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Autore: Monijoy1990    17/10/2014    1 recensioni
Questo racconto rappresenta il proseguimento di "Love story". Quindi invito chiunque non lo abbia letto a farlo prima di iniziare.
Roberto è un ragazzo arguto e intelligente con un futuro già scritto a lettere cubitali nel suo destino e un sogno in minuscole chiuso in un cassetto. Avvocato, dottore o ingegnere questo ciò che vorrebbero i suoi genitori per lui. Ma cosa vuole davvero Roberto? Diventare un cantante. Così il Giappone diventerà la sua strada e la Kings Record la sua meta. Durante il suo viaggio verso il successo il destino gli tenderà tante sorprese improvvise. Riuscirà grazie alla sua arguzia e al suo buon cuore a superare le sue insicurezze? Tra triangoli amorosi e amicizie inaspettate, sarà in grado di realizzare il suo sogno? Troverà la sua strada?
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 4
DUE GIORNI PRIMA (PARTE 2)




Giappone – Tokyo
 
Erano le undici passate quando Nami avvertì un rumore provenire da una delle tante sale prova della Kings Record, la casa discografica di cui suo padre era direttore. Aggirandosi incerta tra i lunghi corridoi, notò una porta socchiusa. Era da lì che proveniva quella musica assordante. Con cautela si affacciò all’interno della stessa. Era completamente buia.
“Ma chi sano di mente si allenerebbe in una stanza buia come questa?”, pensò avanzando verso lo stereo acceso. Senza pensarci troppo lo spense. Proprio in quel momento due braccia forti l’avvolsero alle spalle. Provò a urlare e a divincolarsi, ma non servì a molto: subito il suo strillo disperato fu bloccato da una mano sulla sua bocca e i suoi movimenti, frenati da una stretta immobilizzante. Così bloccata, si sentì trascinare indietro fino all’uscita. Poi tutto fu bagnato da una luce bianca e accecante. Recuperata la vista, si rese conto di essere stata ricondotta ancora una volta nei corridoi. Una voce sommessa nel suo orecchio destro la fece rabbrividire.
«mh… ma che ragazza carina che abbiamo qui…» proferì divertito il ragazzo che ancora alle sue spalle la teneva bloccata in quella scomoda posizione.
«Come cavolo ti permetti... lasciami immediatamente… non hai la minima idea di chi io sia… quando mio padre lo scoprirà …» tentò divincolandosi trattenendo le lacrime e soffocando il panico. La persona dietro di lei sogghignò.
«Credimi, so benissimo chi sei. Sono 18 anni che seguo i tuoi movimenti. Come potrei non conoscerti dopo tutto questo tempo?» fu in quel momento che la ragazza dai lunghi capelli castani, rabbrividì.
“Adesso cosa faccio? Questo sembra un maniaco”
Poi improvvisamente avvertì la stretta sul suo corpo cedere. Il ragazzo alle sue spalle, inaspettatamente, l'aveva l'aveva lasciata libera in modo che potesse girarsi e guardarlo finalmente in faccia. Una volta voltatasi nella sua direzione i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa.
«Toshi, ma sei cretino?» esordì, allontanando con una spinta decisa suo fratello gemello, che nel frattempo se la rideva di gusto.
«Sorellina avresti dovuto vedere la tua faccia! Sei proprio ingenua. Sai, non dovresti aggirarti per i corridoi tutta sola a quest’ora di notte. Se a prenderti alla sprovvista non fossi stato io, ma un vero maniaco, cosa avresti fatto? Non posso proprio perderti d’occhio, nemmeno per un secondo…» completò sogghignando mentre si sistemava i pantaloni che aveva arrotolato fino alle ginocchia.
