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Autore: Harryette    16/10/2014    7 recensioni
[...] Ci fu un silenzio imbarazzante, prima che Margareth si decidesse a riprendere e concludere il discorso.
‘’Questa sono io. Sono Margareth, la stessa persona che era affacciata sul balcone di quel ristorante italiano e la stessa persona a cui hai detto che, andandosene, si rinuncia non solo alle cose brutte ma anche a quelle belle. Sono contenta di averti dato ascolto, perché – io – l’ho trovata una cosa bella. E scusami, davvero perdonami, perché io sono innamorata di te e non so neanche perché te lo sto dicendo adesso’’
Dall’altra parte ci fu, ancora una volta, silenzio. Le parve di udire un sospiro, ma non ne era proprio sicura.
‘’Ho finito’’ disse. ‘’Mi dispiace per l'ora, e...''
Stavolta, però, lui la interruppe. ‘’Stai piangendo?’’ le domandò.
''Cambierebbe qualcosa?'' chiese.
''Non piangere'' lo sentì addolcirsi. ''Non piangere, Marge''.
[SPIN-OFF DI ''MORS OMNIA SOLVIT'', DA LEGGERE ANCHE SEPARATAMENTE]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli inarrivabili del Bronx'
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Trailer

|Capitolo primo|
Alone in the growd.

La villa a due piani di Margareth affacciava sulla zona più bella di New York. Era sviluppata in lunghezza, non che in larghezza fosse da meno, di un giallo così delicato da sembrare quasi bianco. 
Non si stupiva che quel colore l’aveva scelto sua madre Celine, che in fatto di eleganza e finezza era la numero uno. Scelta sempre sua quella di far mettere il parquet in tutte le stanze della casa, compresi i corridoi, e di far appendere ai muri delle gigantografie del suo matrimonio o di una Margareth di quattro anni, bambina bionda e sorridente. 
C’era qualche scultura di qualche romano vecchia di mezzo secolo, da qualche parte che Margareth neanche ricordava tanto la casa era grande. Celine era una grande appassionata di storia antica, e nella loro casa c’erano più antichi cimeli inutili che oggetti moderni e all’ultima moda, come la gente si sarebbe aspettata dai Grey.
Il realtà la villa era arredata in stile molto sobrio, questo non lo si poteva non notare di certo.
Le scale che portavano all’ingresso, e che tagliavano in due quadrati perfettamente identici il giardino ben curato, erano di un’antica pietra bianca e pregiata. Margareth non avrebbe mai saputo ricordare il nome, nonostante avesse una buona memoria. Le scale all’interno della casa erano dello stesso tipo, leggermente meno spesse. Comunque, non gli piacevano molto.
La cosa che Margareth Grey odiava più di tutte era svegliarsi la mattina, senza spirito di iniziativa e senza voglia alcuna, ed essere costretta a scendere quelle scale immense ed infinite che l’avrebbero condotta in cucina. 
Le dimensioni di quest’ultima erano ancora un mistero per lei, l’aveva sempre reputata davvero troppo grande per tre persone. 
‘’Buongiorno signorina Grey’’ le rivolse un sorriso Hollie. 
Hollie Roden era un’adorabile donnina magra e con i capelli neri spruzzati di bianco, di appena sessant’anni, che aveva praticamente cresciuto Margareth. Le aveva sempre fatto da balia, e lei aveva sempre pensato che quest’ultima lo fosse, ma svolgeva anche altri lavori. Per esempio si occupava di tenere in ordine la casa, insieme ad altre cinque domestiche di cui non ricordava neanche il nome, ed aveva un rapporto meno professionale con i suoi genitori in confronto alle altre.
Hollie era quasi considerata parte integrante della famiglia, dato che serviva i Grey da quando aveva venti anni. Sin da quando Margareth ne aveva memoria, era Hollie che ritrovava in cucina tutte le mattine a prepararle e servirle la colazione. Era Hollie che la svegliava delicatamente alle sette di ogni giorno, ed era sempre Hollie che la ascoltava e la consigliava.
