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Autore: Donixmadness    18/10/2014    1 recensioni
Non ho idea di cosa mi sia saltato in testa!! Sono nei casini e metto pure a scrivere una storia!!
Va beh! Spero almeno di farcela, premettendo che ho molto da fare comunque ecco alcuni indizi:
"Lo sapevi che era solo un riflesso, perciò non ti sei stupito più di tanto quando non ci hai trovato nulla in quella pozza sporca. Ma perché l’hai fatto? Non vorrai mica controllare le tue condizioni, mi auguro!
Ciò che fai dopo conferma i miei timori. Persino il tuo inconscio ti intima di non farlo: gli hai già disobbedito una volta perché vuoi farlo ancora? Maiale testardo!!
Troppo tardi ti sei sporto sulla superficie stagnante e ti sei visto … "
Genere: Malinconico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Matt, Mello, Near, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Glory smells like Burnt
 


-Capitolo 14-
 
 


Il bagliore del mattino penetra appena dal piccolo abbaino di quella camera blindata. Figure in camice bianco osservano con attenzione ogni minimo movimento del paziente 116.
Pare che nell’orfanotrofio non si trovasse molto bene, inoltre l’albinismo non gli permette di stare troppo a contatto con l’esterno, soprattutto durante il giorno. Numerose, infatti, sono le abrasioni e le scottature presenti sul corpo a causa di un’esposizione troppo prolungata, che per i medici è sempre stata vista come una forma di suicidio. In realtà era soltanto frutto dell’ignoranza di inservienti, i quali cacciavano fuori i “mocciosi” per occuparsi delle pulizie.
La cosa sorprendente è il serrato mutismo di quella creatura che sembra vivere in un mondo totalmente estraneo al nostro.
Mangia poco –non apprezza particolarmente ciò che gli viene messo nel piatto–, dorme giusto l’indispensabile –cioè quando le palpebre ricadono pesantemente per istinto fisiologico. Sta sempre accovacciato in una stessa posizione per interminabili ore –spesso anche durante il sonno–, non comunica con nessuno, nemmeno quando gli si fa una domanda. Evita come la peste il contatto fisico e ignora palesemente quello verbale concentrandosi su degli oggetti: possiede una spiccata manualità, pertanto gli psicologi cercano di attirare la sua attenzione con dei giocattoli, ma senza risultato. Nulla di quel che dicono interessa e anche i balocchi proposti dopo un po’ lo stancano.
Quel bambino sembra avvolto nel mistero: da quando è stato portato nell’ospedale psichiatrico di Northapton i dottori non sono riusciti a cavare un ragno dal buco. Eppure sembra apparentemente tranquillo rispetto agli altri pazienti: non assume atteggiamenti che facciano pensare a un qualche disturbo psichico, tuttavia lo sguardo vacuo e quell’assurda posa lo rendono inquietante. Nonostante non dica o non faccia nulla di “anormale”, perfino le infermiere più esperte sul campo temono di entrare nella sua stanza, anche solo per esaudire le più primitive esigenze.
L’uomo dalla folta barba castana appunta qualcosa sulla cartella: lì vi sono scritti tutti i dati raccolti in seguito al grande disastro aereo.
Il nome del paziente, arrivato il 01/10/1997 nell’Istituto Psichiatrico St. Patrick*,  è Nate River. Data di nascita: 24/08/1991. Figlio di Jonah River e Margaret Greenway, deceduti nell’incidente aereo in Thailandia. Non ha nessun altro legame parentale. Le sue origini sono indiscutibilmente inglesi e lo sono anche quelle del padre e della madre. Da quanto stilato nei rapporti, il superstite non ricorda assolutamente nulla dell’accaduto e dei fatti precendenti ad esso. Moltissime domande sono state fatte anche dai soccorritori, ma le risposte erano vaghe e poco certe.
Nate River è stato rimpatriato il 5 settembre in una struttura che offre assistenza psicologica, ma data la natura reticente del bambino il direttore ha deciso di trasferirlo in un istituto più specializzato. Secondo le informazioni fornite dal responsabile di quell’orfanotrofio, il soggetto non partecipava attivamente al sostegno degli analisti, i quali hanno concluso che il forte trauma ha cancellato definitivamente ogni risposta emotiva da parte del bambino. Pertanto è stato deciso di trasferirlo al St. Patrick per checkup medici più approfonditi e assistenza medica a’doc.
A parte l’amnesia, non si trova spiegazione al calo di empatia dell’infante: nessun altra parte del cervello sembra aver subito danni tranne quella dei ricordi.  
