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Autore: Daisy90    18/10/2014    1 recensioni
“La prima volta che ti ho visto ho pensato che c’era qualcosa di te di cui avevo bisogno. Poi ho capito che non era qualcosa di te. Era di te che avevo bisogno.”
Questa è la storia di Lavinia, una ragazza costretta a fuggire dalla sua vita per dare un futuro ad un’altra vita.
Una donna forte, forse indomabile, quasi irraggiungibile. Discreta, ama in segreto, ha lo sguardo sicuro e il cuore pieno di lividi. Sorride ma ingoia lacrime. Vive e dona vita.
Forse ci sarà qualcuno al suo fianco, qualcuno si prenderà cura di lei proprio quando sta per crollare. Qualcuno avrà il suo stesso cuore e non la lascerà più andare.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Going away from everything

Il gate chiude alle 17:29, io sono già pronta e in anticipo. Sfinita, assonnata, non sento più nemmeno l’ansia della partenza. So che è l’unica soluzione al disastro della mia vita, una vita che solo cinque mesi fa era perfetta.
Il biglietto, ovviamente solo andata per Londra, mi è costato un occhio della testa, erano rimasti dei posti soltanto in business class e mi sono dovuta accontentare, per modo di dire.
Mi imbarco insieme agli altri passeggeri e già solo osservandoli capisco la portata dei loro redditi; anche io avevo un lavoro piuttosto buono presso una banca, ma da domani in poi mi andrà più che bene fare la barista in qualche pub pur di pagarmi l’affitto e le bollette. Devo risparmiare il più possibile e non sperperare il piccolo accantonamento che ho sul conto.
La prima classe è qualcosa di inaspettato: ci sono delle poltrone più simili a un triclinio in cui ci si può distendere e riposare, uno schermo avanti ogni seduta e un tavolo di cortesia in comune con il passeggero di fianco. Questa riservatezza e tranquillità possono farmi solo bene, magari riuscirò anche a dormire.
Vicino a me non siede nessuno mentre dall’altro lato dell’aereo si sta accomodando un uomo abbastanza giovane che discute animatamente al telefono in lingua Inglese.
Già, l’Inglese, altra cosa con cui dovrò scontrarmi.
È inverno, ma Roma è ancora abbastanza calda, tuttavia ho ancora addosso il mio piumino lungo che temo sarà indispensabile a quella latitudine e con la pioggia costante.
Le hostess inizia a controllare gli armadietti, tutti i passeggeri sono a bordo e prima che chiudano lo scomparto sopra la mia testa mi decido a spogliarmi del soprabito e a sistemarmi sul sedile per la partenza.
Sento gli occhi puntati addosso, mi convinco sia solo la mia paranoia, dopo tutto: non sono l’unica a girare con una pancia in tutto il mondo.
Già, sono incinta, al quinto mese e questa è la mia storia.
Fidanzata da sei anni con Fabio, dopo gli studi universitari abbiamo deciso di convivere anche per via dei rispettivi lavori. Io in banca, lui in un’assicurazione, entrambi a Viterbo. Io ventisei anni, lui ventinove, la coppia più in voga per parecchio tempo, lui bello e sfrontato, io abbastanza bella e sicuramente stronza.
È stato il centro della mia vita indiscutibilmente per moltissimo tempo, e me lo porterò dietro per sempre, ma non per l’amore purtroppo.
Quando abbiamo scoperto che aspettavamo un bambino lui mi ha immediatamente abbandonata.
Mi sono ritrovata senza una casa e senza un compagno, ma con un figlio e grazie a Dio, ancora un lavoro.
Ho pertanto optato per la decisione meno indolore, prendermi un monolocale in affitto e continuare la mia routine in modo responsabile. I miei genitori che abitano a circa seicento km da Viterbo hanno saputo subito la splendida notizia della dolce attesa, quello che non sanno è il piccolo inconveniente della fuga del padre di questa piccola creatura. Cosa che ho dovuto omettere per via delle condizioni di salute abbastanza complicate di mio padre e della situazione familiare terribile che stiamo tutti vivendo.