«Adesso sarei io quella a creare delle preoccupazioni? Sono ore che ti cerco, ma tu, come al solito, non rispondi mai al cellulare. E poi chi con un minimo di coscienza si allenerebbe a luci spente? Sei davvero strano lo sai?».
«Il buio mi piace, che ci posso fare? E poi  se lo faccio è anche un pò per colpa tua che ogni giorno mi accechi con la tua luce abbagliante» l’adulò, prendendo tra indice e pollice il mento della sorella, con lo scopo di addolcire il suo sguardo burbero e ancora largamente offeso. Alla fine tra loro andava sempre così: Toshi la punzecchiava, ma bastavano poche parole e riusciva a far tornare il sorriso sul volto di Nami. .
«Andiamo a casa insieme?» gli domandò lei sospirando e sorridendogli  dolcemente come sempre.
«Come potrei mai lasciare un simile splendore andare in giro per Tokyo senza una guardia del corpo al suo fianco?» la rassicurò prendendola per mano.
Così uniti, imboccarono il lungo corridoio della Kings Record. Uniti come sempre e come sempre fiduciosi che nulla li avrebbe mai separati.
Nami e Toshi pur essendo gemelli avevano davvero poco in comune. Lei era una ragazza vivace, solare, caparbia, testarda, capricciosa, e costantemente con la testa tra le nuvole, mentre Toshi si era sempre distinto per il suo carattere responsabile, il suo senso di giustizia e la sua straordinaria maturità, doti ereditate da suo padre.  Ma purtroppo quel senso di responsabilità spesso finiva con l’impedirgli di esternare i suoi veri sentimenti, gli stessi che teneva segretamente rinchiusi in un angolo del suo cuore.  A differenza di sua sorella, non aveva mai conosciuto la spensieratezza e la leggerezza di vivere una vita priva di oneri invalicabili.  Difendere sua sorella e soddisfare le ambizioni dei suoi genitori era tutto quello che aveva sempre fatto nella sua vita. Mai una volta aveva pensato a se stesso. Nonostante provasse a mascherarlo dietro un’arroganza difensiva, il suo animo sensibile era sempre lì a soffrire in silenzio. Aveva accettato già da piccolo il suo inevitabile destino. Suo padre si aspettava grandi cose da lui e lui non avrebbe mai deluso le sue aspettative. Non poteva permetterselo. Così, ogni sera, fino a tardi, ripeteva i passi delle coreografie e ripassava i testi delle sue canzoni. A breve avrebbe fatto il suo debutto come cantante, mentre sua sorella avrebbe intrapreso la carriera di modella nonostante suo padre avesse sempre sognato per entrambi un futuro da duo musicale. Un futuro a cui Nami non voleva assolutamente sottomettersi. Il suo sogno era diventare una modella famosa.  In fondoToshi, aveva sempre invidiato a sua sorella la forza di reagire e di imporsi contro suo padre, forza che a lui era sempre mancata.
Con passo tranquillo erano arrivati alla moto nera. Premuroso come sempre Toshi aiutò Nami a posizionare il casco nero sulla sua testa. Lei gli sorrise dandogli un bacio sulla guancia. Era davvero fortunata ad averlo come fratello gemello.
Gli unici momenti in cui suo Toshi scioglieva quella maschera fiera e sicura di sé era davanti a lei. Non c’era mai stata per lui persona più importante di Nami. Non aveva mai avuto interesse per altre ragazze, la sua vita impegnata non glielo aveva permesso, ma forse presto le cose sarebbero cambiate.  
 
