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Autore: Briciole_di_Biscotto    16/10/2014    2 recensioni
una lettera a qualcuno che non conosco ma che, stranamente, considero molto importante.
Attenzione: questa lettera non vuole offendere o ferire i sentimenti di nessuno. semplicemente, ho scritto ciò che sentivo realmente. potete non credermi; io lo so.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Al mio Angelo Custode


Ciao.

Sinceramente, non so proprio da dove iniziare.

E come potrei? Non so niente di te, neanche se sei una femmina o un maschio.

L'unica cosa certa, è che dovresti essere qui con me. E invece non ci sei.

Buffo, vero? Sto scrivendo una lettera ad un completo sconosciuto, che tra l'altro so già che non mi risponderà mai.

Ma non importa: sento che questo è giusto.

 

Sai, da piccola mi capitava spesso di sentirmi sola, incompresa, perennemente abbandonata. Anche quando giocavo con le mie amichette.

Ridevamo, scherzavamo, facevamo finta di essere le Winx (non riesco ancora a capire come potessero piacermi, ma sorvoliamo). Eppure, nonostante tutto, mi sentivo sola. Sentivo che mancava qualcosa. Che mancava qualcuno.

Questa sensazione persiste ancora, e non sono poche le volte in cui divento malinconica senza ragione alcuna.

 

Ricordo anche che, fin da tenera età, sono sempre stata affascinata dal mio riflesso. Per quanti anni mi sono fatta schifo pensando di essere solo una stupida narcisista, tra l'altro neanche bella?

Lo penso ancora, tutto sommato. E lo penso spesso.

Eppure, nonostante questo, il mio riflesso continua ad affascinarmi.

Certe volte, un po' di tempo fa, mi sedevo davanti ad uno specchio per minuti, aspettando che il mio riflesso prendesse vita ed iniziasse a muoversi indipendentemente da me.

Come puoi immaginare, non è mai accaduto, e dopo un po' io me ne andavo, delusa.

 

Anche quando giocavo con mia cugina, spesso accadevano fatti del genere.

Ricordo bene le volte in cui facevamo le costruzioni con i Lego: quanto ci divertivamo!

Quando finivamo un'opera, ci davamo il cinque e scoppiavamo a ridere.

Eppure, non mi bastava: spesso accadeva che io mi girassi, cercando con gli occhi l'approvazione di qualcuno che, ovviamente, non c'era.

Rimanevo delusa nel constatare che non ci fosse nessun altro nella stanza insieme a noi.

 

Sono molti i fatti simili a questi, come quando, nel cuore della notte, sentivo dei passi venire verso la mia stanza. Erano passi familiari, ovvio, altrimenti chissà che spaventi mi sarei presa!

Attendevo con ansia che il proprietario dei passi si affacciasse alla mia porta, ma quando faceva capolino la testa di papà o mamma, rimanevo delusa.

Che stupida, vero? Chissà chi mi aspettavo di vedere.

 

E anche altri casi: come quando mi giravo, e mi giro tutt'ora, in cerca di approvazione dopo essermi vestita, o quando faccio bene un difficile esercizio di matematica, le poche volte che svolgo i compiti.

E puntualmente, non c'è nessuno.

 

Poi, qualche settimana fa, dopo che come al solito mi ero lamentata del mio essere figlia unica e averle detto quanto mi sarebbe piaciuto avere avuto un gemello, mamma mi ha rivelato qualcosa che mi ha sconvolta.

A quanto aveva detto il suo ginecologo anni fa, oltre a me mamma aveva avuto in pancia un altro bambino. Solo che lui non è sopravvissuto: dopo i primi giorni dopo la fecondazione, addirittura prima che mamma sapesse di essere incinta, lui è morto.

 

Non sapevo cosa pensare, né cosa dire, così ho semplicemente sorriso ed annuito, come se niente fosse. Come se non avessi sentito qualcosa in me spezzarsi.

Ora che ci ripenso, avrei preferito non saperlo mai.

Perché da quel giorno, più che mai, ho ricominciato a cercarti.

Perché, sì, mi sono resa conto che tutte le volte che mi giravo, le volte in cui mi guardavo allo specchio, era solo per cercare te.

Ti ho cercato per tredici, lunghi anni, e ora che ti ho ritrovato, so che ti ho definitivamente perso.

 

E mentre scrivo questa lettera sento le lacrime premere per uscire, mentre la vista mi si appanna, e non riesco più a vedere nitidamente la tastiera.

Come da molti giorni a questa parte, del resto. Perché, sì, ho pianto.

Ho pianto come una disperata. In bagno, seduta sul bordo della vasca, o in camera, col viso affondato nel cuscino, cercando di non farmi sentire mentre singhiozzavo.

Strano, vero? Piangere per qualcuno che non si conosce.

Eppure, non riesco a farne a meno.

 

Da quando l'ho saputo, mi sembra di vederti dappertutto.

Devi sapere che a me piace molto ballare, anche se non ho mai praticato danza.

Be, diciamo che “ballare” è una parola grossa. Più che altro mi muovo scoordinatamente seguendo il ritmo della musica.

E anche in questo caso, non è raro che io mi sieda sul bordo del letto e mi metta a fissare un punto imprecisato della camera.

