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Autore: luxuryloser    16/10/2014    1 recensioni
Ogni volta, invece, faceva più male, e i fantasmi restavano nella sua testa. Poco importava che si allontanasse miglia e miglia, che si ubriacasse su una spiaggia sudamericana o scalasse ogni montagna alla sua portata, che si distraesse in qualsiasi modo possibile: ogni volta un po’ della sua fiducia si sgretolava, e per via dell’erosione da roccia diveniva sempre più simile a tempesta di sabbia.
Per quante migliaia di anni?
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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In a land of gay and in a time of gay,
the destiny of a gay kingdom
rests on the shoulders of a young gay.
His name, Merlin.
 
Lo so, lo so, lo so. Sono in ritardo, sono una testa di fagiolo e un mese di attacchi di panico non mi giustifica.
Quindi, accantonando i miei casini, torniamo a quelli di Merlin e Arthur, sicuramente più interessanti per passare la serata. Aiuto, io domani devo andare a lezione.
Lasciate solo che vi presenti Mor ga na. Perché sì.
Come sempre, Merlin non mi appartiene o avrei già la mia laurea in Medicina come Lancillotto ha avuto il suo titolo nobiliare, e Arthur non mi appartiene o avrei già lui (no, scherzo, lo avrebbe Merlin, e questo sottolinea nuovamente quanto la vita sentimentale della mia OTP sia più importante della mia).
Buon compleanno di Bradley in ritardo.

 

How many thousand years?
 

