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Autore: Some kind of sociopath    15/10/2014    4 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Se desideri la pace, preparati alla guerra.
– Motto della Royal Navy.

– Vuoi il cambio?
– No.
– Connor, per l'amor del cielo, è tutto il giorno che stai qui. Sei andato a pisciare di recente? – Il suo sguardo vacuo mi aveva fatto pensare più volte che il ragazzo, piuttosto che cedermi il timone, se la sarebbe fatta addosso. Erano passate due settimane dalla nostra partenza, due settimane di navigazione ininterrotta, di vomito che scorreva senza fine dalla bocca di Tom al mare e di alcool che scivolava nelle nostre gole come fosse ossigeno. Nemmeno Faulkner riusciva a far staccare mio figlio da quello stupido pezzo di legno, ma quella notte non me ne fregava niente delle proteste di Connor. Il mare era piatto come una tavola e scintillava – o quello era il grog? –, e io ne avevo abbastanza di bere, bere e tenere la fronte a Tom mentre si svuotava lo stomaco dalle gallette. Biscotti da navigazione, dicevano le scatole. Tra me e me li avevo ribattezzati "biscotti da suicidio": non credo che un uomo potesse andare avanti a lungo nutrendosi solo di quegli affari. Magari mi sbaglio, giusto, papà? – Andiamo, Connor! Sei esausto, dovresti andare a riposare. – Le vele schioccavano violente nel vento contrario e nessuno si degnava di ammainarle. Stavamo tornando indietro, spinti da quelle folate implacabili. – Lasciamela per dieci minuti.
Scosse il capo. – Haytham, è notte. Non... Non posso lasciartela. – Parlava l'esperto, proprio. – Torna a dormire.
– Non ci riesco. Spostati e basta. – Non era propriamente la verità, ma Connor mica doveva saperlo. – Ragazzo, so quello che faccio, al contrario di te. Bob non te le ha mai date due lezioncine su questa meraviglia?
Schioccò le labbra. – Certo che sì. – Ma probabilmente a quei tempi lui pensava a come avrebbe potuto usare quella grossa barca – mi corse un brivido lungo la schiena degno di mio padre – per catturarci e ucciderci. – Quindi lasciami...
– Ammainate quelle maledette vele, branco di sfaticati! - ruggii con le mani a coppa sulla bocca. – Avete sentito? Voglio solo i controvelacci dell'albero di trinchetto e tutti gli uomini assicurati alle cime! E qualcuno salga su quella dannata coffa per dirmi dove siamo! – Gli uomini si voltarono sbigottiti verso di me, poi verso Connor. – Dunque? Volete finire in pasto ai pescecani o rendervi utili? – Alcune di quelle facce da briganti e malfattori mi guardarono con aria incuriosita, ma si strinsero nelle spalle contrariati e obbedirono.
Guardai mio figlio con un gran sorriso. – Come vedi, so quello che faccio. – Non sapevo molto di navigazione, ma quel periodo sulla nave dell'ammutinato quartiermastro Perez mi aveva aiutato. E, al contrario di Connor, non facevo le cose tanto per. Se dovevo governare una nave, perdio, mi preoccupavo di farlo bene. – Coraggio, va' a farti una dormita.
Si scostò dal timone con un grugnito. – Non sono stanco.
– Allora resta e dammi una mano. – Roteai gli occhi e strinsi le mani sulla ruota, la sensazione del legno in mano che mi riempiva di potere. La cosa più bella del mondo. Quella ruota godeva di una mobilità straordinaria, ora che il vento ci sospingeva dolcemente verso sud.
– Passiamo la costa della Carolina! – strillò il ragazzo arrampicatosi sulla coffa.
Gli feci un cenno di ringraziamento con una mano e mi rilassai, il vento che mi scuoteva i capelli tagliati pochi giorni prima – li trovavo decisamente più comodi – e l'acqua che ci agevolava la traversata. Chissà dov'era Ben. Mi sforzavo di pensare positivo, che se mai li avessimo persi saremmo riusciti a intercettarli sulla rotta del ritorno. E ci sarebbero state un bel po' di palle volanti, ma suppongo siano queste le regole del gioco, quindi era meglio cercare di coglierlo di sorpresa. – Allora, Connor. – Battei una mano sul timone e feci spallucce. – Ti piacciono tutte queste responsabilità?
– È un dovere – grugnì in risposta.
– Davvero? Non lo fai soltanto per far vedere a tutto l'equipaggio che razza di bravo ragazzo tu sia? – Gli sorrisi. – Sono veramente commosso.
Non fece alcun cenno di aver apprezzato l'ironia della situazione, quindi scrollò le spalle con noncuranza. – Come sta Hickey?
Roteai gli occhi. – Quindi vuoi fare conversazione, ho capito bene? – Ridacchiai tra me e me. Era solo un ragazzino, alla fine. Uno stupido ragazzino senza nessuna strategia in mente e troppa guerra intorno a sé. – D'accordo. Dunque, Tom è di sotto a vomitare e Bob stava bestemmiando perché il rum è quasi finito e deve ricorrere al gin. – A me non dispiaceva affatto, se dovevo essere onesto. Lanciai uno sguardo alla nebbia fredda come nevischio in cui stavamo per inoltrarci, una coltre grigiastra contro il cielo scuro tutt'intorno. Nebbia. Che schifo. – E tu?
– Non c'è male. – Ah, le conversazioni padre e figlio. Mi riempivano sempre d'orgoglio. – Dovremmo raggiungere la Martinica in... poco tempo.
– Lo dici da due settimane – sibilai spazientito. Stupido ragazzino.
Si strinse nelle spalle. – Non è dietro l'angolo.
I miei complimenti per la tua sicurezza in geografia. – D'accordo – borbottai, un po' a disagio mentre i tempestosi occhi scuri di Connor scavavano nei miei. Quei dannati tizzoni erano le uniche cose visibili nella nebbiosa prima mattina, la prua che a malapena si scorgeva davanti ai miei occhi. – Fammi capire, era Bob a pensare che avessi bisogno di una nave?
Scosse piano la testa. – Credo fosse Achille.
– E perché vogliono farla governare a te? – Io una risposta l'avevo: perché Faulkner preferiva l'alcool.
La sua fu molto meno soddisfacente. – Per essere indipendente.
– Buon Dio, ragazzo, ci sono altri tre adulti su questa nave. Di cui due che sanno navigare. – Più o meno. – Gran bell'indipendenza, la tua. Un bambino di dieci anni corre rischi peggiori. – E ogni riferimento alla mia spensierata infanzia era frutto di una patetica coincidenza.
Connor si abbassò il cappuccio sulle spalle e si passò le dita tra i capelli, gli occhi intrisi di esasperata stanchezza. – Mi fa piacere saperlo. – Dio santissimo, non era affatto divertente. Era così esausto che non riusciva nemmeno a replicare, e nessun gioco è divertente quando si perde. Maledetto ragazzo. Stava riuscendo a sconfiggermi nel peggiore dei modi, con il silenzio. – Non pensavo ti piacesse navigare.
– È un passatempo divertente. – Sempre meglio che parlare con lui. La nebbia stava avvolgendo il primo albero, e sbuffai mentre facevo cenno all'equipaggio di accendere ogni lanterna a bordo di quella dannata nave. – Piuttosto, hai mai sentito parlare di questa Welcome? Sai come sia fatta?
Scrollò le spalle. Immagino che per lui, più o meno come per me, le navi fossero tutte uguali. Che razza di figliolo disonorevole per il grande Edward Kenway. Almeno ne sapevo un po' più di Connor. – Su per giù. Penso sia britannica. – E io penso che tu abbia origini indiane. Buon Dio. Tenni lo sguardo fisso sulla coltre che ci avvolgeva e gli feci cenno di stare zitto. Nebbia del cazzo. – Oh. D'accordo. – Poggiò le mani sul parapetto del cassero, i denti che torturavano furiosamente il labbro inferiore, e l'Aquila cadde nel silenzio.
