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Autore: _brancamenta    18/10/2014    3 recensioni
| Harry/Louis | Alternative!AU | Ispirato al video "Prayer in C" di Lilly Wood | 7k |
- Dal testo -
Harry tracannò la birra, una lacrima intrappolata tra le ciglia.
Louis gli si avvicinò e la tolse con il pollice, prima di baciargli affettuosamente la guancia. «Continua a sorridere, chol.» disse in un sussurro, riservando per lui le parole più giuste in quel momento. «Sei il demone più bello in questo inferno di anime.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Lime, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice.
Ho deciso di mettere le note a inizio pagina per una questione che comprende il mio interesse a spiegarvi il perchè e a cosa è ispirata questa storia.
Volevo semplicemente dirvi prima di iniziare che ho cominciato a scrivere questa one-shot dopo aver visto il video "Prayer in C" - a cui è ispirata - e anche dopo un lutto molto sentito che ho dovuto affrontare e superare. Non sarà una fic triste perchè non morirà nessunoin questa one-shot, ma i protagonisti affronteranno un lutto in un modo del tutto non convenzionale, e per chi conosce il video e per chi sa cosa voglia dire perdere qualcuno, di certo comprenderà parte di questa storia.
Buona lettura, spero apprezzerete. Come al solito, apprezzo ricevere pareri sulla storia.












 
Un inno alla giovinezza.




 
Keep smiling, chol

 - di  C h a n d e l i e r -


 



 
“Yeah, when there’ll just be silence
and when life will be over
don’t think you will forgive you”

Si stava pitturando il viso con la vernice bianca, e lo faceva lentamente, con leggerezza. Il pennellino dalle setole spesse accarezzava i solchi delle guance colorando ogni centimetro di pelle, scavava le occhiaie violacee sotto le ciglia per nasconderle e copriva ogni imperfezione di quel viso funereo e stanco, celandone con un velo sottile la tristezza.
Ascoltava "Together" dei The XX mentre osservava i suoi occhi lucidi e straziati allo specchio, cercando di trovarvi qualcosa di positivo. Erano di un verde così chiaro in quel momento da non poter essere paragonato a nient'altro, se non alle sfumature più tenui dell'edera o ai colori ad acquerello. Erano così rossi e cadenti da non riuscire a riconoscerli, e tutto perchè aveva versato troppe lacrime quella mattina, quando aveva indossato abiti scuri per presenziare a un funerale. Abiti che poi aveva gettato teatralmente dalla finestra, come un bravo attore melodrammatico o un ragazzo in ribellione.
Ripensava continuamente alle parole che quella mattina il sacerdote aveva pronunciato; rimbombavano come un’eco struggente nella sua mente distrutta, rimbalzando nelle pareti. “Sono stati strappati alla vita” aveva sussurrato, e in quel momento, mentre Harry si fissava allo specchio, il volto bianchissimo per la vernice che si era seccata sulle guance e sulle palpebre, non smetteva di chiedersi se insieme a loro erano stati strappati altri fiori.
Harry ripose il pennello per prendere una matita nera dalla punta spessa. Non si truccava mai nei martedì come quelli, quando il sole vibrava nel cielo chiazzato di nuvole quasi trasparenti; l’ultima volta che aveva usato quella matita era stato ad Halloween, per disegnare delle cicatrici sulle guance dei suoi amici e sulle proprie. A Jared aveva disegnato anche un ragno, mentre Hyden aveva preferito non farsi truccare perchè per lui indossava già una maschera. Però quella era una festa felice dove le persone indossano abiti straganti per fare una certa figura davanti agli amici, mentre quello che si sarebbe tenuto quel giorno era un inno alla giovinezza perduta, un modo per commemorare le morti come quelle. 
Tracciò motivi tondeggianti attorno alle labbra e agli occhi. Stava dipingendo il suo volto perché era pronto a nascondere al mondo la maschera che indossava ogni volta che varcava la soglia del suo appartamento. Quel giorno sarebbe uscito di casa e avrebbe danzato per le strade come un demone con un teschio pitturato sul viso, il cuore in fiamme per la rabbia, gli occhi più accesi in quel verde smeraldo che in quel momento era sparito, ma che Jared diceva di adorare. Era nato tutto per due vite strappate nel fiore degli anni, e lui si sentiva infuriato con il mondo intero e con quel Dio che aveva pregato quando era più piccolo e inconsapevole dell’ingiustizia che li avrebbe massacrati a poco a poco. Poi era cresciuto e lo aveva capito, aveva assorbito il dolore, aveva conosciuto cosa fosse la perdita e cominciò a odiare, a temere, a maledire e ad assorbire il tutto per poi sfogarlo in un modo alternativo in quegli inni alla gioia in cui credeva sotto ogni aspetto.
Quella sera avrebbe urlato a squarciagola quanto la vita è breve mentre stringeva una bottiglie di vodka con una mano e una canna fumata a metà nell'altra.
Si colorò la punta del naso e rise dolcemente della sua immagine riflessa. Era così eccentrico quello che stava per accadere negli angoli di quella cittadina da fargli sentire l'adrenalina scorrere nelle vene. Holmes Chapel, che non contava più cittadini di quelli di un normale paese a due ore da Londra, era in lutto. Un lutto straziante, feroce, inaspettato e violento, e ciò voleva dire che il caos era pronto a riversarsi e scatenarsi tra le vie principali. I ragazzi erano pronti a togliere i propri vestiti, i propri volti, i propri caratteri preconfezionati installati nei loro cervelli e a camminare sui marciapiedi cantando inni alla giovinezza.
