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Autore: Euridice100    18/10/2014    11 recensioni
"Mr. Gold ha tutto.
No, non è vero.
Mr. Gold ha tutto fuorché lei."
( Victorian!AU RumBelle )
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Cora, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Your dream is over... Or has it just begun?'
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XXI - Amore che vieni, amore che vai
 
 
 
Quei giorni perduti a rincorrere il vento, 
a chiederci un bacio e volerne altri cento, 
un giorno qualunque li ricorderai, 
amore che fuggi da me tornerai.
 
 
 
La stanza risuonò della risata più gaia che quelle mura avessero udito da molti anni a quella parte.
Gli occhi della responsabile luccicavano quando si posavano sull’anello che teneva stretto tra le dita e che studiava col misto di fascinazione e disprezzo che il semplice pensiero di quell’oggettino le causava.
Sei diventato un miserabile, Robert, pensò la contessa Mills. A furia di stare con quella pezzente i tuoi gusti sono davvero peggiorati.
Il gioiello non aveva nulla della magnificenza di Garrard, dell’eleganza ariosa di Tiffany o perlomeno dello splendore di Chopard: era una semplice banda dorata – regolabile, per giunta, che caduta di stile! – in cui era incastonata una pietra di qualità infima – una pietra di luna o un opale? Non ne era sicura; né, a essere sinceri, nutriva alcun interesse. Sarebbe stata più consona un’acquamarina, o uno zaffiro, al più un lapislazzulo, ma non un opale, per quanto fosse un portafortuna alla moda. 1
Magari stava risparmiando per tutti i doni che avrebbe dovuto farle per riconquistarla…
Ghignò, stringendo più forte il monile. Non le era passato inosservato il colore della pietra – qualunque essa fosse – né il fatto che, quando la luce la colpiva, essa pareva accendersi di mille riflessi cristallini; nell’istante stesso in cui aveva notato quei particolari, un retrogusto amaro si era impadronito della sua bocca, e nulla aveva potuto scacciarlo.
Un anello la cui corona reggeva una pietra dello stesso colore degli occhi della donna che l’avrebbe portato significava solo una cosa; e Cora aveva ricevuto così la conferma suprema: Robert Gold era impazzito. Non poteva aver improvvisamente rinnegato le sue idee sul matrimonio e deciso di compiere il grande passo con una sciacquetta di vent’anni, no: il Robert Gold che conosceva, l’uomo col quale aveva condiviso due decenni di vittorie, non si sarebbe lasciato convincere da nessuno, nemmeno da lei, se mai le fosse balzata in mente un’idea tanto insensata.
Non riusciva a capire cos’avesse fatto la French per irretirlo a tal punto; perché a nulla era valso l’atteggiamento vago che i due avevano mantenuto in sua presenza, anzi: l’uomo sarebbe anche riuscito a instillarle un dubbio, forse, ma il teatrino della ragazza era stato, per essere misericordiosi, pessimo.
E in ogni caso, le testimonianze di Mendell, della Green e, da ultima, di Regina valevano più di ogni recita.
Alla fine, proprio la bambina si era rivelata il cavallo vincente su cui puntare. Cora si complimentò con se stessa: aveva svolto un ottimo lavoro con lei, tirandola su senza quell’indulgenza sinonimo di lassismo che rovinava la gente. Nessuno avrebbe mai fatto regali al prossimo, chiunque avrebbe dovuto lottare per ritagliarsi un posto al mondo – chiunque, anche chi fosse nato nella bambagia; anzi, questi ultimi avrebbero dovuto raddoppiare i propri sforzi, per dimostrare di essere degni della posizione occupata. Regina l’aveva finalmente capito, e la settimana dallo zio era stata il suo banco di prova: era tornata a casa con notizie succulente e riscontri inaspettati; e poco importavano la ritrosia nel riferire le informazioni o le dita tremanti con cui le aveva consegnato l’anello: contava che l’avesse fatto.
È una bambina adorabile, era solita dire Cora Mills alle amiche quando parlava della figlia; ebbene, quelle parole corrispondevano a realtà. Il sorriso accennato che Regina si era concessa apprendendo del trasferimento a Londra del suo adorato cavallino e dell’insegnante di equitazione – un premio che le aveva volentieri elargito dopo la fedeltà dimostratale – ne era stata la suprema conferma: Regina non solo sapeva stare al mondo, ma sapeva starci da autentica Lady britannica.
Era orgogliosa di sua figlia e del modo in cui l’aveva sostenuta; ma ciò che restava da compiere sarebbe stato solo affar suo.
Da un momento all’altro il calesse sarebbe stato pronto; si calcò bene in testa il mantello scuro e sorrise tra sé e sé, facendo scivolare con attenzione l’anello in una tasca interna. Perderlo a quel punto sarebbe stata un’autentica disgrazia; e lei non era come certe servette che si lasciavano sottrarre i propri averi persino dalle ragazzine – Dio, quanto avrebbe pagato per assistere alla reazione di quella nanerottola dinanzi all’assenza del suo nuovo giocattolo! Chissà se aveva pianto, da bambinetta qual era…
Ma chi la fa l’aspetti: la French le aveva portato via Gold, e lei le avrebbe portato via molto più di un semplice regalo. Si sarebbe pentita di essere venuta al mondo perché presto, volente o nolente, ne avrebbe saggiato aspetti di cui forse non aveva letto neanche nei suoi amati romanzetti, aspetti di cui forse non immaginava nemmeno l’esistenza, ma che entro breve sarebbero divenuti la sua nuova realtà; e la colpa sarebbe stata interamente sua.
Sua, di Robert Gold che aveva deciso fare il sentimentale in tarda età, e del suo defunto paparino che si era inimicato la gente sbagliata.
Tale padre, tale figlia, commentò incamminandosi verso la porta: quando, in tempi non sospetti, l’ex amante le aveva raccontato le disavventure finanziarie del suo ultimo acquisto, non avrebbe mai immaginato che le sarebbero tornate utili per simili scopi.
Prima della rovina viene sempre l’orgoglio.
Che la French se ne godesse gli ultimi sprazzi.
Perché ti rovino, Belle French. Te lo giuro.
 
 
 
Un giorno qualunque li ricorderai, 
amore che fuggi da me tornerai.
 ”
 
 
 