Lo scricchiolio del legno colpito dall'acqua era quasi ipnotico, le vele schioccavano deboli nel vento che soffiava verso nord, la stoffa accartocciata su se stessa. Un altro cenno, e gli uomini si affaccendarono per ammainarle. – Maledizione... – sussurrai con le mani strette sulla ruota. – Tieni qui – mormorai indicandogli il timone. – Mi serve una mano. – Lo lasciai là, con la bocca mezza aperta in un'esclamazione stupefatta. Nella sua testa doveva già essere con la bocca aperta e la mente a vagare nel mondo dei sogni. Peccato che mi servisse lì.
Varcai a passo di marcia la porta della cabina, Tom che trincava gin con i piedi sul tavolo e Faulkner beatamente addormentato, la testa che ciondolava sul ventre gonfio. – Ehi, capo. – Thomas non mi fece neanche cenno di unirmi a lui. Mandò giù e fece un grosso sorriso, indicando con la testa la nebbia oltre i vetri. – Un silenzio fottuto, eh?
Digrignai i denti mentre scavavo sulla scrivania segnata dai bicchieri alla ricerca di una mappa della zona. – Magari potresti spezzarlo con una bella canzone – gli ringhiai contro, le mani strette a pugno. Non c'era un solo cazzo di foglio lì sopra che potesse essermi utile. – Sempre in vena di scherzi, tu, eh? Non ti passa minimamente per la testa di aiutarmi?
Si strinse nelle spalle. – Dipende. Non so nemmeno dove siamo. – Aggrottò un sopracciglio, lo sguardo perso in tempi lontani. – Sai, capo, mi sono sempre tenuto alla larga dalle navi.
Non stentavo a crederci. Troppo tempo senza una donna. Troppa attesa per poi mollare la schifosa paga di Sua Maestà in un bordello da due soldi. Perché mai, quando poteva fare la bella vita sulle spalle dei Templari e del suo mirabolante intelletto? – Abbiamo passato Bulls Bay prima di infilarci in questa... – Agitai la testa verso il lucernario e mi lasciai andare a un sospiro. – Hai capito, no?
– A-ah, Carolina del Sud! – Sollevò un pugno al cielo con una risatina, il gin che ribolliva nella bottiglia. Mi veniva voglia di strappargli quella roba di mano e spaccare il vetro scuro sulla sua nuca. – Fedeli a Washington dal suo primo respiro. Il ragazzo è in territorio amico, a quanto pare. – Accavallò di nuovo le gambe sul tavolo. Ecco tutto l'aiuto che aveva intenzione di offrirmi, bastardo irlandese.
Sollevai le mani in un gesto stizzito. – Grazie mille, Tom! – berciai acido, una mano sulla maniglia. – Grazie per tutta la saggezza con cui mi illumini...
Non riuscii mai a finire la mia battuta a effetto.
La porta della cabina esplose verso l'interno e volai indietro con le schegge di legno, il petto compresso dall'urto di... be', qualunque cosa ci avesse colpito, le palpebre livide e la mente cieca. Non vedevo e non sentivo, c'erano solo un gran caldo e qualcosa di appiccicoso che mi scivolava sulla mano. Appiccicoso e fresco.
Sono vivo? L’unico dannato interrogativo che contasse qualcosa. Fa’ che non sia sangue, pensavo tentando di tirare su una mano per toccare l’altra e assicurarmi che fosse ancora al suo posto. – Porca puttana! – Tom? Ci fu un altro scoppio, e il botto fu così forte che mi costrinsi ad aprire gli occhi e guardare. Mi pulsavano le orecchie, piene di un fischio acuto e doloroso. Lentamente la cabina sfuocata si schiarì davanti ai miei occhi. Vedevo gli uomini agitarsi sul ponte attraverso uno dei lucernari, i cannoni che venivano sistemati e le micce accese. Urla mute uscivano dalle loro bocche come in un brutto sogno, il tempo che scorreva lento come melassa, le espressioni terrorizzate distorte da quella lentezza impressionante.
No, un momento. Come potevo vedere quelle scene dalla cabina? Come…
Non era un lucernario. La porta era semplicemente saltata in aria, lasciando un buco nella parete e nel pavimento sotto i miei piedi, un baratro su cui si stava affacciando Thomas, le mani sulle ginocchia e l’espressione soddisfatta di un bambino che guarda le formiche fuggire dalla montagnola di terra cui ha appena dato fuoco. – Gesù! – Vidi le sue labbra muoversi per formare quella parola, la destra premuta sul cappello e le labbra grondanti sadismo. – Corrono come topi, eh, capo?
Aiutami. Per carità di Dio, Tom, dammi una mano. Sto morendo? Dimmi solo questo. Dimmi solo se sto morendo. – Hickey… – La mia voce suonò strana alle mie stesse orecchie, flebile come quella di un bambino. Credo di aver teso la mano verso di lui, a quel punto. Di aver tirato su col naso, riempiendomi la bocca e i polmoni di schegge di legno. Fumo. Il cervello in cui risuonavano le esplosioni dei cannoni. Il mondo si riduceva a quello.
– Andiamo, capo, tirati su! – La bottiglia in una mano e l’altra stretta sul mio avambraccio, Thomas mi aiutò a rimettermi in piedi, il braccio libero gettato intorno alle mie spalle. – Eccoli qui, eh, Bob? – Ingoiò le ultime gocce di gin – razza di stronzo – e gettò la bottiglia nel fosso sotto di sé, guardandola cadere nella stiva piena di uomini che correvano, afferravano le casse e le portavano sul ponte, incuranti delle assi di legno spezzate su cui rischiavano di inciampare. Aveva ragione, per quanto cattivo sia dirlo. Da lassù sembravano dei topi, niente più e niente meno. – Il valoroso equipaggio scelto dagli Assassini! I miei complimenti, cazzo!
Robert Faulkner continuò tranquillamente a dormire nonostante la sedia fosse crollata indietro. Un altro esempio diretto della decadenza di quella schifosa confraternita. – Andiamo… – Strinsi gli occhi. Ci sentivo. Ci sentivo di nuovo, e maledettamente bene, per giunta. Udii il chiaro scoppio di un cannone nell’aria e una granata da mortaio s’incastrò nel sartiame dell’albero maestro. Le fiamme divamparono come all’Inferno. – Sul ponte – conclusi tra i denti.
Tom scoppiò a ridere. – Non me lo devi chiedere due volte, capo – disse, la bocca piegata in un sorrisetto. Mise mano alla pistola e si lanciò nella mischia come un bambino gioioso, aggrappandosi all’albero di mezzana. – Datevi una mossa, cazzo! – gridò, la voce così forte che i cannoni a malapena la contrastavano. Pazzo furioso, pensai. Forse si era sempre tenuto lontano dalle navi, ma gli scontri lo attiravano come merda per le mosche. – Voglio vederla affondare, quella bastarda! – Mi aggrappai allo squarcio nella parete lignea con le gambe che tremavano, sporgendomi per osservare la nave cui si stava riferendo Tom.
Fosse stato facile vederla. Come se la nebbia non bastasse, l’aria era intrisa di fumo, gli uomini divenuti sagome indistinte in un’enorme nube temporalesca. Erano le fiamme a guidarci, e le urla. Nient’altro. – No! – Mi voltai verso il cassero. La voce di Connor era tesa, colma di panico. – Non da quella parte! A dritta! – Sa davvero cosa significa dritta? Scrollai il capo, guardandolo mollare il timone e correre giù. – Quella è...
Thomas scivolò giù dalle casse su cui era saltato e gli si parò davanti, le labbra strette su un sigaro. – Quella maledetta nave ci sta attaccando, bastardo. – Scandì bene le parole, in tutta calma, mentre il fumo li avvolgeva come condottieri di qualche poema epico. – E se qualcuno prova a rompermi il culo, io mi alzo e gli faccio vedere chi ha il cazzo più grosso, siamo intesi? E se...