Quando gli toccò scegliere l'ombretto, decise che il blu sarebbe stato il colore delle palpebre. Era una sfumatura brillante, accesa, energica, proprio come gli occhi di Jared, uno dei ragazzi morti in quel tragico incidente stradale. Aveva solamente diciotto anni ed era più bello del sole. La sua era stata una morte crudele e ingiusta; erano in due quella notte, lungo la statale buia vicino a Londra, ed erano morti entrambi investiti da un'auto che dichiarava ripetutamente di non averli visti. Jared era stato trovato a pezzi sul ciglio, nella corsia di emergenza, Hyden – diciannove anni – in fin di vita poco lontano da lui. Era morto in ospedale poche ore dopo.

"See, our world is slowly dying
I'm not waisting no more time
Don't think I could believe you"


La pelle sopra agli occhi era rugosa e asciutta. L'ombretto non si attaccava bene alla vernice bianca e Harry sfregò con il polpastrello dell'indice affinchè quel blu deciso finalmente si imprimesse, fino a diventare una macchia accesa in quel viso troppo chiaro. Si faceva paura, Harry, ma allo stesso tempo si piaceva e sentiva una strana sicurezza trapelare dai suoi lineamenti belli e giovani; sentiva che quello era il suo volto: un teschio di un bianco perlaceo, con colori che ricordavano la primavera e i dettagli del volto di coloro per cui piangeva. 
Quando si colorò le labbra di arancione, pensava a quanto Hyden amasse le tonalità del tramonto.
Qualcuno bussò alla porta. Erano le cinque del pomeriggio di un autunno stanco e faticoso; il sole splendeva sempre più flebilmente, il vento invece si rinvigoriva e diventava più prepotente pomeriggio dopo pomeriggio. Con le gambe e il petto nudo, i tatuaggi in bella vista su quel corpo tonico, Harry camminò fino all'ingresso, osservando oltre lo spioncino il ragazzo che fissava ripetutamente il cellulare stretto in una mano. Era di una bellezza comune, con i capelli castani e un ciuffo liscio che quasi copriva uno degli occhi celesti; aveva quella linea marcata di matita e dei pantaloni stretti a fasciargli i fianchi tondi. Quel corpo morbido era formoso e le mani di Harry si adattavano sempre perfettamente a quel bacino leggermente ampio. Dallo spioncino, lo vide battere le vans a terra ripetutamente mentre sbuffava annoiato, gli occhi fissi sul display con una foto dei My Chemical Romance – una strofa di "I'm okay" scritta in corsivo. Non dimostrava i ventuno anni che aveva, come Harry non dimostrava i suoi diciannove.
Non appena aprì la porta, Louis – era quello il suo nome – camminò lentamente lungo il corridoio con il suo passo leggero e ancheggiante. Harry lo osservò riporre il telefono su una tasca, togliersi la giacca e appoggiarla sul trespolo di legno vicino a uno specchio. Non perse nemmeno uno dei suoi passi; la musicalità che si celava nei movimenti di quel corpo era qualcosa che apprezzava e ammirava con insistenza.
«Stai bene, chol.» disse semplicemente, voltandosi a guardare Harry e il suo viso tinto dai colori più accesi. Anche lui era lì per quella festa macabra, pronto a farsi pitturare le guance per poi correre sulla strada, lo skateboard ai piedi e la sensazione di una rabbia pronta a implodere nel petto.
Harry sorrise, gli si fece vicino per potergli baciare teneramente la piccola scanalatura tra il naso e il labbro superiore. Era il saluto tipico che si lasciavano in quella compagnia di pazzi, la stessa compagnia che si tingeva il viso quando incombevano tragedie, che si dava soprannomi come fosse un clan e si baciava nei punti più improbabili del viso, come se avere una stretta di mano segreta fosse troppo banale e poco esclusivo per loro.
Camminò fino allo specchio e lasciò che Louis lo guardasse. Indossava solo i boxer in quel momento e nonostante ciò non si sentiva a disagio. Si pettinò con le dita i capelli ricci e scuri, accarezzandoli dietro la nuca, e poi indossò la corona di rose finte color confetto che gli era stata regalata tre anni prima, quando era entrato in quel gruppo che idolatrava lo spirito giovane e manifestava la rabbia verso un Dio che sembrava non curarsi di coloro che aveva creato e giurato di amare.

“And see the children are starving
and their houses were destroyed
don’t think they could forgive you”


Con attenzione, anche Louis lo scrutava. Era affascinato da quel ragazzo dal corpo esile e il volto come un teschio bianco, ma di una dolcezza che non aveva uguali. Si erano innamorati in una di quelle feste inconcludenti fatte di alcol e droga leggera che si ostinavano a organizzare quando qualcosa in quella società non andava. Era stato un innamorarsi lento e graduale, un conoscersi lento tanto quanto il passaggio di una canna appena accesa; un innamoramento ancora in corso nonostante fosse passato un anno e mezzo, perché loro non camminavano mai lungo la strada mano nella mano, le dita intrecciate tra loro. Erano ancora nella fase in cui i baci rimanevano un ricordo da lasciare dentro alle mura di una stanza, o il ricordo di una serata fuori casa, baci tra ubriachi che decantano la gioia della vita e la tristezza della morte. Erano due innamorati che si consumavano lentamente, perchè si sa che l'amore brucia a una velocità quasi disarmante e loro cercavano solamente di viverlo a pieno e con una calma apparente.