Il motivo della mia partenza a cinque mesi dal concepimento?
Il motivo è il più squallido e terribile che si possa immaginare.
Tre giorni fa, Fabio, scoperto il mio nuovo domicilio, mi ha teso un vero e proprio agguato.
Ubriaco già alle sette di sera mi ha aspettata nascosto sotto casa, e io arrivata dopo una giornata trascorsa tra pratiche e valutazioni finanziarie, mi sono trovata sola, impotente e disarmata, davanti alla furia di un uomo che trasformato come un demonio, mi ha pestata a sangue urlandomi di dover morire perché gli ho rovinato l’esistenza e ho fatto in modo subdolamente di rimanere incinta per legarmi al suo patrimonio di famiglia.
Tre giorni dopo sono qua, in partenza per una vita che devo ricostruire da capo, fuggo come una latitante dal male, dal dolore e dalla paura di essere trovata da quell’uomo.
Ai miei ho parlato di un trasferimento per un contratto di lavoro in Norvegia, peccato che in Norvegia non mi troveranno mai. È importante che lui non sappia dove sono, quindi non potrò rivedere mamma e papà per diversi mesi in modo da poterlo depistare del tutto.
E cosa ne è della denuncia per violenza e percosse alle forze dell’ordine?
Bhè, inutile farla, se fossi rimasta a Viterbo o in Italia, mi avrebbe trovata e avrebbe ucciso me e il mio bambino prima che le autorità potessero fare qualcosa.
Questa è la mia storia: una ragazza di nome Lavinia che può solo provare a ricominciare per donare un futuro al frutto di un amore tanto malato.
Il motivo per cui mi osservano dunque? Il motivo per cui l’uomo alla mia destra che prima parlava al telefono adesso socchiude gli occhi e apre la bocca?
Semplice: ora che ho tolto la giacca è tutto ben visibile, la pancia, i graffi sulle mani e sugli avambracci che ancora sanguinano, lo zigomo ferito, il labbro tagliato.
E questo è solo l’antipasto rispetto alle tumefazioni che ho sulle gambe e soprattutto sulla pancia.
Segni che guariranno presto sulla mia pelle ma che saranno indelebili nell’anima.
Mi siedo lentamente facendo attenzione a causa del dolore diffuso al costato e cerco di allacciare la cintura come d’obbligo.
Un’hostess, probabilmente mossa più da pietà che da professionalità, mi raggiunge e con sorriso amichevole mi aiuta ad allentarla.
Non ho paura di volare, ma sono triste, triste per tutto e imbarazzata per i pensieri della gente.
Il decollo avviene senza complicazioni e una volta in quota possiamo liberarci della sicura e accomodarci come preferiamo.
Mi distendo sul sedile e una ragazza inizia ad offrire vino ai passeggeri, rifiuto, vista la dolce attesa e scopro con gratitudine che senza volerlo la stessa passa poco dopo con un bicchiere di succo d’arancia e una coperta leggera per ripararmi dal condizionatore dell’aereo che effettivamente può dare fastidio a una donna nel mio stato.
Il succo è dissetante e molto dolce.
Troppo dolce per le mie nausee che puntuali come un orologio svizzero mi assalgono inesorabilmente.
Diamine, devo correre alla toilette; arrivo giusto in tempo prima di fare un disastro sul corridoio e finalmente riprendo a respirare regolarmente.
Mi rinfresco la bocca e il viso ed esco per tornare al mio posto.
Quando apro la porta del bagno mi trovo avanti il ragazzo di prima. Probabilmente deve usare anche lui il servizio. Quindi in Inglese farfuglio un –mi scusi- e avanzo di un passo per fargli spazio, ma il suddetto non si sposta e mi parla in Italiano, con mia sorpresa –non ho bisogno del bagno, solamente mi chiedevo se si fosse sentita male, sa, le hostess sono nel retro e non avrebbero potuto aiutarla-.