Un capogiro mi travolse, spingendomi verso il parapetto. Avevo un brutto presentimento. C'era qualcosa che non andava, me lo sentivo. L'intera Aquila era circondata dalla nebbia bianca dei cannoni e, in lontananza, riuscivo appena a scorgere la forma oblunga di una nave con uno degli alberi spezzato. Probabilmente stavano ricaricando i cannoni per mandare definitivamente la nave con la pancia all'aria. – Non ho ragione, capo?
Mi voltai a guardare Thomas Hickey che tratteneva bruscamente Connor per una spalla, il sigaro nell'altra mano. Mio figlio si divincolava nella sua stretta, agitando le mani verso il timone e ringhiando qualcosa che non riuscii a intendere. – Eh?
Ci fu un altro scoppio di cannoni e d'istinto mi voltai a guardare la nave a mancina. Il fumo si era diradato velocemente e non c'era traccia delle palle nell'aria. – Chi ha sparato? – strillò Connor, liberandosi di Tom per qualche secondo. Si respiravano tutta la tensione e il panico che percorrono l’interminabile periodo di tempo tra l’attimo in cui la palla è lanciata e quello in cui prende in pieno la tua nave. – Chi...?
Gli alberi s'inclinarono pericolosamente a sinistra seguiti dall'intero scafo, il parapetto cui ero appoggiato a poco più di un metro dalla furiosa superficie grigia. – Ci hanno preso! – gridò qualcuno. Perspicaci, questi uomini. – Colpiscono da dritta! Caricate i cannoni!
– Dove siamo? – Era inutile. In quella nube di fumo, con il puzzo acre del sangue e della polvere da sparo che saliva dal ponte squarciato, nessuno avrebbe mai fatto caso a me. Non che persi tempo a pensarci, in quel momento. Me la stavo praticamente facendo addosso. – Dove siamo?
Le braccia sollevate sopra la testa, Connor si lanciò sottocoperta, i piedi che sbattevano sulle assi mezze spezzate. – Va' al timone! – urlò con la voce acuita dalla paura. – Mi hai sentito? Va' al timone!
Per una volta aveva ragione. E forse fu proprio per quello che tentennai. – Cosa? – esclamai con le mani nei capelli. – E tu? Dove diavolo stai...?
– La polvere da sparo! – Mi aveva già voltato le spalle ed era sparito nelle viscere della nave. Il sibilo che gli usciva dalla gola giunse alle mie orecchie come la campana del mietitore. La polvere. Se un'altra bordata avesse colpito lo scafo... Dio, saremmo saltati in aria come palle di moschetto.
Bella mossa, pensai mentre scattavo verso il cassero di poppa, una mano che serrava il parapetto e l'altra a tenermi il cappello sulla testa. – Capo! – Tom pareva entusiasta. – Che fai, vuoi perderti tutto il divertimento? – Agitava il pugno chiuso, la testa reclinata in una folle risata.
– Te lo lascio volentieri – sussurrai, la voce così flebile che dubito mi avesse sentito. Non era una mia preoccupazione soddisfarlo. Strinsi le mani sulle assi del timone e virai a mancina, gli occhi nella spessa nebbia davanti a me.
– Sparate! – sentii gridare Thomas, pieno di energia come non mai. – Dritta, mancina o dove cazzo volete, ma sparate!
– A dritta! – Connor era riemerso dalla stiva con una grossa cassa tra le braccia, il viso imperlato di sudore. – Sparate tutti a dritta! Haytham! Vira a sinistra!
Sinistra. Sinistra.
I cannoni risuonavano nella notte come tuoni. Le mie mani si mossero come dotate di vita propria, il timone ruotò con violenza su se stesso e...
...e niente. Non tirava un filo d'aria in mezzo al maledetto oceano. – Oh, andiamo – sibilai tra i denti mentre la nave scorreva lentamente sull'acqua. Troppo lentamente. – Forza. Forza. – Avevo i nervi a pezzi. Mentre la mia fronte grondava sudore ghiacciato pensai che se esisteva un momento buono per crollare, era senza dubbio quello.
Ringraziando Iddio, l’altra nave non me ne diede il tempo. La batteria sparò tutta nello stesso istante, accompagnata da un acuto gemito di soddisfazione da parte di Tom. Il fumo si addensò nuovamente e non ci fu altro che bianco e una gran confusione. – Connor! – berciai dal cassero. Le gambe mi tremavano così forte che ero certo mi sarei pisciato addosso, o che sarei svenuto. – Chi diavolo è che spara?
Non arrivò alcuna risposta. Mio figlio, appollaiato dietro il parapetto di babordo, stava caricando con le mani maldestre un cannone, cercando di fare il marinaio e il capitano nello stesso momento. Indicava agli uomini dove e quando sparare con pochi gesti approssimativi, il viso bianco per la paura. Il bello era che quegli idioti gli davano pure ascolto. – Merda!
– Non disperare, capo! – Thomas apparve al mio fianco come un fantasma, facendomi trasalire. Lo guardai in tralice, una mano sul petto nel tentativo di calmare il battito del mio  cuore.
Il bastardo scoppiò a ridere, gli occhi stretti e la bocca aperta come una voragine dritta sull'inferno. – Non hai ancora sentito il peggio. – Con il moncone del sigaro in mano, si voltò a indicare l'ultima nave che ci aveva sparato. – Quello, capo – disse con aria esperta – è un meraviglioso vascello del Britannico arrivato fresco dal Mare del Nord. Una bestia del cazzo.
Non poteva trovare definizione migliore. Mentre il fumo si diradava e il silenzio mi faceva stappare le orecchie, la forma della nave si delineò con più precisione. Quello non era un semplice vascello, sembrava più la casa su acqua di Sua Maestà in persona. Tre file di bocche puntate dritte verso di noi, cannoni rotanti sul ponte mobile e, poco ma sicuro, erano dotati di mortaio. Nel cielo, dall'albero maestro alto e coraggiosamente dritto, sventolava il vessillo rosso dell'Esercito Britannico.
– Se mai tu ti stia chiedendo – la voce di Tom mi riscosse, lasciandomi l'amaro in bocca mentre spostavo lo sguardo dal vascello  al mio socio – per quale diavolo di motivo i leccaculo di Re Giorgio ci stiano sparando... – Fece spallucce. – È presto detto. – Sollevò l'indice sulla sua testa e lo puntò dritto verso il nostro albero. Avevo paura ad alzare gli occhi.
Quando vidi la bandiera che veniva frustata dal vento... Dio, non so assolutamente dire cosa mi trattenne dall'uccidere Connor in quell'istante. In cima a quel lungo pezzo di legno si agitava un pezzo di stoffa a strisce bianche e rosse, un rettangolo trapunto di stelle in un angolo.
Ditemi che non è vero. Una gelida ondata di paura m'attanagliò le viscere, girandole su loro stesse e facendomi venire voglia di vomitare quel poco che avevo in corpo. Gli occhi mi pulsavano, così come la testa, preda di un dolore sordo e implacabile.
La bandiera dei neonati Stati Uniti sventolava sopra la mia testa. Il Britannico si stava soltanto difendendo. – Razza di coglione! – ruggii verso Connor, lasciando andare il timone e lanciandomi su di lui. – Bastardo idiota del cazzo!
– Ehi, ehi, oh, piano con le parole, capo. – Thomas mi prese per un braccio, le labbra aperte in un sorriso. – O il bastardo potrebbe sbagliare mira.
Indicò con il pollice della mano libera la sottile nave alle nostre spalle, quella che ci aveva sparato. – Ed ecco dall'altra parte, signori e signore, il nostro secondo migliore amico. Nientemeno che l'Esercito Continentale. – Si piegò, schiaffeggiandosi le cosce mentre rideva, il vento a scompigliargli i capelli sotto il tricorno. Se c'era un momento buono per spingerlo in acqua, era senz'altro quello.