Louis si sedette sul divano, guardando il capo di Harry circondato da quelle rose meravigliosamente chiare. «Tingimi il viso, chol.» gli chiese in un sussurro, chiamandolo con il solito nomignolo della loro cricca di amici. Era stata un'idea di Niall; in irlandese, chol stava a significare colomba, e a lui piaceva definirli così, come fossero animali liberi, senza barriere a vietare loro di volare, un simbolo di buon auspicio, il punto fermo di un nuovo ciclo vitale, un simbolo di reincarnazione, di bene.
Toccandosi un’ultima volta i ricci sulla nuca, Harry sorrise al riflesso nello specchio del ragazzo che si stava accendendo distrattamente una canna, seduto sul suo divano. L’odore dell’erba riempì la stanza in poco tempo.
A loro piaceva quella parte della vita dove i giovani provavano, sentivano, vedevano. Fumavano per amplificare le emozioni, facevano l'amore per sentire le pelli a stretto contatto, attendevano l'alba per sentire i loro occhi godere di un meraviglioso spettacolo. E poi c'era Harry che in tutto quello vedeva anche la cupidigia e tristezza dell'inconcludenza, la consapevolezza che tutto quello non avrebbe riportato indietro le persone che li avevano lasciati, che non avrebbero reso giustizia a coloro che avevano sofferto, che non avrebbero riportato indietro Jared, Hyden, le persone morte nelle tragedie, ma che almeno avrebbero reso giustizia alla loro giovinezza perduta. Danzavano con il teschio sul viso per non dimenticare la morte e per renderla protagonista di un rito costruito con il semplice scopo di rendere evidente quanto essa sia ingiusta.
Una volta Louis gli aveva detto "Spesso penso che Dio stia facendo tutto a casaccio", ma Harry non era convinto che ci fosse un Dio, e se questo ci fosse stato davvero di sicuro non sapeva ciò che faceva.
Smettendo di osservare la sua corona di fiori, il riccio prese il cofanetto dei trucchi, la vernice e si diresse verso il ragazzo che fumava bellamente seduto sul suo sofà. Scrollava la cenere dentro a un bicchiere di plastica abbandonato su una seduta e che puzzava di Montenegro, il ghiaccio si era sciolto e sul fondo c'era un centimetro di acqua fredda, sporca di carta e tabacco bruciati.
Senza inibizioni, Harry si sedette con le gambe nude a circondare i fianchi morbidi di Louis, che quando lo sentì posare le natiche sulle sue cosce, prese ad accarezzarle a mani piene, stando attento a non bruciargli la pelle delle braccia con la canna. Quel contatto li fece sentire e avrebbero voluto baciarsi in quello stesso momento, perchè tra loro c'era quella tensione quasi esasperante, ma eccitante oltre ogni immaginazione. Avrebbero voluto farsi più vicini, sentire i loro petti sfregare nella foga di ottenere un contatto più intimo a riservato, ma rimasero a guardarsi per un po', prato e cielo in una fusione netta e decisa, un paesaggio di sentimenti ed emozioni che corrodevano lo stomaco nelle loro pance.
Con le dita lunghe e affusolate, il minore prese il pennello e lo intinse nella vernice, prima di curarsi del volto morbido e roseo di Louis. Aveva occhiaie profonde sotto le ciglia scure, di un viola talmente marcato da sembrare due lividi.
«Dormi la notte?» gli chiese Harry d'impulso, mentre le setole si spostavano per dipingere la fronte liscia. Con la mano gli aveva spostato il ciuffo castano e disordinato che la copriva.
Ne seguì un breve silenzio che Louis usò per inspirare altri due lenti tiri dal filtro della canna e poi, con la sua voce fina e leggermente rauca, disse «Dormo meglio quando ci sei tu vicino a me.» con una sincerità che avrebbe inaspettatamente disarmato chiunque.
Harry non lo disse, ma avrebbe tanto voluto rispondergli che era lo stesso per lui. Era così strano il loro bisogno l'uno dell'altro da spaventarlo, perciò continuò a pitturare quella tela rosea, osservando di tanto in tanto le labbra del maggiore piegarsi in sorrisi sfuggenti, o a guardare le palpebre vibrare flebilmente.
Si fermò un attimo per poter tirare dal filtro due boccate di fumo e poi riprese con la solita dedizione che spesso non era nemmeno necessaria. Quando finì con la vernice, Louis sembrava un busto di pietra che stava distrattamente spegnendo la canna su quel bicchiere di plastica con dell'acqua stagnante e disgustosa nel fondo. Se di Louis qualcuno avesse fatto davvero una statua, Harry l'avrebbe rimirata e studiata fino a consumarla. Trovava quel viso spigoloso di una bellezza eccentrica, soprattutto se tinto di bianco. Di tanto in tanto apriva i suoi occhi e in quel manto perlaceo spiccavano con ancora più preopotenza e vanità quelle gemme celesti; il mento allungato, gli zigomi poco pronunciati, il naso delicato facevano da cornice a quei diamanti meravigliosi e cangianti tra il pervinca e l'azzurro carta da zucchero.
Prese una matita e fece esattamente quello che aveva tracciato a se stesso: disegnò due sottospecie di girasoli sugli occhi, poi delle nuvole attorno a tutte le labbra. Avrebbe voluto baciarle in quel momento, erano così fine e belle da tentarlo nonostante fossero ferme in una linea dura e secca. Quando posò anche quella matita, si costrinse a sospirare.