3. Continuità sinusoidale.


Inusualmente avvolto in un sonno sereno, Merlin non si accorse del ragazzo biondo con addosso solo un paio di pantaloni che cercava maldestramente di imitare i suoi movimenti della sera prima intorno alla macchinetta del caffè, al frigorifero e agli armadietti. Avrebbe poi ricostruito mentalmente una cialdina aperta con conseguente spargimento del suo contenuto, un caffè non fermato in tempo, il cartone del latte rovesciato dappertutto e una tazza rotta. Meno male che avrebbe potuto aggiustarla con la magia, perché era una delle sue preferite.
Fu svegliato dal profumo del cappuccino (o così avrebbe lasciato intendere ad Arthur, in realtà era stato il suo poco regale improperio rivolto allo strumento infernale e il poco rassicurante rumore della sua tazza dei Pink Floyd che si infrangeva al suolo), e quando aprì gli occhi la prima cosa che vide fu un sorriso che mal celava un certo imbarazzo.
“Cosa fai già in piedi?” chiese, con genuina sorpresa. Ricordava perfettamente gli sforzi per tirare il principe giù dal letto, molte vite fa, i buongiorno e le risposte sempre rauche e non esattamente fantasiose nell’insultarlo spudoratamente.
“Ho preparato la colazione, credo.”
Se non l’avesse conosciuto bene, lo stregone avrebbe potuto giurare di averlo visto arrossire. La luce, probabilmente.
“E a cosa devo questo onore?”
“Non ho sonno, mi sembra di aver dormito per mille anni.”
Una lieve risata, da parte di entrambi. Arthur appoggiò il vassoio sul comodino ingombro, litigando con una pila di libri pieni di orecchie, e si sedette sul bordo del letto, buttandosi all’indietro fino ad atterrare con la schiena sulle gambe di Merlin.
Un brivido, la speranza che l’altro non lo notasse, la confusione di non saperselo spiegare. Merlin afferrò un biscotto, portandoselo alle labbra.
“Che meraviglia. In effetti, ho dovuto aspettare soltanto un’eternità.”
Arthur assunse un’aria decisamente poco regale mentre si stirava per arrivare a pochi centimetri da lui, afferrare con pura casualità un cuscino e tirarglielo in faccia. Risero ancora entrambi, una distanza infinitesimale a dividerli, il letto punteggiato di briciole di biscotto.
Nessuno dei due parve curarsene.
“Merlin?”
“Sire?”
“Non ti ricordavi di chiamarmi sire quando dovevi, testa di fagiolo.”
“Quella è la mia frase!”
Un’altra cuscinata, altre risate, altri tentativi di rimandare l’effettivo accorgersi che tutto non era tornato come prima, non era altro che una condizione dell’essere persa in un limbo, e quel respirare immobilità e pace dipinta poteva durare solo fino a un certo punto prima che la tela si squarciasse.
Lo stregone prese un sorso di caffè ormai tiepido, allungato con troppo latte (ma di questo, nonostante il suo culto idolatrico per il caffè, non gli importava), e decise di alzare i suoi occhi blu sulla realtà dei fatti, dalla loro indisponente mancanza di vestiti alla più preoccupante presenza di Arthur in un mondo dove la monarchia non era molto più che una formalità e dove, se si fosse accesa la televisione sul canale sbagliato, avrebbero mandato in onda Geordie Shore.
In un mondo in cui esisteva la televisione, in effetti.
“Cosa volevi chiedermi?”
Ancora una volta si aspettava domande sulla realtà, su cosa ci facesse fuori da quel maledetto lago, e ancora una volta era preparato a rispondere, nella quasi totalità delle sue frammentarie conoscenze. Cosa ci faceva, in effetti, fuori da quel maledetto lago? Non che a lui dispiacesse.
“Che cosa hai fatto negli ultimi millesettantotto anni?”
