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Autore: lulida    15/10/2014    4 recensioni
Coralline è cresciuta in una famiglia agiata, nella zona ricca di Manhattan, suo padre, uno degli avvocati più famosi di New York, discende dal conte di Essex, Thomas Cromwell.
La sua, una vita che poteva svolgersi solo in salita, eppure contrariamente a tutto ciò che era predestinato per lei, sceglie di abbandonare la casa paterna ed inseguire il sogno di divenire artista.
Dietro questa scelta, c'è un dolore che rifiuta d'accettare.
L'uomo che amava, l'ha ferita nel peggiore dei modi, tradendola con sua sorella.
Questo ha creato in Cora una sorta di rigetto verso gli affetti troppo profondi e un bisogno di tenere a debita distanza chiunque abbia il potere di farle battere il cuore.
Non le risulta un problema, fin quando non rientra nella sua vita, proprio l'uomo che l'ha distrutta.
Adesso Jared è un attore di successo e una rock star, è ricco, sempre bellissimo, forse più di allora e si diverte a provocarla, ma lei non è disposta a cadere nuovamente nella sua rete per niente al mondo e combatte strenuamente per non cedere, dando avvio a una serie di fraintendimenti, rivelazioni e bizzarre situazioni, che la costringeranno a prendere una decisone una volta per tutte.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due

"Promise of a life time "

 
Mesi prima....
 
 
 