«Di che colore vuoi gli occhi?»
Non che avesse bisogno di chiederlo, sapeva perfettamente cosa avrebbe risposto a quella domanda Louis.
Le mani aperte sulle sue cosce scesero fino alle ginocchia nodose, per poi risalire fino al bordo dei boxer. Era un contatto intimo e piacevole che risvegliava istintivamente la libido di Harry, il quale fremeva dal desiderio di essere toccato. Eppure poteva ancora controllarsi, poteva resistere alla pulsione di gettare gli ombretti a terra e stendersi sul divano, in balia di Louis. Non si lasciò distrarre e scelse di sua volontà un verde acceso che ricordava il colore dei suoi stessi occhi nei momenti felici.
Louis gli sorrise e non smise mai di accarezzargli le gambe. Si sentiva così bene in quel momento che avrebbe potuto finalmente chiudere gli occhi e dormire, perchè solo quando stava con Harry poteva giurare di percepire una sicurezza innaturale e disarmante. Quella consapevolezza – il dipendere da un ragazzino di diciannove anni – non lo spaventava, lo faceva soltanto sentire vulnerabile perchè sapeva cosa voleva dire essere abbandonati. Ma in quel preciso momento non stava pensando all'abbandono, solo a quanto amasse il profumo di Harry che gli stava stuzzicando le narici. Sentire il pennellino attorno ai suoi occhi era una sensazione piacevole e rilassante, insieme a quella del respiro del minore sulla pelle coperta di bianco. Poteva udire la radio passare "Everybody wants to rule the world" di Lorde e in quel momento lui non aveva bisogno di comandare il mondo con Harry Styles seduto sulle sue cosce, il viso a pochi centimetri dal proprio.
Il pennellino dagli occhi si spostò dopo due minuti alle labbra, e Louis sentì la differenza delle setole. Era certo che Harry avesse cambiato colore, perciò azzardò a guardare le mani del riccio che in quel momento stringevano un ombretto indaco. «È un bel colore.» sussurrò semplicemente.
Harry sbuffò. «Se parli rischio di uscire dai bordi.»
Louis desiderò ardentemente di poter ridere, perchè era felice nella complessità di quel mondo che ti portava via ogni cosa nel momento più bello.
Quel pessimismo che aleggiava attorno a lui, quell'aura di amara presa di coscienza che lo perseguitava ovunque, in qualche modo in compagnia di Harry scompariva o si faceva fievole e quasi inesistente. Eppure sapeva cosa fosse il dolore della perdita – tutti, bene o male, in quella compagnia che danzava per la rabbia lo sapeva –, ma quando Louis stava con Harry tutto si eclissava dietro a un velo spesso di spensieratezza che lo convinceva di quanto il brutto fosse irrilevante davanti alla bellezza di un amore che sboccia.
«Ce l'hai la coroncina?»
Le mani di Harry si allontanarono dalla pelle di Louis che sentì svanire il calore. Scosse il capo.
Così, come si era seduto, il riccio strusciò lentamente i polpacci sulla coperta di quel divano per alzarsi, ma Louis glielo impedì. Con le mani dietro alle ginocchia del minore, Louis impedì a Harry di rimettersi in piedi e andare a prendere il cappello a bombetta che teneva nascosto dentro all'armadio.
Sapeva che dopo aver preso il berretto, Harry sarebbe tornato da lui, ma questo non gli importava perchè non voleva che i loro corpi si allontanassero, non in quel momento dove tutti i tasselli sembravano essere tornati al loro posto.
Una mano di Louis risalì lungo la gamba dei Harry, fino al bacino, e poi andò oltre. Accarezzò la pancia piatta, il petto formato e tatuato – due rondini e un'enorme farfalla all'altezza dello sterno spiccavano con un forte nero pece –, fino a giungere il collo lungo e longilineo, da cui spiccava il pomo d'Adamo. «Vieni più vicino.» sussurrò semplicemente, un sorriso aperto e gentile sulle labbra dipinte, una necessità pungente nel bassoventre e un latente bisogno di sentire Harry talmente vicino da percepirlo come una seconda pelle. «Ho bisogno di te ora.»
Vederlo abbassarsi su di lui fu come respirare a rallentatore. Tutto era scandito dai secondi che Harry trascorreva piegando la schiena, chinandosi sul suo viso, per poi schivarlo e appoggiare il capo sulla spalla di Louis. Sembrava quasi un gioco a chi resiste di più senza baciare l'altro e Harry stava vincendo con un vantaggio che per Louis era quasi imbarazzante.
«Non posso baciarti perchè rovineremmo il trucco.» sembrò rispondere Harry, nonostante il maggiore avesse espresso soltanto mentalmente delle domande silenziose.
«Non mi interessa di questo trucco.»
Con la sua voce roca e greve, Harry rise piano. «Comunque rischieremmo di fare tardi.»
«Non mi interessa nemmeno questo.»
Le labbra morbide del riccio si posarono dolcemente sul collo lungo di Louis, che rabbrividì a quel contatto. Forse era la vernice che rendeva quella bocca così insolitamente fredda e cerea, forse era il semplice fatto che le labbra erano secchissime. Fu piacevole comunque e chiuse gli occhi nel sentire la punta rosea della lingua del minore roteare minuziosamente sulla porzione di pelle che aveva morso. «Se il trucco si rovina, lo sistemeremo.» disse in un sibilo leggero al suo orecchio, per poi chiudere la cartilagine tra le labbra colorate di arancione.
