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Autore: Kveykva    14/10/2014    1 recensioni

A quel punto scattai indietro.
Ma cosa stavo facendo?
Cosa diavolo stavo per fare?
Scesi dal divano, presi la mia borsa e mi diressi verso la porta.
-Em. Em!- mi chiamó Dave.
Aprii la porta ma lui mi prese per un braccio e mi costrinse a girarmi.
-Cosa stai facendo?-
-Me ne sto andando.- gli risposi.
-E perchè te ne stai andando, maledizione!?- mi chiese lui sconvolto.
Non avevo una vera risposta da dargli. Sapevo solo che quello che era quasi successo non sarebbe dovuto succedere mai più.
Lui mi fissó, e mi sorpresi ancora una volta di quanto fosse bello, anche da arrabbiato com'era.
Era dannatamente bello.
-Non sei tu, Dave, ma...-
-Vuoi sapere una cosa, Emma Bennet? - mi interruppe. -Sei una maledetta stronza.-
Aprii la bocca e rimasi così, scioccata.
L'aveva detto davvero?
-Tu hai bisogno di me.- mi disse.
Riuscii solo a fissarlo.
-Sai che è vero.-
Non seppi dire nulla, mi limitai a stringere i pugni tanto che si sbiancarono le nocche.
Se c'era una cosa che mi mandava in bestia era dare ragione a Dave.
E purtroppo, anche se non ero ancora completamente consapevole, aveva ragione.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Dave: 
Probabilmente era stata la cazzata più grande della mia vita ma ormai il danno era fatto. Cosa mi era saltato in mente quando ero balzato in macchina dopo dieci minuti che se ne era andata? Non riuscivo nemmeno io a capirlo. Forse volevo risentire la sua voce ancora una volta prima di andare al 'lavoro', prima di affrontare quella catastrofica cosa chiamata vita. Volevo vederla ancora una volta, per darmi la forza di far passare un'altra notte. Ma se fossi 
stato davvero furbo, non sarei mai andato a bussare alla sua porta, come ancor prima non avrei chiesto ad Andrea di portarla a casa mia. Ero stato un coglione egoista, le avevo fatte litigare, e per cosa poi? Per averla lì così poco tempo. Avrei dovuto lasciarla andare e dimenticarla, perchè andando avanti così il momento in cui avrebbe scoperto tutti i miei segreti si avvicinava correndo. 
Eppure era qusi doloroso starle lontano. 
Quel giorno in università non l'avevo vista nemmeno di sfuggita e la cosa mi aveva fatto impzzire: non era venuta a scuola perchè stava male? Non voleva 
vedermi? Ero così in ansia che il professore mi aveva richiamato almeno sei volte. 
Ritornai al presente quando cambiai canale ancora una volta e capirai su una radio rock.
Il telecomando stava quasi impazzendo da quanto velocemente cambiavo canale, ma dovevo pur far qualcosa, chiuso in casa e solo alle sette e mezza di sera. 
Al quarantesimo canale cambiato in poco più di dieci secondi sentii dei rumori giù nelle scale: il cuore mi balzò nel petto così forte che quasi dovetti spingermelo dentro a forza. Era Emma? Magari era venuta a salutarmi, con Andrea: eppure la voce profond e maschile che sentivo rimbombare fuori dalla porta non era sicuramente la sua. 
Suonarono il campanello così forte e così a lungo da farmi innervosire già da subito. 
-Sto arrivando!- esclamai mentre mi dirigevo verso la porta: Chase e una ragazza, molto probabilmente ubriaca fradicia mi si pararono davanti. 
Lei continuava a sghignazzare, e a far volare i suoi capelli bruni cotonatissimi in faccia al mio amico. Ma che diavolo...? 
-Ehi, amico!- mi salutò Chase entrando senza tanti complimenti. 
-Che cazzo stai facendo?- gli ringhiai addosso, senza un minimo di ritegno. 
La moretta sgranò gli occhi e arricciò le labbra in un broncio fintissimo e poi ricominciò a ridacchiare. 
-E questo che vuole?- chiese tra una risatina e l'altra. 
-Calmati Dave.- cercò di parlarmi Chase, ma ero incazzato nero. 
-Chi è questa?- sbottai senza tanti complimenti. 
-Lei è Destiny. Destiny questo è..ehi, piantala scemina. Fra poco saremo da 
soli, tigrotta te lo prometto.- le disse lui, visto che la ragazza aveva incominciato a baciarlo dappertutto. 
-Perchè la tua 'tigrotta' non aspetta fuori mentre noi parliamo?-proposi calcando sulla parola 'tigrotta' per fargli capire quanto fosse deficiente quel nomignolo.
Lui mi guardó come a sondare se potesse o meno farmi incazzare di più, e poi, fortunatamente per lui, decise di no.