Il dottor Freeman puntella la sommità della penna contro la guancia destra, osservando da dietro le spesse lenti la macchiolina bianca sul pavimento. Una grande camicia fascia il piccolo corpicino, mentre le gambe indossano dei larghi jeans chiari. In questo momento, è accoccolato in un angolo della stanza, ben lontano dal  quadrato luminoso sul pavimento. Non vi sono altri oggetti all’infuori di un letto e un comodino di legno spoglio, tra l’altro mai aperto. I servizi igienici sono nella porta adiacente e preferisce utilizzarli nella più completa privacy, senza l’aiuto di infermieri di ambo i sessi: la sua è una discriminazione universale, non fa distinzioni.
-Dottor Freeman, è l’ora della seduta. Preparo le iniezioni?- chiede il caporeparto Kirk. Le iridi fumo dell’uomo si serrano, rimangono immobili sulla piccola sagoma oltre quella porta, dotata di una finestrella attraverso cui monitorare i pazienti. Nate sta a terra e gioca placidamente con una macchinina. Nella parete accanto a lui stanno accatastati altri giocattoli.
-No. Non servirebbe a niente.- tronca quel silenzio alienante, il dottore. Kirk rimane un po’ perplesso, ma ovviamente non obbietta. Ricorda perfettamente tutte le volte in cui, con sacrosanta pazienza, ha cercato di afferrargli il braccio ma quello lo scacciava raggomitolandosi nell’angolo della camera. Sempre in quel minuscolo diedro formato dalle pareti.
-Stavolta voglio pensarci di persona.- continua il primario, così con un cenno del capo l’assistente lo lascia solo.
“Perché … perché non riesco a carpire la sua vera natura? A parte l’amnesia non sembra essere affetto da qualche turba mentale … Nemmeno diagnosticargli l’autismo mi convince come soluzione. E’ la perdita della memoria ad influenzare a tal punto la sua sfera emotiva?” si tormenta continuando a guardarlo ostinatamente. Ad un tratto è come se si fosse avvicinato materialmente a lui senza aprire la porta o aver attraversato la parete, mentre il piccolo pare essere del tutto indifferente alla sua presenza. La manina pallida ferma la macchinina, all’improvviso, e Freeman sobbalza. La frangia candida e riccioluta nasconde i suoi occhi in una penombra quasi sinistra. Lentamente, con pacatezza innaturale, alza il volto cereo proprio in direzione della porta e quindi del dottore.
I pozzi d’ossidiana si scontrano inevitabilmente contro la foschia negli occhi dell’uomo di fronte a lui. Lo scalfiscono in maniera devastante, come le spade di due guerrieri cozzano nell’impatto metallico.
In vent’anni di gloriosa e onorata carriera in questo campo, in cui è reputato uno dei migliori, non si è mai imbattuto in un simile soggetto.
Quegli occhi –adesso– sono puntati su di lui, appena illuminati dai raggi delle dieci e trentasei del mattino. Solo ora nota quanto la loro superficie non lasci trapassare in alcun modo la luce naturale, tanto che sembrano due tondi opachi. Inespressivi, privi di alcuna scintilla, nemmeno di follia. Sono spenti.
Quel bambino è spento … in tutti i sensi.
Tuttavia, sebbene si tratti di una sconvolgente visione che farebbe raggelare il sangue perfino ai più consumati psichiatri, non è quello a pietrificare l’uomo in camice.
Prima, quando era impegnato a giocare, era come se vi fosse un muro invalicabile tra loro. Invece, non appena ha alzato lo sguardo esso è stato distrutto, sbriciolato dall’immensa profondità celata in quegli opali ossidiana.
Freeman si sente subito esposto dinnanzi alla sua figura che assume improvvisamente consistenza.
Deglutisce a vuoto: solo adesso nota di star sudando freddo e che gli è caduta la cartella di mano. La raccoglie frettoloso e quando ritorna a guardarlo, Nate si è già immerso nel suo mondo, riprendendo la sua precedente attività.
Il dottore resta un attimo imbambolato, in un certo senso, dispiaciuto da quell’interruzione. Che si fosse mosso solo perché aveva sentito il tonfo della cartella contro il pavimento? No, è stato dopo che ha alzato lo sguardo o almeno crede, perché non si è accordo che gli fosse scivolata di mano.
Tra tutte le possibili sindromi, quella che al momento calza di più con le attitudini del paziente è la Sindrome di Aspenger**, tuttavia ci sono alcuni punti fondamentali da chiarire.
“C’è qualcosa che mi sfugge …” e con questa certezza –forse proprio l’unica al momento– ritorna nel suo studio per fare delle ricerche.
 