Bussò appena prima di far capolino nello studio.
- Posso? – domandò sforzandosi di sorridere all’uomo, che pareva perso nella contemplazione di qualcosa fuori dalla finestra.
- Chiederlo dopo essere entrati non è certo di grande utilità, – ironizzò voltandosi verso di lei.
- In genere è la sposa a essere più nervosa, – commentò senza pensarci. Se ne pentì subito: era lì per dargli una notizia tutt’altro che piacevole, per metterlo a parte di sospetti che avrebbero potuto far scoppiare il finimondo. In tal caso, avrebbe battuto ogni precedente: avrebbero litigato per due volte nell’arco di neppure dodici ore, con l’unica variante che la prima discussione era stata frutto di gelosia immotivata, mentre stavolta ci sarebbe stato un valido, validissimo motivo per arrabbiarsi.
Ma aveva aspettato fin troppo per confessargli quanto accaduto, e non aveva alcuna intenzione di procrastinare ancora. Per ripetere le parole di Mary Margaret, non dovevano esserci segreti tra innamorati; se lei per prima non aveva tollerato il comportamento tenuto dall’uomo quando si erano diffusi pettegolezzi sul loro conto, come poteva ora predicare bene e razzolare male, svilendo a tal punto i propri principi?
Gold le si avvicinò a grandi passi; le prese il volto tra le mani e la baciò a lungo, giocando con le sue labbra, mordicchiandole piano, infondendo nel gesto una passione che lei non esitò a ricambiare.
Quando si separarono, Belle aveva le gote in fiamme, e l’uomo non seppe trattenersi dal ridacchiare carezzandogliele. Il lato timido della sua Sweetheart gli piaceva tanto quanto quello più passionale: coesistevano, fondendosi e rendendola lei. Unica e inimitabile, con la sua bellezza mai tenue, mai ornamentale, e l’eleganza greggia di quel sorriso sveglio che rendeva il suo mondo un posto migliore.
La sua reazione, come prevedibile, sortì lo stesso effetto di un drappo rosso sventolato dinanzi a un toro: la donna aggrottò la fronte fingendosi offesa e borbottando, conscia di essere udita.
- Dovresti presentarti così all’altare. Quando arrossisci sei davvero carina… Persino più di quando sei arrabbiata, – la punzecchiò pregustandone la reazione.
- Ieri non sembravi dello stesso parere.
- Ma solo gli sciocchi non cambiano mai idea, e io, mia cara, sono tutto fuorché uno sciocco, – aggiunse lui con un gesto vago e un ghigno sulle labbra – Piuttosto, – tornò serio – Sei… Sei ancora disposta ad anticipare il matrimonio?
Assentì cercando di ignorare il ben noto groppo che da un giorno le stringeva la gola.
- In tal caso dovremo partire quanto prima. Già domani, magari… Domani mattina molto presto, prima delle cinque. Dobbiamo percorrere molte miglia, se vogliamo raggiungere il Nord in pochi giorni. Chiaramente di sera ci fermeremo in qualche locanda, dovremo tenere un basso profilo, e una volta arrivati in Scozia dovremo stare lì almeno ventuno giorni prima di sposarci 2 – sta’ tranquilla, mi occupo io dei documenti e del resto. Però per l’abito dovremo scegliere in fretta: ti fisso per oggi stesso un appuntamento da Worth 3 e il vestito sarà lì per la data prestabilita.
Per l’intera durata del monologo una frastornatissima Belle non gli aveva staccato gli occhi di dosso. Dinanzi al suo insolito silenzio, si trovò a chiedersi se non avesse dimenticato, o peggio, sbagliato, qualcosa.
- Belle? – la scosse preoccupato – Se non sei d’accordo su qualcosa basta parlare, – la cameriera continuava a fissarlo senza aprir bocca – Darling, per piacere…
- Tu hai organizzato il nostro matrimonio senza dirmi niente?
Il disappunto sul volto della giovane lo lasciò perplesso.
- Credevo ti facesse piacere… – bisbigliò sbattendo le palpebre perplesso.
- No che non mi fa piacere, siamo in due a sposarci!
- Preferisci la Paquin? 4 È un’emergente, ma pare piaccia molto… O vuoi che siano le sarte a venire qui, anziché andare tu da loro?
- Non è Worth, Paquin o altri, ma il concetto alla base, – Belle respirò a fondo prima di riprendere a parlare – È il nostro matrimonio. Abbiamo deciso di anticiparlo, e sono più che d’accordo, ma è una cosa che si affronta in due. Mi sono presentata qui e mi sono ritrovata sommersa da una marea di informazioni senza quasi aver voce in capitolo… Voglio dire, – aggiunse descrivendo un ampio gesto con le mani – Per poco non scegli anche il mio abito!
Gold distolse lo sguardo. Avrebbe dovuto immaginarlo. Era con Belle che stava parlando, non con una persona abituata a essere servita e riverita dalla nascita: la sua promessa non permetteva a nessuno – tanto più al futuro sposo – di ingerirsi in faccende che riguardavano lei e lei soltanto. E in una questione come il matrimonio ciascuno avrebbe dovuto fare la sua parte, senza provare a imporsi sull’altro… Diamine, aveva ragione! E dire che si era persino trattenuto: per un istante aveva pensato addirittura di contattare direttamente gli stilisti…
Nessuno a parte me può decidere il mio destino”: una delle prime frasi che aveva sentito pronunciare da Belle, parole che avrebbero dovuto fargli comprendere subito la persona che aveva davanti. Eppure, a distanza di mesi, c’erano ancora momenti in cui pareva scordarsene.
- Non era mia intenzione offenderti, – mormorò visibilmente dispiaciuto – Pensavo preferissi non dover preoccuparti degli aspetti più pratici.
- Non mi hai offesa. È solo che mi conosci, sai come sono fatta… – si pentì dello scatto avuto poco prima – Mi spiace averti rattristato. Volevi aiutarmi, e te ne ringrazio, ma sai che non mi va che gli altri organizzino nel dettaglio la mia vita.
- Lo so, e ti amo anche per questo. Parleremo del matrimonio con calma, va bene?
Annullarono la distanza tra loro, le fronti che si sfioravano e le mani strette, le dita che s’intrecciavano e si carezzavano lievi. Belle aveva scoperto di amare quegli istanti più di ogni altra cosa: restare vicini in un silenzio che non conosceva timore o indifferenza, ma pace – quella pace che avvolge l’anima e il corpo, che si sperimenta solo a fianco di una persona di cui ci si fida con tutti se stessi – era un gesto che profumava della quotidianità tanto sospirata.
La fine di ogni complicazione, una vita serena accanto al suo compagno di vita, le piccole abitudini di tutti i giorni che uniscono più dei tumulti della passione: è questa danza discreta che più le mancava 5, di cui più, ormai, sentiva il bisogno.
- Secondo te quanto chiacchiereranno gli altri quando spariremo per giorni e giorni? – domandò scherzosa per smorzare la residua tensione, senza dissimulare il sorriso che il pensiero le causava.
- Con ogni probabilità saremo lo scandalo dei prossimi dieci anni – e non sto esagerando. Ma il personale non fa domande…
- Io te ne ho sempre fatte.
- Infatti tu sei sempre stata una pessima cameriera.
- Ma come osi…!
Provò a tirargli un pugno sul petto che l’uomo parò senza grandi sforzi, approfittandone per rubarle un altro bacio.
- Però è della cameriera peggiore che mi sono innamorato.
Belle chinò il mento. Era arrivato il momento di parlargli. Ancora una volta, si era attardata fin troppo: neanche in questo caso era stato per sua volontà, ma ora la situazione andava chiarita. Non poteva permettersi ulteriori rinvii a poco più di venti giorni dal matrimonio: ciò che era successo andava affrontato subito, e subito.
Se i tuoi sospetti dovessero rivelarsi veri… Perdonami, Robert, per non averti creduto.
Si redarguì per la paura che provava, e si morse le labbra.
- C’è una cosa di cui la sposa vorrebbe parlarti. Una cosa importante.
Lo smorfia giocosa sul volto dell’uomo lasciò immediatamente posto a un’espressione attenta.
- Dimmi tutto.
Deglutì appena prima di parlare.
Avanti, smettila di essere così codarda.
Fa’ la cosa giusta e il coraggio verrà da sé, giusto?
- Io…
Ogni tentativo fu stroncato sul nascere dal precipitoso arrivo di Archie, che si scagliò nella stanza senza quasi bussare.
- Scu-scusate, – soffiò agitato, sistemandosi gli occhialetti scivolati sul naso – Mr. Gold, non era mia intenzione disturbarvi, ma è appena giunta notizia… – il maggiordomo era visibilmente affannato, come reduce da una lunga corsa che gli aveva tolto il fiato – Colchester, signore. Lo stabilimento di Colchester è in fiamme da stanotte. È appena giunto un dispaccio, la vostra presenza è richiesta con massima urgenza…
Belle non dimenticò mai il silenzio che s’impadronì dello studio a quell’annuncio: un silenzio freddo e viscido, che s’insinuò sotto la pelle dei presenti, bloccandoli all’istante.
Si voltò d’istinto verso Robert: il suo volto era una maschera indecifrabile. Solo lei conosceva il significato di quegli occhi socchiusi, di quel muscolo della guancia appena irrigidito, del modo – lento, graduale, inarrestabile – in cui la pacatezza sparì dal suo sguardo.
Nonostante la presenza di un terzo, la domestica non seppe impedirsi di posargli una mano sulla schiena, quasi a comunicargli la sua vicinanza.
Una mano che parve non notare.
- Capisco – quando parlò, la voce dell’industriale sembrò provenire da molto lontano – Partirò immediatamente – fece per allontanarsi, ma quando raggiunse la porta si fermò brusco e tornò indietro – Belle, – mormorò senza quasi guardarla in volto – Sweetheart, ne riparliamo al ritorno, va bene?
- Ma… Sì.
- Al ritorno, – le sfiorò le labbra in un bacio timido e rapido, quasi timoroso, così diverso da quelli che l’avevano preceduto – Perdonami.
Rimase a guardarlo mentre usciva dalla stanza.
In futuro, Belle French si sarebbe spesso chiesta cosa sarebbe accaduto se quel giorno Robert Gold fosse rimasto ad ascoltarla solo altri cinque minuti.
 