Hollie era la nonna che Margareth aveva sempre desiderato. Non che non ne avesse, ce n’era ancora una- la mamma di sua mamma-, ma con la donna era diverso. Hollie la trattava come una semplice sedicenne qualunque, e non come la figlia del sindaco della Grande Mela.
A Margareth, una volta ogni tanto, faceva bene essere trattata come una persona normale. Le persone che frequentava, e che i genitori volevano che frequentasse, non lo facevano di certo e se c’era una cosa che la ragazza odiava era quella di essere trattata come una principessa.
Sapeva bene che era il sogno di qualsiasi altra adolescente, ma lei che lo viveva non ci trovava assolutamente niente di bello o appagante. Si sentiva solo circondata da persone che prestavano attenzione unicamente al suo rango sociale e al suo portafogli.
Forse era semplicemente sola in mezzo alla gente.
‘’Buongiorno Hollie’’ le scoccò un sonoro bacio sulla guancia, poggiando una mano esile sulla spalla ossuta della donna.
‘’Come sta oggi?’’ le domandò la domestica, come suo solito.
Margareth sospirò. ‘’Ho mal di testa’’ rispose, sviando la domanda reale. Ma conosceva bene Hollie, e quest’ultima conosceva bene lei. E si capirono entrambe.
Mentre la domestica le faceva strada per raggiungere la tavola di legno di ciliegio e per iniziare a mangiare- come sua madre si raccomandava spesso-, le rivelò un’occhiata perplessa.
‘’La cena di lavoro di suo padre, la settimana scorsa, deve essere stata impegnativa per lei’’ le disse, mentre Margareth prendeva il suo solito posto a tavola e mentre le serviva dei cornetti e delle schiacciatine e delle fette biscottate burro e marmellata e tremila altre cose diverse. 
‘’Al solito’’ evase la ragazzina biondissima, scrollando le spalle. ‘’Se c’è una cosa che detesto è accompagnare mio padre e mia madre a queste stupide cene d’affari’’
Margareth non era una tipa molto estroversa, non lo era mai stata e neanche ci teneva, e probabilmente non si sarebbe sbilanciata così tanto con un’altra delle loro domestiche o con qualche suo amico. Ma si fidava di Hollie, sapeva di potersi sfogare con lei, come aveva sempre fatto. 
Quando era bambina e qualcosa la turbava, non ricordava una sola volta in cui fosse andata dalla mamma- come tutti gli altri bambini. Per lei c’era sempre stata Hollie, l’unica.
Era molto silenziosa da piccola, il padre la richiamava spesso per quello. Con il tempo aveva imparato a sciogliersi, anche per farlo felice, ma una parte di lei era ancora apatica ed ammutolita come quella bambina di anni prima.
‘’Resista’’ le disse Hollie, e lei si sorprese. ‘’A diciotto anni potrà fare quello che vuole, anche andarsene. Sono solo altri due anni’’
Margareth non era sicura di volersene andare. Era sempre cresciuta in una campana di vetro, era difficile immaginare una vita diversa da quella. Ma la stava opprimendo, nel senso letterale del termine. Aveva cominciato a detestare quell’ambiente altolocato, quella gente snob e tutto quello che ne comportava.
Aveva cominciato anche a detestare i suoi genitori, che si ostinavano ad imporle una vita che non le piaceva e che le stava stretta.
A volte, si sentiva soffocare.
Questo, Hollie l’aveva capito anni prima.
Margareth guardò la donna e sorrise, nel modo più sincero che conosceva. Non era il solito sorriso cortese ed educato che l’educatrice le aveva insegnato quando era bambina, e che doveva rivolgere ai colleghi di suo padre e alle persone importanti. Quello non era il suo sorriso vero.
Quello che rivolse ad Hollie lo era, e la donna le accarezzò il viso magro e smunto.
‘’Mangi’’ ed era imperativo.
‘’Non ho fame’’ si alzò dalla tavola Margareth, dopo non aver toccato assolutamente niente. ‘’Dici a mia madre che ho mangiato una fetta biscottata al volo’’
‘’Non mento a sua madre’’ si imbronciò Hollie. ‘’Non quando si parla della sua salute fisica’’
‘’Non è una bugia’’ sogghignò Margareth, mentre si avvicinava al centro della tavola imbandita e terribilmente vuota e prendeva una semplicissima fetta biscottata. ‘’La mangio’’ e la addentò, prendendo il suo zaino preparato accanto alla porta. 