Tra due fuochi. Mio figlio e la sua stupida rotta ci avevano rinchiusi tra l'Inghilterra e le Colonie, in uno scontro di cui non m'interessava niente. Ben poteva già essere in Martinica, a quell'ora. – Maledizione, Connor! – gridai con tutto il fiato che avevo in corpo, le mani nei capelli mentre i cannoni sparavano e la nave sussultava, balzando indietro per il rinculo. – Dobbiamo andarcene.
– A-ah. – Tom si era afflosciato sopra un barile di gin, battendoci la mano sopra con un sorrisetto. Il solito. – Direi proprio di sì. – Indicò il timone con un cenno. – Quindi datti una mossa.
Giuro su Dio, non ci fossero state due imbarcazioni a minacciarci con dei maledetti cannoni gli avrei tirato un pugno sui denti. Datti una mossa. Come fosse stato facile, in quel casino. Saltai sul cassero e presi il timone, tentando di virare. Le vele strappate ciondolavano in molli brandelli lungo gli alberi integri, e quello spezzato indicava con gelida consapevolezza la nave del Continentale, alla mia sinistra. – Dobbiamo andarcene – sussurrai di nuovo tra i denti. – Dobbiamo...
– Fuoco! – Il vascello dell'Esercito Britannico ricevette le nostre bordate, incassando il colpo come fosse la spintarella di un bambino. Thomas Hickey rise e lanciò il sigaro alle proprie spalle, nell'acqua spumeggiante. Se pensavo a tutto il tempo che stavamo perdendo mi venivano i capogiri.
Non avrei portato a termine quello scontro. – Porca troia! – Il Continentale continuava a spararci contro, la bandiera invisibile nella nebbia, e il legno si spezzava sotto le cannonate. Un uomo risalì da sotto coperta strisciando sulle braccia, la gamba sinistra ridotta a un brandello insanguinato di carne macellata, le urla che gli morivano in gola.
Come poteva Connor permettere che succedesse? Come poteva lasciare che...
Oddio. – Tom! – gridai con tutto il fiato che avevo in corpo. – Maledizione, Tom, tira fuori Faulkner dalla cabina! – Si voltò a guardarmi e sbuffò, teatrale.
– Perché? Se dorme avrà una morte indolore, no? – Si massaggiò lo stomaco colmo di gin e rum. – È mille volte più fortunato di noi bastardi. – Insomma. Un conto era morire sul colpo, svegliarsi con le budella fuori dal corpo o un arto ridotto in poltiglia come quel poveretto era tutt'altra storia. Digrignai i denti nella sua direzione e lui sollevò lo sguardo al cielo viola scuro per la nebbia. – E va bene, te lo porto.
Lo ringraziai con un cenno prima di tornare a preoccuparmi per Connor e la sua idiozia. La nave pareva come incagliata in una secca, ogni movimento lento e scattoso. – Andiamo. – Lo so. Lo so che tutta questa faccenda del non riuscire a far muovere una dannata nave sarebbe dovuta essere una stilettata al mio orgoglio di Kenway, ma in quel momento non me ne fregava niente. Non volevo morire. Ed era tutto ciò che contava. – Connor!
Una bordata di palle incatenate spezzò l'albero di trinchetto. Legno e stoffa collassarono su loro stessi, graffiando il ponte e portando il morale dell'equipaggio insieme a loro. Avevamo solo l'albero maestro. L'Aquila era da buttare. – Connor! – Non avevo più voce. Dalla gola mi uscì un raglio tetro e colmo di disperazione.
– Ed eccolo qua. – Thomas risalì dalla cabina, abbandonando Bob Faulkner contro i rottami dell'albero. – Gli chiedo due o tre consigli sulla navigazione o vuoi fare da solo? – Scoppiò a ridere per la sua stessa battuta, quel pazzo psicopatico. Ne ho visti pochi al mondo di folli come lui. Tirò persino fuori dalla tasca una bottiglia di gin e la stappò coi denti, rischiando di strozzarsi mentre ne buttava giù come se dovesse morire di lì a poco. E forse non aveva tutti i torti.  
L'uomo con la gamba mutilata gli strisciò accanto. Poteva scegliere un momento migliore, a pensarci. Disturbare Thomas Hickey mentre beveva, pessima scelta. – Aiutami – mugolò mentre Connor ordinava di ricaricare. Ancora. Quello voleva farci colare a picco, poco ma sicuro. Vidi Thomas scoccare un’occhiata critica al gin e versarglielo sulla gamba, l'uomo che urlava e urlava disumano, in preda a un dolore troppo forte per essere compreso. Gli gridava che era un bastardo, un folle bastardo, e in fondo non potevo dargli torto.
Mollai il timone, lanciandomi verso mio figlio. E quello fu il momento in cui l'Esercito Continentale mise alla prova il suo favoloso mortaio. Lo scoppio fu forte come una folgore che si schianta a terra e ugualmente minaccioso. – Cazzo! – Granate presero a piovere sulla nave, i barili di polvere aperti e Tom con una bottiglia di superalcolico in mano. Le vele presero fuoco e gli uomini presero a strillare, correndo in circolo come topi e abbandonando i cannoni. Nel frattempo avevo raggiunto Connor, spintonando uomini devastati, in preda al panico e senza più nulla da perdere.
Tranne la vita. – Porca puttana, ragazzo, che stai facendo? – Mio figlio era rimasto ai cannoni e li caricava in solitudine, cercando sotto la giubba una scatola di fiammiferi che non aveva. – Connor! Prendi il timone e andiamocene!
Le granate caddero violente anche sul vascello britannico, così tante e veloci che l'occhio non le distingueva tutte, e la nave prese fuoco come un pezzo di legno imbevuto di pece. Le urla di agonia erano quasi un'abitudine per le mie orecchie, ma il nativo si voltò verso di me con le spalle scosse da un brivido e gli occhi lucidi. Oh, un massacro. Come fosse stata la prima volta. – Siamo... – Deglutì, incapace di parlare. – Siamo...
– La mia nave! – Ci voltammo di scatto. In mezzo al ponte, proprio davanti al cassero, Faulkner si disperava con le mani nei capelli mentre Thomas quasi rotolava dal ridere per le sue disgrazie. – Il mio ponte, era... Era perfetta, maledetto ragazzo, che cosa hai fatto? – Agitò i pugni contro Connor che, per quanto lontano, fece un balzo indietro con un sussulto molto simile a un singhiozzo. Che donnicciola. Forse la prima volta è così per tutti. – Guarda cos'hai fatto alla mia nave!
Connor mi rivolse un'occhiata colpevole. – Mi dispiace – sussurrò. – Non potevo andarmene senza aiutarli.
Non poteva... Oh, Gesù Cristo, certo che poteva! Ma aveva scelto di fare l'eroe abbattendo quasi da solo un vascello britannico e devastando...
No. No. No. Non ci avevo pensato fino a quel momento, ma... no. Sentii la mascella contrarsi e l'ira scorrermi nelle vene potente come alcool. – Bastardo! – gridai, e immediatamente mi lanciai contro di lui, gettandolo sul ponte coperto di sangue, cadaveri, sartiame e polvere da sparo. – Hai mandato a monte tutte le mie possibilità di prendere Ben! – gli gridai in faccia, sputacchiando sopra di lui come un vecchio bollitore. – Tu meriteresti di stare in fondo al mare con gli altri cadaveri, tu e George Washington! Cosa cazzo ti è saltato in mente, eh?
Lì per lì non me ne accorsi, ma il ragazzo non riusciva a guardarmi. Teneva i pugni chiusi davanti al viso, come per difendersi, e singhiozzava. – Haytham – squittì al pari di una ragazzina. – Haytham, basta, per favore! Non volevo, davvero, io... Non volevo!