Le dita di Louis catturarono i ricci sulla nuca di Harry – sentendo un petalo della coroncina pungergli il polso – e ne testarono la morbidezza. Era incantato da quella sensazione, insieme al profumo inebriante di dopobarba e menta piperita che amava. Era attorno a lui, dentro, fuori, nella sua mente, in ogni cosa che vedeva; Harry era ovunque e non sapeva nemmeno come facesse, non poteva controllarsi e non poteva impedirlo. Louis era in balia di un'emozione che lo comandava e che si faceva più viva quando addosso a sè c'era quel corpo snello, bello da farlo impazzire e morbido, profumato come una primavera tardiva. Era come se tutto quanto avesse come fulcro Harry, il ragazzino che frequentava ancora il liceo e che non aveva idea di ciò che avrebbe fatto nella vita. Si sentiva uno scemo per il semplice fatto che era stordito. Non era la canna, non era l'alcol che aveva bevuto prima di uscire e dirigersi in quella casa vuota ma piena di ricordi, non era per qualche altro tipo di sciocchezza.
Era per Harry.
E quando questo si decise a guardarlo, Louis sapeva che avrebbe potuto perdersi in quel volto. Era così immerso nei suoi stessi sentimenti da non rendersi conto di essersi quasi letteralmente fossilizzato. Il suo cuore batteva come un pazzo e lui si stava soffermando a sentire ogni battito rimbalzare nella cassa toracica e tentare di rimettersi in sesto - senza risultati. Harry era talmente bello che quella maschera di vernice era era come se lo rendesse soltanto più eccentrico, accentuando la sua personalità stravagante e un po' macabra.
Con la punta delle dita, tracciò il profilo bianco e ruvido di Harry. «Sei talmente bello che gli angeli, se ti vedessero, ti invidierebbero.» sussurrò, prendendogli il mento tra il pollice e l'indice. Lo costrinse a farsi più vicino, così che le loro labbra fossero a poca distanza le une dalle altre.
«Sono il demone più bello che questa sera camminerà per strada.» scherzò in risposta Harry, aprendo le labbra in un sorriso sincero e divertito.
Perciò Louis sorrise a sua volta, prima di lasciare che le loro bocche si modellassero perfettamente in un contatto primordiale, ma inevitabilmente intenso. Le loro labbra erano secche per la pittura, ma ugualmente calde. Si gustarono quel momento come se non ne avessero avuti altri prima, le mani di Louis scesero lentamente lungo la schiena muscolosa e delineata di Harry, che la piegò come un gatto che fa le fusa al padrone. Il suo bacino strusciò sui pantaloni ruvidi del maggiore, e poi sentirono le loro erezioni a intimo contatto, mentre le loro lingue si svelavano lentamente per potersi intrecciare a metà strada tra le loro bocche. Il trucco si stava rovinando a poco a poco, ma entrambi non se ne curarono minimamente.
Ogni bacio e ogni schiocco sembrava rimbombare in quella stanzetta. La voce di Lorde si era eclissata, lasciando posto a “Chandelier” di Sia mentre loro ancora si muovevano lascivi sul quel divano di un rosso scuro come l’amore vero.
Le dita di Harry tentennavano e ondeggiavano dalle spalle, alle braccia, al petto di Louis. Sotto quella maglietta a maniche lunghe si nascondevano una miriade di tatuaggi che avrebbe voluto accarezzare, baciare e mordere con noncuranza. Gli ultimi li avevano fatti insieme ed erano collegati gli uni agli altri; una bussola per una nave,  una corda per un’ancora, un “Oops” per un “Hi” detto per caso nel bagno di un locale. Non sapeva perchè lo avessero fatto, era sbagliato dopotutto. Se un giorno si fossero lasciati si sarebbero pentiti guardando ogni singolo tracciato nero, eppure non se ne erano preoccupati, forse per la troppa erba o forse perchè erano stupidamente sicuri che un amore bello come quello sarebbe potuto durare per sempre.
Con il palmo aperto Louis frizionò l'erezione nei boxer di Harry, che gemete sulla bocca dell'altro. Ogni volta che facevano l'amore era un incrocio tra dolore, desiderio e piacere che gli lasciava una sensazione piena alla bocca dello stomaco. Non poteva descriverla, ma la sentiva colpire la sua pancia ogni volta che la pelle di Louis cercava un contatto così intimo e sentito, piacevole. Il fatto che non riuscisse a pensare a nessun'altro era come se qualcuno avesse disegnato una linea a penna nella sua vita con un tratto talmente spesso da eclissare tutti gli altri. Si sentiva parte di qualcuno ed era certo che quel qualcuno facesse parte anche di lui. Era come se si fosse diviso a metà per donarsi, per poi coprire il buco con la metà dell'unica persona che voleva realmente. Louis era il tassello mancante del suo puzzle. E mentre le loro lingue si saggiavano in quel bacio lento e appassionato, caldo nel palato e freddo nei denti, Harry non smetteva di chiedersi quanto potesse essere fortunato.
E continuò a chiederselo anche quando Louis lo prese tra le braccia, le mani sulle sue cosce, e lo adagiò sul morbido divano. E insistette con quella domanda quando udì il tintinnio della fibbia della cintura in pelle, o quando – a occhi chiusi – percepì il frusciare dei pantaloni sulla pelle delle gambe di Louis.
