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Autore: Herm735    17/10/2014    5 recensioni
Raccolta di One-Shot per provare a dimostrare che, in qualsiasi modo, in qualsiasi mondo, Callie e Arizona si sarebbero trovate. L'ambientazione cambia di capitolo in capitolo, in epoche diverse, luoghi diversi, con una sola costante: il loro amore. Almeno, è così che mi piace pensarla...
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringrazio ancora tutti quelli che hanno recensito la storia!

Avvertimenti: -



La nostra prima accettazione


Nessuno parla mai di come è dopo.
Tutti i film, tutti i libri, tutte le favole, finiscono con il lieto fine. Sul più bello. Ma dopo il lieto fine? Dopo il matrimonio con il principe? Dopo aver sconfitto la strega cattiva? Dopo cosa succede a tutti quei sogni, quelle speranze, quelle promesse?
Io non mi ero mai chiesta cosa sarebbe venuto dopo la felicità. Avevo dato per scontato che l'obbiettivo fosse raggiungerla, non tenersela.
Ma se tutti quei film, quei libri, continuassero, probabilmente finirebbero come sono iniziati. Con un protagonista estremamente infelice. Perfino le favole.
E se Biancaneve si rendesse conto di aver sposato un perfetto estraneo? Forse Cenerentola capirebbe di essere sempre stata innamorata del ragazzo che tagliava la legna per la sua matrigna.
In fondo nelle favole il principe arriva alla fine, bacia la principessa, la sposa e risolve tutti i suoi problemi. Come se fosse così facile. I problemi non spariscono per magia solo perché decidi di sposarti.
Un tempo anch'io avevo creduto nel lieto fine. Nel principe azzurro. Ma avevo imparato, sulla mia pelle, che le storie non finiscono sempre con lacrime di gioia. Però finiscono.
Ed è allora che inizia il difficile.

La (mia) negazione
“Tornerà.”
Ricordo ancora adesso che l'unica cosa che ero stata in grado di pensare per un'intera settimana era che non poteva essere vero.
Sembrava tutto così surreale, così diverso dalla vita di sempre. Sembrava che stessi vivendo la vita di qualcun altro.
Era come se mi mancasse un pezzo. Un pezzo molto grande.
“Non è reale” mi ripetevo. “Tornerà.”
Ma non potevo sapere quanto mi sbagliassi.
“Tornerà tutto come prima.”
Ma non era vero. E forse in fondo l'avevo sempre saputo. Ma la verità faceva troppo male, la ferita era troppo fresca. Preferivo mentire palesemente a me stessa.
Come tutti i miei amici avevano prima di me, come mi era stato insegnato, come ero sempre stata abituata a fare, cercai le risposte sul fondo di un bicchiere. E, nonostante sapessi che non ce n'erano, continuai a cercare bene e insistentemente.
“Come è successo anni fa a Derek” annuii con enfasi. “Tornerà.”
Derek ed Addison si scambiarono uno sguardo.
“Forse” concesse Addison.
Derek, apparentemente convinto del contrario, mi afferrò una mano, invitandomi ad alzare lo sguardo.
“Forse no” sussurrò, lo sguardo triste. “Ricordi che è successo ad Addison?”

La negazione (di Addison)
“Tornerà.”
Io e Derek annuimmo, distogliendo lo sguardo e cercando di non dire niente che la facesse scattare, cosa che in quel periodo succedeva più spesso di quando ci sarebbe piaciuto.
Far arrabbiare Addison era l'ultima cosa che volevamo succedesse quella sera.
“Sì, perché no?” concessi. “Forse sì.”
“Ne sono sicura. Tornerà.”
“Beh, c'è questa possibilità, sì. Ma, Addison, ormai è un mese che se n'è andato. Non pensi che se avesse dovuto cambiare idea, probabilmente l'avrebbe già fatto?”
“Beh, chi può dirlo? Forse pensa che io non lo perdonerei. Pensa che io sia andata avanti.”
“Siete stati insieme due anni. Dubito che Mark pensi che lo hai dimenticato completamente in un mese” le fece notare Derek forse un po' troppo duramente.
“Quello che Derek sta cercando di dire” presi la parola, dando un piccolo calcio al mio amico da sotto il tavolo “è che se Mark volesse riprendere la vostra storia, probabilmente tornerebbe indietro e combatterebbe.”
Lei si versò dell'altro vino, ignorando le nostre parole e continuando a percorrere il suo soggiorno a grandi passi.
“Credete che stia ancora vedendo quella ragazzina?”
“Addison, forse dovresti...”
“Dimmelo, Derek. Dimmelo in faccia. Sta con la tua mini cognata ora, o cosa?”
Lui mi guardò di sottecchi, mentre la rossa si fermava davanti al tavolo, fissandoci dall'alto in basso.
“Forse dovresti andare avanti” terminai la frase iniziata da Derek poco prima.
“Tornerà” insistette lei per l'ennesima volta. “Vi siete dimenticati cosa è successo a Derek l'anno scorso?”