Lo sollevai e sbattei la sua schiena contro il ponte, rialzandomi in uno scatto. – Affanculo! – gridai pestando un piede sul legno accanto al suo viso. – Affanculo tu e il tuo maledetto complesso dell'eroe! Se Church non morirà sarà soltanto colpa tua, mi hai sentito? – Era rannicchiato come un bambino. Un grosso bambino scuro e sporco di polvere. Mi ricordava tutte le vecchie storie di ragazzetti poveri che cercano di difendersi da padri ubriaconi. Storie cui, essendo figlio del nuovo Edward Kenway, non avevo mai dato molto peso. Eppure mi stavo muovendo in un terreno pericoloso, molto vicino a quello. Solo che non ero ubriaco e Connor lo meritava. Lo meritava completamente. – Affanculo! – berciai di nuovo, una volta che ebbi ripreso fiato.
– Qualcuno qui ha nominato Benjamin Church? – Una voce lontana giunse alle nostre orecchie. Sollevai gli occhi stretti e colmi d'odio alla ricerca di quel bastardo che urlava allegramente nonostante avessimo rischiato la vita senza se e senza ma.
Mi voltai verso mancina con i pugni chiusi, pronto a prendere Connor e quel maledetto idiota a testate. Magari l'uno contro l'altro. La nave dell'Esercito Continentale si era accostata a ciò che restava dell'Aquila. Come la parodia di ciò che era stata un tempo, l'ammiraglia degli Assassini aveva il ponte scivoloso per il sangue e i cadaveri, le assi spaccate e i barili di polvere da sparo aperti e mezzi vuotati sul pavimento. Dall'altra parte della nave, Faulkner non aveva ancora trovato il controllo di sé. Si era gettato a terra con il viso affondato tra le mani, come una madre che guarda il cadavere del suo unico figliolo. Thomas rideva come un pazzo, dal canto suo, e io urlavo in faccia a Connor che sembrava sul punto di unirsi a Faulkner in un coro di lacrime da ragazzine sensibili.
Il capitano della fregata Continentale ci venne incontro con un gran sorriso. Ora che ci penso capisco perché. – Ehi, generosi signori! Parlo con voi! – Si tolse il cappello e lo sventolò alto sopra la testa, giulivo. Si sporgeva verso di noi dal parapetto, un paio di lunghe basette che correvano lungo i favoriti e si univano sul mento, gli zigomi alti e un sorriso felice in volto. E ci credevo, avevano pisciato granate da mortaio sopra la nostra nave completamente indisturbati. Grand'uomini. – Io sono il capitano Hopkins, e questa bellezza è la Warren! – Indicò la fregata con un albero spezzato come un mercante che mette in mostra il suo miglior prodotto, quindi si ricalcò il cappello sul capo. – Credo sia mio dovere ringraziarvi per aver salvato la mia signora dall'arenarsi sul fondo dell'oceano. – Il suo tono trasmetteva un'estrema noncuranza, manco arenarsi sul fondo dell'oceano, come diceva lui, fosse la cosa peggiore del mondo. – Ma che maleducato! Portate la passatoia!
Scoccai un'occhiata stranita a Connor, tirandolo su per la giubba. – Conosci questo schizzato? – gli sibilai contro. Era stato così valoroso da parte sua buttarci in uno scontro che non potevamo sostenere, speravo almeno che sapesse a cosa stava andando incontro. – Eh? – Non mi rispose, e ancora oggi non comprendo il motivo di tale gesto.
Sollevai lo sguardo sull'albero maestro della Warren, oltre i cannoni e le cime. In cima a quel tronco di legno sventolava molle la bandiera con le tredici strisce rosse e bianche. Marina Continentale. E come Thomas avesse fatto a capirlo, be', resta un altro dei miei peggiori dubbi. Forse l'alcool gli permise di vedere oltre la nebbia. Chi può dirlo? – Prego! Passate! – Gli uomini della Warren avevano sistemato una specie di piccolo ponte tra la fregata e l'Aquila. – Non vogliamo che la vostra nave coli a picco con tutto il proprio coraggioso equipaggio.
– State scherzando? – gridò Faulkner, abbracciando l'albero di trinchetto come fosse il suo migliore amico. – Io non la lascio qui! Non la lascio qui, mi avete sentito?
Vidi il giovane capitano roteare gli occhi. – Signore, per carità, avete tutta la mia comprensione, ma le nostre preghiere non impediranno a questa nave di affondare. Possiamo trainarla fino a...
– Certo che potete trainarla, pezzi di merda! – strepitò, senza lasciare per un attimo l'albero. – Io non la mollo qui, bastardi! Capito?
Hopkins si grattò la barba storcendo la bocca. – Faremo del nostro meglio, d'accordo? Ora mi serve che il nucleo di comando della nave venga a bordo. Per favore, signori. – Si strinse nelle spalle, la testa china in un cenno cordiale. – Coraggio! Com'è che si chiama la vostra... – Scommetto che cercava un titolo molto meno lusinghiero. – ...imbarcazione?
– Aquila – disse Connor a voce così bassa che a malapena si sentì.
Stupido ragazzino. – Aquila – ripetei, trattenendomi dal colpirlo con uno scapaccione. – Dobbiamo...?
– Ma certo, certo, accomodatevi! – Hopkins indicò il ponticello. – Non siete nella Marina, suppongo.
Sollevai Connor per un braccio, aiutandolo a rimettersi in piedi. – Supponete bene – replicai a mezza voce. – Tom, Bob, venite?
Thomas fu al mio fianco quasi saltellando, felice come un bambino davanti a una cioccolateria. – Non mi perderei dello schifoso whisky coloniale per niente al mondo, cazzo! – esclamò con un tono decisamente più alto di quello che il galateo avrebbe suggerito. – E credo che il vecchio abbia voglia di farsi una sega sulla nave. – Si strinse nelle spalle e sogghignò, levando alta la bottiglia verso la Warren. – Noi tre, eh, bastardo? Come ai vecchi tempi. – I vecchi tempi. Quelli da cui non era passato nemmeno un anno, praticamente. Oh, Thomas Hickey il nostalgico, che anima. I vecchi tempi erano quelli del birrificio in cui pensavo di trovare Ben, di quando bazzicavamo nella foresta e quel pezzo di merda ubriaco di Hickey mi aveva fatto l'ennesima scenata per aver ammazzato un uomo. E poi ne aveva fatta un'altra per non averne ucciso uno. Strambo bastardo.
Scrollai il capo, tentando di levarmi dalla testa quella stupida storia, e fui il primo a incamminarsi sul ponticello che dall'Aquila portava alla maestosa Warren, membro della Marina Continentale. Mica moscerini. – John Burroughs Hopkins –, il capitano mi strizzò la mano in una stretta gioviale, il cannocchiale in una mano e le labbra fini sparite in un sorriso. Sembrava non gli fosse mai successo niente di male da quando era nato, niente di niente. Il tipo di uomo che meno riuscivo a tollerare. – Piacere di conoscervi, capitano.
Non gli scoppiai a ridere in faccia solo perché, be', la situazione in sé non era delle più allegre. – Oh, no, mi lusingate, ma io non sono il capitano. – Hopkins fece spallucce e mi batté il pugno che stringeva il cannocchiale sulla schiena, dunque passò a Thomas e a Connor.
– Quindi nessuno di voi è il capitano? – La voce di quello strano tipo tremava d'ilarità, come fosse la situazione più comica cui avesse mai assistito. – È... strano. Vorrà dire che lascerò il mio whiskey d'importazione in cabina e, per Bacco!, vi offrirò quel rum disgustoso che beve la plebe qui intorno a me, giusto? – Indicò il proprio equipaggio allargando le braccia e scoppiò a ridere. Di più, si piegò in due e dovette pararsi una mano sulle labbra per mantenere la propria dignità. Uno dei motivi, oltre a quello di averci ridotti a un colabrodo, per cui avrei voluto gettarlo giù dalla sua stessa stupida fregata.
Thomas roteò gli occhi, i denti stretti, e gli poggiai una mano sul braccio. Immaginavo già Tom saltargli addosso e mollare un pugno sul suo mento coperto di pelo. Non cercavo guai. Non ancora. – Ehi, capitano – brontolò invece, ignorando la mia presa, – sbaglio o avete nominato Ben Church?