«Mi ami?» chiese il minore, in un impulso. Il suo cuore fremeva con più forza sulla cassa toracica. Louis si mise tra le sue gambe, lo guardò negli occhi prima di baciargli le labbra lucide dove la vernice si era cancellata.
Dal canto suo, Louis amava Harry nello stesso modo in cui necessitava di respirare. Lo baciava muovendo la lingua con lentezza, gustando quel momento come se fosse speciale – e lo era, come lo erano tutti quanti. Si baciarono con la calma con cui si gusta un pezzo del proprio cioccolato preferito, e Harry – che era diventato quasi vorace per la sensazione di amore e calore – si era moderato di conseguenza mentre le sue mani si premuravano di carezzare la curva morbida della schiena di Louis, che con quella pelle bianca sembrava degna di una scultura di pietra.
E nonostante non ricevette alcuna risposta, Harry sapeva che Louis lo amava ciecamente. Erano un'unico armonico strumento formato da due pezzi complementari; erano pianola e piedistallo, o piatto e grancassa, oppure corde e arpa. E nonostante fosse stupido, incredibilmente idiota e sottovalutato, Harry quando guardava Louis si sentiva dentro il mare, il più impetuoso, egoista e geloso mare che avesse mai visto o sentito. Erano ondate di pura follia che bagnavano le sue rive, si sentiva implodere di amore e rabbia, odio e una punta di amarezza nei confronti di coloro che si avvicinavano al suo uomo, perchè sì, Louis era suo e di nessun'altro e chiunque avesse osato toccarlo, la compagnia esclusa, non avrebbe avuto vita facile.
Le loro erezioni si sfregavano ripetutamente, soltanto i boxer a dividerle. La bocca di Louis morse ripetutamente i pettorali di Harry, le areole rosa scuro, la pelle chiara che copriva lo sterno, il ventre piatto, per poi risalire.
L'intensità di quel momento era attorno e dentro di loro. Come sempre quando facevano l'amore.
E poi «Ti amo.» sussurrò Louis, come per rispondere alla domanda di Harry, che sorrise scioccamente all'uomo che lentamente lo stava privando dei boxer; li fece scivolare lungo le lunghe gambe magre e sode e lasciò che finissero per terra, insieme al resto dei suoi vestiti.
Fecero l'amore piano e dolcemente. Louis lo preparò con la cura e la dedizione che ogni uomo desiderava, con le sue dita lunghe e affusolate che più volte avevano accordato e suonato un pianoforte a coda. Lo preparò come solo l'amante più premuroso si preoccupava di fare, con la sua lingua e con le sue labbra calde e ormai pasticciate di trucco che Harry si sarebbe poi preoccupato di sistemare. E quando Louis fu dentro di lui, Harry avrebbe voluto piangere di gioia, colto com'era dal solito e abitudinale tumulto di emozioni indescrivibili.
Fecero l'amore perché era quello il loro modo di fare poesia. Fecero l’amore con il trasporto che ci si aspetta quando ci si dona all'altro. Il minore si lasciò baciare ovunque e per tutto il tempo, si lasciò stringere sotto le ginocchia e spingere più vicino per sentire di più e per poter andare più affondo. Louis si curò del suo piacere e del proprio, preoccupandosi di poter raggiungere insieme a lui il nirvana. Si amarono ciecamente nonostante il sesso spesso inibisse le persone.
E quando si trovarono l'uno sopra all'altro, stanchi e con la schiena indolenzita, si sussurrarono qualche piccola dolcezza, prima di alzarsi e sistemarsi il trucco distrattamente, pensando che quel giorno sarebbe stato il giorno per ricordare Jared e Hyden e ricordare le ingiustizie. Era un giorno per vivere, per morire e rinascere su quelle strade con visi di demoni dipinti sul volto e le mani chiuse in pugni stretti, le dita avvolte in colli di bottiglia fatti di vetro spesso.
«Devo sistemarti l'indaco sulle labbra.» sussurrò, mentre prendeva un ombretto e un pennello. Erano ancora svestiti, le loro semi-erezioni entrarono a contatto mentre Harry nuovamente si sedeva a cavalcioni su Louis. In quel momento avrebbero voluto nuovamente ricominciare, mandare all'aria i progetti per quella giornata e fare l'amore fino a notte fonda.
Harry, però, si dedicò a quella bocca schiusa colorandola nuovamente.
Louis sospirò. «Sei così bello.»
«Tu lo sei di più.»
Continuarono a guardarsi di sfuggita, i cuori a riprendere il regolare battito, gli occhi umidi e la mente ancora in viaggio, per ricordare quei momenti di passione accecante.
Non parlarono più, si dedicarono alla loro pelli, prima a quella di Louis, poi Harry si dedicò alla propria alzandosi dal corpo del maggiore e avvicinandosi allo specchio. Sistemò il trucco sbavato sotto agli occhi per le lacrime leggere che aveva versato inconsapevolmente per il dolore, si curò della propria bocca e dei capelli scompigliati. La coroncina si era spostata, i petali di plastica si erano piegati irregolarmente nel tumulto del momento, ma ci volle poco per sistemarla.
Harry, con la coda dell’occhio, osservò Louis indossare i pantaloni facendoli scivolare lentamente lungo le gambe magre e toniche; guardò la stoffa frusciare su quella pelle, coprire le ginocchia, avvolgere le cosce in una morsa stretta rendendole ancora più sode e proibite. Poi lo studiò indossare la maglietta, coprendo i tatuaggi che adorava vedergli addosso.