Neanche ricordava di avergli detto la cifra esatta, e sicuramente non sia aspettava dalla memoria del re lo sforzo di ricordarla a sua volta. Ma soprattutto, era l’unica domanda di cui non avrebbe voluto rispondere ad Arthur, dando la colpa principalmente alla mancanza di filtri che aveva sviluppato nelle poche ore in cui non aveva dovuto più mentirgli.
“Non sono stati così lunghi. Sono stato benissimo. Niente armature da lucidare, né continue richieste assurde –
Bugiardo, tu e il tuo guardare le stelle da solo ogni notte in cui le nuvole te lo permettevano, e a guardare le nuvole quando non era così.
Bugiardo, tu e il tuo desiderio di prendere una scala e raggiungerle, tu e la tua immancabile tendenza a guardare le nuvole e a non vederci soltanto vapore.
Bugiardo e basta, negli occhi di Arthur, che ti guarda e lo sa ma non lo dice ad alta voce.
“Niente di che, davvero. Ora lo chiamano Medioevo, e non è stato niente di che, molte persecuzioni a stregoni che nemmeno lo erano, epidemie, Sassoni. Hanno scoperto un nuovo continente, le cose hanno iniziato a cambiare.”
“Un nuovo continente?”
“Terra oltre l’oceano. E la Terra è rotonda.”
Stavano avendo quella conversazione seduti a gambe incrociate, lui coperto per metà da una coperta scozzese, e non sembrava un problema. Arthur sembrava pendere dalle sue labbra per quelle lacunose informazioni, e questo sembrava un problema più grande per quanto era completamente inusuale, tanto che Merlin sorrise all’idea di quando sarebbe arrivato a parlare dell’iPhone 6 e della lotta per il femminismo o per i diritti degli omosessuali.
Quell’uragano dalla dubbia origine ebbe un sussulto nel suo stomaco.
La Terra è rotonda?
“Farai eco a tutto quello che dico?”
“No. Continua.”
Sempre a dare ordini. E lui sempre a seguirli senza pensare ad alcuna altra possibilità.
“C’è stato quest’uomo, io l’ho conosciuto, Leonardo da Vinci. Ha rivoluzionato il mondo, ha dato inizio a tutte le scoperte scientifiche che… Ma questo non ti interessa.”
“Hai intenzione di decretare anche cosa mi interessa e cosa no, ora, Merlin?”
L’aveva fatto di nuovo, pronunciare il suo nome come se stesse facendo le fusa, e non era niente ma era tutto, ed era inspiegabile ed intrigante allo stesso tempo, pur non avendo nessun significato. Era solo un suono che gli era mancato, tanto da quasi passargli di mente, che in quel momento diventava un sottofondo musicale a quel riassunto di vita sprecata ad attendere.
“È tutto così diverso, Arthur, ci sono cose che neanche la magia avrebbe potuto prevedere. Esistono macchine per volare, si chiamano aerei, e trasporti via terra più veloci di qualsiasi cavallo. La Terra è rotonda, sì, e non è il centro dell’universo.”
Si interruppe, guardando il sovrano negli occhi e accennando un sorriso, come per prepararlo a quello che stava per dire.
“Non lo sei neanche tu, per quanto tu lo possa pensare.”
“Sono il centro del tuo universo, Merlin, ricordatelo bene.”
Cuscinata. Stava diventando una cosa abituale.
Merlin fu investito dall’improvvisa consapevolezza di star bevendo cappuccino freddo, semisdraiato sul letto e indossando solo un paio di boxer e una maglietta di Iron Man, il cellulare sul comodino che ogni tanto si illuminava del led che annunciava i nuovi messaggi su Whatsapp, con Re Arthur. L’intera situazione aveva tutto di surreale, quasi vuota dalla mancanza di senso, paradossale, ma in un modo diverso dall’ironico e fortuito incontro con La morte d’Arthur ogni volta che passava in libreria.
E Merlin non aveva alcun desiderio di cambiarla.
Arthur era vicino, la parte superiore del corpo ancora apparentemente insensibile alla normale necessità di indossare vestiti,