 
La scrivania in mogano è posizionata quasi al centro della stanza, mentre le pareti sono tappezzate da centinaia di volumi  riposti ordinatamente negli scaffali. Sullo stesso ripiano di legno vi sono un computer fisso e la stilografica abbandonata accanto ad una cartellina azzurra.
Si dirige a passo svelto verso la sedia girevole e si abbandona su essa, fiacco ed esausto. Sospira appoggiando la cartella clinica di Nate River e si toglie gli occhiali per massaggiare il setto nasale segnato. Deve riordinare le idee.
“Innanzitutto … bisogna stabilire quali siano i sintomi. Dunque …” comincia a fare mente locale, ma un lampo acceca il suo pensiero. L’incommensurabile profondità di quegli occhi pece appare di nuovo, ancora più vivido giurerebbe.
Il tarlo del dubbio si annida nei suoi ragionamenti, come un topo che rosica un filo elettrico interrompendone la corrente. Più cerca di inghiottire quella sensazione, più si ripresenta prepotente nel suo animo.
Considerato il lavoro che svolge, è chiaro che ad ogni paziente giunto al St. Patrick sia stato diagnosticato un disturbo mentale e lui, efficiente e meticoloso nella sua professione, ha sempre verificato che le diagnosi fossero corrette. Tuttavia, il caso di questo paziente  si presenta davvero complesso poiché non riesce a capire da cosa sia affetto. A suo parere, gli psicologi di quell’istituto hanno chiuso la faccenda troppo in fretta e si sono rivelati davvero poco professionali (per non dire mediocri).
Dato che non sapevano nemmeno cosa pensare, l’hanno scaricato lì diagnosticando –nero su bianco– amnesia retrograda ed empatia.
-Malica di incompetenti!- borbotta a denti stretti, maledicendo uno ad uno i suoi “colleghi”. Poi, come a verificare se gli fosse sfuggito qualcosa, apre il cassetto in basso a destra e ne estrae il fascicolo 116, quello dell’albino. La cartella viene aggiornata quotidianamente e, per sicurezza, le informazioni su cartaceo vengono registrate dallo stesso dottore ed una fidata segretaria nel computer. Tira fuori dall’allegato il rapporto degli psicologi dell’orfanotrofio e scorre attentamente fra le righe. Sono riportati tutti i test e gli esami effettuati su Nate River e, di conseguenza, i risultati e le conclusioni dei medici.
Guarda più attentamente l’elenco dei test e si rende conto che manca quello del quoziente intellettivo. Freeman si porta una mano davanti alla bocca sfiorando la barba incolta: non è possibile che una cosa così importate, se non fondamentale, sia stata trascurata!
-Incompetenti … - sibila a denti stretti, trattenendo pesanti imprecazioni. Sbatte appena il fascicolo sul tavolo, seccato, e abbandona la schiena sulla spagliera in pelle.
 A questo punto dovrebbe spettare a lui verificare le sue capacità intellettive, però come? Forse anche nel precedente istituto hanno tentato di verificare il QI, ma invano data la natura scostante e indifferente del bambino.
“In ogni caso avrebbero dovuto perlomeno farne cenno nel rapporto! Ammesso che le cose stiano realmente così …”.
Sbuffa scocciato per via di tutte quelle complicazioni, mentre da una parte raccoglie tutte le sue energie per pensare.
“Nate River è dotato di spiccata manualità. Manipola oggetti di ogni sorta in maniera quasi morbosa, e in particolare è attratto dai giocattoli …”.
Un illuminazione lo coglie all’improvviso, come se qualcuno alle sue spalle avesse sussurrato “Bu!”, spaventandolo.
-Ma perché non ci ho pensato prima?!- esclama esasperandosi per la sua stupidità -Potrebbe funzionare, infondo...- e preme subito l’indice sul tasto dell’interfono.
-Valery. - chiama la sua segretaria.
-Mi dica.- risponde dall’altro capo una donna, con un tono che vuole ostentare professionalità.
-Mi deve procurare dei giochi.
-Giochi?- la richiesta la lascia alquanto perplessa -Di che genere?
-Non di quelli comuni. Sto parlando di rompicapi, puzzle, domino, tutto ciò che ha a che fare con l’intelligenza e l’astuzia.- specifica tutto d’un fiato.
-Capisco. Ne vuole un numero specifico?- domanda puntualmente precisa, suscitando il sospiro di Freeman.
-No. Prendine quanti più ne puoi, non badare a spese. Ma mi raccomando: che siano i più stimolanti e anche i più difficili che ci siano … - segue una breve pausa in cui l’uomo immagina la mano della dipendente prendere appunti.
-D’accordo.- risponde in seguito, Valery -Quando vuole che glieli porti?
-Ce la fai entro la fine della giornata?
-Certo. Sarà fatto.
-Bene.- e dopo le telegrafiche conferme, Freeman toglie l’indice dal pulsante del telefono interrompendo la comunicazione.
Si abbandona allo schienale della girevole con un buon presentimento, tuttavia esso scaturisce da un’idea di fondo.
Ovvero che Nate River non è un pazzo.
Quegli occhi per lui non possono mentire, c’è qualcosa e lui intende scoprirlo.
 