-Tesoro, esci un attimo lì fuori. Si brava, così. Arrivo subito. Certo.- le cantilenó mentre l'accompagnava alla porta e la chiudeva, dopo averla messa fuori quasi fosse un cane.
-Ascolta Dave, non è come pensi...- cominció lui ma lo interruppi subito.
-Non sono affari miei quello che fai e non fai con le ragazze. Ma spiegami perchè devi portarle a casa mia.- 
-Senti amico, lo sai che è un periodo difficile per me...mi hanno cacciato ieri sera dal campus ma non era stato poi così grave...-
-Fare una festa nella tua stanza del campus invitando tutti quello del tue corso e le matricole a pulire lo schifo che avevate lasciato? No, certo che no, non era così grave.- gli rinfacciai. 
Lo vidi abbassare gli occhi.
-E comunque non sapevo dove altro andare.- si giustificó.
Mi salì la rabbia.
-Ah giusto, non sapevi dove poterti scopare la prima zoccola ubriaca che trovavi al pub?- 
Stavolta i suoi occhi s'infiammarono di rabbia e di risentimento.
-Ma che cazzo hai stasera? Non parlare di lei così!-.
-Ma fammi il piacere! Come se il tuo intento non sia di portartela a letto e lasciarla la mattina dopo!- 
-E Andrea dove la metti? Non mi avevi detto che era 'la ragazza giusta'?- gli ricordai, mimando con le virgolette le ultime parole.
-Non sono un tipo da storie serie.- riprese, sempre guardandomi ma abbassando la voce.
-Allora forse non dovevi iniziarne una!- 
Scoppió in una risata senza allegria.
-E tu che ne sai di storie serie, eh? Cosa pensi di fare con quella Bennet lì? Cosa farai quando scoprirà cosa sei realmente?- mi beffeggió.
A quel punto non ci vidi più: a tirare in causa Emma mi saltavano i nervi. E sentirmi rinfacciare i miei stessi timori era anche peggio.
Tirai un pugno, sperando quasi di non colpirlo, come infatti successe: Chase scartó a destra così velocemente che l'unica cosa che il mio pugno colpì fu l'aria.
-Non dirlo ad Andrea. Ti prego.- mi scongiuró lui.
Lo fissai per un lungo istante: pur essendo Andrea mia amica, lo era di più Chase. Avrei tenuto la bocca chiusa, anche se non mi piaceva affatto.
-Va bene.- sospirai, ma ancora teso.
Lui invece si rilassó visibilmente, e mi diede una pacca sulla spalla che avrei piacevolmente evitato.
-Grazie amico. Ci vediamo.- mi salutó, ed uscì dalla porta così velocemente da non darmi nemmeno il tempo di cambiare idea.
Probabilmente aveva capito che il mio umore era alquanto ballerino in quel periodo.
Ritornai sul divano, ma la mia precedente attività di zapping non mi distraeva come prima.
Continuavo a pensare di aver sbagliato a giurare a Chase che avrei tenuto la bocca chiusa: in fondo non volevo che nascessero problemi tra lui e Andrea, ma questo discorso era già ampiamente superato.
Oggi le avevo parlato, a pranzo: sarebbe partita alle quattro per tornare dai suoi, per non so quale necessità.
Sembrava decisamente nervosa e agitata: non doveva essere felice di tornare dalla sua famiglia, a casa sua?
A quanto pare no, e mi aveva anche chiesto di non ribadirlo ad Emma: era una questione delicata per lei.
Ed io, come un cretino, le avevo detto di stare tranquilla. Ma in quanti casini mi stavo immischiando? Quanti giuramenti avrei dovuto mantenere? 
Be', Andrea aveva detto di non 'ribadirlo' ad Emma, quindi significava che lei già lo sapevo: nascondere qualcosa a lei mi sarebbe pesato già di più, lo sapevo.
Quindi per Emma era un argomento particolare, la casa, e la sua famiglia: forse avrei potuto capire un po' di più per lei.
Che non si trovasse bene, nella sua città?
Questo spiegherebbe il cambiamento a metà semestre nella nostra università.
Eppure c'erano troppi interrogativi su di lei: anche su di me,ovviamente.
Eravamo tutti così impauriti o orgogliosi per ammettere le proprie debolezze, il proprio passato all'altro?
Controllai l'orario, e mi accorsi che si erano fatte le otto: avrei dovuto alzarmi, uscire, magari per mangiare un boccone, perchè effettivamente era ora di cena.
Eppure sapevo che se mi fossi messo in macchina avrei guidato senza pensarci da una parte: e forse era quello che dovevo fare.
Dovevo andare da lei, e spiegarle che quello che stavano facendo era una pazzia.