“Troppa gente: un soffocante, opprimente afflusso di pubblico„.
Quello il solo pensiero in testa di Coralline intanto che con sguardo torvo passava in rassegna volti sconosciuti.
Lì davanti, tutto intorno, il risultato dei suoi sforzi: le sue opere in mostra in una delle gallerie più prestigiose di Manhattan, e invece di esserne felice avvertiva soltanto uno strano disagio.
Assurdo, eppure era così: era intimorita dal mondo nel quale il suo desiderio di fama improvvisamente l'aveva scaraventata, e si ritrovava a rimpiangere l'anonimato che fino ad allora era stato un nido sicuro.
Nonostante esporre davanti a un pubblico di un certo livello, fosse stato da sempre il suo più grande desiderio, i suoi quadri le apparivano all'interno della fredda e formale sala espositiva come bambini pronti a farsi trucidare dal parere d'estranei in nome della sua ambizione.
Guardò nuovamente le tele illuminate dalle luci che si propagavano lungo le alte pareti, come se le vedesse per la prima volta; seguendo l'emozione che univa lei a esse, ed esse al lei.
Gli occhi dipinti la stavano guardando spaventati, erano specchi in cui si rifletteva, oracoli sentenziosi che sembrava domandassero cosa le fosse saltato in mente.
Quasi era tentata di chiedere loro perdono.
Non poteva immaginare che la mostra retrospettiva dell'artista più pagato al mondo, Damien Hirst, nella sala centrale della galleria, avrebbe trasformato il suo piccolo vernissage in un rifugio per gli ospiti illustri, un luogo dove nascondersi e respirare l'aria non contaminata dall'ego del britannico.
Critici rinomati a livello mondiale, lì per lui, stavano studiando i quadri di Cora con sguardo annoiato, e lei avrebbe voluto scavare una buca nel pavimento per uscirne soltanto quando tutto fosse finito.
Con un semplice trafiletto su testate giornalistiche del settore, avrebbero potuto stroncarle la carriera ancora prima che questa cominciasse.
Nessuno di loro le stava rivolgendo la parola, tutti troppo chiusi nei loro cliché stereotipati, sorseggiavano champagne da lunghi calici, rigidi come manichini dall'aria supponente.
Si sentiva invisibile in modo imbarazzante.
Un fantasma inconsistente.
Sospirando si domandò se avesse preso la decisione giusta nel selezionare l'abito da mettersi per la serata, forse indossare una corazza; una dura conchiglia dove sentirsi protetta da tanta ostilità, sarebbe stata più adeguata.
Si sentiva un corallo fragile e cristallizzato.
Il suo nome il suo destino; apparire resistente ma poi spezzarsi alla prima occasione.
Suo padre aveva chiamato lei Coralline e sua sorella Emerald, e strano a dirsi perché la cosa gli riusciva assai di rado; era stato lungimirante.
Emerald infatti, al contrario di lei era dura e indubbiamente si sarebbe sentita perfettamente a suo agio in quella stessa situazione.
Ispezionò ancora una volta l'ambiente con nervosismo, sperando stupidamente di vedere un componente qualsiasi della sua famiglia ma ovviamente nessuno di loro si trovava lì, lo sapeva con dolorosa certezza, eppure continuava ad allungare il collo alla loro ricerca.
Come facevano le conchiglie con il mare, riproduceva all'infinito l'eco di una speranza che non aveva motivo di esistere.
Rimase senza fare niente, in un angolo della stanza.
In attesa. Spaesata.
Demoralizzata.
Una ferita vecchia si aprì in modo nuovo e la lesione viva scavò in profondità; ma quel lasciarsi ferire fino in fondo, invece di abbatterla, la spronò a farsi forza.
Decise che era arrivato il momento di berci su e che Hirst le avrebbe offerto inconsapevolmente, l'unica consolazione a disposizione nei paraggi: un fiume dal colore ambrato che se era fortunata sarebbe riuscito a far scivolare i suoi detriti depositandoli sul fondo dello stomaco, dove forse sarebbe riuscita a digerirli.
L'atmosfera alla mostra di Hirst era quella che si respirava un po' ovunque nei luoghi alla moda di New York.
C'era ansia da prestazione.
Tutti gli ospiti erano là solo per “esserci„ e per farsi vedere.
A certi eventi culturali di Manhattan non si poteva mancare se si faceva parte della cerchia dei pochi fortunati, che ignoravano persino l'ammontare del proprio patrimonio; e in quelle occasioni ostentare ciò che definiva lo status sociale in una gara all'abito più costoso, il telefono di nuova generazione, l'orologio più prestigioso, era considerato indispensabile.