Hopkins si ricompose, passandosi una mano nei capelli, e si rivolse di nuovo a noi con quel sorriso da ragazzino felice, gli occhi scuri brillanti di gioia. – Sì. Sì, certo, ma...
– Allora prendete quattro bicchieri di rum e parliamone, non vi pare? – Non sapevo se volesse bere o soltanto sentirmi discutere con Hopkins per un po', così da poter fare tutto ciò che voleva.
Il capitano fece un sorrisetto da grand'uomo, tutto tronfio del proprio grado. – Io non bevo...
– Infatti due sono per me – replicò Tom colpendogli il petto coperto dai gradi con l'indice.
Sul viso di Hopkins si aprì una smorfia stupefatta, quasi maligna. Sfidato da un ubriacone. La classica espressione di chiunque davanti a Tom. Con Cornwallis poteva anche trattenersi, ma davanti al Continentale... perché mai? Se devo dire la mia, li odiavo molto più di Re Giorgio e il suo seguito. Almeno non ero costretto ad avere il monarca sempre in mezzo alle palle, mentre i patrioti, tra Figli della Liberta, minute men e ufficiali dell'esercito, George Washington per primo, spuntavano come funghi. – Capisco – brontolò l'uomo di mare facendo un passo indietro. – Bene. Sarei lieto di bere qualcosa con voi nella mia cabina. Dopo di voi, signori.  
   
Picchiettai l'indice su una cornice di legno decorato, con un ritratto del capitano Hopkins al suo interno, e la guardai restare immobile sulla sua mensola nonostante la Warren dondolasse a destra e a manca nei flutti. – È inchiodata – mormorai, ma Connor m'ignorò, come se non esistessi. Tom era sparito sul ponte a vomitare anche l'anima, insieme a quel po' di schifoso rum che ci offrì il capitano, infinitamente inferiore persino al grog distillato da Faulkner. Al grog, intendiamoci. Così Hopkins aveva colto l'occasione per conservare quella botte, facendola riportare sottocoperta. Tirchio, come ogni capitano che si rispetti, ma non c'era vera e propria crudeltà o abilità manipolatoria nei suoi occhi, anzi. Sembrava felice. Probabilmente era una volpe che sapeva giocare col cacciatore, e conosceva le regole.
– Eccomi qui! – esclamò trotterellando attraverso la porta con il cappello in mano. Oh, tu, quanto mi sei mancato. – Tira un gran brutto vento, là fuori! Prego, sedetevi.
Mi avvicinai al tavolo lanciando un'altra occhiata alla cabina. Non era affatto come quella dell'Aquila. Le cartine delle Colonie e delle zone marittime lì intorno erano inchiodate alle pareti, il tavolo lustro e sgombro, gli alcolici e gli effetti personali rinchiusi in un grosso baule da viaggio che Hopkins teneva quasi sempre serrato in un angolo. – Non mi pare che ci siamo presentati, comunque. – Hopkins fece un altro dei suoi famigerati sorrisoni, tendendo la mano. – Il mio nome lo sapete già.
Fu Connor ad allungarsi per primo. – Chiamatemi Connor – disse tirando su col naso. Aveva pianto? Oh, Cristo.
– Non ce l'avete un cognome?
Che lo nascondesse. Ero stato ferito in modi peggiori per preoccuparmi di mio figlio che rinnegava le proprie origini. Magari avesse fatto solo stronzate simili, invece che rovinarmi con le sue idee geniali. Connor scosse piano la testa e Hopkins lasciò perdere. Doveva essere una piaga anche per lui. – E voi?
Mi riscossi, stringendogli vigorosamente la mano. – Haytham... – mi bloccai.
Ero nei guai. Cazzo, se ero nei guai.
Io e Tom viaggiavamo tranquillamente su una nave della Marina Continentale. Era come se navigassimo sulle spalle di Washington in persona. E vuoi che non ricordassero il mio cognome o il suo?
Mi sentii un momento in colpa verso Connor, pensando che forse nascondendo il proprio cognome voleva solo salvarmi la pelle. Quel pensiero se ne andò in fretta, ovviamente. Era pur sempre mio figlio, ed esattamente come per me era più importante prenderlo in giro che volergli bene, lui preferiva rinnegarmi che prestarmi ascolto. – ...Johnson – inventai su due piedi, tornando a fissare Hopkins negli occhi. – Perdonatemi, stavo ammirando la vostra cabina. – E in parte era vero. I lucernari le conferivano un'atmosfera sobria e ordinata, di chi sa quello che fa. Nella cabina dell'Aquila ci si ubriacava e si riportavano a galla vecchi ricordi. Niente di più. – E l'uomo con le viscere in subbuglio è Henry Slum, un mio caro e vecchio amico. Mi spiace non renderlo partecipe, ma...
Hopkins liquidò la questione con un cenno rapido della mano. – Lo stomaco è stomaco. Non deve essere un uomo di mare. Eppure... – Sorrise, quasi nostalgico. – L'ho visto in piedi al centro del ponte, alcool in una mano e sigaro nell'altra, durante lo scontro con quel bestione britannico. Onorevole.
Abbassai il capo, scuotendolo in una risatina silenziosa. – La nave era ferma, no? – replicai. Connor sembrava una vedova a lutto, sbracato sulla sedia al mio fianco. Dio, riprenditi. – Henry è un uomo di scontri.
– Soldato?
– Non ne parla volentieri. – Dovevo pur pararmi il didietro in qualche modo. – Evito di chiedergli, ma non credo. Forse lo era suo padre. – Mi strinsi nelle spalle, lasciando che il capitano credesse ciò che voleva. Bastava che non mi consegnasse.
Hopkins annuì. Non sembrava aver patito l'esperienza nella Marina, anzi. Era divertito. Una versione discreta ed educata di Tom. Un altro uomo di scontri. Il genere di tipo da cui devi sempre guardarti, perché dalle battaglie escono sempre bene, loro. Da qualunque parte stiano. – Devo ringraziarvi per ciò che avete fatto, signori.
– State trainando la nostra nave. – La voce di Connor era a malapena percettibile sopra lo sciabordio delle onde. – Sono io a dovervi ringraziare.
Il capitano rise, spassionato, tirando fuori dalla tasca una tabacchiera e lanciandosela da una mano all'altra. – Non concepite la grandezza del servizio che mi avete offerto. Sono stato io a insistere per provare la nave. George mi aveva detto di aspettare, che era pericoloso, di partire solo quando fosse stato necessario... – Roteò gli occhi, emettendo un grosso sbuffo. – Sapete, no, piani di guerra e inezie di questo genere.
– Ah, io proprio non li capisco, i militari – ironizzai con un sorrisetto. – Già i tempi sono quelli che sono, e si preoccupano pure? Dio! Piuttosto va' a scopare per una santa sera, no?
Connor mi poggiò una mano sul braccio, ma Hopkins aveva colto l'antifona al volo. Maledetti gli spiritosi. Sono intelligenti. – Avete anche il senso dell'umorismo, Johnson, complimenti! – esclamò ridendo.
Se non lo avessi non avrei preso il cognome di un uomo che ho ucciso, dico bene? – A volte serve più dei cannoni.
– E a volte te ne fa arrivare una palla addosso. – Si strinse nelle spalle, fissando Connor come se si aspettasse di vederlo ridere. Io avevo perso le speranze da tempo. – In ogni caso, se la nave fosse affondata sarei un uomo morto, e lo devo solo a voi. Sapete, io sono del Rhode Island.