 
 

E tu, che con gli occhi di un altro colore, 
mi dici le stesse parole d'amore, 
fra un mese, fra un anno

scordate le avrai, 
amore che vieni

da me fuggirai.

 
 
 
Otto giorni possono essere, a seconda dei casi, un tempo molto lungo o incredibilmente breve. Per un condannato a morte l’ultima settimana prima dell’esecuzione sembrerà balzar via rapida come un ghepardo; per uno scolaro, le ultime lezioni prima delle vacanze saranno – quasi – sempre lente e noiose, un periodo privo di motivazione e impegno.
A un amante sincero che nasconde un segreto quei giorni parranno, semplicemente, una tortura.
Il peso che Belle si portava dietro era troppo grande per una persona che nel corso della propria vita aveva dovuto celare ben poco: ripensava con nostalgia alle volte in cui aveva comprato di nascosto titoli altrimenti proibiti e li aveva letti al buio della sua stanza, la luce di una candela come unica compagnia. Eppure, anche allora un’occhiata sospetta del padre o della governante dinanzi ai suoi sbadigli mattutini era sufficiente a farla sentire a disagio; era facile, pertanto, immaginare quale effetto potesse avere occultare qualcosa di più grande di lei, che avrebbe potuto mettere a repentaglio il suo amore.
Di notte, gli incubi si susseguivano e le permettevano di prendere sonno appena prima dell’alba, facendola scendere in cucina in ritardo; e per l’assenza di riposo e i pensieri incessanti, trascorreva il resto della giornata in uno stato quasi catatonico che la portava a essere più maldestra del solito e a guadagnarsi occhiatacce dai colleghi.
- La nostalgia è una brutta bestia… Specie quella per i coccodrilli… – la canzonava bonariamente Killian, ottenendo in tutta risposta una pedata da Mary Margaret.
- Tutto bene, tesoro? – le chiedeva sollecita la donna dopo averle dovuto ripetere per l’ennesima volta la lista della spesa o le incombenze cui dedicarsi – Se vuoi parlare di qualunque cosa io ci sono, non dimenticarlo.
Belle si sarebbe volentieri confidata con lei, ma quale suggerimento avrebbe potuto ricevere, se non quello di parlare quanto prima col diretto interessato? Suggerimento che già aveva intenzione di concretizzare, che già aveva provato a concretizzare…
Una mattina aveva provato ad andare da Tink, senza trovarla: l’amica era uscita per sbrigare delle commissioni, e le altre volontarie non sapevano quando sarebbe tornata. Era rimasta a giocare coi bambini, e quando era tornata a casa aveva trovato una sorpresa che l’aveva rallegrata non poco.
- Cos’avevo detto? – aveva commentato Killian quando Mary le aveva allungato una missiva – Si chiama mal d’amore!
Era superfluo controllare il mittente, comunque non scritto: la domestica era corsa in stanza e aveva aperto la busta col petto in fiamme, le righe del testo che quasi danzavano, confondendosi dinanzi agli occhi. Erano poche parole, un biglietto più che una lettera; ma anche una semplice frase sa emozionare quando è scritta col cuore, e quelle lo erano, lo erano senza dubbio.
Belle non era riuscita a non sorridere leggendo le parole di Robert, mentre una vocina la tranquillizzava, ripetendole che tutto sarebbe andato per il meglio; ma poi, un altro sguardo alla scatolina vuota le aveva fatto tremare l’anima e le lacrime avevano iniziato a scorrere.
La situazione la inquietava, vero, ma sentiva che non era solo l’ansia di dover comunicare al promesso sposo la notizia a causare quelle emozioni: era una sensazione molto più sottile e molto più intensa, che veniva dal profondo dell’animo e pareva gettare ombre sull’intero loro avvenire, come se – anche in caso del chiarimento che, ne era certa, ci sarebbe stato – l’incidente fosse comunque indice di una sventura innominabile che alla prima occasione si sarebbe abbattuta su loro. Belle non era particolarmente superstiziosa, non lo era mai stata; tuttavia i moniti e le rassicurazioni della ragione a poco erano utili in simili momenti.
Più di una volta si era chiesta se la sua ansia non fosse dovuta, molto più semplicemente, alle nozze imminenti: tutte le future spose erano spaventate, e forse ciò che stava vivendo era normale, solo acuito dal particolare contesto… Però, doveva riconoscere, affidarsi a quell’ipotesi avrebbe significato mentire a se stessa: perché era vero che non aveva esperienza in matrimoni, ma era anche vero che lei avrebbe sposato Robert seduta stante, nella stessa casa in cui era cominciato tutto, con Archie a officiare e gli altri ad assistere.
No, doveva ammetterlo: c’era dell’altro, dell’altro che sarebbe svanito solo dopo essersi lasciati alle spalle quel periodo e averne iniziato uno nuovo, uno in cui non avrebbero più dovuto temere attacchi da parte di chi non conosceva che invidia e rancore.
Ancora un altro po’.
Dovete solo resistere.
Era ciò cui Belle stava pensando quella mattina prima di scendere a lavorare. Stava per aprire la porta quando sentì bussare e il volto sottile di Ashley fece capolino in camera.
- Buongiorno, – augurò timidamente – Posso entrare?
- Fa’ pure, – l’accolse allegra – Allora, pronta per il bucato di oggi?
Belle non avrebbe saputo descrivere cos’era successo: un istante la ragazza la fissava con gli occhioni sgranati, e quello seguente le era saltata al collo singhiozzando forte. Rimase interdetta nel sentire le lacrime dell’amica bagnarle il petto: le carezzò la testa per lunghi momenti, nella speranza di tranquillizzarla, prima di chiederle gentile: – Ashley… Cosa c’è?
Le sue parole si persero nel vuoto: la collega continuava a stringerla forte blaterando frasi sconnesse e tremando. I peggiori scenari scorsero nella mente di Belle, che continuò a cullare l’amica nell’attesa che tornasse in sé.
- Mi stai facendo preoccupare… Cos’è successo? Sai che se posso ti aiuto…
Le parole sembrarono sortire l’effetto sperato: sebbene le lacrime rotolassero ancora copiose sulle guance della ragazza, ella smorzò l’abbraccio e il suo respirò si fece lentamente più regolare.
- Grazie, – mormorò passandosi una mano sul volto – Grazie per essere così gentile con me, anche se ti ho maltrattata…
- Su, su, – la zittì – È passato. È stato un periodaccio, e tutti abbiamo reagito male, ma ora è finito e ricordare non può comunque cambiare quanto successo. Piuttosto, dimmi perché stai così…
Ashley chinò il capo e mugugnò qualcosa di inintellegibile che causò l’ennesima occhiata perplessa.
- Sono incinta.
- Cosa? – Belle trattenne il fiato dinanzi a quella confessione. Impallidì e fissò a bocca aperta l’amica, che già stava ricominciando a singhiozzare, prima di rendersi conto dell’inadeguatezza della reazione – No, no, no, così non risolviamo niente, – le strinse le mani e le sollevò il mento per guardarla dritta in volto – Ashley… Ne sei certa?