Cora conosceva bene certi individui e non rimase particolarmente colpita, li aveva frequentati per gran parte della sua vita ed era felice d'esserseli lasciati alle spalle, loro e le parole vuote, discorsi pieni di frasi che non cambiavano mai di significato: ricchi con ricchi e poveri con poveri.
Solo l'arte era in grado di sovvertire questa regola generale.
Un ricco poteva guardare con ammirazione, concentrato e dallo sguardo diluito poi rappreso, l'opera di un poveraccio qualsiasi e se aveva la fortuna di piacere a uno solo di loro, era fatta.
Nella gara di chi aveva di più, altri ricchi sarebbero arrivati a comprare l'opera più grande e più costosa della precedente.
Questo era accaduto ad Hirst pur non avendo un reale talento artistico.
Cora, si avvicinò a passi lenti alla tavola da buffet, la luce pioveva dall'alto come una cascata rendendo tutto più scintillante: abiti, gioielli, Rolex d'oro, i bicchieri, i vassoi lucidati a specchio, eppure gli ospiti rimanevano opachi come se avessero indossato uno schermo.
In attesa dello champagne Cremant che le stava versando il responsabile al servizio d'accoglienza, prese un piccolo appetizer e diede un'altra occhiata alla folla che accerchiava l'artista.
C'erano molti critici che scrivevano per la rivista Flash Art, riconobbe artisti che orbitavano intorno a Hirst, e le sembrò di distinguere anche diverse celebrità dello spettacolo.
Prese il bicchiere che le porgeva il bluter ringraziandolo con un sorriso, e concentrò nuovamente la sua attenzione in direzione della folla.
Sorseggiando lo champagne, si avvicinò pur rimanendo in disparte, ad ascoltare un membro del pubblico che rigido come un pezzo di legno, e preoccupato di recitare bene la sua parte, declamava le doti dell'artista.
Tutti si erano raggruppati intorno all'insignificante individuo e per ognuno, intrattenersi ad ascoltarlo, aveva motivazioni diverse: gli ospiti avevano l'occasione di lanciare uno sguardo da vicino all'eleganza altrui, Hirst aveva l'opportunità di soddisfare la sua vanagloria, per gli addetti del catering era un pretesto per rilassarsi, per Cora un presupposto per tenersi lontana dal suo vernissage ancora qualche minuto.
«Se Kafka avesse dipinto avrebbe creato opere simili a Hirst, e la performance visiva di questa sera, surreale, teatrale e dissacrante è l'esempio calzante della loro assonanza stilistica.» - proclamò con eloquenza il piccoletto e con qualche chilo di troppo che si trovava al centro dell'attenzione.
Cora si strozzò con lo champagne che aveva appena inghiottito, rossa in volto, congestionata, con occhi lucidi cercò di opporre resistenza ai colpi di tosse che avrebbero attirato l'attenzione sia degli ospiti che dell'artista, ma quando alla fine la scelta si ridusse a morire soffocata o espellere rumorosamente il sorso che aveva deciso di deviare il percorso in gola scegliendo la trachea tossì ripetutamente.
Come era prevedibile tutti quanti ruotarono la testa in sua direzione e la guardarono come fosse stata un demonio, e lei arrossendo stavolta per la vergogna, fece un piccolo cenno di scuse.
Tornarono a ignorarla, e si voltarono nuovamente verso il tipo grassottello dopo averle lanciato un ultimo sguardo, visibilmente infastiditi.
Ottenuta l'attenzione, il piccoletto continuò deridendo il sofisma astratto e ormai antico della bellezza come forma d'arte.
Quando alla fine gli ospiti applaudirono suo malgrado lo fece anche lei, e in quello stesso momento, avvertì la strana sensazione, qualcosa di contraddittorio e improvviso nell'aria che non l'aveva più abbandonata da quando aveva tossito.
Si guardò intorno per incontrare lo sguardo di chi la stava osservando con tanta intensità, ma la folla che nascondeva, rese impossibile individuarne l'origine.
Forse era solo la sua immaginazione a giocarle brutti scherzi, a farle sentire addosso occhi pesanti come la gravità... comunque, qualunque cosa fosse, preferiva darsela a gambe in fretta.
Una volta al sicuro al suo vernissage però, la sensazione d'essere osservata non diminuì.
Si guardò intorno ancora una volta alla ricerca della fonte del suo disagio, ma gli unici occhi puntati su di lei che individuò furono quelli dei suoi amici in fondo alla stanza.
Sorrise e una luce le riempì l'espressione del viso, tanto che si sarebbe potuto pensare che luminosità e affetto andassero di pari passo in lei.
«Quanta gente», disse Susan, appena si avvicinò.
Cora le diede un bacio sulla guancia: «Non sono qui per me. C'è Hirst nella stanza accanto, i suoi ospiti annoiati si rifugiano alla mia esposizione».