Hollie sospirò come una vecchia madre apprensiva, e sorrise. ‘’I suoi genitori mi hanno detto di riferirle che saranno a casa entro le cinque di oggi pomeriggio’’
Margareth si finse interessata solo per educazione, e ricambiò il sorriso. ‘’Va bene’’ annuì.
‘’Ah’’ si ricordò improvvisamente la domestica, sistemando meglio la sua divisa bianca e nera. ‘’E mi hanno anche detto di dirle che Parigi è bellissima e che sua madre le ha comprato una borsa stupenda’’
Margareth era piena di ‘’borse stupende’’ ma sorrise ancora e annuì di nuovo.
Si mise velocemente lo zaino rosa sulla spalla, e si sistemò la divisa scolastica e i capelli che aveva sempre trovato troppobiondi.
‘’George la aspetta fuori’’ continuò Hollie, riempendola di informazioni abituali. Come se non lo sapesse. Fece un leggero cenno col capo e aprì la porta, varcando la soglia e uscendo fuori da quella sottospecie di prigione.
Il tenue sole di settembre illuminava il cielo di una New York che usciva dal letargo estivo e diventava più trafficata e caotica che mai. Il meteo non aveva preannunciato pioggia, e Margareth ne fu sollevata perché la infastidiva non poco.
Alla fine del suo immenso giardino, mentre Lucas il giardiniere aveva già iniziato a potare le piante e la salutava cordialmente, c’era un’auto nera troppo grande per una sola persona e un guidatore.
Al volante c’era George, fedele autista della famiglia Grey da tempo immemore e spettatore di ogni riflesso di Margareth in quegli specchi.
‘’Buongiorno signorina Grey’’ la sua voce bassa ed autoritaria echeggiò nello spazio della macchina, mentre Margareth nascondeva la fetta biscottata- che non aveva mangiato e non aveva intenzione di farlo- in un fazzoletto e la ficcava in borsa. 
‘’Buongiorno’’ rispose, educata come sempre.
Sarebbe stata una lunga giornata.

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Gwyneth Paltrow aveva frequentato, a suo tempo, il prestigioso collegio Spence School. Ovunque gli venisse fatta pubblicità, in ogni posto si trovasse un cartellone pubblicitario, o chiunque ne parlasse non ometteva quel dettaglio. 
Ed ora, ovviamente, Gwyneth Paltrow non c’era più ma di esempi simili potevano essercene altri mille: la figlia di Brad Pitt frequentava quella scuola, la figlia di Madonna frequentava l’ultimo anno, c’era Lila Grace- figlia di Kate Moss- che frequentava l’ultimo anno delle scuole medie. 
Margareth non si sarebbe sorpresa che vi uscisse anche un lontano parente di Obama. La maggior parte dei ragazzi, invece, erano figli di imprenditori di fama mondiale o di grandi petrolieri o pezzi grossi dell’industria.
Sistemandosi meglio la gonna a balze di un orribile grigio topo e la camicia bianca e profumata con la cravattina abbinata, varcò quel cancello verde e fece il suo solito ingresso nel comprensorio femminile.
Nell’esatto momento in cui mise piede in quella struttura incredibilmente pacchiana ed estrosa, che non le andava molto a genio, qualcuno la stritolò da dietro.
Sapeva benissimo chi fosse anche prima di girarsi, ma si mostrò colta alla sprovvista solo per compiacerla e scoppiò in una risata contagiosa. Le avevano sempre detto che le sue risate lo erano, ma non ci aveva mai creduto più di tanto.
Girandosi, si ritrovò davanti una ragazza che era il suo esatto opposto: mulatta, con dei capelli corvini e ricci fino all’inverosimile e con un sorriso quasi tirato, perché diceva di avere dei brutti denti. 
Robyn Young era la sua migliore amica dai tempi delle scuole medie, che avevano frequentato sempre nello stesso edificio, ed era la persona più estroversa e simpatica che lei avesse mai visto (sì, anche se non sorrideva a 32 denti).
