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Autore: _Mikan_    18/10/2014    1 recensioni
Capelli neri come la pece ed occhi azzurri come il ghiaccio. Questo caratterizza Margaret, oltre ad una passione smisurata per la natura. Ed è proprio in mezzo al verde che questa drammatica storia si apre, ricordando i bei momenti passati col padre defunto, accanto al proprio cane Calzino.
*Dal testo*
Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto.
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra.
Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali bianche con piume candide e morbide.
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio.
Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone.
Si portò la mano alla bocca.
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aprii difficilmente gli occhi pesanti e assonnati. La bocca secca e la vista appannata erano veramente di disturbo, senza
dimenticare i muscoli molli e viziati dal materasso caldo e comodo. Inolte c'era la lucidità dei pensieri che si limitava a quanto 
fosse bello il cuscino.
Ci provaii, certo, ma proprio non riuscii ad alzarmi dal letto. Che ore erano? La fioca luce, che con gentilezza chiedeva il permesso di
poter trapassare il vetro, si posava poi sul mobiletto di legno accanto al letto. Qualche raggio mi andò anche in faccia, ma non mi spostai:
era piacevole e caldo. Ti faceva sentire vivo. Anche quando mi sdraiavo sull'erba con Calzino mi piaceva ricevere i caldi raggi del sole. 

*Toc Toc* 

Non importa il luogo o il tempo: la mattina c'è e ci sarà sempre qualcuno pronto a disturbare il tuo sonno beato,
ma ero ancora mezza addormentata per poter dire qualcosa. Perciò, iniziai a grugnire versi incomprensibili dannatamente scocciati, con 
un forte tocco di lamentela. 

*Toc Toc* 

A malavoglia misi al corrente il disturbatore/disturbatori che non volevo alzarmi (questa volta usando la voce).
Però, a quanto pare, non ebbi l'effetto sperato e quattro cameriere super allegre e sbriga-tutto
iniziarono a saltellare da un angolo all'altro della stanza.
Mi faceva venir da vomitare tanta energia e allegria al mattino. 
Che ora saranno state? Bho. So solo che avevo sonno e anche molto. 

Sentii qualcosa tirare il mio braccio e, con ancora gli occhi chiusi, mi ritrovai in piedi, in mezzo alla stanza, con una coperta di lana
che mi avvolgeva come un fagotto. Sembravo uno zombie che dormiva.

Una delle sbriga-tutto portò via i miei vestiti: "Ehi che stai facendo?!"-Le gridai nervosa,
ma aveva ormai varcato la porta e superato la mia soglia visiva. E io, tanto pigra e assonnata, non avevo certo voglia di
fare una scenata e correrle dietro per tutto il castello (sempre se lo era).

Poco importava, mi sarei arrangiata con-
"Cosa?! Devo mettere questo vestito?!! Ma scherziamo?!"
Non ero il tipo da merlettini, bottoncini, nastrini e chissà cos'altro. 
"No. Io. Non. Lo. Metto."

La cameriera che mi porgeva il vestito azzurrino era giovane e di bassa statura.
Mi guardava dal basso con due occhi verdi enormi (troppo enormi!) che ti travolgevano di dolcezza e pietà.
Continuava a fissami, ammutolita e sbattendo ripetitivamente le palpebre.
Mi stava corrompendo, o almeno cercava di farlo.

Ancora un po', ancora un "Ti prego" e avrei ceduto, costretta ad indossare quei merletti. 
Come andò a finire? Provate ad immaginarlo.
Mi porse delle scarpette bianche col tacchettino.
"Ah no, io queste non le metto proprio. Puoi restare fino a sta sera con quegli occhioni, ma io proprio non le metto."
Ero abituata con le comode scarpe da ginnastica: non potevo certo entrare nel bosco con i tacchi e di sicuro non erano comode per
correre nei prati, tra erba alta, fiori, fango, rami e ... Calzino! Figuriamoci se mettevo delle scarpe del genere per
rincorrerlo. E poi ero ben a conoscenza della sua abitudine affettuosa per le scarpe: mi avrebbe assalito, tutto sporco di terra.
No no, volevo le Mie scarpe, la Mia comodità e la Mia libertà di correre.

"Allora? Dove le avete messe?"-Chiesi rivolgendomi a tutte. 
"Cosa, signorina?"-Chiese la tappetta con gli occhioni verdi.

Signorina? Robe da pazzi.
 