Come promesso, entro la fine della giornata la monovolume di Valery parcheggiò nel cortile portando buste piene di giocattoli, se così si potevano chiamare secondo la donna.
Quando Freeman li visionò gli parvero perfetti.
-Bene. Ottimo lavoro!- si complimentò con la dipendente che lo osservava vagamente confusa.
-Se mi permette una domanda, dottore … Posso sapere a cosa le servono questi “giochi di intelligenza”?
L’uomo si alzò gli occhiali sul naso prima di risponderle.
-Mi servono per scoprire il livello intellettivo del paziente 116.
Al pronunciare il nome dell’albino la segretaria si irrigidì appena, ma non aggiunse commenti intuendo che si trattasse di una strategia del dottor Freeman. Si augurò che riuscisse nel suo intento. Ne fece presente al suo principale prima di congedarsi.
Così il giorno dopo, alle 9:16, si reca nella camera del paziente pervaso da un’insolita euforia rispetto al contesto. Si dirige a quell’ora poiché conosce perfettamente le abitudini del bambino, il quale si sveglia più o meno alle prime luci dell’alba rimanendo ore a fissare il vuoto, finché verso le otto o le nove decide di giocare con quello che c’è in stanza.
E’ un soggetto troppo singolare. Chi non vorrebbe capire che cosa gli passi per la testa?
Il dottore non vuole turbare la sua routine quotidiana, così con le buste stracolme di balocchi in mano si dirige in gran carriera verso la 116, diventata quasi un tabù anche per chi ci passa solo davanti.
Controlla dal finestrino della porta la figura china al suolo la quale sta costruendo una torre. Freeman bussa un paio di volte, ma ovviamente dal bambino non giunge nessuna risposta. Apre la porta lentamente entrando così in quel regno sconosciuto. L’albino non accenna a prestargli attenzione.
-Buongiorno Nate!- saluta affabile e nel modo più naturale possibile, mentre l’altro persiste nel suo ferreo mutismo.
Il dottore accenna ad un sorriso mesto e si abbassa per sedersi sul pavimento.
-Posso?- chiede come se si trovasse a casa di qualcuno. Non si aspetta che lo assecondi, però vuole mostrarsi conciliante per non invadere “i suoi spazi”. Dunque, si siede ugualmente a terra incrociando le gambe.
-Guarda un po’ Nate!- esclama -Ho portato dei giocattoli nuovi!- così dicendo rovescia il contenuto delle buste sulle piastrelle immacolate del pavimento.
 Vi sono scatole di puzzle da 200 pezzi, puzzle tridimensionali, cubi dai mille colori, anelli da disincastrare e ben tre confezioni giganti di tessere del domino. Mentre smista i giochi, per poco non si accorge che due opali oscuri si sono girati ad osservalo. Quando l’uomo alza lo sguardo verso il piccolo, questo non svia lo sguardo e perciò ne rimane piacevolmente sorpreso.
Il dito pallido di Nate si attorciglia attorno ad una ciocca albina, come se stesse riflettendo sul da farsi: andare a vedere oppure ignorare?
Eppure la forma insolita di quegli oggetti pare in qualche modo attirare la sua curiosità. Intanto il dottore smista fa un po’ di spazio in quella camera improvvisamente a soqquadro. Dopo di ché, apre una scatola di puzzle e rovescia tutti i pezzi sul pavimento.