 
 
Il ticchettio incessante dell’orologio, era l’unico rumore in quella cucina occupata da un silenzio opprimente. Andrea e Daisuke in silenzio stringevano tra le loro mani due tazze fumanti di caffè, mentre seduti al tavolo attendevano impazienti il ritorno di qualcuno.
Un rumore di chiavi nella serratura e la porta d’ingresso fu aperta. Un ragazzo di corporatura esile, con dei capelli castano chiaro mossi e lunghi fino alle orecchie, fece il suo ingresso in punta di piedi, richiudendosi la porta alle spalle con la premura di non fare troppo rumore.
Daisuke fuori di sé dalla rabbia si alzò dalla sedia e corse a raggiungere il ragazzo ancora fermo sul lungo corridoio d’ingresso.
I suoi occhi irremovibili e fieri, non lasciarono alcuna speranza al ragazzo di cavarsela con una scusa ancora una volta. 
«Take, conosci quali sono i patti.» esordì puntando un indice accusatorio verso di lui.
«Zio, io…» tentò.
«Non mentirmi. So che sei andato di nuovo in quel locale. Take, sai cosa ne pensano i tuoi genitori. Sai cosa ho dovuto fare per riuscire a convincerli.  Ho promesso che ti saresti impegnato negli studi, in cambio nel fine settimana saresti potuto venire in accademia ad allenarti, mentre il resto della settimana lo avresti dedicato solo allo studio. E se i miei occhi non mi ingannano, non mi sembra tu stia tornando da una maratona di studio a casa di qualche tuo compagno di corso» detto questo si avvicinò al nipote, con una mano gli sollevò il collo della camicia che indossava fino al suo naso.
«puzzi di fumo e di alcol. Pensi forse di darcela a bere anche stasera?»
«E va bene. Si, ci sono andato. Sono mesi che mi chiedo cosa ci faccio ancora qui.  È come se non fossi mai andato via di casa. Cosa è cambiato da un anno fa? Nulla. Mi sto costruendo ancora un futuro che non voglio. Speravo che almeno tu zio, avresti capito. Amo ballare e cantare più di ogni altra cosa. Cosa posso farci? Questa è la mia natura. Io sono questo. Perché devo negarmi la gioia di esprimermi attraverso la musica solo perché la gente non riesce a capirmi? Sono davvero stanco… stanco di rimanere fermo allo stesso punto…» concluse il ragazzo allontanando seccato la mano di suo zio dalla camicia Andrea a quel punto, si affacciò anche lui su quel corridoio scarsamente illuminato. Dietro le forti spalle di Daisuke osservava la loro ennesima discussione senza prenderne parte.
«Vai subito in camera tua. Da domani non disturbarti a venire in accademia. Per due settimane puoi anche sognartela…»
«Non stai facendo sul serio…» lo provocò Take sfidandolo interdetto.
«Dici? Fidati, posso farlo eccome». Terminò incrociando le braccia al petto.
Take stringendo i pugni superò lo zio incollerito, correndo al piano superiore salendo a due a due i gradini delle scale.
«Non avrai esagerato?» commentò finalmente Andrea alle spalle di Daisuke.
«Esagerato? Quel ragazzo è veramente è veramente…»
«Come te?» completò l’altro sorridendogli malizioso.
«Eh, si. È proprio come me. Ma cosa posso farci? Se i suoi scoprissero che di notte esce per andare a ballare se lo riporterebbero a casa immediatamente. Non posso permetterlo. Perché non capisce che lo faccio per lui? Proprio perché credo nelle sue capacità non posso permettere che se lo riportino a Osaka. Ho impiegato un mese intero per convincere i suoi  genitori e adesso lui rischia di mandare all’aria tutto solo per una serata in discoteca…»
Take si era presentato un giorno alla porta di Daisuke e Andrea carico di speranze e di aspettative, con un sogno nella valigia e pochi soldi nelle tasche. Aveva preso la decisione di diventare un cantante. I suoi genitori non lo avevano capito, ma sperava che suo zio avrebbe compreso e incoraggiato le sue ambizioni. Ma non fu proprio così. Daisuke pur vedendo nel nipote delle grandi doti, non poteva andare contro sua sorella e suo cognato. Dopo una lunga trattativa erano arrivati a un compromesso. Ma arrivarci non fu per nulla facile. Take avrebbe portato avanti gli studi e in cambio si sarebbe potuto esercitare presso l’accademia artistico - musicale di suo zio, ma solo per due giorni a settimana.  Purtroppo per Take quella condizione, con il passare del tempo divenne sempre più inappagate, così iniziarono i primi problemi, le prime incomprensioni e i primi litigi. L’università non era cosa per lui. Si sentiva soffocare. La musica invece era come una valvola di sfogo era la sua droga: più ne prendeva e più ne voleva. Quei due miseri giorni finirono con il non bastargli più. Così di notte, quando i suoi zii andavano a letto, lui usciva di nascosto per andare al Blue Night, un locale in cui spesso i ragazzi dell’accademia organizzavano gare di canto e di ballo. Era l’unico modo per evadere e per continuare a credere in quel sogno. Spesso dei talent-scout facevano un giro per il locale. Forse la verità era che continuava ad andare li perchè sperava che un giorno sarebbe stato notato anche lui. Eppure le possibilità che ciò accadesse diminuivano con il passare del tempo. Spesso venivano scelti i ragazzi più giovani, ormai aveva già superato i vent'anni. Quella di ballare per locali era l’ultima disperata carta che gli era rimasta da giocarsi. In fondo, anche senza il supporto della sua famiglia, avrebbe trovato il modo di farcela.  Se aveva ancora intenzione di realizzare il suo sogno se la sarebbe dovuta cavare da solo. Non poteva aspettare oltre.
Mentre Andrea e Daisuke discutevano al piano di sotto, Take in camera sua sprofondava il viso nel cuscino soffice e accogliente del suo letto.  Non poteva continuare così. Doveva trovare una soluzione. Il suo tempo era ormai agli sgoccioli. Quante altre occasioni gli sarebbero rimaste per farsi notare? In quel preciso momento il cellulare nella tasca dei suoi pantaloni vibrò. Lo prese tra le mani. Era un messaggio da Jona. Era passato un anno dall’ultima volta che lo aveva incontrato. Aprì incuriosito quel messaggio, del tutto impreparato a quello che il suo amico gli avrebbe proposto. I suoi occhi spiazzati ritornarono fiduciosi e carichi di iniziativa ed eccitazione come un anno prima, come quando aveva lasciato la casa dei suoi genitori. Forse c’era ancora una speranza…
   
 
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