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Autore: mikmaestroni    18/10/2014    1 recensioni
Il ritrovamento in riva al mare, da parte di un giovane, di un messaggio in bottiglia. Stappato il fiaschetto, quello che ne esce è un eco di un passato che ancora oggi vive indissolubile nei ricordi e nelle contemplazioni, e di un uomo che ha vissuto sulla sua pelle la Devastazione, finendo inghiottito dall'Oblio. "Oggi la Speranza è diventata una favola raccontata da un messaggio in bottiglia".
Racconto tratto dal mio blog personale "Parole alla Tempesta"
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Finalmente un po’ di pace” sospirò C., in fuga dalla frastornante vita cittadina di Shangai; si stava godendo i suoi anni di studi all’estero, nella più caotica città che avesse mai frequentato. Quando gli esami e il lavoro part-time come barista lo permettevano, amava però rifugiarsi sulla costa rocciosa del Mar Cinese Orientale, lontana dal centro ma ad una manciata di chilometri dal suo alloggio. Quella ventosa sera era perfetta per lasciarsi abbandonare ai pensieri restando al fresco, ma i suoi piani furono rovinati da una piccola bottiglia di vetro verde che C. scorse poco più sotto dello spigoloso rialzo su cui si era sdraiato, incagliata nelle rocce appuntite che spuntavano dall’acqua. Quando colse con lo sguardo dei suoi occhi marroni il vetroso contenitore, dapprima rimase indifferente e riconcentrò la sua attenzione verso le stelle sfarfallanti nella sera, poi, spinto da un incontenibile istinto, decise di alzarsi e calarsi tra gli scogli; una volta recuperata la bottiglietta e tornato al punto di partenza, stava rigirando tra le dita il nuovo bottino, quando si accorse di una minuscola pergamena al suo interno. Vinto totalmente dalla curiosità, con un sussulto si affrettò a strappare il tappo di sughero per estrarre il bizzarro foglio; col cuore insolitamente in subbuglio, srotolò la carta. “Oh Cristo, qui c’è scritto qualcosa.”. Non sicuro di stare sognando o meno, C. cominciò a leggere le sbiadite parole sulla lettera, scritte in una calligrafia nervosa di ideogrammi– non troppo diversi da quelli che sapeva riconoscere – , con le mani tremanti per l’emozione.

 

“Sigillo le mie parole su questo foglio di carta consunto, abbandonando il loro destino imbottigliato al mare, al vento e al sole, intrecciandosi col mio: entrambi non vedono certezze nell’avvenire. Le mani lerce e le gocce di sudore freddo impregnano le righe, rendendo rozzamente informale lo stile; poco m’importa del gradevole frontespizio, se sto scrivendo ora è per imbevere questo pagina d’agenda del mio pensiero, il quale si libererà nell’aere come un’eco, al momento della stappatura del fiaschetto in cui è imprigionato. Confido che un giorno queste parole, rese vaneggianti dal delirio della fine che oggi più che mai ci acceca, arrivino al futuro come prova intangibile delle nostre giovani speranze prematuramente stroncate.

Speranza. Non è forse quella soave melodia che cura il nostro udito reso sordo dalle urla laceranti di tutti noi che, ancora candidi di cuore, ci troviamo da soli a lottare per la sopravvivenza contro il branco dei rabbiosi lupi della Vita –  circondati dai nostri simili, ma così dannatamente soli? Non è quel torpore serale che ci rinvigorisce le ossa spezzate dalle pietre e dai proiettili che l’oltraggioso destino ci scaglia addosso, impietoso e noncurante di chi siamo, chi ci aspetta a casa e chi vogliamo essere nel futuro?

Speranza. La parola mi rimbomba nei timpani come un’eco celestiale; con che coraggio, dannato cielo appestato, mi sussurri questa rincuorante  brezza? Circondato dalle lacrime e i corpi carbonizzati, i gemiti di terrore e i sogni infranti, con il velo pece della morte che ci sovrasta come un soffocante sudario, in questo fumante e gelido teatro di disperazione: dimmi, dove posso trovare Speranza?

Per ognuno di noi, la Speranza è coltivata nel cuore di ciò che è il motore immobile della nostra vita: per me, la mia famiglia e il mio lavoro erano Speranza. Ora, tutto è perduto; con la prima scomparsa in un flash accecante assordato dall’enorme boato, e  della quale sguardo posso solo ammirare in una foto stropicciata nel mio portafogli, e il secondo ormai un lontano ricordo di coccolante monotonia, per cosa vale la pena che io lotti? Cosa potrò ottenere con il mio sangue e gli immani martirii a cui ho assistito, che come un’eco spettrale tornano ogni notte a dilaniarmi nel sonno? Quando la Speranza scompare davanti al nostro guardo avvilito, non ci resta altro che accasciarci a terra ed aspettare la fine di tutto, soffocati dalle lacrime e dal dolore del cuore avvelenato dalle frecce del ricordo del passato migliore.

Oggi, quando ogni istante potrebbe essere il tuo ultimo momento vissuto sulla terra, la Speranza che  noi comuni cittadini coltivavamo nel futuro è stata rasa al suolo dalla bomba nemica, e con lei tutto il nostro presente; oggi, mentre dall’altra parte del mondo si festeggia un successo, nella mia terra si piange il genocidio.

Oggi la Speranza è diventata una favola raccontata da un messaggio in bottiglia, trasportata dalle onde di un oceano tinto di sangue e morte; il suo tuffo sarà seguito dal mio: mentre le mie rassegnate spoglie diverranno proprietà dei pesci, che divorandomi lo spirito sapranno donarmi la pace ormai irraggiungibile, il mio pensiero viaggerà attraverso il tempo, giungendo in un futuro – il tuo presente – dove forse la Speranza è risorta dalle ceneri e dalle macerie di una città assassinata.

Dove forse la Speranza continuerà a germogliare rigogliosa, permettendo alle generazioni di vedere la luce in fondo al tunnel. 

T. Y. Sopravvissuto alla Bomba

9 Agosto 1945, Baia di Nagasaki”

“Certo che questa bottiglietta ha fatto un bel viaggio, sopravvivendo oltretutto ad un attacco nucleare” pensò C., ancora emozionato e sognante per quello che aveva appena letto. “Comunque, non c’è da stupirsi: non è forse la Speranza l’ultima a morire, l’eco che rimbomba sulla terra dopo un urlo verso il cielo?” si ripeté, mentre si stese sulla schiena, con la lettera stretta al petto e la bottiglia-messaggera nell’altra mano, a fissare le stelle che ora gli sembravano più luminose.

   
 
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