Lo scroscio di quella cascata di tasselli risveglia i suoi sensi, come se qualcosa fosse scattato e, per la prima volta nella sua giovane vita, una bruciante curiosità si impossessa di lui. Gli occhi abissali fissi su quel mucchietto di frammenti di cartone sottile.
Freeman sente il suo sguardo penetrante su di lui e sorride sotto i folti baffi con la consapevolezza di aver catturato la sua attenzione. Per tanto cerca di rivolgersi a lui il meno possibile e di estraniarsi nel suo mondo, aspettando che faccia Nate la prima mossa. Riesce ad individuare i primi pezzi da incastrare consultando la figura sulla confezione, un paesaggio di montagna.
Il tonfo dei piccoli piedi dell’albino non si ode nemmeno, anzi Freeman si accorge della sua presenza quando un ombra lo sovrasta; solo allora alza lo alza il capo verso il piccolo che fissa insistentemente il puzzle.
L’uomo sorride: -Vorresti provare a farlo tu?-  chiede con dolcezza e il pallido infante fa solo un cenno del capo.
Sorride impercettibilmente compiaciuto mentre lo sguardo profondo sembra quasi bucare la confezione di cartone.
-Sai cos’è un puzzle?- esordisce il dottore, ma l’albino rimane muto. Lui prosegue comunque: -Si tratta di una figura o immagine divisa in tantissimi pezzettini che si uniscono tra di loro per formare quella figura.- Parole più semplici non trova per spiegare il concetto, ma il piccolo osserva soltanto senza fiatare. In verità, non l’ha mai sentito parlare da quando è entrato nella clinica, ma non si può dire che sia muto dato che l’unico verso che è riuscito a strappargli è stato un gemito di disprezzo quando lo costringevano a fare l’iniezione.
Silenzioso come un gatto selvatico, Nate si accovaccia al pavimento come suo solito e comincia ad analizzare quei minuscoli pezzi di cartone.
A un certo punto, la porta bussa e il caporeparto Kirk, tutto trafelato, gli comunica un improvvisa emergenza:
-Vieni! Il paziente della 96 sta avendo un’altra delle sue crisi!
Freeman si morde il labbro irritato: dovrà abbandonare per un attimo le sue ricerche su Nate.
-Ehm … io mi allontano un momento. Tu continua pure a fare il puzzle, torno subito.- annuncia uscendo dalla stanza, nella quale lascia un bambino immacolato tra balocchi colorati.
L’imprevisto trattiene il medico per circa dieci minuti e non appena si libera, ciò che trova lo lascia completamente di stucco. Il puzzle che avevano appena iniziato e del quale lui era riuscito a malapena ad incastrare due pezzi, giace completo sul pavimento della stanza ritraendo il suggestivo paesaggio montuoso. Non c’è che rimanerne sbalorditi, poiché una persona normale non riuscirebbe a completare un puzzle di duecento pezzi, in meno di dieci minuti e soprattutto visionando per la prima volta la figura. Anche se avesse già fatto in passato giochi simili, tutto l’allenamento di questo mondo non ti fa terminare in così poco tempo ciò la maggior parte potrebbe terminare il giorno successivo.
-L’hai già finito vedo … - esordisce, cercando il più possibile di nascondere il tremore nella voce.
Intanto l’albino ne stava già completando un altro.
-Non era tanto interessante, comunque.- la voce sottile, ma atona, rimbomba nelle orecchie di Freeman. Allora comprende che su quel ragazzino non si era sbagliato.
 