La conversazione era andata avanti tutta la mattinata, lo stregone ancora poco convinto della sostenibilità di portare Arthur effettivamente nel mondo del terzo millennio, e per un paio d’ore non avevano nemmeno pensato di muoversi da quella camera stropicciata con la finestra aperta. Aveva smesso di piovere, anche se non avrebbe saputo dire quando. Probabilmente, rispose a se stesso con quella voce che cercava di ignorare perché non era il momento, e il luogo, e l’universo, quando aveva sbattuto la porta blindata dietro se stesso e Arthur, pensando per la prima volta a quel posto di ricordi mal intrecciati come a casa.
Sembrava che poche ore della sua presenza fossero bastate a rimettere insieme col nastro adesivo i pezzi di lui che si erano sparpagliati in giro per il mondo con il passare di quegli anni vuoti, si ritrovò a pensare mentre sprofondava inconsciamente nel cuscino. Era una continuità mezza dritta e mezza ondulata, un tratto sinusoidale tra il passato e quel presente che lasciava Arthur con gli occhi spalancati, ma se Merlin si fosse permesso di dire che era tenero si sarebbe preso l’ennesima cuscinata sul naso. Lui non era Gwen.
Si scosse.
“Mi farei una docc-- un bagno, prima di pranzo. E ti devo trovare dei vestiti.”
“Che cos’hanno i miei che non va?”
Ti sono addosso, pensò in risposta, incoerente ed incontrollato, per giurare a se stesso neanche un nanosecondo dopo di non essere stato lui a formulare il pensiero.
“A parte il sangue, l’essere stati indossati per più di mille anni, e il fatto che siano completamente passati di moda?”
Prima che Arthur potesse recriminare in alcun modo, l’aveva già afferrato per un polso. Aveva le mani calde, nonostante nella stanza fosse entrata troppa aria e nessuno dei due l’avesse minimamente notato, e Merlin maledisse mentalmente la propria ipersensibilità, perché non era possibile che riuscisse così chiaramente a sentire il battito calmo del suo cuore sotto le dita, e che il solo sentirlo avesse il potere di accelerare il suo.
Maledetto destino.
Maledetto anche il fatto che cinque minuti dopo Re Arthur era nella vasca del suo bagno degli ospiti, e se lui stesso non fosse stato un'assurdità storica che respirava (e parlava e mangiava e pensava un po' troppo al fatto che Arthur fosse nella vasca del suo bagno degli ospiti) si sarebbe accorto dell'assurdità storica dell'intera situazione. A occhi chiusi sotto il getto della doccia, Merlin lasciò che tutte le vite sequenziali che definivano la sua gli scorressero davanti agli occhi, un film in fast forward in cui emergevano dettagli che non aveva mai notato, attraverso i quali realizzava quanto non ci fosse stato niente di vuoto in quei momenti, niente di inutile e insensato, ma quanto piuttosto mancasse un unico pezzo, quello centrale, del maledetto puzzle.
Tornei. Sapeva chi avrebbe vinto.
Persecuzioni sbagliate. Forse qualcuno sarebbe arrivato a comprendere quell'aggettivo.
Confini superati prima di sapere dove tracciarli. Padri fondatori a parte, quella era una buona metafora.
Poesia. Shakespeare certo non sarebbe stato una scusa.
Scoperte rivoluzionarie. Quanto avrebbero potuto costruire, in un mondo nuovo.
Guerre, ancora guerre, ma anche indipendenza, unità, identità. Non era colpa di Merlin se in ognuno di quei risultati vedeva lo spettro di Albion.
Ideologie, apertura mentale, tutte cose che non si sarebbe mai potuto aspettare. Chissà come sarebbe stato viverle.
Chissà come sarebbe stato viverle da allora in poi, sempre se ci sarebbe stato un poi o soltanto...
Non permise a se stesso di sentire Arthur come inafferrabile, non in quel momento. Ci sarebbe stato tempo per farlo, quando si sarebbe comportato ancora come una testa di fagiolo con lo stesso intuito della goccia d'acqua che ora gli scivolava sul naso.
Maledetto Pendragon, e maledetto lui che nonostante tutto non poteva pensare di vivere di nuovo senza.
 