Dovevo dirglielo: dovevo farle capire che tutto quello che sapevano fare era tormentarci l'un l'altro. 
Per quanto sentissi un vuoto nel petto quando lo pensavo, dovevamo chiudere.
________________________________________

Emma: 
Mi facevo senso da sola: ero davanti alla televisione, a far girare i canali uno dopo l'altro senza accorgermi minimamente di quello che vedevo, mentre mangiavo una squisita coppa di gelato al cioccolato.
Tanto per prendere su chili, ovvio.
Sentii un deciso bussare alla porta: Andrea? Impossibile. Avevo ancora rabbia da smaltire quando si parlava di lei, oltre al tradimento della sera prima. Eppure non potevo non capirla: ero io che l'avevo trascinata via con me dalla Georgia o meglio lei si era sentita in dovere di venire, ma fatto sta che aveva dovuto abbandonare la sua famiglia nello stesso modo in cui l'avevo fatto io: doveva tornare a salutarli, era giusto così. Eppure era partita solo quella mattina e mi aveva detto che sarebbe rimasta almeno una notte, quindi era fuori discussione che fosse lei.
Aprii la porta.
-Ehi dolcezzaaaa!- 
Ok, non era decisamente Andrea. Ne' Dave. Ne' qualsiasi altra persona avrei voluto vedere in quel momento.
-Mike? Cosa ci fai qui?- 
Lui mi guardó strabuzzando gli occhi, ma continuando a sorridere.
-Vita notturna, baby, si fa festa qui a Gainesville. Vieni a farti una birra: giù ci sono Jay e gli altri.- mi invitó.
Forse non si era accorto che:
1) ero in pigiama (quello con gli orsacchiotti oltretutto) 
2) stringevo un cucchiaio pieno di gelato al cioccolato dalla maggior quantità calorica
3) non avevo per nulla la faccia di una persona che aveva voglia di uscire.
-Ehm..grazie mille, Mike, ma forse non è il momento migliore..-
-Oh, sciocchezze, sei bellissima come sempre.- mi disse e sentii una strana sensazione dentro di me.
Non era come quando Dave mi guardava, e mi diceva che ero bella: quando lo faceva, sentivo lo stomaco ribaltarsi e lo sguardo appannarsi.
Adesso provavo una strana sensazione di disgusto e fame.
Ok, la fame perchè mi avevano interrotto nel bel mezzo del mio gelato quotidiano.
-Davvero io sono stanchissima: stavo per andare a dormire- tentai ancora una volta.
-Ti prego, Emmy.- cominció con quel vezzeggiativo che mi dava sui nervi.
-Passi troppo tempo con quell'Hudson, lì!- 
-Cosa? Non è assolutamente vero! No..io, figuriamoci. Non lo vedo da...-
-Ieri sera.- 
La voce scura e profonda di Dave invase la mia testa e ci mancava poco che cadevo stecchita. 
Dietro un Mike palesemente terrorizzato, era apparso Dave che lo sovrastava col suo metro e ottantacinque e lo fissava truce.
E cosa più importante io ero in pigiama. Di nuovo.
-Ciao Dave.- lo salutai, in imbarazzo anche per Mike.
-Ho interrotto qualcosa?- 
Sembrava scocciato ma non ne vedevo il motivo: c'era un mio amico a casa, non chissà che cosa! 
-No.- risposi secca.
Da quanto era arrivato? Tre minuti? Ecco che già sentivo l'ansia e il nervosismo salire.
-Allora posso parlarti?- 
Il suo tono di possesso fece scattare qualcosa nel mio cervello.
Dovevo forse essere sempre pronta e scattante per lui? No, signori.
-In effetti no: stavo giusto dicendo al mio amico Mike che mi andavo a preparare per uscire. Con lui.- dissi, prendendo a braccetto Mike, che invece era rigido e a disagio.
Dave alzó un sopracciglio con aria di sufficienza e poi sbuffó divertito, ma non fino in fondo.
-In pigiama? Ma per piacere.- 
Stesi le labbra in una linea sottile.
-Mi stavo giusto preparando, quindi se vuoi scusarci...- dissi mentre trascinavo dentro Mike per una mano, lasciando fuori Dave.
Feci per chiudere la porta ma il suo piede fu di mezzo.
-Levati.- intimai. 
-Cosa stai facendo? Lo so benissimo che non lo sopporti.- mi disse.
Diventai bordeux. 
-Eh? Ma cosa stai blaterando?- cercai di riparare, sapendo benissimo che avevo Mike dietro. 
-Mike perchè non ti accomodi sul divano, guardi la tele...devo fare un discorsetto a Hudson.- dissi sorridendo forzatamente a Mike.