E dopo un po', eccoti lì, che stai ballando. Identica a me, ma più bella ed aggraziata.

 

Probabilmente è solo la mia fantasia, che come al solito si mette a vagare senza controllo.

Dev'essere così, perché io non so neanche se tu sia maschio o femmina, uguale o diverso da me.

E nonostante questo, quando mi specchio finisco con il parlare al mio riflesso. Saluto prima di uscire, e la prima cosa che faccio appena torno è andare a specchiarmi ed annunciare al mio riflesso che sono tornata.

Come se fossi tu. Come se aspettassi che, da un momento all'altro, esso mi possa rispondere.

 

Ed è stupido, me ne rendo conto, ma mi sento meno sola.

 

Adoro leggere, scrivere, ascoltare la musica, fantasticare.

Ed ogni volta che compio una di queste azioni, non posso fare a meno di chiedermi se anche a te sarebbero piaciute.

E penso che mi piacerebbe poter sentire il tuo parere sulle cose che scrivo.

Che mi piacerebbe ridere con te ad una parte divertente di un libro, o piangere alla morte di un personaggio al quale ci saremmo potute affezionare.

O ancora, ballare con te sulle note della nostra canzone preferita, rubare insieme i biscotti dalla dispensa, implorare insieme mamma e papà affinché ci comprino qualcosa.

Oppure, immagina, fare gli scherzi ai prof, o a quegli stupidi dei miei compagni di classe.

 

E mi sento un grande vuoto dentro, al pensiero che non potremo mai fare tutte queste cose.

Al pensiero che non potremo mai rivelarci i nostri segreti la notte invece di dormire, al pensiero che non potremo mai litigare, e che non potremo mai fare pace.

 

Sai, non ho mai avuto una vera amica, una di quelle con un rapporto forte e duraturo, una ragazza con cui scambiarsi le collane insieme ad una promessa: rimanere amiche per sempre.

Ne ho avute tante, di possibili amiche così, ma è sempre bastato un nonnulla per rompere questo sottile filo che ci univa.

Certo, siamo ancora amiche, ma non mi fido. Non penso che farei di tutto per una di loro.

Ogni volta che ci riprovo, sento qualcosa che mi dice che non è quella giusta.

Con la dichiarazione di mamma, anche questo mistero ora non è più tale.

 

Quando mi ha detto che, anche se per poco, ho avuto modo di condividere il mio mondo con qualcun altro, mi sono sentita riscaldare da dentro.

Ho capito che saresti potuta essere tu, colei o colui di cui fidarsi, con cui scambiarsi la promessa.

Ma tu non ci sei. Non sei qui con me, per consolarmi ora che sento i miei occhi diventare lucidi.

Ed è tutto così stupido, così dannatamente stupido.

 

E intanto, sento crescere la rabbia dentro me: perché te ne sei andato? Perché mi hai lasciata?

C'è gente al mondo che uccide i suoi fratelli, che taglia definitivamente i ponti per futili questioni quali i soldi.

Ed io, che non desideravo altro che avere qualcuno al mio fianco, qualcuno che mi sorreggesse e da sorreggere, non ho potuto avere un fratello.

La cosa più crudele, poi, e che di te non ho nessun ricordo. Certo, e come potrei?

All'epoca della nostra convivenza non possedevo neanche un cervello.

 

Ma l'inconscio, quello c'è fin dal primo istante di vita.

Ed io, inconsciamente, non ho fatto altro che cercarti per anni.

Ora che sto scrivendo, mi chiedo che senso ha tutto questo.

Tu non leggerai mai, non risponderai mai a questa lettera, scritta in un momento di disperazione dalla tua sorellina.

E allora perché? Non è forse solo un metodo per cercare di attirare l'attenzione, per autocommiserarsi?

 

Forse.

Del resto, mi è sempre piaciuto stare al centro dell'attenzione, lo ammetto.

Ma io so che sei con me. Lo sento.

Tutte le volte che rido, ti sento ridere con me; e quando piango, sento che tu sei triste.

Quando, la notte, sono confusa, disorientata, e tutto ciò in cui credo non ha più senso, ti sento: sei lì, seduto al mio capezzale, e mi sorridi.

Mi dici di resistere, di andare avanti.

L'hai fatto per tutti questi anni, continuerai a farlo anche dopo, lo so.

 

E a chiunque creda che questa lettera sia una stupidaggine, io risponderò che non mi importa.

Perché non sa niente di me, di tutto quello che sto vivendo ora.

Non sa che ho scritto questa lettera con il cuore il mano, perché sarebbe comunque inutile mentirti.

Se mi chiederanno perché ho deciso di postala, gli risponderò che non lo so.

Qualcuno che ha perso veramente il fratello o la sorella, immagino che mi insulterà.

 

Non importa. E' giusto che sia così.

Io sentivo semplicemente il bisogno di scriverti, e l'ho fatto. Forse per sentirmi un po' più vicina a te.

Magari, un giorno, ti scriverò di nuovo.

Fino ad allora, ti prego, continua a restarmi accanto.

Continua ad essere il mio Angelo Custode.

 

Con tantissimo affetto, tua sorella.

  
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