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Autore: Kim WinterNight    16/10/2014    2 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Routine scolastica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bene, parliamo della mia classe, quindi.

La mia migliore amica, conosciuta l’anno scorso, si chiama Giuditta ma, dal momento che odio quel nome, la chiamo sempre Tita.

Lei, rispetto a me, è molto timida e quindi capita spesso che io debba portarla fuori dal suo diamine di guscio spinoso.

Però la adoro perché con me è sincera e spontanea e, soprattutto, è uno dei personaggi più importanti del mio racconto.

Se volete capire perché, vi accontento subito.

Ebbene, Giuditta mi lancia continuamente delle sfide assurde ed è sempre convinta che io non sia in grado di affrontarle e di vincerle.

Ma la mia cara amica sembra non aver ancora capito che io, Albertina Annetta Bartolini, non posso assolutamente perdere una sfida!

O forse, si diverte semplicemente a fare la stronza.

O, ancora, si diverte a ficcarmi nelle più improbabili situazioni e riderne beatamente.

Ma nella mia classe, non è solo lei a piacermi.

Generalmente, vado più d’accordo con il genere maschile, poiché trovo che siano nettamente più svegli, simpatici e divertenti di quelle femminucce delle mie compagne, le quali si danno un sacco di arie da prime donne in crisi ormonale.

Dannate oche giulive!

Nella mia classe, i ragazzi non sono tanti, nonostante il liceo ne sia sovraffollato.

Il più figo è Giacomo, il quale è tendenzialmente un cesso, ma è dotato di una simpatia senza pari.

È circa dieci centimetri più basso di me – il che significa che io, dall’alto del mio metro e sessanta, mi sento una pertica! – e ha degli occhiali bianchi che le mie compagne sofisticate definiscono ‘chic’, mentre io preferisco non esprimermi in merito, per non offendere la quasi inesistente autostima del mio compagno preferito.

Giaco mi piace perché, come me, non si tira mai indietro di fronte ad una sfida e spesso facciamo a gara a chi vince prima.

Poi c’è Gabriel, il braccio destro di Giaco. È follemente più alto di lui e follemente innamorato di Tita. Lei ricambia ma entrambi sono troppo timidi per ammetterlo. Roba da romanzetti rosa di quart’ordine.

Il terzo e ultimo giovine di sesso maschile si chiama Mauro ed è un bel ragazzo, davvero, anche se un po’ noioso e pieno di sé. io, certo, riesco a rimetterlo al suo posto, anche perché Giaco sospetta da sempre che lui voglia avere un incontro ravvicinato con me al di sotto di una fitta coltre di lenzuola, e allora mi dà sempre retta, perché crede così di rabbonirmi. Giaco dice che prima o poi ci riuscirà e minaccia spesso di lanciarmi una sfida che lo riguarda.

Vorrei tanto che non lo facesse, credetemi: non saprei resistere alla tentazione di aspettare, sono troppo orgogliosa per non farlo.

Per quanto riguarda il resto degli studenti, non ne voglio parlare perché si tratta, appunto, delle suddette oche screanzate e sexy, come amano definirsi quando, arrivate in classe, si atteggiano da top model e improvvisano sfilate di moda con tanto di sottofondo degli ultimi successi del pop/dance/merda mondiale.

Senza contare i vestiti stile Barbie e il trucco da geishe senza arte né parte!

Però avevo giusto promesso di non parlarne… scusate, come potrei continuare ad ammorbarvi con tali frivolezze?

Perfetto, descriverò qui di seguito una giornata tipo nella mia classe, tanto per darvi un’idea di che razza di trantran devo sopportare quotidianamente.

 

Ore 08:15

Arrivo in classe e trovo questa situazione: le mie compagne fanno il loro ingresso in grande stile, abbigliate alternativamente in rosa shocking/verde militare/celeste pastello/fiorellini/teschietti di paillettes/diamantini finti/farfalline e chi più ne ha più ne metta.

Compagna 1: “Ciao tesori miei, come state? Vi siete riprese dalla mega-serata dell’altro giorno?” (con tono cinguettante e stridulo)

Compagna 2: “Uh, sì, è stato strafico! Vi ricordate quanto eravamo sexy? Tutti ci guardavano!”

Compagna 3: “Sì, ma cicci, tu eri la più bella, con il tuo nuovo vestito di strass!”

Compagna 1: “Già e mi sto preparando per il prossimo party! Venerdì ho già una bella prenotazione dall’estetista!”

Compagna 3: “Farai la luce pulsata?”

Compagna 1: “Ovviamente!”

Compagna 2: “Io invece vado a fare la lampada, devo avere un’abbronzatura perfetta, anche perché dovrò rimorchiare il più possibile!”

In tutto questo, io e Tita ci sentiamo molto spesso come due aliene, ma in modo positivo; nel senso che comunque ci divertiamo a scimmiottarle e a prenderle per il culo, anche perché loro credono che noi siamo sfigate e non capiamo niente di moda e quant’altro.

 

Ore 08:30

Arriva Giaco trascinandosi dietro Gabri, mentre si insultano e parlando dell’ultima conquista che Giaco ha fatto sull’autobus, mentre arrivava a scuola.

“Giaco, bella!” grido io, dandogli il cinque. “Come si chiama la nuova vittima?”