-Già Mike, perchè non ti accomodi?- ripetè velenoso Dave.
Uscii e sbattei la porta dietro di me.
-Si puó sapere che ti prende?- sibilai furiosa puntandogli un dito sul petto.
-Volevo venire a trovarti ma vedo che hai già compagnia...- fu la sua risposta.
-È arrivato cinque minuti fa! Come vedi- e gli indicai il mio outfit -non era una visita programmata.- 
Fece scorrere lo sguardo sui mini pantaloncini e la ridicola maglietta che indossavo: magari si auto convinceva di quanto fossi penosa.
Annuì piano, ma la mia rabbia, anzichè diminuire, crebbe.
-Ti comporti come un bambino in questo periodo.- gli feci notare.
I suoi occhi si infiammarono.
-Non è assolutamente vero.- si difese, stringendo i denti.
Alzai gli occhi al cielo.
-No, certo che no. Hai chiesto ad Andrea di portarmi da te mentendo, ieri sera vieni qua senza preavviso, e adesso ti presenti come se dovessi sempre essere pronta per te.- 
Strinse i pugni: c'era qualcosa che non andava con Dave, quel giorno.
Era nervoso, o preoccupato: per quanto fosse particolare, non avrebbe mai mancato così tanto di rispetto a Mike, nonostante non gli stesse così simpatico.
-Devo parlarti.- aggiunse piano.
Esitai un momento, forse qualcuno di troppo.
-Sì.- risposi io.
Guardava in basso, il suo sguardo non si alzava mai verso il mio: se ne stava lì, tutto rigido.
Alla fine alzó la testa e quasi come un sospiró cominció:
-Emma io non posso più...- ma venne interrotto dalla voce di Mike.
-Ehm..Emma.- 
La sua faccia comparve dalla porta ora aperta.
-Ti sta squillando il telefono: è Lindsday.- mi avvertì e si ritiró indietro il più in fretta possibile, forse per sfuggire all'ira di Dave.
Tirai un forte sospiro e annunciai:
-Devo andare.- ma lui mi afferró per un polso.
-Non ho finito di parlarti.- 
-E io non ti ho chiesto di incominciare a farlo.- ribattei.
'Anche se in verità lo voglio.' pensai, ma non lo dissi.
Eravamo ad un centimetro di distanza l'uno dall'altro e ritornó la solita e costante elettricità fra noi.
O lo baciavo o gli tiravo un cazzotto.
-Domani. A cena.- negozió lui.
-Non posso, devo...fare la pasta.- mi inventai sul momento, la balla peggiore che potessi mai tirare fuori.
Fare la pasta?! Avevo davvero detto 'fare la pasta?' Mio dio, ero senza speranza.
Ehi, cervellino, potevi farti venire in mente idee un po' più convincenti.
-Emma, davvero. Fra due giorni, ti passo a prendere io.- insistè.
Come facevo a dirgli di no? Sentivo il suo profumo di sapone arrivarmi leggero e delicato e dovetti ricordarmi di respirare.
Dalla porta socchiusa mi arrivó il suono del cellulare che ancora squillava e mi riportó bruscamente alla realtà.
-Si si, va bene!- esclamai sul momento e solo allora mi lasció andare. 
-Ora fuori da casa mia.- 
-Certo, Yankee.- ribattè con un sorrisetto.
Ed ecco a voi il centesimo cambio di umore della serata.
Entrai come una furia e riuscii a rispondere al telefono.
-Pronto?- dissi affannata.
-Muoviti Emma! Siamo qua sotto da tre ore!- sentii la voce di Robin.
-Si ehm..si, arrivo.- e misi giù.
Mi girai verso Mike, pronta a chiedergli scusa per il comportamento assurdo di Dave ma mi precedette.
-Non fa niente, Emmy, davvero.- 
Io riuscii a fargli un sorriso tirato e, chiedendo scusa, mi chiusi in camera a cambiarmi.
A quel punto la mia serata di gelato e televisione era sfumata, ma forse mi avrebbe fatto bene stare un po' con i miei amici, con persone NORMALI, e senza DISTURBI di personalità sconcertanti.
Ovvio, non mi stavo riferendo a nessuno in particolare.
Sì, come no.
________________________________________







Angolo:
Ciao a tutti, spero di non aver aggiornato tardi!
Questo capitolo non è molto ricco di eventi, ma se leggete attentamente già da degli indizi sullo svolgimento dei prossimi capitoli...
Avete qualche idea? 
Ringrazio in anticipo chi leggerà la storia, e se avete qualche minuto di tempo, recensite il capitolo, perchè la vostra opinione di lettori è importantissima sia al fine di migliorare me e la storia, quindi se poteste lasciatemi un commentino.
Un bacio,
Kveykva.
  
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