Un brivido mi corse lungo la schiena. Come Ben. Americano fin nel midollo, ma almeno questo qui aveva un po' di coerenza. Cominciavo a pensare che Church fosse un pazzo, uno che va dove lo porta la propria mente malata. Non... non credevo gli importasse davvero qualcosa dell'Inghilterra. E se era così, perché diavolo aveva combattuto anni nel Continentale senza preoccuparsene? Chissà, forse l'adorato Gran Maestro che ha tentato di impiccare, quel quarto di bue dal sangue britannico, ha fatto esplodere in lui l'amore per la Corona. Sorrisi tra me. A Reginald non era mai interessato molto di Ben. L'aveva lasciato andare, no? Come gli altri. Si era fatto tradire. Accidenti. Come mi dispiaceva. E Birch... era così cieco, vittima della propria sete di potere, da non volerlo nemmeno vedere morto. O forse sapeva che ci avrei pensato io. – È per questo che conosce Benjamin Church? – chiesi nel tentativo di cacciare quei pensieri dalla testa.
Scrollò il capo. Connor era tornato a chiudersi nel suo silenzio. – Oh, no, quando sono nato probabilmente era già a... Harvard, a fare il saputello per accumulare soldi. – Storse la bocca in una smorfia di disprezzo. – Ma da quando è uscito di galera tutto l'esercito non fa che parlare di lui. Quando Lee ha trovato le celle vuote... – Agitò una mano nell'aria. – Pareva volesse tirare giù il cielo.
– Cosa? – Trasalii, quasi strozzandomi con la mia stessa saliva. – Il generale Lee?
Fece un cenno d'assenso col dito, come a dire che lo avevo colto nel segno. – C'era tutta una storia con il Britannico, scambi e cose di cui preferisco non impicciarmi, ma pare che Church non sia mai arrivato a Boston. E nel frattempo una truppa di patrioti è stata trovata morta lungo la strada. – Sollevò le sopracciglia. – Era un chirurgo, dico io, sapeva come tagliare, dove farlo. L'hanno sottovalutato, e ora sembra che George e Charles abbiano cose più importanti di cui occuparsi.
– Non lo stanno più cercando? – Mi voltai di scatto verso Connor. Si era interessato, eh? Era chino sul tavolo, verso Hopkins, manco volesse minacciarlo.
Il capitano, placido come un bambino, aprì la tabacchiera e si portò un po' di polvere al naso, tirando vigorosamente su. – Così ho capito. E voi? – chiese con un sorrisetto colmo di soddisfazione. – Perché tanto interesse?
Per vendetta. Hai presente, Lord Sorriso? Decisi di lasciar parlare Connor. – Ha rubato dei rifornimenti al Continentale ed è scappato. George Washington mi ha chiesto di recuperare quella roba.
– Non possiamo permettere che scappi – brontolai con noncuranza. Hopkins sembrava uno di quelli che fingono di ignorare le cose finché non gliele spiattelli sotto il naso. Per cui, l'avrei fatto. Con la dovuta discrezione. – Si tratta pur sempre di un furto.
– Da cui potrebbe dipendere l'integrità degli Stati Uniti d'America – sibilò Connor. Non mi pareva di avere mai sentito della vera e propria rabbia nelle sue parole, ma senza dubbio c'era passione mentre parlava del suo obiettivo. Gli Stati Uniti. Patetico. Gli uomini non sono fatti per essere uniti. Non è nella loro natura. – Dovete aiutarci. Io...
Hopkins sbuffò e interruppe Connor con un cenno della mano, le labbra strette in una smorfia frustrata. – Amico, lo so. D'accordo? Mia madre mi ha insegnato l'ospitalità, da bambino. – Si picchiò il petto e prese ad agitare le mani in aria. – Grazie, prego e simili. Mio padre era già capitano, e lei voleva che prendessi un mestiere più rispettabile, ma a me piacevano le navi ed eccomi qui. – Batté il pugno sul tavolo. Come se me ne fregasse qualcosa. – Era una donna del sud. Non ho dimenticato i suoi insegnamenti. Voi mi avete salvato la vita e la fregata. Avete salvato l'Esercito Continentale. – Andiamo, coglione, ché poi Connor arrossisce. – Mi sento almeno in dovere di... come si dice, aiutarvi ad aiutarmi ancora. – Si esibì in un altro dei suoi ormai celebri sorrisoni. Se ne avesse fatto ancora uno gli avrei tirato un pugno su quel naso del Rhode Island. – La vostra nave sarà trainata fino a Savannah, e lì prenderete in prestito una cacciatrice. Roba spagnola, catturata dal Continentale e chiusa da un po' nella mia rimessa. È la dannata nave più veloce che abbia mai solcato l'oceano, ve lo giuro su Dio. Voi la pigliate, catturate Church – con due dita fece finta di camminare sul tavolo, – lo uccidete, o fate... ciò che volete, riportate i rifornimenti e io vi ridò la vostra Aquila come nuova. – Si sfregò le mani, guardando prima me e poi Connor, in attesa di una reazione. – Che ne dite?
Pensate davvero che avrei aspettato un parere di Connor davanti a un'occasione simile? – Accettiamo.
– Non dovete... – gemette il ragazzo nello stesso momento, scoccandomi un'occhiataccia. – Posso parlarti un secondo?
Sbuffai. Riuscivo quasi a sentire lo sguardo divertito di Hopkins sul mio tricorno. – Non c'è niente di cui parlare. Accettiamo. – Non volevo sentire ragioni. Era ora che quell'idiota facesse ciò che dicevo io, senza discutere.
– Haytham, non voglio sfruttare l'Esercito Continentale.
– Senza offesa, capitano, ma mi pare che voi abbiate ben sfruttato il diversivo dell'Aquila per abbattere quel vascello inglese. – Hopkins non trovò niente con cui ribattere e si strinse nelle spalle. Quella scenetta doveva essere spassosa, per lui. E non eravamo nemmeno arrivati alle mani.
Connor serrò i denti. – La missione è mia.
– E Benjamin Church è mio – ringhiai sul suo viso, occhi negli occhi. – Non capisci? Se lo lasci andare ora i tuoi rifornimenti non li prendi più. – D'accordo, ero guidato dall'opportunismo, ma, ehi, quella era la verità. Per quanto la Warren fosse veloce, quello scontro ci aveva rallentati. E senza una nave non saremmo andati da nessuna parte. – Accetta la... – Strinsi i pugni. – ...gentilissima opportunità che il capitano ci offre.
Hopkins annuì, calandosi il cappello in testa. – Bene. Allora siamo d'accordo?
Lasciai perdere Connor, intento a guardarmi torvo. – Avremo l'equipaggio originale?
Mio figlio s'intromise. E devo ammettere che non ho mai visto un uomo d'affari più scarso. – Qualcuno dei miei rimarrà a Savannah per riparare l'Aquila. – Perché a me, eh? Quel ragazzo sembrava sprovvisto di qualsiasi talento. Non era diplomatico, combatteva rozzamente, non aveva la minima idea di cosa fosse il carisma e per di più non sapeva neanche mercanteggiare. Ve la dico io la regola numero uno. Sono pur sempre il figlio di un pirata che per un quarto della sua vita ha fatto il commerciante, no? Va bene, avvicinatevi e sentite qui. Il segreto è cercare di strappare all'altro quanto più puoi cedendo il meno possibile. Ta-dah.
Sorpresi, vero? – Oh, Dio! – Incredibile. Persino Hopkins era frustrato dall'angelico atteggiamento di Connor. Doveva aver ereditato l'ultima parte di mio padre, quella da uomo per bene. E il sangue pirata, mi piaceva pensare, era passato in gran parte al sottoscritto. Jenny... Cristo, non parliamone. – Mio caro ragazzo, lasciate almeno che vi fornisca qualche mozzo per sostituirli.
– Andrà benissimo – conclusi alzandomi di scatto e battendo il pugno chiuso sul tavolo. – Vado a dare la notizia a... – Agitai il pollice verso la porta della cabina. Mi ero dimenticato per un secondo il nome fasullo appioppato a Tom. – Henry. – Lo odierà, questo cazzo di nome. – Grazie per la disponibilità, capitano Hopkins. Non lo dimenticheremo. – Ci poteva scommettere.