"Voglio uscire."
"In accappatoio?"
Pigreco mezzi. Seno dell'angolo uguale a uno, la parte più alta della curva, e la lampante e autoritaria asinità di Arthur non lo aveva mai fatto sorridere quanto in quel momento.
"Idiota."
Fu così che quasi senza pensarci fece comparire un paio di jeans e una t-shirt per il re del passato e del futuro. Una -shirt rossa, di quel rosso Pendragon che non avrebbe trovato in nessun negozio di nessuna epoca, quel rosso che aveva evitato per millesettantotto anni come se il colore stesso potesse prendere vita per strangolarlo con i ricordi, lo stesso che in un secondo, in un millesimo di secondo, tornava ad occupare la banda più vicina dell'arcobaleno.
Così che strinse i lacci dei Doc Martens di entrambi, inginocchiandosi davanti ad Arthur senza spezzare il contatto tra le loro due diverse tonalità di blu, come a voler ricordare ad entrambi il loro essere pari. Due facce della stessa medaglia.
Fu così che attraversarono la cittadina a piedi, senza fretta, le spalle che ogni tanto quasi si sfioravano. Merlin finse di credere che fosse l'elettricità statica, o l'effetto ancora inesaurito della magia del giorno precedente, o chissà quale tempesta magnetica, a causargli quell'ingiustificabile brivido ad ogni contatto.
“E così, questa sarebbe Avalon.” Arthur accennò con il capo al prato che si stagliava per qualche centinaio di metri, i gomiti appoggiati alla staccionata di legno in una riproduzione inconsapevole della posizione che Merlin stesso aveva assunto un numero imprecisato, quanto doloroso da provare a contare, di volte.
“Più o meno.”
Vide le sue sopracciglia aggrottarsi quasi impercettibilmente,
“Ancora non riesco a crederci.”
Come se fosse lui ad avere atteso quel momento per oltre un millennio. Ma ovviamente l’asino egocentrico che era non poteva rendersene conto, e Merlin lasciò correre. Dopotutto, lui stesso aveva attribuito tutto a un sogno; del resto, come avrebbe potuto essere reale che Arthur si avvicinasse a lui ogni istante di qualche centimetro in più, per poi ritrarsi, e avvicinarsi ancora?
Scosse la testa in risposta, con l’ombra di un mezzo sorriso.
“Mostramelo ancora.”
“Non posso ricreare il lago quando voglio, sua asinezza reale.”
“Non parlavo del lago.”
“E di cosa…” Ma poi, senza doverci nemmeno pensare, lo sapeva. Come in un modo o nell’altro finiva per sapere ogni cosa, con Arthur, anche quando si giravano intorno come trottole, come elettroni liberi, come i due idioti che erano. “Upastige draca.
Sentì il calore pervaderlo e gli occhi, come presi dal fuoco, accendersi di un familiare bagliore dorato, e furono fiamme, che modellavano se stesse fino a prendere la forma di un drago, per un attimo, prima di sparire in un battito d’ali più forte, prima che chiunque, oltre a loro due in quel loro piccolo mondo, avesse la possibilità di vederlo.
Arthur interruppe il silenzio ancora denso di magia, di parole non dette, come quel grazie appena sussurrato, quello che sembrava gli avesse detto pochi minuti prima, e non il tempo di migliaia di generazioni.
“Non avrei mai permesso che tu fossi trattato come… uno degli altri, lo sai.”
“Lo so.”
E non era vero, non l’aveva mai saputo, e quelle ultime ore erano state una lenta tortura, nel desiderare di strapparsi il cuore dal petto per avere la certezza che il re di Albion sarebbe sopravvissuto quanto nel pregare di avere ancora, nonostante la magia, un posto nel suo cuore. Se mai l’avesse avuto.
Merlin si lasciò sfiorare ancora un po’ dal silenzio, dall’essenza di quel luogo che fino a quel momento non aveva significato altro che vite spezzate, e si chiese come facesse Arthur a guardare quelle false sponde, come potesse sopportare la vista di quella che era stata la sua tomba, l’ultima tappa della prima metà della sua esistenza. Lo sentì tremare leggermente, consapevole che l’avrebbe indiscutibilmente negato, e non disse niente: era lì, non gli avrebbe chiesto altro.
Merlin?” Sussurrò lui, a davvero troppo pochi centimetri dalle sue labbra, interrompendo quel qualcosa durato quanto un battito di ciglia e quanto undici secoli.
“Sì?”
Non sapeva cosa pensare dello sguardo di aspettativa che Arthur gli stava rivolgendo e che non riusciva a sostenere, il proprio apparentemente obbligato a cadere periodicamente sulla sua bocca, come attirato da qualche forza attrattivo più forte della magia e della gravità. Ma scosse la testa: non era quello che pensava. E poi, non lo pensava affatto.
“Perché sono qui? Perché ora?”
Se la sua espressione si era rovesciata, Arthur non aveva mostrato di accorgersene. Non che fosse una novità, che Arthur non si accorgesse delle cose neanche quando accadevano a dodici centimetri (maledetta overpercettività) dal suo naso. Era così perso, di nuovo, caduto nella parte negativa della sinusoide, una curiosità pragmatica ad interrompere qualcosa che non c'era effettivamente stato se non dentro la sua testa, e che non avrebbe dovuto esistere nemmeno in quella.
"Non lo so, Arthur. Se lo sapessi--"
Se lo sapessi avrei fatto in modo che le circostanze si verificassero ben prima, perché mi sentivo talmente vuoto da non risentire dell'attrazione gravitazionale.
Abbassò gli occhi, sentendosi sconfitto e inutile, quasi quanto nel momento in cui si era ritrovato costretto ad evocare il Grande Drago, e anche lui non era stato sufficiente. Arthur rimaneva distante quei pochi centimetri, senza fare alcun cenno nella sua direzione, ad eccezione del calore emanato dalla sua pelle, che lo colpiva come un'onda. Se solo non fosse stato completamente e indiscutibilmente—
Fu come un flash, un lampo di luce improvviso, di quelli che per qualche secondo lasciano la vista annebbiata.
Un lampo di luce intenso e inaspettato, che scomparì in quello che sembrava in tutto e per tutto un battito di ali.
Silenzioso.
Bianco.
"Ma possiamo scoprirlo."

 

Per farmi perdonare penso che dopo il weekend pubblicherò una one shot a cui sto lavorando.
 Lo volete uno snippet, il più SFW possibile che dia un’idea? Certo che lo volete.

E fu un sorso di verità nel caffè di negazione che si faceva portare da lui ogni giorno, o forse fu solo un sorso di Merlin, e bastava, e se tutto quell’odio era stato una maschera per la tensione sessuale, che così fosse, voleva solo sentirlo più vicino, e che i loro corpi aderissero sembrava non bastare quando lui sentiva Merlin dentro, sotto la pelle, come una scarica di adrenalina.

A presto, dearies.
  
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