opprimente. Un nemico da combattere, piuttosto che un alleato contro il mondo ostile.

Per la prima volta da cinque anni, sentiva l’inferno nero che si era lasciato alle spalle, sospirargli da sopra la spalla, in attesa di poterlo ancora una volta avvolgere e inghiottire intero. E la cosa non gli piaceva per niente, e non sapeva cosa fare per impedire che lo facesse, e non lo sapeva perché non aveva mai dovuto combattere da là contro l’esilio da casa!

Perché quella casa, che aveva iniziato a considerare tale ancora prima di rendersene conto coscientemente, aveva sempre fatto in modo di corrergli dietro e aprire le sue stanze accoglienti e tiepide e rumorose e vive ancor prima che lui lo desiderasse. Era sempre stata là per lui, e lui non aveva dovuto far altro che girarsi e allungare un “Tz” infastidito perché lei andasse da lui saltellante e colorata e rumorosa, e lo strappasse al buio e al silenzio del suo inferno.

Invece ora … ora lui … ora LUI … ora lui non era là con lui, nello stesso suo buio, ad accenderlo per entrambi e a scacciarlo.

Si chinò in avanti, scivolando a sedere di lato e portandosi una mano di Naruto al petto, sotto lo yukata, e abbracciò quelle spalle che avrebbero dovuto sussultare di risate e vita, e che invece erano così spaventosamente ferme da sembrargli appartenere ad un ... non doveva neppure pensare a quella parola!

Seppellì il viso nella curva del suo collo, aspirandone l’odore e quasi annaspando quando si rese conto che era molto meno intenso di quando l’aveva sentito l’ultima volta prima della dannata missione. Era come se anche l’olfatto gli stesse dicendo che Naruto si stava allontanando da lui. Da LUI, che aveva appena compreso quanto gli fosse indispensabile la sua presenza per vivere, ma che ovviamente non pensava lo stesso della sua persona visto lo stato in cui era.

Premette gli occhi e la bocca contro la sua carne, e si concesse di mormorarvi dentro una preghiera.

- Non lasciarmi.

Strinse più forte la presa su di lui, avendo l’impressione che se lo avesse lasciato andare, lo avrebbe davvero perso per sempre.

Merda. Detestava sentirsi così …

- … Non anche tu.


Prima che lo contestiate, vi ricordo che Sakura aveva imposto 3 giorni di ricovero. Io ho iniziato il conto da "poi". ^^
   
 
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