‘’Ciao bionda’’ le strizzò una guancia, mentre Margareth cercava di allontanarsi senza sembrare brusca. Non era un comportamento molto maturo, in effetti. ‘’Ho uno scoop’’
Robyn era anche famosa alla bionda per i suoi scoop, o notizie dell’ultim’ora, o novità incredibili o come preferiva chiamarle ogni volta. ‘’Chi ha avuto un incidente in limousine questa volta?’’ le sorrise Margareth, incrociando le braccia al petto. L’ultima notizia della mora riguardava una cerca Alisha Monroe che aveva avuto un incidente con il suo autista, ed ora era ricoverata in una clinica privata ai confini del mondo. 
Inutile dire che Robyn rincarava la dose e forniva di dettagli inutili- ed inventati, la maggior parte delle volte- ogni storia.
‘’Indovina cos’ha fatto Katerina McMillan’’ sogghignò.
‘’Ehm…’’ balbettai. ‘’Non ha preso in tempo il volo per tornare dalle Bahamas?’’
‘’No’’ sbuffò Robyn. ‘’Cioè, sì, è vero, ma non è questa la notizia bomba’’ 
‘’Me la dici, allora?’’
‘’Si è fatta un tatuaggio’’ sgranò gli occhi la mora. ‘’Sulla pancia’’ aggiunse disgustata, e rabbrividendo molto poco finemente per i suoi soliti standard. In realtà a Margareth non poteva importare di meno di Katerina McMillan così come non poteva importarle di meno di un semplice tatuaggio sulla pancia. Certo, era praticamente una vergogna generale- non solo per la persona in questione, ma anche per la famiglia- che una ragazza (o un ragazzo) si tatuasse a meno di venti anni. Era sempre stato così da quando la bionda ne aveva memoria, e lei era cresciuta fra il disgusto per i piercing e i tatuaggi e la costante pressione a dare il massimo, ad essere il meglio, la prima indiscussa. Rabbrividì anche lei, ma più per una sorta di abitudine e rassegnazione che per altro. 
‘’Squallido’’ disse, e sempre per abitudine ci credeva davvero. Anche se era combattuta, la modalità con la quale aveva convissuto per sedici anni era in netto sopravvento. Margareth non era una persona prevenuta né tantomeno con pregiudizi, era convinta che- se magari avesse conosciuto meglio Katerina- avrebbe potuto scoprire il reale motivo per cui avesse deciso di tatuarsi a sedici anni. Non doveva essere tanto stupido, dopotutto.
‘’Già’’ annuì Robyn. ‘’Avrei voluto essere una mosca per vedere cosa le hanno detto i genitori quando l’hanno scoperto’’
Margareth scosse la testa. Sapeva che quella di Robyn non era cattiveria e neanche malizia, era semplicemente una pura curiosità. 
‘’Dopotutto’’ continuò l’amica. ‘’Non c’è granchè da aspettarsi da genitori medici’’
Robyn però, al contrario della bionda, aveva forti pregiudizi e una fiducia infinita nella famiglia in generale. Per la ragazza, bastava sapere che lavoro facessero due genitori per ricavare il profilo psicologico di una persona. Ed era parecchio restia nei confronti delle famiglie alto-borghesi. Degna figlia di un petroliere, dopotutto.
Margareth non ebbe il tempo di dire nient’altro, anche se molto probabilmente non l’avrebbe contraddetta perché la Robyn contraddetta faceva davvero paura, che suonò la campanella.
Si separarono, essendo in classi diverse, e Robyn l’abbracciò in modo quasi affettuoso.
Le ragazze come lei, come loro, non erano di certo abituate a manifestazioni pubbliche di affetto. Le reputavano scortesi e inopportune, magari anche imbarazzanti in certi casi. Preferivano un bacio sulla guancia, o una semplice stretta di mano. Margareth era contenta perché per Robyn non faceva molta differenza, e la abbracciava anche se il loro abbraccio durava due microsecondi e si sfioravano a malapena.
‘’Ci vediamo all’uscita’’ le disse l’amica. ‘’Devo farti vedere l’ultimo regalo di mio padre’’
‘’A dopo’’ sorrise Margareth, per la centesima volta quel giorno.