La negazione (di Derek)
“Tornerà.”
Eravamo state lì sedute per due ore. Fuori da quella stupida roulotte, nel freddo gelido di dicembre, ad aspettare.
E la prima parola che uscì dalla sua bocca fu una palese negazione della verità.
“No, Derek. Non tornerà. Non tornano mai” gli rispose Addison, finendo di scolarsi la sua birra.
“Sì, invece. Lei tornerà. Ha solo bisogno di tempo.”
“Lo sai anche tu che è solo un modo di dire. Non tornerà mai.”
“Cosa te lo fa dire con così tanta sicurezza?” le chiese, incrociando le braccia e guardandola in modo truce.
Addison distolse lo sguardo, stringendosi nelle spalle. Afferrò un'altra bottiglia, aprendola ed inspirando forte.
“Tu” rispose semplicemente.
Lui apparve confuso. Mi guardò, ma io ero confusa quanto lui.
“Pensi che la roulotte la fermerà? Pensi che non tornerà perché ora vivo in mezzo al nulla e ho la barba incolta, perché penserà che sono cambiato?”
“No, no. Tu hai detto a me la stessa cosa che ha detto lei a te. Che volevi tempo per te stesso.”
Rimanemmo in silenzio a lungo.
Io iniziai ad essere preoccupata. Non parlavamo mai del loro passato. Era stato tanto tempo prima e a nessuno di noi piaceva rivangare qualcosa che ormai era stato lasciato indietro. O almeno, così io e Derek avevamo pensato.
“Le persone non tornano. Non per davvero. Non in tempo.”
“Io sono tornato per te.”
Era quello che ci aveva reso così perplessi. Il fatto che Addison aveva detto una cosa completamente falsa nonostante sapeva benissimo che noi conoscevamo già la loro storia almeno quanto lei.
“Sei tu che non mi hai ripreso indietro.”
“Appunto” disse lei, come se quello spiegasse tutto.
Quando si rese conto che noi non avevamo capito, continuò.
“La vita continua, Derek. Tu adesso pensi che la tua vita senza lei non esista. Che sia impossibile da dimenticare, da superare. Ma la vita va avanti anche se tu vuoi aspettarla, anche se l'ami ancora, la vita non si ferma, la vita insiste e continua per la sua strada. E, alla fine, anche tu continuerai per la tua. Ti rialzerai e ricomincerai a camminare e non vorrai più guardare al passato. Forse tornerà, sì, ma tu non la vorrai indietro, perché tu sarai andato avanti.”
Continuò a guardare il suo profilo illuminato dalla luna mentre stava bevendo direttamente dalla bottiglia e per un secondo, solo un secondo, mi ritrovai a chiedermi come le cose tra loro fossero potute andare così storte.
“Non so se posso.”
“Certo che puoi.”
“No. Non da lei. Non da noi. Non così.”
“Derek” si voltò per la prima volta verso di lui da quando aveva parlato, prendendogli una mano. E lui si accorse, in quel momento, dei suoi chiari occhi lucidi. “Ce l'ho fatta io, dopo di te. Tu puoi farlo ad occhi chiusi.”
Derek continuò a guardarla finché lei tornò a bere, voltandosi.
“Non sarà necessario” decretò dopo qualche istante. “Perché lei tornerà.”

La rabbia (di Derek)
“Se ne pentirà.”
“Ed eccoci qui di nuovo” mormorò Addison, accendendo la televisione.
“Mi state ascoltando?” sbottò, percorrendo l'appartamento della rossa da una parte all'altra. “Non sto scherzando. Se ne pentirà amaramente. Quell'idiota del suo nuovo fidanzatino quanto pensate che durerà?” rise ironicamente. “Al massimo due settimane, poi si stuferà di lui.”
“Come si è stufata di te” gli feci notare, pentendomene appena lui si fermò improvvisamente davanti a noi.
“Scusami?” chiese, gli occhi pieni di feroce rabbia.
“Non intendevo...” inspirai, alzandomi. “Derek” sospirai “ammetti che è andata così, ok? Lei ti ha chiesto tempo per se stessa e adesso sta con un altro. Si era stancata di voi. Mi dispiace.”
“Tu non sai di cosa stai parlando” urlò, ricominciando a camminare per la stanza, gesticolando come un pazzo. “Mi pare evidente che non conosci minimamente Meredith se questo è quello che pensi di lei.”
“Come hai detto che si chiama questo tizio?” domandò Addison addentando una patatina e cercando di vedere la televisione nonostante Derek le stesse bloccando la visuale.
“Non lo so, so soltanto che è un veterinario” mise in quella parola ogni briciola di disgusto che un essere umano sarebbe mai in grado di provare.
“Beh, comunque mi pare evidente che lei è andata avanti. Dovresti fare la stessa cosa” gli dissi, buttandomi di nuovo seduta sul divano con un grande sospiro.
“Non se ne parla, io non mi arrendo” decretò. “Se ne pentirà amaramente! E quando capirà di aver commesso un errore di proporzioni epiche tornerà da me” era così sicuro che le cose sarebbero andate in quel modo che né io, né ancora meno Addison, trovammo il coraggio di provare a contraddirlo. “Ah, ma io mica me la riprenderò indietro! Nossignore. Poteva pensarci prima, giusto?”
“Sì, sì, giusto” mormorò Addison, continuando a guardare la sua soap preferita, cercando di ignorare l'uomo che stava urlando dentro casa sua.
Lui, accorgendosi di essere ignorato, afferrò il telecomando, spegnendo la televisione.
“Ehi, io lo stavo guardando” gli fece notare Addison. “Rimettilo.”
“Sto avendo una crisi esistenziale. Sarebbe un problema così grande per te darmi un po' della tua attenzione?”
“Tesoro, sono tre mesi che ti diamo costantemente la nostra attenzione. Tu continui a parlare di un fantasma, ok? Lei non ha la minima intenzione di tornare e non mi sembra che si stia pentendo di averti lasciato. Anzi, sembra piuttosto felice con il veterinario. È davvero ora che tu te ne faccia una ragione e vada avanti, Derek.”
Io mi alzai, capendo che era ora di cambiare argomento.
“Ehi, stavo pensando che potremmo andare a mangiare cinese stasera. Oppure possiamo ordinarlo se non vi va di uscire” proposi, cercando di distrarli.
“Beh, scusa tanto se sto soffrendo.”
“Ok, quindi niente cinese. Spagnolo? Messicano? Italiano?”
“Nessuno ti dice di non soffrire. Ma devi ricominciare a vivere. Non puoi aspettare per tutta la vita qualcuno che non tornerà mai.”
“Thailandese? Greco? Giapponese?”
Lui fece un gesto nella mia direzione, fermandomi dal parlare a vanvera. Poi incrociò gli occhi di Addison con aria di sfida.
“Vorrei proprio vedere come reagiresti tu al posto mio.”