«Sono qua perché sei brava» - disse Timothy sorridendole.
«Perché non hai portato la tua ragazza?», lo rimproverò dando un bacio anche a lui.
Le fidanzate di Tim s'avvicendavano con la stessa velocità con cui lui si cambiava le camicie, le sue relazioni erano a orologeria, difficile che Cora riuscisse a vedere in sua compagnia la solita donna per due volte di seguito, spesso non faceva neppure in tempo a impararne i nomi.
«Ci siamo lasciati», affermò tranquillo.
Susan alzò gli occhi al cielo, ironica: «E non ha avuto tempo per trovare una sostituta».
Cora sorrise.
«Ero persa senza di voi. Per fortuna siete arrivati», disse con un sospiro.
Susan la guardò aggrottando le sopracciglia: «Non si sono visti i tuoi?».
Cora mormorò leggermente a disagio: «Non importa. Se mio padre fosse stato qui avrebbe avuto da ridire su tutto. - gli occhi le si velarono intanto che emetteva un respiro profondo - Meglio così».
«Bastardo!», esclamò Susan con tono gelido e senza nascondere l'irritazione.
«Va bene, davvero», cercò di spazzare via la tristezza con un sorriso, poi avvertì nuovamente quello sguardo fisso e sconosciuto, che si annunciava con un fremito all'altezza dello sterno.
Appena percettibile, ma insistente.
Aggrottò le sopracciglia e guardandosi intorno disse seria: «Anzi che ne direste di andarcene di qui?».
Tutta la stanchezza della serata le era apparsa improvvisamente sul volto.
«Sul serio? Vuoi lasciare il vernissage a metà?», le domandò stranita Sue.
Timothy, pittore anche lui invece non ebbe dubbi, sapeva benissimo come qualunque artista odiasse i tipi impomatati che si aggiravano alle mostre e fece immediatamente un cenno d'intesa in sua direzione.
«Non riesco a credere che tu voglia davvero andare. - intervenne leggermente brusca Susan - Hai lottato tanto e adesso che a hai ottenuto quello che vuoi, levi le tende?».
Non aveva tutti i torti, eppure per Cora non c'era niente di meglio che festeggiare con le uniche due persone al mondo che erano lì quella sera solo per lei. Che tutti gli altri andassero al diavolo.
«Ne ho già abbastanza. Per i miei standard, la stanza raccoglie più stronzi di quanti sia disposta a sopportarne».
Timothy le batté un cinque mentre Sue lanciava uno sguardo storto in modo fosse chiaro che la riteneva un caso disperato, sospirò e alla fine allungò la mano alzandola in loro direzione come una regina che dava il consenso: «Va bene andiamocene se è quello che vuoi».
Con passo lento guadagnarono l'uscita, e fuori l'aria gelida a folate colpì i loro volti facendoli rabbrividire e stringere nei cappotti, mentre un vapore denso e opaco usciva dai tombini, e si alternava con la luminosità dell'asfalto bagnato rischiarato dalle luci al neon.
«Dove andiamo?», domandò Cora con un'aureola di fiato condensato intorno alla bocca e battendo i piedi dal freddo.
«Intanto fermiamo un Taxi prima che tu muoia assiderata», rispose Sue andando sulla strada, appena vide l'auto gialla in lontananza.
Una bionda di un metro e ottanta che si sbracciava, non passava certamente inosservata, neppure a Manhattan, e il taxi si fermò immediatamente: «Al Pacha sulla 46», disse all'autista appena furono seduti sui sedili posteriori.
Susan era la tipica newyorkese che conosceva tutti i locali alla moda da frequentare in base ai giorni della settimana.
La discoteca era preceduta all'esterno da un fascio di luci che illuminavano l'entrata e i buttafuori che sembravano sequoie ai lati del tappeto, soppesarono attentamente il loro abbigliamento prima di sganciare la corda rossa per lasciarli entrare.
Il locale ampio per i modelli di NY, suddiviso su tre piani, era comunque talmente pieno di gente che rendeva impossibile muoversi senza strofinarsi addosso al corpo di qualcuno.
Lasciarono i cappotti al guardaroba e facendosi largo tra la folla, andarono alla ricerca del bar.
Trovarono uno spazio e si accomodarono sopra degli sgabelli di cuoio nero.
Intanto che il barman con la capacità di un giocoliere, preparava loro dei cocktail versando poi il liquore nei bicchieri sorridendo e ammiccando, Susan le domandò: «Come stai adesso?».
Cora alzò in direzione dell'amica il volto calpestato dal ricordo della delusione, che quella semplice richiesta aveva risvegliato in lei.
Incassò le spalle come se qualcosa potesse investirla da un momento all'altro e cercasse di prepararsi all'urto.
«Come ogni volta. Poi passa», rispose con l'esperienza di chi era stata delusa troppe volte.