"Le mie scarpe, cosa se no?"-Risposi.
"Ah, quelle cose indefinite, sporche, vecchie, bucate e brutte?"-Chiese, molto probabilmente in modo provocatorio,
la cameriera più anziana.
"Sì, proprio quelle!"-Gridai nervosamente.
"Buttate."-Disse in modo pacato la stessa cameriera.

Le ginocchia non ressero e caddi all'indietro sul letto. 
Buttate? Le mie bellissime (brutte), perfette (bucate), nuove (vecchie) e pulite (no, erano incrostate di fango) scarpe!
"Come farò adesso?!!"-Gridai esasperata.
Quella vecchia megera, era sua la colpa!

"Chi ti ha dato il permesso di buttarle?!"-Mi rivolsi alla "befana".
Lei si girò, con tanto di rugosa espressione annoiata e scocciata, e disse con lo stesso modo pacato: "Sua Altezza, la signorina Luv."
(Ma non si faceva chiamare Luv solo dagli amici?)
Ora ero totalmente esasperata e da ogni poro del mio corpo usciva ira.
"No, rivoglio indietro le mie scarpe. Ora mi sente!"
Velocemente, feci lo slalom fra le domestiche e mi avviai verso la porta arrabbiata più che mai.

"Ma non può uscire in pigiama!"-Gridò la più piccola.
Di tutta risposta: "Oh, si che posso!"
E così mi lasciai alle spalle il trio: la dolce e scrupolosa, l'anziana megera e la terza troppo "Fate voi, io non centro niente".
La quarta era sparita con i miei vestiti, ma prima o poi l'avrei trovata.

Percorrevo un corridoio che sembrava non finire mai, con troppe decorazioni per elencarle tutte. Ma il mio intento era 
cercare "Sua. Maestà." e quindi non mi soffermai a guardare estasiata quelle pareti e quel tetto cui la sua esistenza equivaleva
a sfamare un intero esercito di bambini poveri ed affamati. Ma probabilmente il lusso aveva distrutto un parte del cervello chiamata
"generosità". 
"Che sia in questo, che in un altro mondo, la differenza fra ricchi e poveri c'è e ci sarà sempre."-Questo pensai mentre correvo. 

Durante il percorso mi imbattei in un'altra cameriera di circa la mia età.
"Ehi tu."-Le dissi avvicinandomi.
Accidenti, l'avevo messa in soggezione.
"Sai dirmi dove si trova la "principessina viziata butta-scarpe altrui?" Allora?"
Con un'espressione spaventata e con una notevole dose di coraggio, mi rispose: "S-sta forse parlando di sua altezza?"
"Sì, proprio di lei. Sai dov'è?"
Riacquistò un po' di sicurezza e mi indicò la strada per il giardino perché probabilmente era lì che si nascondeva.
Ancora qualche minuto e, al posto di una principessa, ci sarebbe stata una poltiglia uniforme.

"Trovata!"-Pensai felice. 
Era seduta su una di quelle panchine bianche che dondolano.
"Ehi! Perché hai ordinato di far buttare le mie scarpe?!!"-Le gridai arrabbiata.
Nessuna reazione.
Se ne stava immobile e zitta, con la schiena diritta e il mento alzato. Sembrava in posa per un quadro e a malapena intravedevo
il movimento del respiro.
Mi dava sui nervi questo suo comportamento. Rischiavo seriamente di esplodere!
"Allora?! Perché non rispondi?!"

"Sta morendo."-Disse seria, fregandosene senza vergogna delle mie urla. 
Tacqui immediatamente e mi accomodai vicino a lei.

"Sentiamo. Cos'è più importante delle mie scarpe?"-Le chiesi ironicamente.
Ma non rise. Non rideva mai. Così seria e piena di disciplina, sembrava non godersi a pieno la gioventù.
Sì, lo pensai: sembrava un'adulta. Maturata troppo in fretta, rischiava seriamente di perdere tutte le gioie della vita.
La guardai per ricevere risposta.

"La natura"-finì la frase, senza distogliere lo sguardo diritto. 
Allora diressi il mio sguardo verso il suo punto di riferimento e con tanto di osservazione nei minimi dettagli, non riuscivo
a notare quella che lei definiva "la natura morta". Dov'è che stava morendo? 
"Ma che dici? Guarda che bella erba verde e che alberi grandi e alti. Ci sono perfino quelli da frutta, a giudicare dall'aspetto
sono sani e produrranno buonissimi frutti succosi. E poi guarda come ti sei data tanto da fare per curare questi bei fiori.
Non mi sembra un paesaggio con terreni brulli e aridi, alberi secchi e fiori inesistenti"-Spiegai.
"Sai cosa significa morta?"-Conclusi.