La rabbia (di Addison)
“Se ne pentirà.”
Fui presa dal panico, non avevo idea di cosa fare.
“Addison, ti prego. Siamo in mezzo ad un corridoio. Possono sentirci tutti quanti, non mi pare il caso di fare una scenata.”
“Beh, una scenata è il minimo che si può aspettare” urlò al massimo delle sue capacità, pronta per lanciarsi in una sfuriata epica.
Io la afferrai per un braccio, trascinandola in una delle stanzette di quel piano, chiudendo la porta alle nostre spalle e mandando un messaggio a Derek per chiedergli di raggiungerci. Di solito io ero più brava a calmare le sue lacrime, mentre lui affrontava meglio la sua rabbia.
“Addison, cerca di stare calma.”
Quella era probabilmente la frase peggiore che qualsiasi persona sulla faccia della Terra avrebbe mai potuto dire in un momento come quello.
“Calma? Dovrei stare calma?”
Capii dai suoi occhi che erano in arrivo altre urla. Ancora più potenti.
“Ops.”
Ricordo che pensai che, nei momenti in cui serviva davvero, Derek non c'era mai.
“L'ultima cosa che ho intenzione di essere è calma! Li hai visti? Allora, li hai visti?” urlò.
“Sì, certo che li ho visti. Ero proprio affianco a te.”
“Si tenevano per mano. Per mano! Prima che si decidesse a rendere pubblica la nostra relazione sono passati mesi! E da quanto starà frequentando quella piccola, infantile, sgualdrina? Due mesi, forse? Non posso crederci!”
Io ero, onestamente, sul punto di andare nel panico.
Ero sicura che la gente in corridoio potesse sentirci e non avevo idea di come farla calmare.
“Addison, senti” cercai disperatamente le parole giuste, solo per poi realizzare che, probabilmente, in quella situazione parole giuste non ce n'erano. “Lui...”
“Se ne pentirà! Lui si pentirà di avermi fatto questo.”
“Addison, tutto questo sei tu che lo stai facendo a te stessa” le dissi con una decisione che non avevo esattamente programmato. “Lui è andato avanti, questo mi pare ovvio. Si è rifatto una vita, adesso sta con un'altra persona. Non puoi continuare a ripeterti che tornerà o che se ne pentirà solo perché ti fa sentire meglio.”
Lei stava ribollendo di rabbia, ma non trovò le parole per contraddirmi.
Inspirai, cercando di calmarmi. Presi le sue mani tra le mie, guardandola negli occhi e cercando di far calmare anche lei.
“Lui sta andando avanti.”
Per un secondo vidi la consapevolezza attraversare i suoi occhi. Ma un attimo dopo era di nuovo sparita. Anche se già conosceva la verità, avrebbe fatto di tutto per non affrontarla.
“No. No, lui...” era così risoluta che mi fu chiaro che la persona che stava cercando di convincere era dentro quella stanza con me e lei, ma non ero io. “Tornerà. Se ne pentirà e tornerà indietro. Ti ricordi quello che è successo a Derek? Ti ricordi...”
“Era diverso, Addie.”
“No, no. Era così. Era la stessa cosa.”
“Era diverso” le dissi piano, consapevole che lei già lo sapeva.
“Ma che ne sai tu” disse, sfilando di colpo le mani dalle mie. “Tu non ci sei mai passata. Non ne sai niente.”
“So quello che devo sapere, ne so abbastanza. So che lui non tornerà. So che tu devi fartene una ragione e andare avanti.”
Lei scosse la testa, voltandosi di spalle e ridendo amaramente dei miei consigli.
“Vorrei proprio vedere come reagiresti tu al posto mio.”