Sorrise, una mano sul petto. – Nemmeno io, amico. Sono parole sante, le vostre. – Uscite dalle labbra di un uomo che non potrebbe essere più vicino al demonio, a quanto pare. Feci spallucce, come a voler fare il modesto. – Spero che il vostro uomo là fuori abbia ancora il fegato al suo posto.
– Anch'io, capitano – replicai lasciando la cabina. Altrimenti con chi mi sarei sbronzato?
Sorrisi, e il sole mi accecò appena misi piede sul ponte. Avevamo navigato tutta la notte e ora l'alba illuminava il corpo flesso sul parapetto di Tom, ancora intento a vomitare. Gli uomini lo additavano ridendo e lui, troppo debole per rispondere, sputava in mare. – Figli di puttana – sussurrò con gli occhi chiusi quando mi avvicinai. Probabilmente mi aveva sentito arrivare. – Allora, capo?
Trassi un respiro. – Com'era il rum? – chiesi, giusto per sfotterlo. Il bruciore che m'infiammava lo stomaco e i rigurgiti acidi saliti ogni dieci minuti a sciogliermi le guance erano una risposta sufficiente.
– 'No schifo. – S'asciugò la bocca con la manica, lasciandosi cadere con la schiena contro la ringhiera. – Dio santissimo. Sono... – Tossì e rise. Folle ubriacone. – Sono ancora vivo, vero?
Mi strinsi nelle spalle. – Non so se all'Inferno tu possa vomitare, a essere onesto.
Il suo viso acquisì una brutta sfumatura verdastra quando la Warren s'inclinò contro un'onda, spinta dalla mano del timoniere. – Spiritoso – grugnì con la mano premuta sulla bocca. – Capo...
– Sputa.
Non fu esattamente puntuale. Un getto di bile striato di rosso gli macchiò il bavero della giacca, ma il resto finì in mare. Promisi a me stesso di non andare mai a pescare in quella zona.
Tom lanciò una bestemmia. – Altro che Ben – sussurrò con un'occhiata al soprabito sporco. – Questo viaggio finirà per ammazzare me.
Inclinai il capo da una parte con un sorriso. Forse s'è convinto. L'ultima volta che avevamo parlato dei miei programmi aveva detto un gran bel "non lo so". Grazie. Molto d'aiuto.
Inutile mentire. Non avrei esitato davanti al controllo solo per un suo capriccio. Benjamin doveva morire. Fine della storia, e io avevo esaurito la mia voglia di discuterne. Se le nuove Colonie – gli Stati Uniti di 'Sto Cazzo – erano democratiche, a quella votazione avremmo comunque vinto io e Connor, la maggioranza. E la maggioranza voleva un certo chirurgo con il cuore ben fermo nel petto. – E andrà avanti ancora un po', amico – esclamai con un sorrisetto. – La caccia non si ferma.
Prese un gran respiro e si rialzò debolmente in piedi, gli occhi stretti in uno sguardo sospettoso. – Con quale nave? – domandò. Mi parve strano che fosse in grado di pronunciare quella parola senza vomitare. – Quella bagnarola lì?
Oltre il cassero di poppa della Warren s'intravedeva la bandiera degli Stati Uniti che sventolava dal nostro albero. Se si stava bene in ascolto si potevano anche udire gli strazianti lamenti di Faulkner. – Andrei più veloce a nuoto. Hopkins s'è offerto di...
– Slum! – Come un fantasma invocato, John Hopkins e la sua ridicola barba sbucarono sul ponte. Mi passò per la testa l'idea che Connor gli avesse appena confessato chi fossimo in realtà, indisturbato nella cabina vuota. – Vedo che vi siete ripreso, eh?
Thomas si voltò a fulminarmi con un'occhiata, cercando a tentoni la spada sulla schiena. – Com'è che mi ha chiamato? – Gli strinsi il polso destro in una morsa prima che potesse staccare la testa dal collo del capitano.
– Henry Slum – scandii sottovoce, cercando di sorridere. – Ricordatelo.
– Nome di merda – grugnì sputando del muco in mare. – Ehi, Hopkins. Ripresi è una... – Affondò le mani in tasca, come a darsi un'aria da gentiluomo. – ...una parola grossa, cazzo. – Fantastico. Mi pareva strano che ancora non avesse lanciato scurrilità davanti a quello. – Che volete farci, la vita va avanti.
– Sante parole, buon uomo. – E devi sentirlo quando bestemmia, allora, pensai roteando gli occhi con un sorrisetto. – Fortunatamente per voi manca poco – disse con lo sguardo sull'oceano infinito e rischiarato dal sole. Dall'altra parte, dove la notte ancora regnava sovrana, si potevano intravedere le luci sul confine tra la Provincia di Carolina del Sud e la Georgia. Brutta zona. Da quel che dicevano le mappe nell'ufficio di Hopkins, la Carolina era piena di giubbe rosse, zeppa come un formicaio. E senza la nostra nave a fare da bersaglio non pareva più un uomo così propenso allo scontro. Scommetto che Connor se la sarebbe fatta a nuoto con un moschetto tra i denti pur di arrivare in Carolina e aiutare il vecchio Washington a salire in cima. – Siete mai stati in Florida? Lungo il Miami, da quelle parti lì?
Tom reclinò il capo con un sorriso. – Dicono che il sud sia pieno di figa – brontolò.
– Non hanno tutti i torti. Dovreste andarci, Slum. Quelle ispaniche sono... – Fece spallucce. - Da perdere la testa, ecco. Ti accendono un fuoco dentro.
Annuì. – Capitano, quanto vi trastullate qui sopra? – Non mi stupì cogliere un genuino interesse nei suoi occhi. Era pur sempre Thomas. – Io non ce la farei. Non così a lungo.
– Parecchio. Ormai è un'abitudine. Per questo vi passerò la cacciatrice di cui ho parlato al signor Johnson – fece un cenno verso di me – e proseguirò fino laggiù, faremo una piccola sosta e via, di corsa a New York, prima che Washington mi tagli la testa. – Si passò il pollice da orecchio a orecchio e si strinse nelle spalle con quel suo solito atteggiamento noncurante. Come se la morte gli facesse un baffo. Bastardo fortunato. – Non vi ringrazierò mai abbastanza.
Sbuffai. Quella nave mi stava già mandando al manicomio. L'idea di stare così vicino a uomini di Washington, che magari avevano visto i miei manifesti e potevano scoprirmi mi metteva una tale ansia addosso da farmi quasi esplodere il cuore nel petto. Già mi vedevo, catapultato nell'oceano un'altra volta, come due anni prima, per il Congresso Continentale. E stavolta si sarebbero assicurati di vederci morti, con gli occhi smangiati dai gabbiani e le alghe intrecciate ai capelli. Dio santo. – Potreste riscattarvi dicendomi dove posso trovare un'amaca – dissi con un cenno cortese. – E smettete di preoccuparvi, diavolo.
Il capitano diede un'immotivata pacca sulle larghe spalle di Tom. – Siete un brav'uomo, Johnson.
– Me lo dicono in tanti. – Quei tanti che non mi hanno mai visto squarciare gole e impilare cadaveri. – Vi ringrazio, capitano.
Con un cenno, Hopkins indicò la botola che portava in coperta, e senza farmelo ripetere due volte scesi le scale. Dovevo recuperare il sonno perduto durante quelle due settimane di viaggio, oltre a liberarmi di tutto lo stress dello scontro. Lasciai Thomas a sputacchiare nell'oceano e Connor a leccare il culo americano di Hopkins, quindi mi lasciai cadere mollemente su un'amaca, scalciando via gli stivali mentre il mondo, il mare e l'equipaggio continuavano a girare intorno a me.
Affari loro. Avevo cose più importanti da fare.
Per la prima volta da quando avevamo lasciato quel birrificio in fiamme, mi addormentai senza pensare a Ben. Non c'era più bisogno di scervellarsi tanto.
L'avrei ammazzato, a costo di abbandonare per sempre Connor e darmi alla pirateria. 
  
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