- Sì… T-tre mesi… Circa… – continuò a piangere sulla spalla di una Belle che non sapeva né cosa dire, né tantomeno cosa fare: non si era mai trovata in una simile situazione e la notizia l’aveva lasciata attonita, anche se certamente maggiore era il turbamento della diretta interessata. Ashley era da lei in cerca di conforto, e il suo silenzio no l’avrebbe certo aiutata. S’impose determinazione e respirò a fondo prima di chiedere: – Il padre… Sean lo sa?
- Gliel’ho detto un paio di giorni fa… Per poco non gli veniva un colpo, ma ha detto che mi sposa… Anche subito…
L’altra sospirò impercettibilmente, molto più sollevata.
- Ashley, se le cose stanno così, c’è molto meno di cui preoccuparsi: sposatevi appena possibile e la situazione rientrerà senza che nessuno possa criticarvi. Anche se il bambino nascerà prima del solito, non potranno dirvi nulla di spiacevole…
La biondina scosse il capo, come se l’amara verità fosse sotto ai loro occhi e l’altra non riuscisse a scorgerla.
- E Gold? Che faccio con Gold?
- Che c’entra Gold? – Belle sollevò un sopracciglio senza capire il senso della domanda e dei timori dell’amica
- Vorrà conoscere il motivo del mio licenziamento improvviso, e quando capirà ciò che è successo sotto il suo tetto ci caccerà entrambi! Ci ritroveremo in mezzo a una strada, da soli e con un bambino in arrivo! Non so che fare, Belle, non so che fare!
Durante i mesi trascorsi a Kensington, Belle aveva scoperto molti aspetti della personalità dei Ashley: sapeva che era volenterosa e instancabile, che al contrario delle altre non temeva i topolini che inevitabilmente di tanto in tanto scorazzavano in soffitta, e che era una gran sognatrice; ma quel lato così catastrofico e melodrammatico le era sconosciuto. Era ovvio che fosse spaventata, forse non esisteva reazione più naturale, ma disperarsi non avrebbe migliorato le cose; e, fu costretta ad ammettere, il modo in cui la collega aveva descritto Gold l’aveva infastidita non poco: dalle sue parole era emerso il ritratto del bastardo senza cuore dei primi tempi, che infliggeva punizioni severe per ogni minima infrazione.
E Robert non era, non era assolutamente così.
Ma, ragionò ancora, era pur vero che l’uomo aveva osato mostrare il suo reale essere a lei e lei soltanto; al resto del mondo, servitù in primis, si mostrava ancora cinico e distante. Ashley non poteva conoscere l’uomo dolce e tormentato, l’innamorato timido e passionale che le aveva chiesto la mano: ai suoi occhi, Gold era ancora sinonimo di Bestia.
- Ashley, – provò a confortarla – Ti assicuro che non accadrà. Il padrone sembra severo, e sotto molti punti di vista lo è, ma sono certa che capirà le vostre ragioni. Certo non lo lascerà intendere, probabilmente aspettatevi un rimprovero memorabile, ma non caccerà anche Sean. Avrà ancora il suo lavoro, potrete sposarvi, e quando nascerà il bambino avrete il lieto fine che tanto sognate. Angosciarti fa male, e non solo a te.
- E se lo licenzia? Come facciamo? Non abbiamo nessuno che possa aiutarci… Belle, io ho troppa paura di Gold, no…
Parlare al muro avrebbe sortito maggiori risultati. Ashley pareva sorda alle rassicurazioni che Belle ripeteva instancabile: qualsiasi tentativo veniva respinto con un susseguirsi di balbettii incoerenti in cui “Gold, “strada” e “paura” si susseguivano senza sosta.
- Senti, – propose infine Belle, dando voce all’idea che le si era affacciata in mente – Se vuoi, andiamo insieme dal padrone. Gli spiegheremo insieme come stanno le cose, e tutto andrà bene. So che per lui la servitù deve essere lo specchio della rispettabilità, ma sarà più comprensivo di quanto immagini, stanne certa.
Negli occhi della Boyle si accese una timidissima speranza.
- Lo faresti davvero?
- Certo che lo farei! Se non ci aiutiamo tra noi…! E poi, – ricordò – Tu sei stata tra le prime ad accogliermi qui, e la prima a ricominciare a parlarmi quando quasi tutti mi evitavano. Sono cose che non si dimenticano.
Ashley annuì pensosa, ma distolse rapida lo sguardo.
- Però non ti ho permesso di spiegare le tue ragioni quando è successo tutto… Non mi sono certo comportata bene con te…
- Tutti sbagliamo, ma se non sapessimo perdonare nutriremmo solo rancore. E io non voglio passare la vita rimuginando sul passato.
La collega l’abbracciò  forte, dedicandole un sorriso grato nonostante gli occhi lucidi.
- Grazie, Belle. Eri l’unica cui potessi parlare: Emma è ancora una ragazzina, e temevo il giudizio di Mary o delle altre…
- Sono convinta che anche loro ti avrebbero aiutata. Sai, non tutti sono come sembrano, anzi… La prima impressione è spesso sbagliata. Vedrai che tutto andrà per il meglio, – le strinse le mani quasi a trasmetterle un po’ di forza per affrontare il momento.
Dopo l’ennesimo “grazie” soffocato, la ragazza se ne andò, lasciando nuovamente sola Belle.
La giovane si poggiò alla porta chiusa e sospirò: Ashley era in guai seri. Era rimasta stupita nell’apprendere la notizia sebbene, a ripensarci, ce ne fossero stati alcuni indizi; non sarebbe stato facile quando il pancione avrebbe iniziato a vedersi: sperò che riuscisse a sposarsi in tempo… Insomma, la situazione dell’amica era tutto fuorché semplice, e dopo esserne venuta a conoscenza le pareva di avere un doppio peso sulle spalle: non si pentiva di essersi offerta come ambasciatrice, ma la questione dell’anello – comunque si fosse svolta – era già un fardello pesantissimo di cui avrebbe voluto liberarsi quanto prima e che, invece, pareva aver trovato un degno compare.
Doveva comunicare due novità decisamente poco piacevoli a Robert, e qualunque ne fosse stata la reazione, avrebbe dovuto affrontarla senza lasciarsi intimidire. Dubitava che avrebbe cacciato Sean in nome della moralità o qualcosa di simile: se ci avesse anche solo pensato, avrebbe provveduto a ricordargli personalmente due o tre cosette, chiedendogli perché mai non cacciasse di casa anche se stesso. Ashley e il suo innamorato non erano diversi da loro, e il rischio di ritrovarsi nella medesima situazione esisteva: fingere il contrario non l’avrebbe certo esorcizzato.
Però, si disse, le sarebbe piaciuto avere un figlio, un giorno. Magari un bambino coi capelli lisci e gli occhioni scuri, cui regalare coccole e storie, un piccolo la cui risata avrebbe riempito la casa e la vita dei genitori. Robert sarebbe stato un padre meraviglioso, ne aveva già dato prova: gli avrebbe offerto tutto il suo cuore, tutta la tenerezza di cui fosse stato capace, l’avrebbe difeso a spada tratta dal mondo e messo al di sopra di tutto; e quanto a lei… Lei già sapeva che non ci sarebbero stati paragoni per descrivere la portata del suo amore.
S’impose di tornare coi piedi per terra: per quanto bello, era meglio che per il momento quello restasse un sogno. Avevano già una miriade di questioni da risolvere: un problema serissimo che andava affrontato quanto prima, un matrimonio da organizzare, forse un ingresso in società, di sicuro il giudizio collettivo da sostenere.
Sì, doveva decisamente riscuotersi dai sogni.
Ma la curva leggera di un sorriso non scomparve tanto presto dal suo volto.
 