La (mia) rabbia
“Se ne pentirà.”
Loro continuarono a parlare del più e del meno, ignorandomi.
“Se ne pentirà” ripetei a voce più alta.
Ancora una volta, Derek e Addison continuarono i loro discorsi, non prestando attenzione ai miei vaneggiamenti indotti dalla tequila.
“Non so se riusciremo a comprare tutto in tempo per il...”
“Se ne pentirà” ripetei per una terza volta, quasi urlando.
Sentii le loro voci fermarsi e i loro occhi guardarmi.
Ma fu solo un istante.
“...per il Natale, quest'anno” proseguì Addison.
“Mi state ignorando o cosa?” domandai, sventolando una mano davanti ai loro occhi. “Ho appena detto...”
“...che se ne pentirà” concluse Derek al posto mio. “Lo avevamo già sentito la prima volta che lo hai detto. Sono due mesi che non fai altro che ripeterlo.”
“Beh, perché è così. È quello che succederà.”
Scosse la testa.
“No, Callie. Mi dispiace. Non è quello che succederà.”
“Perché no? A te è successo, Meredith si è pentita” gli feci notare, appoggiando il bicchiere sul tavolo mancando di delicatezza.
“Io e Meredith eravamo l'eccezione.”
“Perché non posso essere anch'io un'eccezione? Solo per una volta, solo per questa volta” chiesi rabbiosamente.
“Io non lo ero” mi fece notare Addison pacatamente. “Ti ricordi? Quando Mark mi ha lasciato? Noi non eravamo l'eccezione. Di solito le cose vanno così, Callie. Di solito quando le persone si lasciano e c'è un buon motivo, come c'era per me e Mark, come c'è per te adesso, non si torna indietro. Derek e Meredith, loro non avevano un buon motivo per lasciarsi e ne avevano infiniti per stare insieme. Per noi non è stato così. Per te non è così. Ma non è la fine del mondo.”
Appoggiò le mani sulle mie.
“So che adesso sembra che lo sia, so che stai male. Che stai così male che ti sembra di non riuscire a vedere la fine del dolore che stai provando, neanche ad immaginartela, ma passerà. Il dolore passerà, la rabbia passerà, il senso di fallimento passerà. E l'amore, beh, alla fine, passerà anche quello. Non era vero amore. Passerà.”
“Non passerà” sfilai le mani dalle sue con forza, scuotendo la testa. “Perché lei se ne pentirà e tornerà da me.”
“E tu davvero la riprenderesti indietro?” mi sfidò Derek. “Dopo tutto quello che ti ha fatto, dopo tutto questo” fece un gesto, indicando me e poi l'aria attorno a noi, come se stesse indicando il mio presente. “Dopo aver attraversato l'inferno a causa sua, la riprenderesti comunque indietro?” chiese in un sussurro.
Alzai lo sguardo, oltre i miei amici, alle loro spalle.
Per un secondo soltanto, il mondo intero si fermò.
Non c'erano più suoni, non c'erano movimenti, né luce, né aria. Tutto era immobile e tutto per un istante svanì nella cornice del mondo, lasciando al centro del quadro la vera opera d'arte. Un istante di pura nitidezza mi portò a vedere solo lei, come centro del mondo, i suoi occhi come unica fonte di luce e la sua risata come unico suono percepibile alla mia anima.
Sembrava felice, in quel momento, in quel bar. Non sembrava che da un momento all'altro si sarebbe pentita di nessuna delle sue scelte. Soprattutto, non di aver lasciato me.
Un secondo dopo, tutto il mondo aveva ricominciato a muoversi e il tempo a scorrere. Quel magico istante era finito e la solitudine della mia vita senza di lei era ripiombata sulle mie spalle.
“Se ne pentirà” ripetei per la milionesima, faticosissima, volta.
Non ci credevo più neanche io, ma quello era ormai l'unico mantra che mi permetteva di non precipitare nel vuoto della mia stessa disperazione.
“Non significa che la riprenderei indietro, ma lei tornerà e mi pregherà di farlo. So che lo farà. Lei lo fa sempre, quando si tratta di me.”

La (mia) contrattazione
“Alla fine è stato meglio così.”
Nessuno di loro trovò il coraggio di esprimere assenso o dissenso. Rimasero in silenzio a contemplare tutto quello che era rimasto di una vita trascorsa insieme ad un'altra persona, presa e chiusa dentro una scatola. Sigillata con del nastro adesivo e pronta per essere nascosta in fondo ad un armadio, in un angolino buio e dimenticabile.
“Probabilmente non avrebbe funzionato neanche se lei non mi avesse tradito, giusto?” domandai, in cerca di una conferma che non tardò ad arrivare.
“Ho letto che due coppie su cinque finiscono per divorziare. Quasi la metà” mi fece sapere Derek, come se quello avesse potuto tirarmi su di morale.
“E anche se le cose fossero andate bene, ti immagini sposata tra qualche anno? Lo sai cos'è la morte sessuale delle lesbiche, vero?”
“Sapete, sto cercando davvero di decidere chi di voi due è più inutile, ma non riesco proprio a trovare nessuna traccia di utilità in nessuno di voi, in questo preciso momento” ci tenni a fargli sapere.
“In pratica succede quando due donne che stanno insieme da un sacco di tempo passano dall'essere amanti all'essere migliori amiche. È una cosa sentimentalmente molto dolce, ma se ci penso è anche davvero deprimente.”
“Addison, soltanto perché adesso stai con Teddy non significa che devi informarti su ogni piccola sfumatura della cultura saffica, ne sei consapevole, vero?”
“Cercavo solo di esserti d'aiuto” mi informò, rassegnandosi al mio disinteresse per l'argomento che aveva tirato in ballo.
“Comunque” ripresi “secondo me, è stato davvero meglio così. Le cose si risolveranno bene per lei e la sua nuova ragazzina. E io la sto superando.”
Quell'ultima frase mi fece guadagnare due occhiate molto scettiche da parte delle due persone sedute sul mio divano.
“Dico sul serio. È una nuova era. Ho ridecorato casa, comprato una nuova auto, tinto i capelli. Sto andando avanti.”
“Ti servirà qualcosa in più di una ciocca di capelli rossi per superare un divorzio, Callie. Lo sai, non è vero?”
Scrollai le spalle.
“Sto facendo le cose un passo alla volta. Passi estremamente piccoli” concessi “ma pur sempre passi in avanti.”
Derek rise, scuotendo la testa.
“Beh, l'importante è iniziare da qualche parte e rimettere in piedi la propria vita. Se lo stai facendo, non importa da dove inizi. Sei già ad un buon punto.”
“Già. Ma devi continuare a muoverti in avanti. Non puoi bloccarti” concluse Addison.
“Senti chi parla” le dissi. “Ti ricordi quando la stessa cosa è successa a te?”