“Oh, ha un nome dolcissimo, come quella di Dante, sai?”

“Beatrice?”

“No, Virgilia!”

Io e Tita ci fissiamo e scuotiamo il capo, esasperate.

Questo ragazzo non cambierà mai.

 

Ore 08:35

Entra mia madre, trafelata.

Al contrario di molti professori, lei è sempre mezzo svampita e si comporta perennemente come una quindicenne che non vuole saperne di crescere.

Tuttavia, è una brava insegnante e tutti l’adorano, nonostante si faccia rispettare più di molti altri.

La prenderei sul serio, ve lo giuro, se solo non fossi consapevole di come si comporta al di fuori di quel contesto.

Ha la cattiva abitudine di pretendere troppo da me, poiché vorrebbe che seguissi le sue orme ed è per questo che mi ha ficcato a forza allo Scientifico.

Peccato che non mi conosca affatto e che neanche le importi.

Io, Giaco e Tita ci divertiamo a farla infuriare, nonostante lei mantenga il controllo in maniera eccellente.

Il suo difetto più grande è che, nonostante abbia la fortuna di insegnare nel piccolo Liceo di Bettola Town, arriva puntualmente in ritardo. Può sembrare un gioco di parole, ma è un’incorreggibilie ritardataria e questo permette sempre ai suoi alunni di nutrire una vana speranza, di intravedere uno spiraglio di libertà.

Ma mia madre, purtroppo, non manca mai.

E io, di conseguenza, devo fare lo stesso e non me la scampo neanche quando è il suo giorno libero o quando la febbre a quaranta mi fa delirare come una folle.

È pura tirannia!

 

Ore 10:35

Dopo due ore di matematica, durante le quali la mia classe potrebbe essere scambiata per un gruppo di sordomuti, mia madre raccoglie le sue cose e se ne va di tutta fretta.

Le sue convinzioni lasciano basito chiunque, dal momento che è convinta di dover pontificare per due ore esatte e poco le importa se dalle 10:15 il puntualissimo insegnante di Chimica si ritrova accampato fuori dall’aula.

L’uomo, un vecchietto che credo dovrebbe essere in pensione da parecchi lustri, fa il suo ingresso appoggiandosi al bastone da passeggio, mentre un’aitante assistente di appena ventidue anni lo segue per aiutarlo a trasportare i suoi libri.

La scena è patetica, credetemi, soprattutto perché Giaco molla sempre una gomitata a Gabriel e insieme iniziano a sghignazzare, fantasticando sulle notti folli dei due, all’insegna di pastiglie blu e sadomaso.

Allora io e Tita trascorriamo le lezioni di Chimica a fissare convulsamente il quaderno e a prendere freneticamente appunti, come se fossimo realmente appassionate di questa ardua materia.

Sollevare lo sguardo su quei due ci farebbe rimettere la colazione.

 

Ore 11:10

Intervallo.

Io, Tita, Giaco e Gabriel ce ne andiamo in giardino.

Qui, si svolgono diverse attività: io mi ingozzo con tutto il cibo che ho portato da casa + il panino di Tita (è convinta di essere grassa e ne assaggia giusto qualche boccone) + un cracker dal pacchetto di Giaco + il tè al limone di Gabriel, che sua madre si ostina a buttargli in borsa senza rendersi conto che lui detesta il tè. Ma, poiché in casa mia certe “bevande indicibili” non sono concesse, lui non dice niente e cede la lattina alla sottoscritta.

Penserete che sono grassa, ma tutt’altro. Tita mi invidia perché mangio come un porco e non assimilo nulla.

Tita e Gabriel, invece, trascorrono l’intervallo a sbocconcellare la loro misera merenda e a lanciarsi occhiate di sottecchi, mentre Giaco gira per il cortile cercando di abbordare qualche ragazza, senza alcun risultato.

Dopo un po’, ci raggiunge anche Mauro, il quale sfodera il suo bel sorriso e si mette a scherzare con me, nonostante io possa rispondergli soltanto con dei mugugni indistinti tra un boccone e l’altro.

Che ragazzo determinato e paziente!

 

Ore 11:20

Italiano, ovvero:

- Io e Tita che giochiamo a tris;

- Giaco e Gabriel che dormono sul banco;

- Le mie numerose compagne che si truccano e si organizzano allegramente per il prossimo party;

- Mauro che scribacchia su un quadernetto, mentre una delle ragazze gli ronza intorno cercando di farsi notare;

- La professoressa Demartini si gira i pollici, osservando con orrore la classe ma non sapendo che fare per cambiare le cose.

 

Ore 13:15

Libertà!

Usciamo tutti da scuola, stanchi come se avessimo fatto una maratona di cinquemila metri o zappato quaranta ettari di terreno.

Ma le due ore di italiano/fancazzismo sono state devastanti e chiunque di noi preferirebbe le opzioni su citate.

A quel punto, mia madre mi raggiunge in macchina e mi porta via asserendo che, se rientriamo insieme, possiamo pranzare prima e lei poi deve guardare Master Chef e non ha intenzione di perdersene un solo minuto.

 

Così la mia giornata scolastica finisce.

E il tutto è, ovviamente, intervallato dalle continue sfide che vengono lanciate a me e Giaco.

Ma di questo parleremo la prossima volta, cari interessatissimi lettori.

  
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