Resto basita e grazie ai miei maledetti ormoni da gestazione inizio a provare quel mix tra riconoscenza e fastidio per il pronto intervento. Sono incinta, non malata, mi hanno presa a calci, è evidente, ma ancora mi reggo in piedi tutto sommato. Il buon senso supera l’umore fortunatamente –la ringrazio, non si preoccupi, fa parte del pacchetto “donna incinta”- sorrido tra il sarcastico e lo sconsolato, le nausee continuano a tormentarmi anche se ho passato la metà dei nove mesi.
-Bene, allora la accompagno se non le dà fastidio- asserisce, -grazie- rispondo semplicemente.
Di nuovo seduta mi accoccolo e finalmente riesco a dormire.
Il risveglio è stato brusco, le hostess hanno esclamato l’atterraggio e tutti sono sull’attenti, mi accorgo, ancora assonnata di avere addosso la coperta, che osservo come perplessa; alla muta richiesta risponde sempre quell’uomo –ho pensato potesse raffreddarsi, mi sono permesso di coprirla, non voglio essere invadente, resta a Londra? Sembra un po’ spaesata- tutta questa premura da parte di uno sconosciuto è quasi stucchevole, ma tutto sommato è vero, sono un’anima alla deriva, una donna che si regge su una speranza irrisoria, una ragazza che ha bisogno di tutto al momento e non ha niente se non se stessa e suo figlio. Mi accarezzo la pancia, il piccolo ha calciato, sembra essersi svegliato anche lui. –Io non la conosco, ma visto che il mio corpo parla per me, capisco le sue domande. Sì, credo di restare a Londra, devo ricominciare tutto da capo.-.
Il ragazzo sorride –io vivo a Londra da circa tre anni per lavoro, ma sono italiano, di Bologna. Ha già un impiego, una casa quassù?- rispondo –no, è stato un trasferimento, diciamo di emergenza; resterò in hotel mentre cerco sia il lavoro, sia la casa- lui riprende –ok, se posso, essendo sola a quanto pare e comunque considerando la metropoli londinese mi sento di consigliarle un quartiere tranquillo, magari appena più costoso, ma sicuro, tipo Barnes, lo conosce?- rifletto –ne ho sentito parlare. Mi sembra un uomo  rispettabile forse posso fidarmi del suo consiglio, anche se di sorprese circa la vera indole delle persone ne ho avute parecchie ultimamente.-, -si figuri, è normale essere diffidenti, comunque io sono Fabrizio, lei è?-, -Lavinia-, -piacere Lavinia, e ben atterrata sul suolo britannico- sorrido di sollievo.
Al rullo dei bagagli siamo ancora vicini e per fortuna la business class ha un trattamento privilegiato anche su questo dandoci la precedenza sull’economy.
-qual è la sua valigia?- è sempre la sua voce, ma sussulto ugualmente perché ero sovrappensiero –oh, mi ha spaventata-, -pardon, la prendo io, lasci fare-, -ma non serve-, -insisto, fino al taxi, poi la porterà lei-, -ok, mi rassegno, sa essere piuttosto testardo mi sembra-, -non immagina quanto- e scoppia a ridere.
È un bel suono quello della sua risata, è caldo. Forse sono davvero così profondamente disperata che ricevere questo aiuto mi fa stare bene, mi fa sentire che il mondo è ancora buono, che c’è qualcuno per te a volte.
Fuori da Heathrow l’aria è gelida, ma questa è nuova vita, questo è futuro.
 
The corner:
Salve a tutte, questa è una seconda storia rispetto a quella che ho già iniziato e che, anche se non qualche intoppo, sta proseguendo. Mi piace parlare di positivo e di futuro quando le cose sono complicate, perché a volte da un dramma la vita migliora.
Lavinia non sa ancora cosa l’aspetta dopo l’atterraggio ma ci saranno nuove svolte e degli incontri.
Se siete interessate a questo primo capitolo, seguitemi e recensite! Le vostre opinioni sono fondamentali per me!
A presto, Daisy!
:D
 

 
 

 
  
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