La contrattazione (di Addison)
“Alla fine è stato meglio così.”
Io e Derek ci scambiammo un'occhiata. Era un cambiamento poco sperato ma decisamente ben accolto rispetto alle urla che fino ad una settimana prima avevano accompagnato un nostro qualsiasi discorso su Mark.
“Chi ha bisogno di lui, in fondo?” rise ironicamente e scrollò le spalle. “Di certo, non io. Forse quella petulante ragazzina che si porta dietro adesso, lei sì. Ma di sicuro io no.”
“Ehi, quella petulante ragazzina è mia cognata. Ti prego di non parlare così di Lexie, perlomeno non davanti a Meredith.”
Addison sbuffò, scrollando le spalle e alzando gli occhi al cielo.
“Devi sempre difenderla? Lei se lo è portato via” puntualizzò.
“Si sono innamorati, Addison” le feci notare. “Almeno è stato onesto e ti ha lasciato prima che succedesse qualcosa invece di tradirti.”
“Beh, mi pare davvero il minimo” rispose lei, guardandomi come se avessi insinuato qualcosa di assurdo. “Significa soltanto che non ha completamente perso il buon senso ed il rispetto, ma il suo cervello è comunque andato.”
Derek rise, mentre prendeva l'ennesimo sorso dalla propria birra.
“Comunque non importa. Ormai io e lui siamo storia vecchia. Io la sto superando e mi pare ovvio che lui ha già fatto lo stesso.”
Anche se involontariamente, sia io che Derek guardammo in direzione di Addison con un'espressione a metà tra stupore e scetticismo.
“Dico sul serio. È inutile rimanere attaccati al passato. Specialmente se quel passato è così palesemente poco interessato a far parte del tuo presente. Il messaggio è stato molto chiaro, almeno questo devo riconoscerlo. Non ci sono stati messaggi contrastanti, ripensamenti o dubbi. Lui è andato avanti. Ora devo fare la stessa cosa anche io.”
“E come pensi di fare?” le domandai.
“Non lo so ancora. Si dice che il tempo faccia la maggior parte del lavoro, giusto? Io devo solo tener duro.”
Per la prima volta da quando Mark l'aveva lasciata, vedevo negli occhi di Addison una forza ed una risoluzione che mi lasciarono sperare che la mia migliore amica fosse tornata, ancora più forte di prima, con la ferrea intenzione di non permettere più a nessuno di farle dimenticare chi era realmente.
“Beh, le intenzioni sono un buon inizio, ma la cosa fondamentale è passare dalle parole ai fatti, Addison” le fece notare Derek. “Devi andare avanti sul serio. Volerlo fare soltanto questa volta non basterà.”
“Senti chi parla” gli disse. “Ti ricordi quando la stessa cosa è successa a te?”

La contrattazione (di Derek)
“Alla fine è stato meglio così.”
Sono sicura che non lo fece apposta. Fu una reazione spontanea, incontrollabile. Di certo, Addison non aveva volontariamente deciso di scoppiare a ridere appena aveva sentito Derek pronunciare quella frase.
“Che c'è?” domandò lui, leggermente irritato e molto curioso.
“Lo pensi davvero?” chiese lei, incredula, rendendosi conto che il moro era serio.
“Sì. Lo penso davvero.”
L'espressione di Addison divenne ancora più incredula, mentre cercava di interpretare la frase che le era appena stata detta.
“Tu pensi che sia stato meglio così?” chiese lentamente, assicurandosi di aver capito bene. “Che sia stato meglio affrontare uno dei dolori più grandi che hai mai provato in vita tua, sentirti come se ti avessero trapassato il cuore con una lama gelida e affilata, perdere la persona che hai amato di più in vita tua senza apparentemente nessuna buona ragione? Pensi che questo sia stato meglio di cosa, esattamente?”
Lui ci pensò, cercando una risposta accettabile.
“Beh, è stato meglio per lei. Ora Meredith è felice. O almeno, sembra felice. Sembra che abbia trovato il tempo per se stessa e anche per prendersi cura di qualcun altro. Sembra che abbia risolto i problemi che con me l'avevano sempre frenata. Sembra che sia cresciuta, che stia meglio, che sia salva. Questo è il meglio che posso chiedere.”
“Sacrificheresti la tua felicità per la sua?” gli chiese, incredula.
“Lo farei” rispose lui immediatamente. “In un secondo. Lo farei così” schioccò le dita per rendere l'idea di quanto poco tempo gli sarebbe servito per prendere quella decisione.
“Quindi se lei tornasse da te, domani, dicendoti che tu sei l'unica persona che può renderla davvero felice, tu la riprenderesti indietro?”
“Beh, io...”
“Dopo tutto questo?” domandò incredula Addison prima che Derek avesse modo anche solo di iniziare a rispondere. “Dopo la prova di forza e coraggio più grande di tutta la tua vita, dopo esserti ripreso da quella che credevi essere la tua anima gemella e il tuo grande amore, dopo tutto questo dolore, ancora adesso la riprenderesti con te? Ancora adesso che le ferite iniziano a guarire, che inizi ad andare avanti, che inizia ad essere una parte del tuo passato invece che del tuo presente e futuro, ancora oggi sacrificheresti la tua felicità per la sua?”
Per un lunghissimo istante, nessuno fiatò. C'era un silenzio assoluto. Personalmente stavo quasi trattenendo il fiato nel tentativo di non far rumore, in modo da lasciare che Derek potesse elaborare una risposta.
Alla fine, la trovò. Ma non era quella che Addison si aspettava.
“Beh” ci disse solo “...sì.”
E fu allora che lo capimmo. Fu allora che sia io che Addison realizzammo con certezza assoluta qualcosa che Derek sapeva già da un sacco di tempo.
Lui e Meredith erano fatti per stare insieme.

La depressione (di Derek)
“È finita.”
Mi voltai a guardarlo, rendendomi conto che stava fissando Meredith, ferma alla parte opposta del corridoio.
“Ho lottato e ho perso” mi disse.
“Non dipendeva da te” gli feci notare. “Anche se avessi lottato allo stremo delle tue forze, e lo hai fatto, non c'era la garanzia che funzionasse.”
“Lo so” annuì, incrociando il mio sguardo. “Ma non perdi mai la speranza finché non ti rendi conto che è finita davvero. Adesso lo so. So che è finita davvero. So che non c'è più niente che posso fare per salvarci. Ma so anche che la mia vita senza di lei sarà per sempre una vita a metà. Mi mancherà, ad ogni passo. Non so se sopravviverò alla perdita. Ma devo provarci. Devo provare a convivere con il dolore.”
“Già. Ma hai mai conosciuto qualcuno in grado di superare il dolore davvero? Un dolore forte quanto questo, senza essere annientato?”
“Tu e Addison mi aiuterete” mi rispose, con risoluzione.