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Le Louboutin che Oliver Young aveva regalato a sua figlia, di ritorno da un viaggio di lavoro negli Emirati Arabi, erano l’ottava meraviglia del mondo. Erano un modello nuovissimo, che in America neanche era arrivato di striscio, e Robyn era così estasiata mentre le mostrava che Margareth si sentì quasi felice quanto lei.
‘’Non sono meravigliose?’’ le aveva chiesto, con gli occhi brillantini. ‘’Sì, lo sono’’ aveva annuito Margareth, innamorata di quelle scarpe. E, a mezz’ora quasi dal termine delle lezioni, si alzarono dalla panchina del parco della scuola sulla quale erano sedute, e Robyn sorrise ancora una volta.
‘’Il mio autista è arrivato’’ disse, controllando il suo iphone. I Young erano molto tecnologici, anche i loro domestici probabilmente, e l’autista doveva averle mandato un messaggio. ‘’Vuoi che aspetti con te?’’
Margareth aveva chiesto a George di venire un’ora dopo la fine delle cinque ore scolastiche, verso le due, e mancavano ancora trenta minuti. ‘’Non preoccuparti’’ scosse la testa. ‘’Lo chiamo subito e dico d venirmi a prendere ora. Va pure tranquilla’’
E dopo due minuti scarsi, la bionda si ritrovò da sola nell’atrio di quell’enorme istituto, ormai vuoto. Si ritrovò a pensare che, visto da fuori, poteva quasi sembrare ad un castello. Somigliava parecchio al Duomo di Milano, che lei aveva visto ed adorato.
George le aveva detto che stava arrivando, quindi sarebbe rimasta lì per altri pochi minuti più o meno. Si diresse verso il cancello, con lo zaino rosa ancorato sulle spalle, per farsi trovare già lì quando l’autista sarebbe arrivato. Ma si immobilizzò.
Dinanzi a lei c’era un ragazzo che non aveva mai visto, non che vedesse molti ragazzi anzi solo quelli che le presentavano i genitori, che la fissò immobile. Lo riconobbe quasi immediatamente.
La settimana prima, o forse di più, mentre i suoi genitori erano appena arrivati in Francia, lei era andata a casa di Robyn per studiare e- al ritorno- aveva pensato di fare qualcosa di normale. Qualcosa che le ragazze della sua età facevano di routine. 
Aveva preso la metropolitana. 
Ci aveva messo molto tempo a capire come funzionasse, e aveva chiesto indicazioni ogni due minuti, ma quando era arrivata fuori casa sua si era sentita realizzata ed indipendente per la prima volta.
E quel ragazzo moro dagli occhi azzurrissimi, che la stava fissando ancora, era proprio su quella metro. 
Margareth ricordava benissimo come l’aveva guardata, con lo stesso sguardo che aveva in quel momento, quasi lei gli sembrasse…finta. Uno sguardo assente e altrove, ma pur sempre uno sguardo.
Lei aveva rischiato di cadere dopo una brusca fermata, a cui non era di certo abituata, e lui l’aveva afferrata prontamente, come se stesse aspettando quel momento. E lei, dal canto suo, ricordava ancora la sensazione del suo tocco: le sue mani erano bianche e fredde, quasi gelide, che contrastavano con la pelle bollente della ragazza. E ricordava il suo profumo di fumo e menta, i suoi occhi spettrali e il suo sguardo curioso e sorpreso quando lei si era alzata dalla metro troppo piena per far sedere un’anziana signora. 
‘’Grazie’’ gli aveva detto lei, timida come sempre e in soggezione. ‘’E’ la mia fermata’’ scendendo. Non l’aveva rivisto più, nonostante una piccola parte di lei ci avesse sperato per un po’ di tempo. Ma non sapeva chi fosse, non conosceva il suo nome, e la metropolitana non faceva di certo per lei.
Ed ora era proprio lì, davanti a lei, davanti all’entrata del collegio, mentre la guardava nello stesso identico modo che le sembrava quasi familiare
Si avvicinò a lui, contro ogni previsione e contro la sua stessa logica, e gli poggiò una mano esile sulla spalla. 