 
 
 
 
Robert Gold levò lo sguardo al cielo, beandosi dei raggi di sole che, timidi guerrieri, oltrepassavano la grigia coltre di nubi e intiepidivano appena l’aria. Quell’accenno di primavera a metà febbraio era inaspettato, e forse anche per questo tanto piacevole: fino a poche ore prima nessuno l’avrebbe immaginato, e ora eccolo lì, a rinvigorire il mondo con grazia benigna.
Pregò di trovare anche in Scozia un cielo mite: nonostante il periodo non fosse dei più indicati, avrebbe voluto sposare una Belle baciata dal sole, vedere la luce danzare nei suoi occhi mentre pronunciava le parole che li avrebbero legati per sempre dinanzi a Dio e agli uomini.
La situazione a Colchester era grave quanto aveva temuto: lo stabilimento era ridotto a uno scheletro e ingenti partite di materiale erano bruciate, ma quel che era peggio due capireparto avevano perso la vita – e paradossalmente avrebbe dovuto gioire che i morti non fossero stati molti di più.
Dopo la ricostruzione, avrebbe fatto offrire agli eventuali figli delle vittime un posto in fabbrica, un posto che – volenti o nolenti – sapeva avrebbero accettato. Non s’illudeva: quell’assunzione, quei soldi non avrebbero certo lenito il dolore di una perdita tanto tragica, ma almeno avrebbero garantito alle famiglie di non finire in mezzo a una strada. Occorreva occuparsi dei vivi: un ragionamento forse cinico, che probabilmente Belle non avrebbe condiviso del tutto, ma che gli era stato insegnato nel modo più duro, più brusco potesse esserci.
Continuare a rimuginare su simili pensieri non avrebbe modificato quanto successo: l’ultima settimana – la sua vita fino a pochi mesi prima – era stata un inferno, e ora la sola cosa che desiderava era riabbracciare Belle, stringerla al petto sussurrandole quanto gli era mancata – sebbene le parole fossero nulla rispetto all’immensità di quel concetto. Nonostante il caos, nei giorni precedenti aveva ritagliato qualche minuto per scriverle un biglietto: aveva provato una strana sensazione nell’impugnare il pennino per ragioni diverse dal commercio; una sensazione non spiacevole, non gravosa, ma… Strana. Far fluire poche, coincise frasi dedicate all’amata si era rivelata un’esperienza tra il liberatorio e l’esaltante; ma, aveva scoperto, preferiva pronunciare quelle parole. Guardare negli occhi colei alla quale erano dedicate, vederla sorridere nel rispondere, prenderla per mano e portarla via, lontana dal mondo, fino a farla perdere in quell’amore che solo loro due conoscevano, in cui potevano mostrarsi per com’erano realmente senza giudizi, senza paure.
Baciarle il cuore e ripeterle di amarla, giocare con le sue dita e dirle che era tutto.
Percorse il vialetto d’ingresso a grandi falcate, un unico pensiero in mente.
Un pensiero che in quell’istante era la verità.
 
 
 

Fra un mese, fra un anno
scordate le avrai,
amore che vieni

da me fuggirai. ”

 
 
 
Quell’incendio era stato una manna dal Cielo: era scoppiato al momento giusto, assicurandole ancora qualche giorno di riflessione per perfezionare ogni dettaglio – come inviare Mendell a fare il palo a Kensington. Quella si era rivelata un’idea saggia, quasi quanto sospendere momentaneamente le visite con la scusa di un raffreddore: nemmeno l’ombra di uno scocciatore, e la possibilità di attendere serena la riuscita del proprio piano.
Lady Mills aveva atteso con la calma paziente di un ragno che osserva da lontano la mosca impigliata nella ragnatela: la vittima si dibatteva, si dibatteva sempre più nel disperato tentativo di liberarsi, senza accorgersi di star peggiorando la situazione, di essere sempre più avvinta a quei fili iridescenti e sottili; che piacere assistere a simile spettacolo, che piacere avere a che fare con vittime ignare del proprio destino!
Gold e la French amoreggiavano sul filo di un rasoio che li avrebbe feriti a morte: il taglio che avrebbe inferto loro sarebbe stato netto e doloroso, dolorosissimo. Quella soddisfazione avrebbe ripagato i giorni trascorsi lontani dal bel mondo, ad annoiarsi in attesa di un amante – un alleato – lontano.
Non era un’umiliazione, ma un mezzo che l’avrebbe condotta al trionfo; e, in quanto tale, non avrebbe dovuto vergognarsene. Avrebbe soltanto dovuto impegnarsi per battere chiunque altro – per battere lei – sul tempo; e trascinarla nella polvere valeva bene qualche ora di tedio.
Del resto, la vendetta è un piatto che va servito freddo.
 
 
 
 
 
Mary Margaret e Archibald accolsero il loro datore di lavoro con deferenza, informandosi discretamente sul viaggio e su quanto accaduto. Le risposte evasive frenarono ogni ulteriore, indesiderata curiosità, inducendo i due a congedarsi prima di scatenare l’ira del padrone.
La governante si era ormai allontanata quando un richiamo la fece tornare.
- Dov’è Belle? – Gold chiese imperioso, senza indulgere in eufemismi.
- È uscita, – esordì gentile la donna, - È a far visita alla tomba di Ariel Andersen coi ragazzi.
- I ragazzi? – il fremito delle sopracciglia dell’uomo non sarebbe passato inosservato neanche a un cieco.
Mary Margaret annuì pacata. Non c’era nulla di indecoroso in ciò che Belle aveva fatto, e il padrone non avrebbe potuto criticarla in alcun modo – anche se sinceramente dubitava che la cameriera gli permettesse di imporle o vietarle qualcosa.
La giovane sapeva difendersi decisamente bene, ne aveva dato prova più volte.
- I ragazzi, – ripeté – Belle, mia figlia e Ashley Boyle hanno insistito per andarci dopo pranzo e io ho insistito perché almeno Sean Herman e Killian Jones le accompagnassero. Non sono tempi perché delle giovani si allontanino dai quartieri più sicuri, nemmeno in pieno giorno. Dovrebbero essere di ritorno a breve…
Gold annuì distratto prima di mandare via la dipendente. Belle difficilmente avrebbe accettato un accompagnatore, ma la sua promessa non era stata l’unica a uscire, ed era probabile che la governante fosse riuscita a persuadere la pavida Ashley. Sarebbe stato peggio se fossero usciti a coppie e Belle si fosse ritrovata sola con Killian Jones: l’immagine dei due che ridevano complici in biblioteca gli tornava in mente rendendogli la gola ruvida come sabbia, appiccando in lui un rogo capace di incenerire il mondo intero.
Sperava che i suoi timori fossero infondati: la sua Sweetheart non faceva che ripetere di amarlo, e non era certo una persona che pronunciava simili parole senza pensarle davvero, senza viverle nel cuore e nella mente. Nonostante la sua perenne paura, nonostante i perché e i come che non l’avevano lasciato in pace neanche dopo la proposta, che l’avevano torturato silenti e anche più forti durante la breve separazione – perché cosa stava facendo Belle? Come stava trascorrendo quei giorni lontana da lui? –, di lei doveva fidarsi; ma quanto a Jones…
No, di lui non si fidava.
Il valletto era giovane e affascinante, e coi suoi modi accattivanti sapeva senza dubbio conquistarsi le simpatie di una folta schiera di donne; lui, invece, aveva il doppio degli anni della sua fidanzata, era scorbutico e certamente non poteva definirsi attraente, mentre Belle… Belle era primavera fatta carne e anima. Era il vibrare che precedeva la risata, la scossa che veniva dal profondo e accompagnava i sorrisi più autentici. Belle apriva gli occhi – quegli occhi orlati da lunghe e folte ciglia scure che lui tanto amava sfiorare con la punta delle dita, quelle ciglia che le conferivano un’aria così vulnerabile, così innocente – e l’inverno della sua vita pareva oblio, passato appartenente a un’altra era, un’altra persona. Belle era nuova linfa che aveva preso a scorrere nelle sue vene, Belle era presente, era futuro: incerto, dai contorni non sempre netti, non sempre definiti, ma certo nel suo presentarsi, com’erano certe le dolcezze di aprile dopo i rigori di marzo.
Belle era il suo aprile; ma anche aprile, anche maggio passano, sostituiti dall’entusiasmo dell’estate e dalle piogge d’autunno.
Per quanto in quel momento potesse essere sincera, cosa sarebbe successo quando avrebbe aperto gli occhi e capito di aver gettato anni irripetibili della sua vita con una persona come lui? Pensieri inadatti a un futuro sposo, era il primo a convenire; pensieri che non avrebbe mai voluto, né dovuto formulare, perché facendolo gli pareva di sporcare Belle, di accusarla di nefandezze che lei non avrebbe mai compiuto.
Sospirò maledicendo gli effetti della lontananza: tutto il malumore sarebbe svanito nell’istante stesso in cui la porta si sarebbe spalancata e colei che da lì a breve avrebbe potuto chiamare moglie dinanzi al mondo intero gli sarebbe corsa incontro con la grazia guerriera che le era propria.
E il sole sarebbe tornato nella sua vita.
 