L'accettazione (di Derek)
“Sto bene.”
Quella risposta ci sembrò stranamente troppo sincera.
“Davvero?” domandai quasi subito, perplessa.
“Sì. Sorprendentemente, davvero. Sto bene. È una bella giornata ed è davvero giunto il momento di ricominciare. Ed io sto bene. So che posso vivere senza di lei, anche se avrei preferito non doverlo fare.”
“Quindi vuoi dire che...” iniziai, confusa.
“...sei andato avanti” concluse Addison al posto mio, perplessa ancora più di me.
“Sono andato avanti.”
Era successo. Il miracolo della guarigione.
Alcune piccole ferite si rimarginano in un minuto. Altre ci mettono ore, altre ancora giorni. Poi ci sono le più dure che possono continuare a sanguinare per mesi o anni. Ma alla fine il sangue coagula, la carne si ripara, la cicatrice sbiadisce, la pelle si abbronza di nuovo e non c'è più niente di visibile se uno guarda da lontano.
Le persone guariscono.
Era un miracolo a cui, in quanto medici, assistevamo tutti i giorni, ma che non ci stancava mai, neanche dopo tutti quegli anni.
Certo, in quel momento noi ancora non sapevamo come si sarebbero risolte le cose a lungo termine. Non sapevamo che da lì a pochi giorni Meredith si sarebbe presentata sulla soglia della roulotte, completamente persa, dicendo a Derek di aver commesso l'errore più grande della sua vita. Non sapevamo che lui avrebbe trovato, alla fine, in cuor suo la più grande volontà d'animo possibile ad ogni essere umano, quella del perdono. Non sapevamo che saremmo state lì per il loro matrimonio, per la nascita della loro prima figlia, del loro secondo figlio. Non lo sapevamo ma, in quel momento, non importava.
Tutto ciò che importava era che Derek ce l'aveva fatta.
Guardare al futuro e dimenticare il passato, era possibile.
Andare avanti era possibile.
“Sono guarito.”

La depressione (di Addison)
“È finita.”
Non l'avevo mai sentita piangere così forte.
“Stavolta è davvero finita. Come ha potuto farmi questo?”
Io cercai davvero a lungo e con concentrazione le parole. Ma come sarei mai potuta riuscire a spiegarle che lui non le stava facendo niente? Che lei era soltanto una sua ex?
“Sono stati insieme cinque mesi. Cinque! E adesso si sposano” continuò a piangere e singhiozzare e Derek fece del suo meglio, cullandola tra le braccia mentre io le accarezzavo i capelli. “Noi siamo stati insieme per due anni. E in tutto quel tempo lui non ha mai neanche accennato al matrimonio, neanche una volta. Che c'è di sbagliato in me? Perché non potevo essere io?”
Per tutta la notte continuammo a ripeterle che sarebbe andato tutto bene. Che non era colpa sua, che erano cose che succedevano.
Ma vedendola così indifesa, così rotta, così lontana dalla determinazione che solo una settimana prima sembrava aver riacquistato, sapevo che non era giusto.
Cose come quella non sarebbero dovute succedere. Non a persone come Addison.
Non era giusto.
Ma il mondo, si sa, quasi mai lo è.
“Ho perso. Ho perso contro una ragazzina.”
“Addison, non era un gioco. Non hai perso contro di lei, hai solo...perso Mark.”
“Esatto. Ho perso Mark e lei lo ha vinto. Ho perso contro di lei.”
Io aprii la bocca per contraddirla di nuovo, ma Derek mi fermò.
“Il dolore passerà, Addison. Per quanto adesso sembri impossibile, ogni ferita si rimargina. Le cicatrici sbiadiscono dalla pelle. Le persone hanno questa incredibile capacità di guarigione, di andare avanti nonostante tutto.”
“Ma se io non ce l'avessi? Se fossi troppo fragile?”
“Non lo sei. Sei una delle persone più forti che abbia mai conosciuto. Tu puoi guarire da qualsiasi cosa, da qualsiasi perdita, Addison. Devi solo volerlo fare.”
“Ascolta il tuo ex marito” le dissi scherzando. “Se ti sei rialzata dopo di lui, niente può mandarti al tappeto per sempre.”
Sembrava stupido, ma era vero. Aveva passato con Derek metà della sua vita, ma si era alzata comunque. Ce l'avrebbe fatta. Era solo questione di tempo.
“Fa solo così” scosse la testa, cercando di scacciare le lacrime “male” mormorò poi.
“Ma sai che ce la farai. Sai che il dolore passerà. Non è vero?” domandò lui.
Annuì, stringendo con una mano la mia e con l'altra quella di Derek.
“Tu e Callie mi aiuterete.”