Una settimana dopo, il dottore bussa nuovamente a quella porta ed entra dopo il secondo tocco. Stavolta però è in compagnia di un uomo.
-Buongiorno Nate.- saluta cordialmente. Il piccolo si limita ad un meccanico e lieve cenno del capo. Lo sconosciuto al fianco di Freeman, invece, rimane alquanto sorpreso a quella vista. Una piccola macchiolina bianca immersa in una enorme spirale di Fibonacci, che ricopre quasi l’intera stanza, fatta interamente di tessere del domino.
-C’è una persona che vorre conoscerti, Nate.- annuncia infine il direttore dell’istituto, mentre il bambino continua imperterrito la sua opera.
Freeman fa un cenno del capo all’uomo al suo fianco il quale si riscuote da quel momento di trance. Quando rivolge lo sguardo all’albino si accorge che gli occhi di quest’ultimo sono puntati su di lui. Si sfila il cappello.
-Piacere, sono Roger Ruvie.  

 
 
   
       
 
*Istituto Psichiatrico St. Patrick = si tratta di un nome da me inventato.
 
**Sindrome di Aspenger = è considerata un disturbo pervasivo dello sviluppo imparentata con l'autismo. Gli individui portatori di questa sindrome presentano una persistente compromissione delle interazioni sociali, schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività e interessi molto ristretti. Diversamente dall'autismo classico, non si verificano significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o nello sviluppo cognitivo.

 
 
 
 
 
 
 
 
Ebbene! Gente del mondo, sono tornata!!! Ehhhehe ….Ok basta. Sicuramente molti di voi (tutti alla fine) mi vorranno come minimo linciare per aver fatto così tardi a postare.
Oltre al traumatico e tragico inizio scolastico ho avuto il peggiore degli incubi ovvero IL BLOCCO DELLO SCRITTORE, quindi sebbene il capitolo fosse a metà ho sospeso per un bel po’ di tempo!
Adesso sono tornata e spero davvero di riuscire a postare il prossimo capitolo fino a Natale (credetemi: non sarei capace nemmeno di rispettare una scadenza così lunga …). Comunque spero che almeno il capitolo sia piaciuto e soprattutto che non abbia sforato nell’OOC. Near per me è sempre il personaggio più difficile da rendere, figuriamoci un Near bambino!!
Mi scuso ancora con i miei carissimi lettori e recensori che magari attendevano con ansia l’aggiornamento. Cercherò di fare il possibile ma non assicuro nulla: ormai sono al 5° anno di liceo ed è straziante credetemi.
Dopo questa luuuuunghiissima nota vi saluto con un grande bacio. <3<3
  
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