 
 
 
 
Smontò dalla carrozza con eleganza impeccabile. Sorrise sistemandosi il collo di pelliccia del cappotto e si ammirò il volto riflesso nel vetro del finestrino.
Il volto della vittoria.
Durante il viaggio di nozze a Parigi aveva visto la Nike di Samotracia; dinanzi al marmo acefalo, si era interrogata per un istante sull’aspetto che quella statua avrebbe potuto avere ai tempi del suo splendore.
Ora aveva la risposta.
 
 
 
 
 
Visitare la tomba di Ariel era stato un tuffo al cuore. Non erano trascorsi neanche due mesi dalla sua morte, e tanto, tutto era cambiato; ma una cosa era rimasta invariata: il dolore per il suo addio. Era lì, forse non immediatamente visibile, ma sempre presente e impossibile da strappar via, conficcato nel profondo di quanti l’avevano conosciuta e amata.
Belle e i suoi compagni avevano provato a distrarsi chiacchierando mentre si recavano al cimitero; ma nel momento in cui ne avevano oltrepassato i cancelli ogni traccia di allegria sembrava essere stata risucchiata dai loro volti, su cui era tornata a regnare sovrana la malinconia delle persone perdute. Erano rimasti in silenzio a fissare la croce già imbrunita dalle intemperie, le labbra che accennavano preghiere e la mente impegnata a far rivivere Ariel, i suoi grandi occhi antichi e quella vita troppo presto ridotta al silenzio.
Belle aveva poggiato l’umile mazzetto di margherite comprato e le era parso impossibile che la sua migliore amica giacesse lì, sotto quello spesso strato di terra umida e grassa; no: Ariel era ovunque, fuorché lì. Era tornata libera, nell’aria e nell’acqua che le erano propri: era in Danimarca a giocare con la neve e tuffarsi nel mare gelido che tanto le mancava, era nella cucina di Kensington a bere tè dopo tè coi colleghi, era nella stanzetta ormai chiusa che aveva visto nascere un’amicizia più forte della morte. Era l’ombra che le stava accanto, cui raccontava quel che succedeva sperando di udire ancora i consigli che non le aveva mai negato quando potevano stringersi le mani.
Ariel era con lei, con Killian ed Emma, con Ashley e Sean; e con Aurora, con Kathryn, con Mary Margaret e con Archie.
Ed era anche con Robert sì, con quell’uomo che si era addossato la colpa della sua morte affiancandola ai mille pesi che gli curvavano le spalle quando osava dar voce ai fantasmi del passato.
Ariel era con loro, sempre.
Nei suoi sogni Ariel non era mai morta.
Non appena rientrò in casa, Archie e Mary Margaret la presero da parte.
- È tornato il padrone, – le comunicò la governante, un sorrisetto eccitato sul volto tondo; un sorrisetto che una discreta gomitata del domestico fece svanire ben presto – Però… – continuò più impacciata – Belle, c’è la Mills. Gold non ha fatto in tempo a entrare in casa che lei è comparsa.
Non poté ignorare la scheggia di acrimonia che la ferì al nome dell’ospite. L’idea che fosse stata la nobildonna a salutarlo prima di lei, che non fosse stato il suo il primo volto ad accoglierlo non le piaceva affatto, anzi: senza che potesse impedirlo, il pensiero le provocò un malessere tra il petto e lo stomaco, come una morsa dalle dita di ghiaccio alla cui presa non seppe sottrarsi.
Sei gelosa, si rimproverò, conscia delle sensazioni che la stavano assalendo. Ti ritrovi con lo stesso difetto che rimproveri a lui, e sai che non ce n’è motivo. Sai benissimo perché è qui…
Non che questo riuscisse a calmarla, anzi. Poteva esserci una spiegazione immediata alla presenza di Cora in casa – una ragione cui lei stessa aveva acconsentito –, ma poteva essercene anche un’altra, che aveva come punto focale sempre Regina, ma in panni completamente diversi.
Non più oggetto di contesa, ma – possibile, Belle non si stancava di aggiungerlo alle sue elucubrazioni – compartecipe di una vicenda di cui Robert non era ancora stato messo a parte.
Una vicenda che però lo coinvolgeva molto, troppo da vicino.
Ma affidarsi alla speranza nulla poté contro l’amarezza che la scoperta e le sue eventualità le avevano riversato in bocca.
- Immaginavo, – dichiarò cercando di mandar via il sapore della bile e sentendosi addosso lo sguardo dei colleghi – Credo che in futuro la vedremo spesso. Gold vuole che Regina trascorra più tempo qui, ma la Mills la tirerà per le lunghe prima di cedere.
- Mi sembra un’ottima proposta – osservò il maggiordomo, accompagnando al cenno del capo il sorriso placido che lo contraddistingueva – Sono sicuro che la piccola trarrebbe giovamento da un ambiente più sereno. La mia sarà un’opinione di minoranza, ma non sono d’accordo con la tendenza a trattare i bambini come adulti in miniatura. Regina dovrebbe godersi gli anni più belli, ridere e giocare, anziché camminare impettita come una dama di corte e temere persino di sporcarsi. Non va bene, ogni cosa a suo tempo…
- Già… Speriamo che sua madre ceda in fretta, – concluse la giovane – Nel frattempo io vado a dare una mano in cucina. Se mi cercano, io sono lì.
- No, no e no! – la mano ferma di Mary Margaret la bloccò immediatamente, trascinandola di peso verso le scale – Tu ora vai di sopra, ti cambi, fai qualcosa per questi capelli che sfuggono da tutte le parti, – le afferrò una ciocca scuotendo la testa rassegnata – E ti precipiti nello studio. Non vi vedete da sette giorni, la cucina attenderà.
Belle ridacchiò alle parole della donna, che l’accompagnò complice.
- Ai vostri ordini, generale! – rispose scattando sull’attenti prima d’incamminarsi. Avrebbe seguito tutti i consigli di Mary, eccetto uno: il luogo in cui lo avrebbe aspettato. Era certa che, non trovandola altrove, Robert sarebbe salito all’ultimo piano, e l’idea non le dispiaceva, anzi; ma avrebbero dovuto parlare, e parecchio anche, toccare argomenti delicati al riparo da orecchie indiscrete.
Da lì a poche, pochissime ore ogni cosa sarebbe stata decisa nel bene o nel male.
Il momento della verità era alle porte.
 