La (mia) depressione
“È finita.”
Quelle due parole, per me, decretavano la fine della discussione. Peccato che Derek e Addison avevano parlato per mezz'ora e quelle erano le prime due parole che dicevo.
“Callie, non ti alzi dal letto da tre giorni. Non puoi continuare così.”
“Ed è un pezzo che è finita, se non te ne fossi resa conto” mi fece notare la mia cosiddetta migliore amica.
“Non intendo con lei” risposi in modo apatico. “Intendo tutto. La mia vita. È finita.”
“Non essere melodrammatica.”
“Non lo sono. Sono seria.”
“Sì, beh, sei seriamente melodrammatica allora.”
“Addison, smettila. Dico davvero.”
Alzai lo sguardo, incrociando il suo, ma senza alzare la testa dal cuscino su cui ero stata appoggiata per quelle che ormai erano settantadue ore consecutive.
“Come posso andare avanti? Come posso dimenticarla? Dimenticare tutto? Qualsiasi cosa io veda fuori da qui mi ricorda lei.”
Li vidi scambiarsi un'occhiata a metà tra il preoccupato e il perplesso.
“Hai tolto le fotografie. Le sue cose, quello che aveva comprato lei. Cosa può esserci rimasto qui dentro che ti ricorda di lei?”
“Non è solo qui dentro” gli spiegai. “Non è solo la casa, o questa camera. È tutto. Tutto il mondo mi ricorda di lei. Non potrò mai più vedere niente che abbia il colore rosa o sentirmi dire quanto sono carine le farfalle. Non potrò mai più guardare un tramonto senza ricordarmi della nostra panchina, di quanti ne abbiamo visti insieme sedute lì. Mi ricorderò di lei ogni volta che mangerò la pizza, ogni volta che vedrò un film di Jennifer Aniston, ogni volta che qualcuno mi dirà che sono fantastica come faceva sempre lei. Non potrò più sentire le sue canzoni preferite e neanche alcune delle mie perché farà troppo male. La ricorderò in ogni raggio di sole, in ogni arcobaleno, in ogni bella giornata. Nella sala operatoria numero 3. Nella rampa di scale che va dal quinto al sesto piano. Ogni volta che sentirò la chiave girare nella serratura di casa. Non potrò più guardare una ciambella, un caffè con la panna sopra, un pacco di marshmallow, un libro per ragazzi, senza che la sua assenza mi sia violentemente riportata alla mente. Ogni volta che sentirò il nome Calliope, che qualcuno mi sistemerà i capelli, o che vedrò qualcuno strofinarsi il naso come faceva lei. Gli occhi chiari. La sangria. La Spagna. Le scarpe con le rotelle. Phoenix e tutto quel maledetto stato. Ogni cosa sarà sempre lì a ricordarmi di Arizona, in tutta la sua bellezza e in tutto il suo dolore, tutto quanto. Quindi” inspirai “è finita.”
Addison, in silenzio, si sedette sul letto, appoggiando una mano sulla mia spalla.
“Questo ti suonerà strano, lo so, ma” scosse la testa, sospirando. “Il dolore passa. Che tu lo voglia o no, lui passa, come tutto in questa vita. Adesso può sembrarti impossibile, può perfino non essere quello che vuoi. Tu puoi aggrapparti al dolore e volerlo tenere con te come se fosse il tuo unico e migliore amico, ma si indebolirà e svanirà. Il tempo farà tornare ogni canzone ad essere solo una canzone. Ogni film ad essere solo un film. E le cose che ancora ti ricorderanno di lei tra tanto tempo, non faranno comunque più male. Almeno, non così.”
“Il dolore passa se glielo permetti” le spiegai. “Io non lo farò. Non permetterò alle ferite di rimarginarsi e alle cicatrici di sbiadire sulla mia pelle. Voglio che il dolore sia sempre con me perché è l'unica cosa che posso provare pensando a lei. E la provo sempre, in ogni cosa che vedo o faccio o tocco, il dolore ed il ricordo di lei sono lì, viaggiano di pari passo.”
“Ma non durerà. Non può durare. Un giorno ti sveglierai e capirai che la vita è più forte del dolore e che tu lo voglia o no, la vita andrà avanti, lasciando il dolore indietro.”
Io non risposi. Continuai nella mia contemplazione del vuoto.
“È il momento, Callie. È il momento di andare avanti.”
“Posso sconfiggere la vita. Posso convivere con il dolore se è l'unica prova tangibile del fatto che un tempo lei è stata mia.”
La mia determinazione lasciò sia lei che Derek senza parole. Ci fu un lungo silenzio in cui entrambi si soffermarono a contemplare la decisione nelle mie parole, nella mia scelta, ed il loro vero significato.
La mia volontà di non voler lasciar andare, di vivere nel passato, di spegnermi dentro dei ricordi, li lasciò senza fiato.
“Questo ti distruggerà” mi fece notare Addison, in un sussurro.
Scossi la testa. Non mi importava.
“Tu e Derek mi aiuterete.”