Il ragazzo la guardò così da vicino, terrorizzato. Margareth indietreggiò impercettibilmente, cercando di essere cortese. Sembrava quasi che quel ragazzo fosse in un incubo, che lei fosse il suo incubo.
‘’Va tutto bene?’’ domandò, insicura ed apprensiva. ‘’Hai bisogno di una mano? Sei uno nuovo?’’
Magari avrebbe potuto dirgli che quello era un collegio femminile, se lui si fosse dimostrato intenzionato a parlare. 
‘’No’’ rispose bruscamente. Forse troppo. Il poco coraggio che Margareth aveva avuto nel parlargli sfumò a poco a poco.
‘’Ah’’ balbettò imbarazzata. ‘’Comunque stanno per chiudere, dovremmo uscire’’
Le era sembrata la cosa più intelligente e sensata da dire. Uscirono fuori dal cancello con una lentezza quasi esasperante. George sarebbe arrivato da un momento all’altro, e non poteva vederla con un ragazzo.
Non con un ragazzo come lui.
L’avrebbe detto ai suoi genitori, di sicuro.
Il ragazzo davanti a lei era abbastanza alto, indossava un pantalone nero sfilacciato e una canotta dello stesso colore non propriamente elegante. Era una t-shirt a giro maniche, che lasciava scoperte tutte le braccia e gran parte del collo. Al piede aveva delle converse nere, tanto per cambiare, e consunte. I capelli chiari, nel rosso forse, e gli occhi azzurri da star male.
Un piercing gli copriva un sopracciglio, ed era davvero tatuato.
Da così vicino, Margareth poteva distinguere un teschio disegnato sul braccio destro ed una rondine sulla parte sinistra del collo. Una piccola croce sulla guancia, che poteva tranquillamente sembrare un neo. Perfino le sue dita erano coperte da tatuaggi. 
A lei non piacevano, ne aveva paura, e non le erano mai piaciuti. Ma su quel ragazzo le parevano quasi…carini? Non era il termine adatto, ma rendeva l’idea. Era immobile.
‘’Secondo te’’ iniziò, e lei si gelò. ‘’Le paure possono essere sconfitte?’’
Margareth pensò a tutte le volte in cui le avevano detto di non parlare con gli sconosciuti e di non dargli confidenza, ma sembrava che la sua bocca si fosse aperta da sola e che le parole ne fossero uscite fuori senza che potesse accorgersene. 
‘’Suppongo di si’’ balbettò.
Le sembrò quasi che lo sconosciuto volesse sorriderle, ma non lo fece. Si chiese come dovesse essere il suo sorriso, se bello come lui. Non riusciva ad immaginarcelo. Lui, contro ogni previsione, le tese la mano.
‘’Mi chiamo Carl’’ disse, con una voce ancora più roca di prima.
‘’Margareth Grey’’ la strinse lei.
E sorrise per la centunesima volta quel giorno, ma davvero.

 
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Eccomi di nuovo qui :)
Dunque, tanto per cominciare, vorrei ringraziare tutte le meravigliose ragazze che si sono prese la briga 
di recensire il prologo, e che hanno inserito la storia fra le preferite\seguite\ricordate!
Davvero, mi riempite il cuore di gioia!!
Non so se l'ho già fatto, o solo per metà, ma prometto che risponderò a tutte le vostre
belle parole. Grazie per l'affetto che mi dimostrate, sempre e ancora <3
Detto ciò, questo puà essere considerato l'inizio vero e proprio di Amnesia.
Entra in scena, DI GIA', anche Carl, il personaggio maschile.
Ho preferito partire direttamente la loro secondo incontro, non perchè
il fatto della metro non foss importante ma perchè era risalente a tanto tempo prima di questo :)
Chi ha letto Mors Omnia Solvit sa già perchè Carl è fuori il collegio e perchè sembra spaventato.
Per chi non lo sapesse, tranquille che si scoprirà tutto a tempo debito :)
Il carattere dei primi due personaggi verrà chiarito più avanti, per adesso spero di non avervi
deluse e che il capitolo, sebbene di intro, sia stato di vostro gradimento.
ASSICURO che diverranno più interessanti!
Un bacio,e buon fine settimana a tutte xx
Harryette
  
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