Scosse il capo. «Ti do un cappello.» sussurrò semplicemente, camminando verso la sua stanza, la pancia attorcigliata per quel meraviglioso corpo.
Prese dall’armadio i vestiti – che comprendevano un paio di jeans denim, una camicia bianca e una giacca scura elegante – e il cappello per Louis. Indossò tutto con calma, studiandosi allo specchio e sentendosi pronto a quella serata. Guardò sull'angolo destro della lastra spessa e si morse il labbro inferiore; c'era la foto della compagnia per intero con scritto in basso a destra “Chol, 7 ottobre 2010”. Erano morti in totale cinque di loro da quell’anno, uno in modo stupido, due in modo eroico e gli ultimi per le coincidenze e il caso, e ogni volta la rabbia si scatenava per le strade di Holmes Chapel.
Quel giorno sarebbe stato come ogni volta. Anime arrabbiate per le strade. Lui e Louis sarebbero usciti di casa con i volti dipinti, la gente li avrebbe squadrati per un po’, ma poi si sarebbero ricordati. Avrebbero preso la macchina o lo skateboard, questo ancora non lo avevano deciso. Sicuramente, però, sarebbero usciti di casa per fare tappa alla palestra, dove Zayn sicuramente stava ampliando il murales con i nomi di coloro che ci avevano lasciati. Non c’era dubbio: anche lui, con il viso dipinto, avrebbe brindato alla giovinezza rubata con loro quella sera.
Quando uscì dalla sua stanza, Harry lanciò il cappello a Louis, prese le chiavi e lo skateboard. Silenziosamente, lui aveva già deciso, e il maggiore lo seguì di conseguenza prendendo il suo appoggiato fuori, davanti all’ingresso.
Corsero per le strade spingendosi con il piede solo per sentire il vento soffiare sui loro visi e il sapore della libertà. Gli anziani e i bambini li guardavano con sospetto e una punta di disagio sul volto, i giovani li fissavano con ammirazione e desiderio di partecipare a quella festa, e loro erano invitati sempre e comunque a quelle manifestazioni, di tanto in tanto Harry si fermava per dire loro l’ora e il posto in cui si sarebbero trovati. Erano le sei e mezza quando arrivarono alla palestra. Zayn era chino sul suo murales della memoria, un ragazzo dai capelli castani gli accarezzava la schiena affettuosamente; il moro dai tratti orientali tremava, una mano appoggiata al nome di Hyden ancora umido.
L’altro ragazzo alzò il viso non appena vide Louis e Harry arrivare.
Liam era nel gruppo da poco. Ci era entrato solo per volere di Zayn, che lo aveva informato delle loro abitudini e dei loro insoliti festini commemorativi. Aveva due grandi occhi castani, una pelle chiara e perlacea sotto la maschera di vernice bianca che anche lui indossava quel giorno. Aveva motivi diversi su occhi e labbra, linee più dritte, ma ugualmente colorate, gli stessi tratti che aveva sul suo stesso volto Zayn, che a poco a poco si stava alzando da quella posizione scomoda.
«Continua a sorridere, chol.» sussurrò Louis, mentre si avvicinava per dare una pacca amichevole sulla spalla del ragazzo. Il suo viso aveva un trucco più sciupato per le lacrime e i gemiti di rabbia e frustrazione. 
Lui conosceva Hyden meglio di tutti in quel gruppo. Erano amici da quando andavano all’asilo, condividevano il lettino durante l’ora della siesta, giocavano nello stesso parchetto, facevano i compiti della cucina di Zayn e alle superiori temporeggiavano con un bicchierino di sambuca liscia perché la matematica – secondo la loro opinione – meritava un brindisi. Erano cresciuti dandosi la mano a vicenda: quando i genitori del pakistano divorziarono, quando la madre di Hyden se ne andò di casa, quando dovettero affrontare un lutto comune. Erano l’uno la spalla dell’altro, un’ancora in un oceano buio e immenso. Poi Hyden aveva conosciuto Tessy, Zayn aveva conosciuto Liam e avevano ritirato le ancore per un porto sicuro in cui approdare, mantenendo comunque una corda tesa a unirli.
Quella sera, Tessy ci sarebbe stata. Non sapeva con che forza, ma Harry era rimasto colpito da quella notizia. Un lutto così forte non si supera in poco tempo, eppure lei sarebbe stata lì a dare l’esempio; avrebbe bevuto, ballato e urlato con rabbia a quel Dio che le aveva portato via brutalmente un amore insolente come il loro, che si donavano l’uno all’altro senza preoccuparsi del “dove” e del “quando”.
Quando se ne andarono da quel vicolo, Liam stava ancora consolando Zayn. Avevano fatto tappa da Tesco per prendere delle bottiglie d’alcol prima di proseguire la loro strada sopra ai loro skateboard. Ci sarebbe voluto un po’ prima di arrivare al campo dove si sarebbe tenuta la festa, nel frattempo loro bevevano, si ubriacavano, si fermavano in qualche negozio per far casino, scrivere sui muri, cantare a squarciagola o addirittura ballare.
Si baciavano spudoratamente attaccati ai muri, gemendo piano per mantenere un po’ del loro pudore. La gente li guardava divertiti, altre volte inorriditi, altre ancora indifferenti nonostante nelle loro menti ristagnasse la consapevolezza del perché stesse accadendo tutto quello. Si baciavano e andavano contro la convenzione, dove i gay mantenevano le loro storie private, e anche Louis e Harry non si nascosero dietro a delle mura, mostrandosi aperti e innamorati davanti alle porte del Ohio Pub.