L'accettazione (di Addison)
“Sto bene.”
“Dici davvero?” le domandò la donna seduta davanti a lei.
Io e Derek non eravamo fieri di quello che stavamo facendo. Origliare una conversazione privata ad un primo appuntamento non era esattamente una cosa educata, ma eravamo preoccupati. Addison sembrava stare meglio, sì, ma qualcosa non ci aveva convinto nel suo comportamento. Quindi, da bravi amici, l'avevamo ovviamente seguita.
E lei ci aveva portato in un ristorante romantico al centro di Seattle. L'avevamo beccata lì con un'altra donna, un chirurgo dell'ospedale che entrambi conoscevamo.
Non poteva che essere un primo appuntamento.
“Voglio dire, tutti sanno quello che è successo con Mark in ospedale. Delle infermiere mi hanno raccontato tutto per filo e per segno, nonostante continuassi a dire loro che non volevo che mi raccontassero i fatti tuoi. Ma non potevo fuggire dalla sala operatoria e lasciarle lì insieme al tizio che stavo operando, purtroppo” le disse, ridendo.
“Non fa niente. Mi hanno risparmiato una noiosa storia del mio passato.”
“Beh, è successo solo circa un anno fa, no?”
“Vero. Ma adesso lui è sposato ed io sono andata avanti. Sto bene, sul serio. Non sto male se penso a lui e a stento riesco a ricordare le cose di lui che un tempo ho amato. Se mi chiedessero adesso perché ho speso così tanto tempo e così tanta energia dietro a lui, neanche saprei cosa rispondere a mia discolpa. Forse mi ero solo, non so” scosse la testa “autoconvinta che fosse l'uomo della mia vita. Ma guardando indietro adesso, non credo che tra noi avrebbe mai potuto funzionare in ogni caso.”
La donna davanti a lei annuì.
“Quindi è acqua passata?”
“Decisamente.”
“Posso contare sul fatto che non avrai una ricaduta e non ti presenterai piangendo a casa sua implorandolo di lasciare sua moglie per tornare insieme a te?”
Addison scoppiò in una fragorosa risata.
“Direi che questa decisamente non è una possibilità, no.”
“Quindi anche i tuoi amici possono smettere di preoccuparsi della tua vita sentimentale?”
“Scusami?”
“Beh, suppongo che il dottor Shepherd e la dottoressa Torres, seduti al tavolo alle tue spalle, che quasi sicuramente hanno origliato tutta la conversazione, o hanno deciso di iniziare una relazione o sono nel ristorante più romantico di Seattle perché hanno seguito te.”
Addison si voltò di scatto, vedendoci coprire le facce con i menù.
“Oh, mio Dio. Mi dispiace infinitamente per questo” mormorò verso la dottoressa Altman.
Lei rise, scuotendo la testa.
“Non preoccuparti, Addison. Possiamo continuare un'altra sera, se vuoi.”
“No, non c'è problema. Loro se ne stanno andando in questo preciso istante.”
Si alzò, afferrando Derek per un braccio e trascinandolo verso l'uscita. Io li seguii.
“Ragazzi, andate a casa. Io sto bene” ci rassicurò.
“Davvero?” chiese Derek.
“Davvero.”
“Sicura?” le domandai, mentre ci costringeva ad uscire.
“Sicura” confermò.
Ci sorrise, scuotendo la testa.
“Sono guarita.

La (mia) accettazione
“Sto bene.”
“Beh, cavolo, non dirlo come se fosse una cosa così brutta.”
“No, dico sul serio, Addison. Sto bene.”
Lei rise, non capendo cosa ci fosse di così tragico nello stare bene.
“Non ha funzionato. Avevate ragione, il tempo ha guarito le mie ferite. Il dolore è passato e svanito ed è svanita anche lei. È una parte del mio passato, ma non è più il mio presente, né il mio futuro, è solo...un ricordo.”
“Beh, è quello che lei ha scelto di essere.”
“Lo so” confermai. “Ed il colore rosa e le farfalle mi ricordano ancora di lei, ma non fa più male. Le canzoni sono solo canzoni e i film sono solo film. Come avevi detto tu.”
Scossi la testa, rendendomi conto di quanto la mia stessa guarigione mi aveva colto di sorpresa.
“Non era per sempre. Neanche quella che credevo essere la mia favola era per sempre. È finita e mi ha lasciato un dolore che sembrava non dovesse mai finire. Ma poi è successo anche a me. Il tempo ha fatto il suo corso. La vita è andata avanti per me. Anche le cose tremende che pensavo non sarei mai riuscita a superare, sono passate. Il tempo non aspetta. Non si ferma solo perché vogliamo conservare l'amore, né il dolore.”
Mi riempii di nuovo il bicchiere con lo champagne che era appoggiato sul tavolo.
“È passata. E basta.”
Mi voltai, guardandola ridere dall'altra parte della stanza.
“Come una giornata di sole, un incubo o il Natale. È passata e non tornerà. All'inizio non avevo capito che era così semplice. Mi sentivo come se dovessi fare qualcosa per impedirlo, per fermare il tempo, per salvarci. Ma la verità è che non era compito mio. Non potevamo salvarci.”
“Nessuno può salvare qualcosa che è già andato in pezzi.”
Io risi, consapevole dell'accuratezza delle sue parole.
“Mi sentivo come un bambino che era in giardino e aveva fatto un disegno. Il più bello che fosse mai riuscito a finire. E poi, all'improvviso, ha iniziato a piovere. Ed io ero lì, che fissavo quel disegno bellissimo mentre la pioggia lo rovinava, mentre lo distruggeva. Ma non potevo fare niente. Non potevo prenderlo e portarlo al coperto, non potevo prendere un ombrello e aprircelo sopra. Non potevo salvarci. Non da sola.”
Seguì la direzione del mio sguardo.
“Sembrano felici. Ho sentito che adesso convivono.”
Scrollai le spalle.
“Non voglio sapere con chi mi dimentica. Mi ha tradito e adesso ha un'altra che porta perfino alle cene di lavoro. Penso sia felice, sì. Ma non voglio saperlo. Le auguro il meglio, questo sì. Ma alla fine va bene così.”
“Quindi tu e Arizona...”
“...l'ho superata, sì” confermai.
Così. All'improvviso. Proprio come aveva detto Addison, mi ero svegliata un giorno e mi ero resa conto che la vita è più forte del dolore. Della perdita.
La vita è più forte della negazione, della rabbia, della contrattazione, della depressione. La vita è accettazione. Un giorno, quando non te l'aspetti più, vince su tutto il resto. Quando avevi già dichiarato sconfitta, sventolato bandiera bianca, quando avevi già smesso di crederci, allora ti rendi conto che è vero. Che le ferite guariscono. Che il dolore passa. Che il tempo scorre. Che le persone vanno avanti. Che la vita, bene o male, è più forte di tutto il resto.
“Sono guarita.”






Continuo la mia logorante scalata verso l'accettazione, senza guardare in basso. E cercando disperatamente di non guardarmi indietro.


  
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