 
 
Venuto dal sole
o da spiagge gelate, 
perduto in novembre

o col vento d'estate,
io t'ho amato sempre,

non t'ho amato mai 
amore che vieni, amore che vai.
 
 
 
Quando a Robert Gold era stata annunciata la contessa Mills, aveva alzato gli occhi al cielo col desiderio di mandare al diavolo tanto l’ospite quanto l’innocente latore della notizia: evidentemente, a qualche persona erano del tutto avulsi i concetti di “settimana difficile” “stanchezza” e “desiderio di solitudine” – punto, quest’ultimo, cui occorreva apportare delle precisazioni, perché lui voleva sì stare solo, ma solo con Belle.
Ma poi aveva ricordato anche l’altra lettera scritta nei giorni precedenti, e ogni idea di negarsi si era eclissata nel tempo di un pensiero.
Per quanto non intendesse vedere Cora, doveva farlo: doveva abbandonare ogni residua riluttanza, far appello a tutta la sua astuzia e scendere nuovamente in campo per una questione che non riguardava più un banale triangolo amoroso.
La felicità di Regina non sarebbe stata merce di scambio, né in quel momento, né mai.
- Milady, – la salutò impassibile, entrando nel salottino.
Il sorriso che gli rivolse lo sbigottì non poco: mai, in vent’anni di complicità, l’ex amante si era presentata così gioiosa e affabile. Il pensiero che ci fosse sotto l’ennesima macchinazione gli balenò in mente per un istante, facendogli ripromettere massima cautela.
Stava per addentrarsi nelle sabbie mobili: ogni passo sarebbe potuto essergli fatale.
- Come stai? – la gentildonna mimò l’entusiasmo di una bambina vedendolo – Ho appreso la notizia… Non puoi immaginare quanti mi dispiaccia, Robert caro. È andato perduto molto materiale?
È tutto nella norma, si consolò tra sé e sé l’industriale, udendo la domanda. Se Cora avesse rivolto anche solo un pensiero alla vittima, ci sarebbe stato di che preoccuparsi; ma, come sempre, la sua mente era tutta volta al denaro e ai beni materiali, in un atteggiamento che, se prima gli sarebbe scivolato addosso nella sua consuetudinarietà, ora gli faceva celare a fatica una smorfia di disgusto.
- Converrete con me che, per quanto fondamentali, lana e macchinari sono piuttosto irrisori dinanzi alla morte di due padri di famiglia.
- Ma certo! – Cora si portò alla bocca una mano guantata, come se l’insinuazione l’avesse scioccata – Per chi mi prendi, caro? Non sono certo un mostro senza cuore. Francamente, ero del parere che tra noi due fossi tu quello più spregiudicato…
- O forse mi piace farlo credere. Quale che poi sia la verità, Milady, – la guardò distrattamente, come se non fosse degna del bene prezioso che era la sua attenzione – Non a tutti è dato sapere.
Stava iniziando a odiare quelle conversazioni che parevano duelli, parole di fuoco come lame e volti di pietra come scudi; doveva già affrontarne a decine per affari e voleva che almeno nella vita privata simili espedienti appartenessero a un passato recente. Voleva poter condurre le conversazioni che aveva con Belle: semplici, lineari, prive del timore perpetuo dell’altro, prive di sottintesi e ammiccamenti che nascondevano mostri.
Voleva essere libero.
Lei mi ha cambiato, pensò. Ero nell’abisso, e lei è l’unica che vi è scesa, l’unica che mi ha offerto la mano.
Mi ha fatto tornare alla parte migliore di me, ha mandato in mille pezzi il muro di bugie.
Ha ripulito quel che ero diventato.
- Una certa aura di mistero non può che giovare al fascino, certo, – concordò la dama, accingendosi a togliere i guanti – Non ti reca disturbo, vero? Sono nuovi, e purtroppo stavolta il tendiguanti non ha svolto il suo compito a dovere, – aggiunse a mo’ di scusa, accennando a quanto stava facendo – In fin dei conti, con ciò che abbiamo condiviso non sarà certo questo a scandalizzarti. Resterà un altro piccolo segreto tra noi.
- Come preferite, Milady.
A che gioco stava giocando? A che pro fingersi docile come un gattino, se in passato non aveva perso occasione per mostrare i volti peggiori di sé? Che si fosse messa in testa di riconquistarlo facendo leva su quest’altro – ipocrita – lato della sua personalità?
Un tentativo fallito già in partenza.
Il pensiero del lungo incontro che l’attendeva gli fece venir voglia di mettersi le mani tra i capelli e urlare.
Fu Aurora a servire quella volta; e a Gold non sfuggì il rapidissimo lampo di frustrazione che attraversò il volto della nobildonna alla vista della cameriera.
Aspettavate qualcun’altra, Milady?, fu tentato di ghignare per umiliarla, ben sapendo quale dipendente avrebbe voluto incontrare. Forse quell’uscita di Belle si era rivelata provvidenziale…
Un lievissimo colpo di tosse lo riportò alla realtà: l’occhiata che Cora gli rivolgeva, accennando discretamente alla domestica, era eloquente. Pas devant les domestiques: certi affari andavano trattati in privato, lontani dalla servitù linguacciuta – “La Contessa era persino a mani nude, sai che scandalo!”.
L’uomo congedò la serva e si rivolse nuovamente all’ospite.
- Ora è tutto di vostro gradimento, Milady? – calcò l’impronta beffarda della sua voce, senza temere d’indispettirla – Possiamo parlare serenamente, o desiderate dell’altro?
- Penso possa andare bene così, ma ti ringrazio, Robert caro. La tua cortesia non smette di stupirmi, – zufolò serafica allungando la mano verso la delicata porcellana Rosenthal che le era stata offerta. Il folle non aveva ancora visto la verità che lei gli stava facendo sfilare sotto il naso: continuava a blaterare idiozie nella vana speranza d’intimorirla, dimentico che bisogna temere chi tace. Ma gli avrebbe presto rinfrescato la memoria… – Ho letto la tua ultima e ho deciso di venire a parlarne direttamente, senza perdere tempo in chiacchiere.
- Saggia decisione. Avete già una risposta?
- Oh, no di certo, mio caro! La fretta è cattiva consigliera, e non ho alcuna intenzione di correre quando è mia figlia a essere coinvolta. Dovrò valutare attentamente una serie d’aspetti fondamentali, – iniziò a elencare una serie di questioni che definire pretestuose sarebbe stato eufemistico: sicuro che la bambina avrebbe potuto soggiornare nella stanza degli ospiti? Regina cresceva in fretta, presto avrebbe avuto nuove esigenze e quel locale forse non era adatto a soddisfarle: non sarebbe stato più opportuno prepararle un’altra camera, più grande, più spaziosa, o magari dedicarle degli spazi appositi? E ancora, quando eventualmente fosse stata da lui come avrebbe fatto a seguire le lezioni tanto importanti in vista della scuola preparatoria? Lei non aveva nessuna intenzione di far fare avanti e indietro all’istitutrice… Per non parlare delle chiacchiere della gente nel vedere una ragazzina sballottolata da una parte all’altra come un pacco…
Robert si morse la lingua. Regina era abituata ad andare e tornare da Kensington al seguito della madre, che per anni aveva condotto simile routine senza temere chiacchiera alcuna, certa di poter mettere a tacere ogni pettegolezzo. I rischi le erano tornati in mente solo in quel momento?
Erano tutte scuse, pretesti per impedire alla bambina di stare da lui. Avrebbe quasi preferito se avesse negato il suo consenso esplicitamente, se avesse tirato fuori gli artigli che sempre aveva avuto e lo avesse deriso per la sua richiesta, senza mostrare pietà alcuna.
Seguì distrattamente le dita della donna, ballerine eleganti e aggraziate nell’illustrare l’ennesima farsa sul palcoscenico di un teatro quotidiano: danzavano lievi, seguendo le fila del discorso e accompagnandolo con vezzosi cenni là dove voleva attirare l’attenzione.
L’anello d’oro e pietra che portava a un dito catturava la luce, facendola esplodere in mille riflessi iridescenti sulla pelle chiara.
In lontananza, una pendola batté sei colpi.
Un anello d’oro e pietra.
L’attenzione di Gold fu catturata dal gioiello: quella banda preziosa non gli era sconosciuta. L’aveva già vista in altre occasioni; ma dove? Che gliel’avesse regalata lui?
Aguzzò la vista e il cuore gli sprofondò in un recesso da cui non l’avrebbe più recuperato.
Non riuscì a distogliere lo sguardo dalla mano che l’ospite muoveva elencando ancora i pro e i contro della proposta, quasi dimentica dell’interlocutore.
Quasi.
Perché alla Contessa non era sfuggito il tremito dell’incavo della guancia di Gold, il modo in cui il suo sguardo si era posato sulla mano senza più staccarsene, l’angoscia che all’improvviso aveva esteso le proprie grinfie su quel salone così ricco.
- Dove hai preso quell’anello? – Gold si sentì mormorare, abbandonando all’improvviso ogni deferenza. La sua voce gli suonò estranea, come se non fosse la sua.
- Questo? – la Mills guardò noncurante l’oggettino – Bello, vero? Sai che ogni tanto faccio visitare i bassifondi dai miei aiutanti, alla ricerca di qualche rarità, e ieri hanno trovato questo piccolo tesoro. Pare l’avesse venduto qualche giorno prima una giovane con urgente bisogno di denaro per fuggire dalla città. Non deve essere stato difficile darle molto meno del valore dell’anello… E lei ha accettato una cifra ridicola per quello che pare proprio essere un pezzo unico, che sciocca! Ma il bisogno di denaro porta a tutto…
Si sfilò l’anello e lo passò all’industriale, fingendo di non notarne il tremito delle dita.
Quanto può essere dolce la vittoria?
Latte e miele, zucchero che si scioglie lentamente sulla lingua.
Guarda bene, Robert, e capisci a cosa porta mettersi contro di me.
Non c’erano dubbi. L’ultimo acquisto di Cora era l’anello che aveva regalato qualche tempo prima a Belle. Per quanto lo scrutasse nella speranza di trovare un’imperfezione, un particolare che smentisse l’identità restituendogli il respiro, non era possibile sbagliarsi: ogni sospetto stava trovando conferma.
Non era un anello simile o somigliante: era l’anello.
Ieri hanno trovato questo piccolo tesoro. Pare l’avesse lasciato qualche giorno  prima una giovane con urgente bisogno di denaro per fuggire dalla città.
Non poteva essere. Se anche fosse successo, Belle se ne sarebbe andata via immediatamente, e Mary Margaret aveva detto che sarebbe tornata a breve. Ma poi, perché avrebbe dovuto fare qualcosa di simile? Era felice con lui. Lui era tornato, non le avrebbe più mentito, si sarebbero sposati entro pochissimo, lui l’amava…
Lui l’amava.
Belle.
Belle, cos’hai fatto?
- Vendimelo.
La stessa Cora rimase allibita dalla richiesta.
- Perché mai vorresti un anello da donna?
- Il perché non ti riguarda. Sono disposto a darti qualunque cifra.
- Non vorrei separarmene. Mi piace, e ce l’ho da così poco. E poi, quest’anno gli opali si usano molto…
- Una pietra di luna. Non un opale, – disse, parlando quasi se stesso – Una pietra di luna azzurra.
Ancora peggio, commentò Cora a denti stretti.
- È comunque un gioiello interessante…
- Che io sono pronto a pagare il doppio del valore originale.
Obiettare che simile decisione nei confronti di un oggetto tanto futile e sconosciuto era bizzarra a tal punto da lasciar presupporre che conoscesse l’anello avrebbe potuto destar sospetti; e mai come in quel momento, la Contessa voleva che Gold restasse cieco. Cieco com’era stato per mesi e come sarebbe dovuto restare ancora, il tempo necessario perché il piano volgesse ormai al termine; cieco, come stava dimostrando di essere in quel colloquio, come mai lei avrebbe immaginato che lui potesse rivelarsi: perché un gesto era stato sufficiente a illuderlo, quando mai l’industriale che aveva conosciuto vent’anni prima si sarebbe fatto ingannare da un’apparenza così effimera.
La situazione andava a suo vantaggio e doveva bearsene, vero; ma la situazione, si trovò a pensare, suffragava ancora una volta ciò di cui era da sempre consapevole.
Robert Gold, tu sei l’essere più debole e meschino che io abbia mai incontrato.
- Se vuoi fartene uno su questo modello, te lo presto. Non sia mai che scontenti un caro amico… – disse la nobildonna facendo appello a tutto il suo autocontrollo – Tuttavia, tornando a noi...
- Hai ragione su Regina. Disporrò delle stanze per lei, – le labbra dell’uomo si muovevano, ma i suoi occhi restavano lì, fissi su quella pietra innocente pomo di discordia – Ora, se vuoi scusarmi, mi… Mi attendono. Ho una questione da risolvere.
Uscì dal salone incurante dello sguardo indecifrabile dell’ospite.
 