«Ti ci vuole una bella sbronza. - sentenziò Tim porgendole il bicchiere con la solennità di un cavaliere che offriva l'arma per sconfiggere i suoi mostri - Da non ricordarti neppure come ti chiami, né chi è tuo padre»
Cora sorrise: «L'intenzione era quella».
Il Cosmopolitan buttato giù tutto in un sorso le bruciò la gola, lo stomaco e la scaldò immediatamente.
Al quarto si sentiva indubbiamente la testa leggera e la mente si trasformò in un tamburo vuoto dove i rumori intorno, colpivano e continuavano a rimbombare in un eco senza senso.
Al quinto bicchiere svuotato, ridevano e ridevano, nel modo più semplice che avevano le persone quando smettevano di prendersi troppo sul serio.
Il vuoto onnivoro sembrò abbandonarla almeno quella sera.
La mattina dopo Cora non aveva idea neppure come fosse arrivata a letto, ma a un certo punto, lo squillo del telefono la svegliò.
Erano quasi le due del pomeriggio.
Cercò di alzarsi, tentando l'impresa impossibile di stabilizzare un senso d'equilibrio che doveva essere affogato nei Cosmopolitan della sera precedente.
Percorse il corridoio come un vampiro che rifuggiva la luce, con le mani davanti alla faccia per proteggersi dai raggi del sole e raggiunse il telefono, intanto che flashback della serata tornavano preoccupantemente alla memoria... aveva vomitato... ballato... si era strofinata a un tizio... pomiciato... e non sapeva bene in quale in ordine... ma con chi?
«Pronto?», biascicò con lingua imbalsamata.
«Non hai idea Cora... parlano di te su Flash Art e sul New York Sun», rispose senza annunciarsi Sue, eccitata e impaziente.
«Cosa? - le sortì la domanda in un rantolo - Cosa?» - ripeté ancora, perplessa, con le guance improvvisamente congestionate.
Aveva caldo, dannatamente caldo, forse per la prima volta in vita sua.
«Sì, aspetta ti leggo il trafiletto del Sun».
Cora era tentata d'interromperla perché non tanto certa di voler sentire, ma Susan era troppo entusiasta perché fosse in grado di fermarla.
«L'atto critico, consiste in un giudizio di coraggio e valore. Il resto è semplice scrittura intorno all'arte. La questione centrale, sta nella definizione dei criteri su quale basarsi. Delle coordinate estetiche, ma che hanno in periodi diversi, avuto sensi estetici diversi. Sarebbe allora giusto chiedersi quali siano dei valori oggettivi, criteri di valutazione ugualmente applicabili all'arte di qualunque provenienza e periodo. Alcune caratteristiche generali come l'armonia, il ritmo, sono state selezionate per individuare un'opera d'arte ben riuscita, ma certi stili, sono caratterizzati da discordanza che ne compromettono l'unità e da asimmetria, mentre invece altri, danno precedenza all'equilibrio e alla staticità. Poi ci sono pochissimi, rarissimi casi, in cui tutto funziona, raggiungendo il medesimo scopo e nello specifico, siamo di fronte a una vera opera d'arte. É fuor di dubbio, che i dipinti della giovane artista Coralline Cromwell, di cui abbiamo visto l'esordio ieri sera e di cui siamo rimasti piacevolmente sorpresi, hanno in sé sia l'armonia, l'equilibrio e il ritmo, in un tutto concreto e indivisibile. Una visita alla galleria di Barbara Gladstone ci sentiamo di consigliarla. Grazie alle sue opere, non è tempo perso.»
Rimasero in silenzio per un tempo lunghissimo e Cora ebbe modo di ascoltare il battito del suo cuore, un ritmo nervoso che ogni tanto s'inceppava: la gioia, faceva capriole.
«Oh mio Dio...».
«Già! - le urlò dall'altro capo del telefono Sue - Io te l'avevo detto o no?»
Gli occhi di Cora si trasformarono in un itinerario: c'erano tappe, punti di partenza e arrivi: «Oh mio Dio», ripeté ancora una volta, del tutto inconsapevole.
«L'hai già detto - brontolò Sue, poi tacque, sembrò cambiare la direzione dei propri pensieri - Cora ti senti bene?»
«No» - rispose con onestà, reduce da un elettroshock che la faceva tremare.

 

******

Note dell'autrice: 


Un po' più in ritardo di quanto avessi preventivato (a causa di un dolore al braccio che mi ha bloccata per giorni) arriva l'aggiornamento che vi farà conoscere un po' di più la protagonista di questa mia FF. 
Ancora i nostri Marziani non sono all'orizzonte (d'altronde è una storia piuttosto atipica e non vado mai immediatamente al sodo, fatevene una ragione) ma spero che il capitolo vi piacerà comunque. 
Come sempre e come è scontato, qualsiasi commento sarà più che gradito, anzi necessario.

   
 
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