Lontano da loro c’erano altri che facevano lo stesso. Alcuni portavano sulla spalla una radio, oppure rollavano canne, o chi camminava in mezzo alla strada bloccando il traffico. C’era chi correva come un pazzo sulle biciclette, chi si denudava su una decapottabile lanciando vestiti addosso ai pedoni che attraversavano le strisce. Era l’anarchia giovanile e nonostante tutto l’odio represso, era un evento talmente affascinante da bloccare alcuni trentenni che magari camminavano per tornare a casa dopo un’ordinaria giornata di lavoro.
Harry trovava tutto quello un pittoresco evento che si ripeteva in circostanze sbagliate. Ma era un inno alla giovinezza per ricordare chi non ha potuto goderla, un inno per urlare a Dio che non lo avrebbero perdonato.
E che lui stesso non si sarebbe perdonato.

“Hey, when seas will cover lands
and when men will be no more
don’t think you can forgive you”


Arrivarono che erano ormai le nove. Si erano fermati a mangiare un boccone, ma nonostante il mattone sullo stomaco erano davvero ubriachi. Arrivarono nello spiazzo di terra soltanto quando il sole era già calato nell’orizzonte. Era un campo con una radio e degli amplificatori, delle luci fai-da-te e dei tavoli con bicchieri rossi di plastica e bottiglie mezze vuote.
Una ragazza dai capelli castani, lunghi fino al seno e con gli occhi di un castano screziato stava mirando a una pignatta con una mazza da baseball. Sandy, dietro di lei, le dava indicazioni di dove tirare, con quanta forza. Biascicava da quanto era ubriaco. Aveva i pugni chiusi, le nocche ferite e con dei segni rossi: probabilmente aveva fatto a botte con qualche stronzo che aveva cercato eroicamente di impedire quella festa. Era irascibile, talvolta incontrollabile, pazzo, ma loro lo adoravano così com’era perché sapeva farsi valere. Quando la ragazza colpì la pignatta, ne uscirono coriandoli e stelle filanti; Lilly, con i suoi capelli intrappolati in una coroncina di primule e genziane, si voltà verso Sandy per farsi baciare le labbra caldamente.
Quando si inserirono in quell'ambiente, ballarono come non avevano mai fatto prima. Liam si gettò su Zayn e ballò addosso a lui per tutto il tempo, Harry fece lo stesso su Louis, lasciandosi andare completamente ed eliminando ogni brutto ricordo.
Pensava a quanto tutto questo fosse giusto per loro, quanto la vita necessitasse di essere vissuta perchè prima o poi qualcuno te l'avrebbe portata via; talvolta la vecchiaia, talvolta gli eventi e il caso, altre un lutto. Loro non si facevano scoraggiare e ballavano fino a quando i loro piedi glielo avrebbero permesso. Ballavano senza darsi limiti di tempo o di spazio, e urlavano talmente forte da sentire il sangue sul fondo della gola. Era così che festeggiavano la giovinezza: vivendo fino alla fine quei giorni, talvolta ridendo, talvolta piangendo, talvolta fermandosi a parlare di quanto Hyden, Jared, Tobias, Renzo e Gerog fossero stati importanti per loro nel corso della vita.
Erano presenti tutti, come al solito. E c'era anche Tessy, ballava sopra a un tavolo, il viso rigato di lacrime, un vestito nero corto fino a metà cosce, un viso semplicemente tinto di bianco e con disegnata qualche cicatrice sbiadita. Lei non rappresentava la giovinezza, ma la rabbia di una morte ingiusta.
Aveva un rapporto con Hyden che faceva invidia, e lo poteva dire in quel momento dove nessuno l'avrebbe considerata stupida nel pensarlo. Si amavano da anni come pochi sarebbero stati disposti a fare. Avevano lottato e rinunciato per quell'amore cieco e senza confini, fino a consumare le unghie, ma senza cedere mai alla stanchezza. Quando seppe dell'incidente, ciò che fece fu piangere per un giorno, prima di rialzarsi.
Prima di decidere che avrebbe vissuto per lui.
Ballavano al ritmo di “Prayer in C” quando Niall raggiunse Harry e Louis porgendo un’altra birra piena. Sorrise loro gentilmente, facendo tentennare i vetri in un brindisi.
«A Hyden e Jared!» urlò a voce altissima, alzando la sua bottiglia. In quel momento, tutti alzarono la loro bevanda per brindare a loro volta a quelle vite spezzate prematuramente. «Alla nostra vita da vivere a pieno!»
Harry tracannò la birra, una lacrima intrappolata tra le ciglia.
Louis gli si avvicinò e la tolse con il pollice, prima di baciargli affettuosamente la guancia. «Continua a sorridere, chol.» disse in un sussurro, riservando per lui le parole più giuste in quel momento. «Sei il demone più bello in questo inferno di anime.»
Danzarono fino all’alba tra le fiamme di quel mondo che bruciava a poco a poco insieme ai suoi figli. Danzarono come anime arrabbiate, ma gioirono di quei momenti perché dal dolore non doveva nascere altro dolore.
In memoria di Jared e Hyden, loro gridarono alla morte con rancore.
In memoria di due ragazzi morti senza una ragione, loro piansero e ballarono.
Per i due ragazzi strappati alla vita, loro si donarono in quell'inno alla giovinezza, consapevoli che loro non volessero tristezza, ma solo la gioia nei cuori di tutti, e vedere i loro chol spiccare il volo.
  
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