Dimmi solo perché.
 
 
 

Io t'ho amato sempre,
non t'ho amato mai,
amore che vieni, amore che vai.

"Amore che vieni, amore che vai" - Fabrizio De Andrè

 
 
 
 
 
 
1: durante l’epoca vittoriana nascono le leggende sugli opali - http://www.magliagioielli.com/cenni-storici/storia-del-gioiello/52.html;
2 : vi rimando al link su Gretna - http://it.wikipedia.org/wiki/Gretna_Green;
3 : Worth fu uno tra i più importanti stilisti dell’Ottocento – http://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Frederick_Worth;
4 : Jeanne Paquin fu un’altra celebre stilista. Ho precisato emergente perché, sebbene già nota, nel 1889 non aveva ancora aperto il suo atelier –  http://en.wikipedia.org/wiki/Jeanne_Paquin;
5 : adattamento – e scempio – della frase “Le piccole abitudini di tutti i giorni ci uniscono più dei tumulti della passione; quando siamo separati è questa danza discreta ciò che più ci manca.”, tratta da “La somma dei giorni” della divina Isabel Allende;
 
 
 
 
 
N. d. A. : Salve, Dearies!
Allora, cosa mi raccontate di bello? Vi è piaciuto il capitolo? Pareri, perplessità, supposizioni… Io, come sempre, ho le mie insicurezze sull’IC/OOC e simili, ma non conoscendo neanche il significato della parola “obiettività”, mi affido a voi. Ogni commento è benvenuto, lo sapete, e io aspetto i vostri con ansia! Due paroline, due due, mi renderebbero estremamente felice. :)
Chiarita la situazione di Ashely – che comunque avevate intuito XD –, le cose sembrano proprio mettersi male per i nostri, con una Cora che ha deciso di sferrare l’attacco finale e un Robert che pare esservi cascato in pieno. La prossima volta ne capiremo di più e scopriremo come andrà a finire – per ora! Come ho già annunciato sulla mia pagina Facebook “Euridice’s World”, cui vi rimando per i commenti alle puntate di OUAT, questa storia non termina tra due settimane: ci saranno ancora tante – spero! – cose da leggere, se vorrete continuare a seguirmi – spero bis! ♥
Grazie a quant* hanno recensito il precedente capitolo, hanno aggiunto la fanfiction a una delle categorie e la leggono: come farei senza di voi, miei tesori adorati? Le vostre parole sono un’iniezione di fiducia e io vi amo.*-*
A sabato 1° novembre con l’epilogo! :***
Euridice100
   
 
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