Chiuse gli occhi. Presumo che la stessi infastidendo: "Non solo devo condividere i miei pensieri con lei, ma è pure ottusa!"-Sicuramente
stava pensando ciò. Poco importava.
"Non è fuori che sta morendo, ma dentro."-Sapevo che quello era l'inizio di un lungo discorso che sicuramente non avrei capito.
Infatti dovetti chiedere spiegazioni fin da subito: "Non capisco. Cosa vuoi dire?"
"C'è poca energia, non possiamo andare avanti così."

Continuava a spiegare, ma più parlava, più non capivo. Natura morta, energia? Che paroloni si stava inventando?
"Senti"-Le dissi-"Se non volevi ridarmi le mie scarpe e ti serviva una scusa per dirmelo, è meglio che la smetti subito"
Stavo per alzarmi e lei mi fermò con un ordine, serio. Sapevo bene di rischiare la morte se il mio bel sederino decideva di
non stare seduto. E siccome sedici anni erano troppo pochi per morire, decisi di obbedire all'ordine.

"Vieni da un altro mondo, non puoi saperlo. Però mi sembra giusto darti delle spiegazioni per tutto il disturbo che ti abbiamo causato"-Disse,
stranamente con un tocco di miracolo, in modo gentile. 
"Forse però, è meglio fartelo vedere."
"E come intendi fare?"-Le chiesi incuriosita. Però ero anche un po' spaventata. Aveva sollevato un grande polverone sulla questione: 
e se era qualcosa di pericoloso? Oppure qualcosa di spaventoso? Chissà, ma la curiosità vinse su tutto e istintivamente la seguii.
"Dove mi porti?"
Senza girarsi, continuando a camminare con sicurezza e fierezza davanti a me, disse:
"Da nessuna parte con quel pigiama."

Pigiama? Ma di che cosa stava parlan- 
Abbassai la testa e arrossii per il mio abbigliamento. Non che mi causasse qualche problema, figuriamoci, 
ma davanti a una principessa è un po' fuori luogo.

Mi accompagnò in camera.  Lei sempre con il suo mento alto, io con la testa abbassata e le labbra morsicate per tutti
i pensieri stupidi che rischiavo di dire. 

"E' meglio se lo indossi, non credo tu abbia altra scelta."

La cosa più brutta e umiliante era che aveva ragione, così fui costretta ad indossarlo. Mi guardai allo specchio.
Era molto più semplice del vestito rosa che indossava Luv al nostro primo incontro, ma comunque era bello.
Azzurrino, con decorazioni bianche: bottoncini sul petto e nastro sulla vita, con un fiocco dietro. Menomale: non c'erano merletti.
Li odiavo davvero. Mi toccò anche indossare le "scarpettine col tacchettino tanto carino!" o così le chiamava la terza cameriera, quella:
"Fate voi, io non centro niente se non per dire stupidi commenti su stupide SCARPETTINE". Stavo odiando quella parola.
Comunque non era male: mi aspettavo di peggio. I capelli neri e lisci, due dita sotto la spalla, mi stavano bene con l'azzurrino del vestito.

"Non ti lamentare: il colore richiama anche i tuoi occhi."-Disse Luv.

Sì, anche se era un po' diverso: occhi color ghiaccio. Ne andavo molto fiera.
In effetti mi sono sempre chiesta da chi avessi preso: sia mamma che papà avevano
i capelli e gli occhi castani. Forse da qualche nonno? Chi lo sa. O forse da un parente ... sconosciuto? 
Beh, con la mia carnagione chiara (fin troppo) la mia trasformazione in zombie era
definitiva.

"Andiamo."-Mi ordinò la principessina.
Poi fece segno con la mano alle cameriere di ritirarsi.

"E dai, me lo vuoi dire dove andiamo?"-Le chiesi cercando di starle dietro: aveva il passo veloce, ma lo teneva comunque elegante:
figuriamoci se mai in vita sua avesse provato a correre. Guai! Si sarebbe scombinata i capelli e avrebbe sudato!

"Ho detto che volevo fartelo vedere, no?"-Rispose.

"Sì, certo. Ma cosa?"

"Non fare domande."-Disse seria e con il suo solito mento alzato, quasi irritante.
"Andiamo in città."

"Preparati."-Concluse.

Rabbrividii. Prepararmi?
Cosa mi aspettava in città? 

Io non ce la facevo più: le novità erano all'ordine del giorno e le stranezze dietro l'angolo. 
Stancante. Ma mi toccava arrangiarmi, dopotutto il modo per farmi tornare indietro era nelle loro mani. 
   
 
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